Parenti
serpenti
Un
episodio della vita privata di una contessa irlandese (Passage in the Secret History of an Irish Countess, 1839),
noto
anche come
La
storia segreta di una Contessa irlandese,
è un racconto di Joseph Sheridan Le Fanu (Dublino
1817-1873), considerato, a buon diritto, il capostipite del racconto
gotico vittoriano. Venne
pubblicato
la prima volta nel
Dublin University
Magazine, per
poi entrare a far parte dei Purcell
Papers
(1880), dove furono
raccolti i suoi primi dodici racconti, scritti tra il 1838 e il 1840,
che
pretendono
di essere il
lascito
letterario
di un prete cattolico del XVIII secolo chiamato Padre Purcell.
Indossati
i panni fittizi di questo prete, l’autore ci introduce
nell’enigmatico mondo della
contessa D. La donna, ormai anziana, vedova e senza figli, gli scrive
per rivelargli gli oscuri eventi che funestarono la sua giovinezza e
che potranno essere rivelati solo dopo la sua morte.
Rimasta
orfana, viene affidata alla tutela dello zio paterno, che nel
testamento era stato indicato dal fratello come unico erede nel caso
la contessina fosse morta senza eredi. Su
quest’ultimo, tuttavia, grava il sospetto di uno misterioso
omicidio avvenuto nel suo castello, un edificio vetusto e decadente
dove il nobiluomo si era rifugiato dopo aver perso la maggior parte
dei suoi beni ai tavoli da gioco di mezza Europa. Al
suo
arrivo,
tuttavia,
le ansie della giovinetta vengono fugate dall’accoglienza amabile
dello zio e dalle calorose esternazioni di affetto della quasi
coetanea cugina Emily, che
diverrà poi sua fedele compagna e confidente. Ben
diverso l’atteggiamento del cugino Edward, giovane scavezzacollo
che inizia a tormentarla
con un
rozzo
corteggiamento
e un’imbarazzante proposta di matrimonio. Quando
la ragazza espone allo zio il suo disappunto per le attenzioni
moleste del cugino, si rende conto che la sua
gentilezza
è
solo una finzione e che il suo obbiettivo è quello di entrare in
possesso dell’eredità della nipote, con qualunque mezzo. La
ragazza finalmente realizza di essere caduta in una trappola mortale
e che dovrà lottare per la sua salvezza contando solo su di sé,
salvezza
che otterrà a caro prezzo e che le costerà il rimpianto e i rimorsi
di una vita.
La
storia si sviluppa come un lungo flashback in forma epistolare,
scelta narrativa che
permette
all’autore di scavare nella psicologia della protagonista con un
linguaggio immediato ed enfatico, dove l’irrazionale e l’inconscio
hanno
il sopravvento sulla razionalità. L’orrore dei racconti di Le
Fanou, infatti, non scaturisce da plateali
effetti speciali, come
nei primi racconti gotici, ma dalle reazioni emotive dei protagonisti
alla
realtà esterna, vista
attraverso il filtro
delle loro angosce e paure. Il
suo interesse per il soprannaturale, tuttavia,
non esclude una
profonda
attenzione
alla
storia del suo paese, come testimonia
la nostalgia e la tristezza per l’aristocrazia cattolica
espropriata d’Irlanda, i cui castelli in rovina sono il
segno della presente decadenza.
Curiosità:
📎Questo
racconto porrà le basi da cui Le Fanu trarrà ispirazione per il
famoso romanzo gotico
Uncle
Silas (1851).
📎Il
testo fa anche
parte di quel sottogenere poliziesco conosciuto come “enigma
della camera chiusa”,
in cui l'indagine si svolge intorno a un delitto compiuto in
circostanze apparentemente impossibili - come quello scoperto in una
camera chiusa dall'interno - e si
può considerare
un primissimo esempio di questa particolare forma narrativa, usata
qualche anno dopo da Edgar Allan Poe ne I
delitti della Rue Morgue
(1841).
Un
episodio della vita privata di una
contessa irlandese
Quinto
estratto dal lascito del defunto reverendo Francis Purcell, di
Drumcoolagh.
Di
Joseph
Sheridan Le Fanu
Il
seguente documento è scritto con una grafia femminile e fu senza
dubbio inviato al mio mai troppo compianto amico dalla dama la cui
storia di gioventù esso serve ad illustrare, la contessa D… Ella
non è più. E’ morta da lungo tempo, vedova e senza figli e, come
tristemente predice la sua lettera, non le è sopravvissuto nessuno
a cui a cui questo racconto possa risultare ‘ingiurioso o perfino
doloroso.’ Strano! Due famiglie ricche e potenti, quella in cui era
nata e quella in cui si era sposata, hanno cessato di esistere… si
sono definitivamente estinte.
A
coloro i quali sanno ogni cosa della storia delle famiglie irlandesi,
quelle che esistevano meno di un secolo fa, i fatti che seguiranno
suggeriranno subito I NOMI dei principali protagonisti, per gli altri
la loro pubblicazione sarebbe inutile… per noi, forse, se non quasi
certamente, dannosa. Pertanto, ho alterato quei nomi che potrebbero,
se rivelati, metterci in una difficile posizione, gli altri, che
appartengono a personaggi minori di questa strana storia, li ho
lasciati inalterati.
Mio
caro amico,
mi
avete chiesto di fornirvi informazioni dettagliate circa gli strani
eventi che segnarono la mia giovinezza ed io, senza alcuna
esitazione, ho intrapreso questo compito, sapendo che, mentre sono in
vita, una delicata considerazione per i miei sentimenti vi impedirà
di dare pubblicità alle mie dichiarazioni, e consapevole che, quando
non ci sarò più, non sopravviverà nessuno a cui questo racconto
possa risultare ingiurioso o perfino doloroso.
Mia
madre morì quando ero molto piccola e di lei non ho alcun ricordo,
nemmeno il più labile. Alla sua morte, la mia educazione e i miei
costumi furono lasciati unicamente alla guida del mio genitore
vivente e, per quanto una rigida attenzione alla mia istruzione
religiosa e una solerte ansia evidenziata dall’avermi procurato i
migliori insegnanti per perfezionarmi in quegli adempimenti che il
mio rango e la mia ricchezza sembravano richiedere, fossero utili,
egli si liberò completamento da questo incombenza.
Mio
padre era ciò che viene considerato un eccentrico, e il modo in cui
si comportava con me, sebbene sempre cortese, derivava meno
dall’affetto e dalla tenerezza piuttosto che da un senso di
obbligo e di dovere. Infatti, raramente parlavo con lui, se non
durante i pasti, e anche allora le sue maniere erano silenziose e
brusche. Le sue ore di svago, che erano molte, le trascorreva nel suo
studio o in passeggiate solitarie; in breve, sembrava che egli non
avesse altro interesse per la mia felicità o la mia educazione se
non una coscienziosa attenzione a liberarsi da ogni obbligo che il
suo dovere sembrava reclamare.
Poco
prima della mia nascita si era verificata una circostanza che aveva
contribuito molto a formare e a rafforzare il carattere solitario di
mio padre… e cioè il fatto che un sospetto di OMICIDIO era caduto
sul fratello minore, sebbene non sufficientemente definito da
condurre ad un’imputazione, tuttavia abbastanza forte da
comprometterlo di fronte alla pubblica opinione.
Questo
dubbio disonorevole e tremendo gettato sul buon nome della famiglia,
mio padre lo patì profondamente e amaramente e tuttavia non gli
impedì di essere assolutamente convinto dell’innocenza di suo
fratello. Poco dopo, egli provò la sincerità e la solidità di
questo convincimento in un modo che provocò i cupi eventi qui di
seguito. Prima, tuttavia, che io mi accinga a parlarne, dovrei
descrivere le circostanze che avevano suscitato questo sospetto, sia
perché esse sono di per sé abbastanza strane, sia per i loro
effetti, intimamente connessi con la mia storia personale successiva.
Mio
zio, sir Arthur T...n, era un uomo gaudente e prodigo e, tra gli
altri vizi, era rovinosamente dipendente dal gioco. Questa
sfortunata propensione continuò a trascinarlo, quasi fino
all’esclusione di ogni altra occupazione, anche dopo che la sua
fortuna ne aveva sofferto così pesantemente da rendere una
inevitabile riduzione delle sue spese per niente impensabile. Egli
era, comunque, un uomo orgoglioso e pieno di sé, e non poteva
tollerare che l’assottigliarsi dei suoi introiti diventasse materia
di soddisfazione e trionfo per coloro con cui si era confrontato fino
a quel momento, e la conseguenza fu che non frequentò più quei
costosi luoghi di dissipazione e si ritirò da quel mondo di
gaudenti, lasciando ai suoi sodali il compito di scoprire le sue
ragioni come meglio potevano.
Egli,
tuttavia, non abbandonò il suo vizio preferito, perché, sebbene non
potesse più adorare la sua divinità nei costosi templi dove
precedentemente aveva scelto di intrattenersi, tuttavia scoprì che
era assolutamente possibile portare intorno a sé un numero di devoti
della dea fortuna sufficiente a soddisfare i suoi scopi. La
conseguenza fu che Carrickleigh, che era il nome della residenza di
mio zio, non fu mai senza uno o più dei visitatori che vi ho
descritto.
Accadde
che in una occasione fosse visitato da un certo Hugh Tisdall, un
gentiluomo dai costumi licenziosi, ma di considerevole ricchezza e
che, durante la prima giovinezza, aveva viaggiato con mio zio sul
Continente. Il periodo della sua visita fu d’inverno e, di
conseguenza, la casa era quasi deserta, ad eccezione dei suoi soliti
abitanti, cosa altamente gradita, dal momento che mio zio era ben
consapevole che i gusti del suo visitatore si accordavano esattamente
con i suoi.
Entrambe
le parti sembrarono determinate ad avvalersi di questa opportunità
durante il breve soggiorno che Mr. Tisdall aveva programmato, la
conseguenza fu che rimasero chiusi nella stanza privata di sir Arthur
per quasi tutto il giorno e gran parte della notte, per circa una
settimana, alla fine della quale la servitù un mattino, avendo
bussato, come al solito, ripetutamente alla porta della camera da
letto di Mr. Tisdall, non ricevette risposta e, dopo aver cercato di
entrare, scoprì che era chiusa a chiave.
La
cosa apparve sospetta e gli abitanti della casa, essendosi allarmati,
aprirono la porta con la forza e, avvicinandosi al letto, trovarono
il corpo del suo occupante ormai senza vita e che per metà sporgeva
fuori dal letto, con la testa verso il basso, vicino al pavimento.
Una profonda ferita era stata inflitta alla tempia, apparentemente
con uno strumento smussato che aveva penetrato il cervello, mentre un
altro colpo, meno efficace, probabilmente il primo inferto, aveva
scorticato la testa, rimuovendo parte dello scalpo, ma lasciando il
cranio integro. La porta era stata chiusa a doppia mandata
dall’INTERNO, a prova di ciò la chiave era ancora infilata nella
serratura.
La
finestra, sebbene non sbarrata dall’interno, era chiusa – una
circostanza non poco sconcertante, dal momento che questa offriva
l’unica via d’uscita dalla stanza, che si affacciava, inoltre, su
di una specie di cortile, intorno al quale erano allineati quei
vecchi edifici, in passato accessibili attraverso uno stretto
passaggio nella parte più vecchia del quadrilatero, ma che da allora
era stato murato, così da precludere ogni ingresso o uscita. La
camera, poi, era al secondo piano e la finestra ad un’altezza
considerevole.
Vicino
al letto furono trovati due rasoi che appartenevano alla vittima, uno
sul pavimento, ed entrambi aperti. Non si riuscì a trovare nella
stanza l’arma che aveva inflitto la ferita mortale, né si
scoprirono orme o altre tracce dell’assassino.
Su
suggerimento dello stesso Sir Arthur, fu immediatamente richiesta la
presenza di un coroner e fu aperta un’inchiesta. Comunque, non si
giunse ad alcuna conclusione: le pareti, il soffitto ed il pavimento
della stanza furono attentamente esaminati allo scopo di accertare se
contenessero una botola o altri ingressi segreti, ma non venne fuori
niente del genere.
L’indagine
fu condotta con tale minuzia che, sebbene la grata del camino avesse
contenuto un grande fuoco durante la notte, procedettero ad esaminare
perfino il comignolo, per verificare se fosse stato possibile fuggire
per quella via, ma anche questo tentativo fu infruttuoso, perché il
comignolo, costruito alla vecchia maniera, saliva su dal focolare in
linea perfettamente perpendicolare fino ad un’altezza di circa
quattro metri sopra il tetto, offrendo al suo interno scarse
possibilità di risalita, poiché la canna fumaria aveva un intonaco
liscio e si restringeva verso la cima, a forma di imbuto capovolto,
permettendo, inoltre, anche se fosse stata raggiunta la sommità,
soltanto una discesa precaria sul tetto erto e dagli spioventi
scoscesi. Inoltre, la cenere della grata e la fuliggine, per quello
che si poteva vedere, erano intatte, una circostanza che metteva
definitivamente fine alla questione.
Naturalmente,
sir Arthur fu interrogato. La sua testimonianza fu data con chiarezza
e senza reticenza, cosa che sembrò calcolata per mettere a tacere
ogni sospetto. Egli asserì che, fino al giorno e alla notte
immediatamente precedenti la catastrofe, aveva perso una grossa somma
ma che, durante la loro ultima seduta, non aveva soltanto recuperato
la perdita originale, ma in più aveva vinto oltre quattrocento
sterline e come prova esibì un riconoscimento di debito per quella
somma scritta per mano del defunto e che portava la data di quella
notte fatale. Aveva riferito questa circostanza alla sua consorte e
in presenza di alcuni domestici, dichiarazione che fu avvalorata
dalle LORO rispettive testimonianze.
Uno
dei giurati osservò acutamente che la circostanza della grossa
perdita subita da Mr. Tisdall poteva aver suggerito a persone male
intenzionate, che per caso ne erano venute a conoscenza, il piano di
derubarlo, dopo averlo assassinato in modo tale che potesse sembrare
un suicidio; una supposizione che fu fortemente supportata dai rasoi
trovati in giro in quel modo e rimossi dal loro astuccio.
Probabilmente,
due persone avevano partecipato all’attentato, una di guardia
vicino al dormiente e pronta a colpirlo nel caso di un suo improvviso
risveglio, mentre l’altra si procurava i rasoi e li usava per
infliggere lo squarcio fatale, così da sembrare che il gesto fosse
stato compiuto dalla stessa vittima. Si disse che, mentre il giurato
stesse facendo questa supposizione, sir Arthar cambiasse colore.
Tuttavia,
nessuna prova legale apparve contro di lui e la conseguenza fu che il
verdetto venne emesso contro persona o persone sconosciute, e per
qualche tempo la cosa passò sotto silenzio finché, circa cinque
mesi dopo, mio padre ricevette una lettera da una persona che si
firmava Andrew Collis, e che dichiarò di essere il cugino del
deceduto.
Questa
lettera affermava che era probabile che sir Arthur oltre al sospetto,
stesse per incorrere in un rischio personale, a meno che non desse
conto di certe circostanze connesse con il recente omicidio, e
conteneva una copia di una lettera scritta dal defunto e che portava
la data, il giorno della settimana e il mese della notte in cui il
fatto di sangue era stato perpetrato. Il biglietto di Tindall
procedeva come segue:
'Ho
avuto il mio daffare con sir Arthur, ha tentato alcuni dei suoi
vecchi trucchi ammuffiti, ma ha scoperto subito che anche io
sono dello Yorkshire: ci voleva ben altro… tu mi capisci. Ci siamo
messi all’opera da bravi, cuore, testa e anima e, infatti, da
quando sono qui non ho perso tempo. Sono piuttosto esausto, ma sono
sicuro che sarò ben ripagato per il mio disaggio: non ho bisogno di
dormire finché posso sentire la musica di un bussolotto per i dadi e
avere di che pagare il suonatore. Come ti ho detto, ha tentato
qualcuno dei suoi strani tiri, ma l’ho subito bloccato e, in
cambio, gli ho insegnato più di quello che poteva gradire
dell’autentica ANTICA ARTE.
‘Per
farla breve, ho spennato il vecchio baronetto come nessun baronetto
era stato mai spennato prima, gli ho lasciato a malapena un mozzicone
di penna. Sono in possesso di note di pagamento di suo pugno per
l’ammontare di… se ti piacciono le cifre tonde, diciamo
trentamila sterline, depositate al sicuro nella mia cassaforte
portatile, cioè il mio portafoglio a doppia chiusura.
'Lascerò
questa decrepita vecchia topaia domattina sul presto, per due motivi:
primo, non voglio giocare con sir Arthur oltre quello che credo la
sua obbligazione, e cioè il suo denaro o il corrispettivo del suo
denaro, possa garantire. In secondo luogo, perché sarò più al
sicuro a cento miglia lontano da sir Arthur che in casa con lui.
Bada, mio caro, lo dico fra di noi, posso sbagliarmi, ma per Giove,
giuro sulla mia vita, che sir A. ha tentato di avvelenarmi l’altra
notte, alla faccia dell’antica reciproca amicizia.
'Quando
vinsi l’ultima posta in gioco, una abbastanza cospicua, il mio
amico appoggiò la fronte sulle mani, e tu riderai quando ti dirò
che la sua testa stava letteralmente fumando come uno gnocco
bollente. Non so se la sua agitazione fosse causata dal piano ordito
contro di me, o dal fatto che aveva perso così pesantemente, sebbene
si deve riconoscere che aveva motivo per essere un poco accaldato,
qualunque fosse la direzione dei suoi pensieri, ma suonò il
campanello e ordinò due bottiglie di champagne.
'Mentre
il cameriere stava andando a prenderle, stilò una promessa di
pagamento per l’intero ammontare, la firmò e, quando l’uomo
entrò con le bottiglie e i bicchieri, lo mandò via. Riempì un
bicchiere per me e, pensando che stessi guardando altrove, perché
stavo mettendo a posto il suo assegno, vi fece abilmente cadere
dentro qualcosa, senza dubbio per addolcirlo, ma vidi tutto e quando
me lo passò, dissi, con un’enfasi che egli poteva capire o non
capire: “C’è del sedimento in questo, non lo berrò”
“Davvero?” disse e allo stesso tempo me lo tolse dalla mano
e lo gettò nel fuoco. Che ne pensate? Non è un pollastro quello
con cui ho a che fare? Sia che vinco o che perdo, non scommetterò
oltre le cinquecento sterline questa sera e l’indomani mi vedrà al
sicuro dallo champagne di sir Arthur. Così, tutto considerato, penso
che dovete ammettere che non siete l’ultimo ad aver scoperto che
ragazzo scaltro sia il sempre vostro,
'HUGH
TISDALL.'
Non
ho mai sentito mio padre dubitare dell’autenticità di questo
documento, e sono certa che, senza la sua forte convinzione a favore
di suo fratello, egli non l’avrebbe mai accettato senza ulteriori
indagini, poiché tendeva confermare i sospetti che già esistevano
a suo carico.
Ora,
l’unico punto in questa lettera che era fortemente contro mio zio,
era il riferimento al ‘portafoglio a doppia chiusura’ come
nascondiglio dei documenti che potevano coinvolgerlo, perché questo
portafoglio non era disponibile, né fu trovato da nessuna parte, né
fu trovato sul morto alcun documento che menzionasse le sue
transazioni di gioco.
Comunque,
qualunque possa essere stata l’intenzione originale di questo
Collins, né mio zio né mio padre ne sentirono più parlare, ma lui
pubblicò la lettera nel giornale di Faulkner, che poco dopo divenne
il veicolo di un attacco ancora più misterioso. L’articolo in quel
periodico a cui alludo, fu pubblicato circa cinque anni dopo, mentre
il fatale avvenimento era ancora fresco nella memoria del pubblico.
Iniziava
con una prefazione sconclusionata, che affermava che ‘una CERTA
PERSONA che CERTE persone consideravano morta, non lo era, bensì
viveva ed era in pieno possesso dei suoi ricordi e, inoltre, era
desiderosa e capace di far tremare GRANDI delinquenti.’ Proseguiva
con la descrizione dell’omicidio, senza tuttavia fare nomi, e poi
entrava in dettagli minuziosi e circostanziati di cui nessuno, se non
un TESTIMONE OCULARE, poteva essere a conoscenza, e con implicazioni
assolutamente inequivocabili per poter essere considerate semplici
insinuazioni, che coinvolgevano il ‘GIOCATORE TITOLATO’ nella
colpevolezza di quegli atti.
Mio
padre sollecitò immediatamente sir Arthur a procedere contro il
giornale per calunnia a mezzo stampa, ma lui non volle saperne, né
permise a mio padre di intraprendere alcuna azione legale al
riguardo. Mio padre, comunque, scrisse a Faulkner con tono
minaccioso, intimandogli di rivelargli l’autore di quell’odioso
articolo. La risposta a questa richiesta è ancora in mio possesso,
ed è scritta in un tono di scusa: si dichiara che il manoscritto era
stato consegnato, pagato e pubblicato come inserto pubblicitario,
senza ulteriori accertamenti e senza sapere a chi si riferisse.
Nessuna
azione, comunque, fu intrapresa per chiarire il ruolo di mio zio di
fronte alla pubblica opinione, e poiché vendette immediatamente una
piccola proprietà - la destinazione del ricavato era sconosciuta a
tutti - si disse che l’aveva venduta per essere in grado di
comprare la minacciata rivelazione. Qualunque fosse la verità, è
certo che in seguito non ci furono più pubbliche accuse contro mio
zio riguardo al misterioso omicidio e, per quel che concerneva
eventuali minacce esterne, da quel momento in poi godette di perfetta
sicurezza e tranquillità.
Tuttavia,
si era prodotta un’impressione profonda e durevole sulla pubblica
opinione e sir Arthur T----n non fu più visitato o tenuto in
considerazione dagli sqiurei
e dall’aristocrazia del paese, le cui attenzioni e cortesie aveva
ricevuto fino a quel momento. Di conseguenza, fece mostra di
disprezzare quei divertimenti che non poteva più procurarsi, ed
evitò anche quella compagnia che avrebbe ancora potuto attirare.
Questo
è tutto quello che è necessario ricapitolare della storia di mio
zio, adesso ritorno alla mia. Sebbene mio padre, per quel che
ricordo, non avesse mai visitato, o sia stato mai visitato da mio
zio, essendo entrambi di abitudini sedentarie, procrastinanti e
riservate, ed essendo le loro rispettive residenze molto distanti –
una situata nella contea di Galwayii,
l’altra in quella di Corckiii
– egli era fortemente legato a suo fratello e dimostrava il suo
affetto con una fitta corrispondenza e con un profondo e orgoglioso
sdegno per l’abbandono che aveva marchiato sir Arthur come inadatto
a frequentare la buona società.
Quando
avevo quasi diciotto anni, mio padre, la cui salute era lentamente
declinata, morì, lasciandomi col cuore spezzato e infelice e, a
causa del suo precedente isolamento, con poche conoscenze e quasi
nessun amico.
Le
disposizioni del suo testamento erano singolari e quando fui
sufficientemente ritornata in me per ascoltarle o comprenderle, mi
sorpresero non poco: tutta la sua vasta proprietà andava a me e alla
mia prole, per sempre. In mancanza di tali eredi, dopo la mia morte
sarebbe dovuta andare a mio zio, sir Arthur, senza alcuna condizione.
Allo stesso tempo, il testamento lo nominava mio tutore, con
l’augurio che potessi essere ospitata a casa sua e risiedere con la
sua famiglia e sotto la sua cura, per la durata della mia minore età.
In considerazione dell’aumento delle spese conseguenti a questa
sistemazione, gli veniva assegnata una generosa rendita annuale per
tutto il periodo del mio eventuale soggiorno.
Capii
immediatamente lo scopo di quest’ultimo provvedimento: facendo sì
che il preciso e apparente interesse di sir Arthur fosse che io
morissi senza prole, e mettendomi allo stesso tempo alla sua completa
mercé, mio padre desiderava mostrare al mondo intero quanto grande e
salda fosse la sua fiducia nell’innocenza e nell’onore di suo
fratello, offrendogli, allo stesso tempo, un’opportunità per
dimostrare che questa fiducia non veniva concessa immeritatamente.
Era
una disposizione strana e forse futile, ma dal momento che ero sempre
stata cresciuta nella convinzione che mio zio fosse un uomo
profondamente ferito, e mi era stato insegnato, quasi come una
religione, di considerarlo come l’essenza stessa dell’onore, non
provai altro disagio rispetto a queste disposizioni se non quello che
poteva provare una ragazza timida, di costumi solitari, riguardo
all’immediata prospettiva di stabilire la propria dimora fra
assoluti sconosciuti, per la prima volta nella sua vita.
Prima
di lasciare la mia casa, cosa che sapevo avrei fatto con cuore
pesante, ricevetti la più tenera e affezionata lettera da mio zio,
pensata, se mai fosse stato possibile, con lo scopo di rimuovere
l’amarezza della separazione da luoghi familiari e cari fin dalla
mia prima infanzia, e per riconciliarmi in parte con questa
disposizione.
Fu
durante un luminoso autunno che raggiunsi la vecchia tenuta di
Carrickleigh. Non dimenticherò presto l’impressione di tristezza e
desolazione che fece su di me tutto quello che vidi. I raggi del sole
cadevano con una sfumatura ricca e malinconica sopra i vecchi ed
imponenti alberi, che si ergevano in gruppi maestosi, lanciando le
loro lunghe e ondeggianti ombre sulla pietra e sull’erba. C’era
un’aria di abbandono e decadenza tutto intorno, che arrivava quasi
alla desolazione e i suoi sintomi aumentavano di numero man mano che
ci avvicinavamo all’edificio stesso, intorno al quale il terreno in
origine era stato coltivato con più accorgimento e cura che altrove
e il cui abbandono, di conseguenza, si manifestava in modo più
evidente e sorprendente.
Mentre
proseguivamo, la strada svoltò vicino a quelle che erano state in
origine due pescaie, che ora non erano niente più che paludi
stagnanti, ricoperte da erbacce marce e qui e là invase da un
sottobosco inselvatichito. Lo stesso viale era in pessime condizioni,
e in diversi punti le pietre erano quasi nascoste dall’erba e
dall’ortica. I muretti in pietra, che qui e là intersecavano
l’ampio parco, erano crollati in molti parti così che non
servivano più al loro originale scopo come recinzioni.
Ogni
tanto si vedevano dei pilastri, ma i cancelli erano andati, e ad
accrescere la generale impressione di fatiscenza, alcuni grandi
tronchi giacevano sparsi tra i venerabili alberi antichi, o per
l’azione delle tempeste invernali, o forse vittime di qualche vasto
ma saltuario piano di disboscamento, che il progettista non aveva il
capitale o la perseveranza di portare a compimento.
Dopo
che la carrozza ebbe percorso un miglio di questo viale, raggiungemmo
la sommità di un’altura impervia, una delle tante che aumentavano
il carattere pittorescoiv,
se non la comodità, di questo accidentato sentiero. Dalla cima di
questo crinale si potevano vedere le grigie mura di Carrickleigh,
che si ergevano a poca distanza di fronte a noi, oscurate dall’antico
bosco che le circondava.
Era
un edificio quadrangolare di considerevole estensione e la facciata,
che era rivolta verso di noi e in cui era situato l’ingresso
principale, portava inequivocabili segni di vetustà. L’aspetto
solenne e decadente del vecchio edificio, l’aria di abbandono e
rovina di tutto il posto e le associazioni che lo collegavano ad una
pagina oscura nella storia della mia famiglia, si combinavano per
deprimere uno spirito già predisposto a recepire impressioni cupe e
desolanti. Quando la carrozza si fermò nel cortile ricoperto di erba
davanti alla porta d’ingresso, due uomini dall’aspetto indolente,
la cui apparenza ben si accordava con quella del posto che abitavano,
allarmati dall’assordante abbaiare di un grosso cane alla catena,
corsero fuori da una dependance semi diroccata e si presero cura dei
cavalli. La porta d’ingresso era aperta e io entrai in un ambiente
cupo e scarsamente illuminato, dove non trovai nessuno.
Tuttavia,
non dovetti aspettare a lungo in questa imbarazzante situazione,
perché prima che il mio bagaglio fosse stato portato in casa,
ovvero, prima che mi fossi liberata di mantello e scialli, così da
potermi guardare intorno, un giovinetta corse con passi leggeri
nell’ingresso, e baciandomi calorosamente e con una certa energia,
esclamò:
“Mia
cara cugina, mia cara Margaret… sono così felice, così
emozionata. Non la aspettavamo prima delle dieci, mio padre è da
qualche parte nei dintorni, non deve essere lontano. James… Corney
correte a dirlo al vostro padrone… mio fratello è raramente a
casa, perlomeno ad un’ora ragionevole… deve essere così stanca,
così affaticata… lasci che le mostri la sua stanza… assicuratevi
che il bagaglio di lady Margaret sia portato tutto sopra… dovreste
stendervi e riposare… Deborah, porta del caffè… andiamo su.
Siamo così felici di vederla… non immagina quanto sia stata sola…
come sono erte queste scale! Sono così contenta che lei sia venuta…
non riuscivo a credere che sarebbe venuta per davvero... è gentile
da parte sua, lady Margaret!”
Nel
benvenuto di mia cugina c’erano sincera benevolenza e felicità e
una specie di innata confidenza che mi misero subito a mio agio e mi
fecero sentire immediatamente in termini di intimità con lei. La
stanza in cui mi condusse, sebbene partecipasse alla generale
atmosfera di decadenza che pervadeva la dimora e tutto il
circondario, non di meno era stata arredata con evidente attenzione
alla comodità e perfino con qualche misero tentativo di lusso.
Ma
quello che mi fece più piacere fu che si apriva, tramite una seconda
porta, su un passaggio che comunicava con l’appartamento della mia
cara cugina, una circostanza che, ai miei occhi, tolse alla camera
quell’aria di solitudine e tristezza che altrimenti l’avrebbero
caratterizzata ad un livello quasi doloroso per una di umore
malinconico quale ero io.
Dopo
che furono completate le operazioni che ritenevo necessarie,
scendemmo tutte e due nel salotto: un’ampia camera pannellata, con
vecchi e truci ritratti appesi tutto intorno e che ospitava
nell’ampio focolare un allegro fuocherello, cosa che non mi
dispiacque. Qui mia cugina ebbe la possibilità di parlare più a suo
agio, e da lei appresi qualcosa sulle maniere e le abitudini degli
altri due membri della famiglia, che non avevo ancora visto.
Quando
arrivai, non sapevo niente della famiglia con cui ero venuta a
vivere, eccetto che si componeva di tre persone: mio zio, suo figlio
e sua figlia, essendo lady T----n morta da lungo tempo. In aggiunta
alla mia misera scorta di informazioni, in breve appurai dalla mia
ciarliera compagna che, come avevo sospettato, mio zio era di
abitudini molto appartate e che, oltre a questo, essendo sempre
stato, per quel che lei poteva ricordare, piuttosto severo,
ultimamente era diventato di una religiosità sempre più cupa e
rigida, come spesso succede ai libertini pentiti.
La
descrizione di suo fratello fu meno favorevole, anche se non disse
niente direttamente a suo svantaggio. In base a tutto quello che
potei sapere da lei, fui portata a supporre che fosse un esemplare
dell’oziosa, volgare, dissoluta, rozza 'squirearchy'v-
un risultato che poteva naturalmente derivare dalla circostanza di
essere, per così dire, bandito dalla buona società, e spinto a
cercare compagnia a livelli più bassi del suo – godendo, inoltre,
della pericolosa prerogativa di spendere molto denaro.
Tuttavia,
lei può facilmente intuire che non trovai niente nel resoconto di
mia cugina che potesse pienamente confermarmi un giudizio così
netto. Aspettai l’arrivo di mio
zio, che era atteso da un momento all’altro, con un sentimento
misto di timore e di curiosità – una sensazione che da allora ho
spesso sperimentato, anche se in maniera meno intensa, quando sono
sul punto di trovarmi per la prima volta in presenza di persone di
cui ho sentito parlare o a cui ho pensato con interesse per lungo
tempo.
Pertanto,
fu con un certo turbamento che sentii prima un leggero trambusto alla
porta d’ingresso, poi un passo lento attraversare l’ingresso e,
finalmente, vidi aprirsi la porta e mio zio entrare nella stanza. Era
un uomo dall’aspetto sorprendente, a causa della peculiarità sia
della sua persona che del suo abbigliamento, l’effetto totale della
sua apparenza ammontava ad un’estrema singolarità.
Il
suo abito era di colore sobrio, ma di una foggia anteriore a
qualunque cosa potessi ricordare. Era, comunque, elegante, e niente
affatto indossato con noncuranza, ma quello che completava la
singolarità del suo aspetto erano i suoi capelli, non tagliati e
bianchi, che scendevano fin sulle spalle in riccioli lunghi ma per
niente incolti, e che si combinavano con i suoi lineamenti di una
regolarità classica e i suoi begli occhi scuri a donargli un’aria
di venerabile dignità e orgoglio, di cui non ho mai più visto
l’eguale.
Quando
entrò, mi alzai e gli andai incontro nel mezzo della stanza. Mi
baciò le guance e le mani dicendo: “Sei la benvenuta, cara
ragazza, tanto benvenuta quanto può farti sentire l’avere ai tuoi
ordini questo povero luogo e tutto ciò che contiene. Sono
estremamente lieto di vederti… sinceramente lieto. Spero che tu non
sia troppo stanca… ti prego di tornare a sederti.”
Mi
condusse alla mia sedia e continuò: “Sono lieto di apprendere che
hai già fatto la conoscenza di Emily: vedo nel il vostro crescere
insieme il fondamento di una durevole amicizia. Siete entrambe
innocenti, entrambe giovani. Dio vi benedica… Dio vi benedica e
faccia di voi tutto ciò che potrei desiderare.”
Alzò
gli occhi e rimase silenzioso per qualche momento, come in segreta
preghiera. Pensai che fosse impossibile che quest’uomo, con
sentimenti così vividi, così calorosi, così teneri, potesse essere
il malvagio descritto dalla pubblica opinione. Ero più che mai
convinta della sua innocenza.
I
suoi modi erano, o mi apparivano, estremamente affascinanti: c’era
un misto di dolcezza e cortesia che sembrava l’espressione stessa
della benevolenza. Era un modo di fare che, ne ero convinta, il
freddo artificio non avrebbe mai potuto suggerire, esso doveva tutto
il suo fascino al fatto di sembrare la diretta emanazione del suo
cuore, doveva essere un genuino indicatore della mente del suo
proprietario. Così pensai.
Mio
zio, dopo avermi fatto capire chiaramente che ero la benvenuta e che
potevo disporre di tutto ciò che era suo, mi sollecitò a
rifocillarmi e al mio rifiuto, mi fece presente che prima di
augurarmi la buona notte, aveva ancora un altro dovere da compiere,
uno alla cui osservanza era sicuro che avrei acconsentito volentieri.
Quindi,
procedette a leggere un capitolo della Bibbia, dopo di che si
accomiatò con la stessa affettuosa gentilezza con cui mi aveva
salutato, avendo reiterato il suo desiderio che considerassi ogni
cosa in casa sua completamente a mia disposizione. Non è necessario
dire che ero estremamente compiaciuta di mio zio – era impossibile
non esserlo, e non potei fare a meno di dire a me stessa, se un tale
uomo non è al sicuro dagli assalti dei calunniatori, chi lo è? Mi
sentivo molto più felice di quanto non lo fossi stata dopo la morte
di mio padre, e quella notte godetti del primo sonno ristoratore che
mi avesse visitato da allora.
La
mia curiosità rispetto a mio cugino non rimase a lungo
insoddisfatta: si fece vivo il giorno successivo a pranzo. I suoi
modi, anche se non così rozzi come mi ero aspettata, erano
incredibilmente sgradevoli, c’erano un’impudenza e una
sfrontatezza a cui non ero preparata, c’era meno volgarità di modi
e molta più di quella mentale di quanto avessi previsto. Mi sentii a
disagio in sua presenza: nel suo sguardo e nei suoi toni c’era
quella sicurezza che anche l’assoluta tolleranza avrebbe
interpretato come sfrontatezza, e mi sentii disgustata e seccata a
quei complimenti rozzi ed eccessivi che si compiaceva di farmi ogni
tanto, forse più di quanto la reale entità di quell’atrocità
avrebbe potuto giustificare.
Comunque,
era una consolazione il fatto che non si facesse vedere spesso,
essendo molto preso da attività di cui non sapevo niente né mi
interessava niente. Ma quando appariva, le sue attenzioni, o con lo
scopo di divertirsi o con qualche intenzione più seria, erano così
ovviamente e costantemente dirette a me che, per quanto fossi giovane
e inesperta, nemmeno io potevo ignorare questa sua predilezione. Mi
sentivo infastidita da questa odiosa persecuzione più di quanto
potessi dire, e lo scoraggiavo con tanta forza che usai perfino la
scortesia per convincerlo che le sue costanti attenzioni non erano
gradite, ma tutto invano.
Questo
era andato avanti per circa un anno, con mia infinita irritazione,
quando un giorno, mentre ero seduta in salotto intenta a cucire in
compagnia di Emiliy, come era mia abitudine, la porta si aprì e mio
cugino Edward entrò. Pensai che ci fosse qualcosa di strano nel suo
modo di fare – una specie di lotta tra la vergogna e l’impudenza
– una sorta di agitazione e ambiguità che lo faceva apparire, se
possibile, più sgradevole del solito. ‘Servo vostro, signore,”
disse, sedendosi allo stesso tempo, “spiacente di disturbare il
vostro tête-à-tête, ma tant’è, prenderò il posto di Emily solo
per qualche minuto e poi ci separeremo per un po,’ cara cugina.
Emily, mio padre ti vuole nella torretta d’angolo. Non
cincischiare, ha fretta.” Lei esitò. “Fuori, vagabonda,
cammina!” esclamò, con un tono tale che la povera ragazza non osò
disobbedire.
Lasciò
la stanza ed Edward la seguì fino alla porta. Si fermò lì per
qualche minuto, come per riflettere su quello che avrebbe detto,
forse per assicurarsi che nell’ingresso non ci fosse nessuno in
ascolto. Alla fine, avendo chiuso la porta, come per caso, ritornò
sui suoi passi e, avanzando lentamente, come se fosse immerso nei
suoi pensieri, prese posto sul lato del tavolo accanto al mio.
|
Fragonard-don_giovanni-zerlina-donna-elvira |
Ci
fu un breve intervallo silenzioso, dopo di che disse:
“Immagino
che vi siate già fatta un’idea dello scopo di questa mia visita
così di buon’ora, ma suppongo di dovermi inoltrare in particolari.
Posso?”
“Non
ho nessuna idea,” replicai, “di quale possa essere il vostro
scopo.”
“Bene,
bene,” disse, sentendosi più a suo agio mentre continuava, “si
può dire in poche parole. Sapete che è totalmente impossibile
assolutamente fuori questione – che un giovanotto disinvolto come
me e una belle ragazza come voi, possano incontrarsi continuamente,
senza un attaccamento… una simpatia crescente da una parte o
dall’altra, in breve, credo di avervi fatto capire chiaramente,
come se lo avessi dichiarato, che sono innamorato di voi dal primo
momento che vi ho vista.”
Fece
una pausa, ma ero troppo spaventata per parlare. Lui interpretò il
mio silenzio favorevolmente.
“Posso
dirvi,” continuò, “Che sono considerato uno piuttosto difficile
da soddisfare, e molto difficile da impressionare. Non so dire quando
sono stato preso di una ragazza prima, così vedete che la sorte mi
ha preservato...”
Quindi,
l’odioso miserabile mi cinse la vita con un braccio. Questo gesto
mi fece ritornare di colpo la voce e con la più indignata veemenza
mi liberai dalla sua presa e allo stesso tempo dissi:
“Non
sono rimasta insensibile, signore, alla vostre disgustose attenzioni…
sono state a lungo un motivo di disappunto per me e dovete esservi
accorto che ho segnalato la mia disapprovazione – il mio disgusto –
nel modo più inequivocabile possibile, senza una vera e propria
scortesia.”
Mi
fermai, quasi senza fiato per la rapidità con cui avevo parlato e,
senza dargli il tempo di riprendere la conversazione, uscii
velocemente dalla stanza, lasciandolo in un parossismo di rabbia e
mortificazione. Mentre salivo le scale, lo sentii aprire la stanza
del salotto con violenza e fare due o tre rapidi passi nella mia
direzione. Adesso ero terribilmente spaventata e feci la strada di
corsa finché raggiunsi la mia camera e, dopo aver chiuso a chiave la
porta, mi misi in ascolto tutta affannata, ma non sentii alcun
rumore.
Per
il momento, questo mi diede sollievo, ma ero stata talmente
sopraffatta dall’agitazione e dall’esasperazione causati dalla
scena che avevo appena vissuto, che quando mia cugina Emily bussò
alla mia porta, stavo piangendo in piena crisi di nervi.
Capirete
subito la mia angoscia quando prenderete in considerazione la mia
forte antipatia per mio cugino Edward, combinata con la mia
giovinezza e la mia estrema inesperienza. Qualunque proposta di quel
genere mi avrebbe agitata, ma che fosse venuta dall’uomo che più
di tutti odiavo e aborrivo e a cui avevo espresso i miei sentimenti
in maniera esplicita, nei limiti della buona educazione, era troppo
duro da sopportare. Inoltre, era una calamità in cui non potevo
aspettarmi il sostegno di mia cugina Emily, che non mi era mai venuto
meno in situazioni meno gravi. Eppure, speravo che ne potesse ancora
scaturire qualcosa di buono, perché pensavo che da questo doloroso
chiarimento sarebbe derivata, come conseguenza inevitabile e
desiderabile, la fine dell’odiosa persecuzione di mio cugino.
Quando
mi svegliai il mattino successivo, fu con la fervida speranza che
probabilmente non avrei più visto la faccia, o perfino sentito il
nome, di mio cugino Edward. Ma questa conclusione, sebbene
ardentemente desiderata, era difficile che si realizzasse. Le
dolorose emozioni del giorno precedente erano troppo vivide per
sparire all’improvviso, e non potei fare a meno di provare una
lieve inquietudine per future insolenze e cattiverie. Aspettarmi da
parte di mio cugino qualcosa come la delicatezza o la considerazione
per me, era fuori questione. Capivo che aveva riposto le sue speranze
sui miei beni e che non avrebbe abbandonato così facilmente una tale
acquisizione – poiché possedeva quelle che potevano essere
considerate le opportunità e i mezzi per costringermi
all’obbedienza.
Ora
realizzavo dolorosamente l’avventatezza della condotta di mio
padre nel mettermi a risiedere con una famiglia i cui membri, ad
eccezione di uno, gli erano del tutto sconosciuti e avvertivo con
amarezza l’impotenza della mia situazione. Decisi, tuttavia, nel
caso che mio cugino perseverasse con i suoi discorsi, di esporre
tutti i particolari a mio zio, sebbene, in quanto a gentilezza e
intimità, non avesse fatto un passo oltre la nostra prima
conversazione, e di appellarmi alla sua ospitalità e al suo senso
d’onore affinché mi proteggesse contro il ripetersi di simili
scene.
La
condotta di mio cugino potrebbe sembrare un motivo insufficiente per
un disaggio così profondo, ma il mio allarme non era causato né
dalle sue azioni né dalle sue parole, ma interamente dal suo
atteggiamento, che era strano e perfino intimidatorio all’eccesso.
All’inizio della conversazione del giorno prima, c’era una specie
di prepotente spavalderia nel suo comportamento, che verso la fine
lasciò il posto alla brutale veemenza di un manifesto furfante –
transizione che mi aveva portato a credere che, pur di impossessarsi
dei miei beni, potesse tentare di estorcermi il consenso ai suoi
voleri anche con la forza, o con mezzi ancora più orribili che a
malapena osavo spingermi a pensare.
Il
giorno dopo, di buon mattino, fui convocata da mia zio affinché lo
raggiungessi nella sua stanza, situata in una torretta d’angolo del
vecchio edificio, e perciò vi andai, chiedendomi per tutto il
tragitto a cosa potesse preludere quell’insolita richiesta. Quando
entrai nella stanza, non si alzò per salutarmi nel suo solito modo
cortese, ma semplicemente mi indicò una sedia di fronte alla sua.
Questo non preannunciava niente di buono. Comunque, mi sedetti in
silenzio aspettando che iniziasse a parlare.
“Lady
Margaret,” disse dopo un po’, con un tono di una severità
maggiore di quanto lo ritenessi capace, “Finora le ho parlato da
amico, ma non ho dimenticato che sono anche il suo tutore e che la
mia autorità in quanto tale mi dà il diritto di controllare la sua
condotta. Le porrò una domanda, e mi aspetto e pretendo una risposta
chiara e diretta. Sono stato correttamente informato che lei ha
sprezzantemente rifiutato il corteggiamento e la mano di mio figlio
Edward?”
Balbettai
una risposta con grande trepidazione:
“Credo…
cioè, signore, ho rifiutato le proposte di mio cugino, e la mia
freddezza e la mia riluttanza possono averlo convinto che lo avessi
offeso di proposito.”
“Signora,”
rispose, con una rabbia repressa ma, così mi sembrò, intensa. “Ho
vissuto abbastanza a lungo per sapere che FREDDEZZA e riluttanza, e
parole di questo tipo, appartengono al linguaggio ipocrita di una
miserabile civetta.”
“Lei
sa bene, come me, che FREDDEZZA e RILUTTANZA possono essere esibite
così da convincere il loro oggetto che egli non è né sgradito né
indifferente alla persona che le sfoggia. Lei sa anche molto bene che
un affetto ignorato, se abilmente gestito, è fra uno degli
espedienti più formidabili che una scaltra bellezza possa usare.
Voglio dire, signora, che lei, avendo autorizzato, senza una parola
per scoraggiarle, le fin troppo evidenti attenzioni di mio figlio per
più di un anno, non ha alcun diritto di respingerlo senza altra
spiegazione che dirgli con ritrosia di averlo sempre considerato con
freddezza, e né la sua ricchezza né la sua nobiltà (su questa
parola ci fu un’enfasi di disprezzo degna dello stesso sir Giles
Overreachvi)
possono consentirle di trattare con disprezzo l’affettuosa
considerazione di un cuore onesto.”
Ero
troppo colpita da questo evidente tentativo di estorcermi un consenso
secondo il loro interessato e spietato piano di personale
arricchimento - ora vedevo bene che mio zio e suo figlio lo avevano
deliberatamente intrapreso - per trovare immediatamente la forza e la
concentrazione per formulare una risposta a quello che aveva detto.
Alla fine replicai con una certa fermezza:
“In
tutto quello che ha detto, signore, lei ha grossolanamente travisato
la mia condotta e le mie motivazioni. Le sue informazioni riguardo
alla mia condotta nei confronti di mio cugino devono essere state
estremamente scorrette: il mio comportamento non poteva suggerire
altro che antipatia, e se qualcosa può essere aggiunto alla forte
avversione che da lungo tempo provo per lui, dovrebbe essere questo
suo cercare di spingermi con l’inganno e la paura ad un matrimonio
che egli sa quanto sia rivoltante per me, e che cerca solo come mezzo
per assicurarsi tutti i miei beni.”
Ciò
detto, fissai mio zio negli occhi, ma egli aveva troppa esperienza
delle cose del mondo per vacillare sotto lo sguardo di occhi ben più
penetranti dei miei. Disse semplicemente:
“E’
informata delle disposizioni del testamento di suo padre?”
Risposi
affermativamente e lui continuò:
“Allora
dovrebbe essere consapevole che se mio figlio Edward fosse – Dio
non voglia – l’uomo immorale e spericolato che lei si ostina a
considerare” - (a questo punto iniziò a parlare molto lentamente,
come se volesse che ogni parola da lui pronunciata rimanesse impressa
nella mia memoria, e allo stesso tempo l’espressione del suo volto
subì un graduale ma orribile cambiamento, mentre gli occhi che
teneva fissi su di me divennero così intensamente cupi, che quasi
persi di vista ogni altra cosa) - “Se egli fosse come lo ha
descritto, lei pensa, ragazzina, che non potrebbe trovare mezzi più
spicci di un contratto matrimoniale per raggiungere i suoi scopi?
Basterebbe stringere il suo collo sottile fino a che il respiro si
arrestasse e terre, laghi e ogni cosa sarebbero suoi.”
Dopo
che ebbe finito di parlare, rimasi a fissarlo per diversi minuti,
affascinata da quel terribile sguardo di serpente, finché riprese a
parlare con un gradito cambiamento di atteggiamento:
“Non
parleremo di nuovo di questo… argomento finché non sarà trascorso
un mese. Avrà il tempo di considerare i relativi vantaggi delle due
strade che sono davanti a lei. Mi dispiacerebbe spingerla ad una
decisione affrettata. Sono soddisfatto di aver espresso i miei
sentimenti al riguardo e di averle indicato il sentiero del dovere.
Ricordi, un mese esatto, non una parola prima.”
Poi
si alzò e lasciai la stanza estremante agitata ed esausta.
Questa
conversazione, tutte le circostanze che la riguardavano, ma
soprattutto la formidabile espressione dello sguardo di mio zio
mentre parlava dell’omicidio, sebbene in modo ipotetico,
contribuirono a suscitare i miei peggiori sospetti su di lui. Avevo
paura di guardare la faccia che poco prima indossava la livrea della
colpa e della malignità. Pensavo ad essa con quel misto di paura e
avversione con cui si considera un oggetto che ci ha torturato in un
incubo.
Pochi
giorni dopo la conversazione i cui particolari ho appena descritto,
trovai un biglietto sul mio tavolo da toilette, e quando l’aprii,
lessi la seguente comunicazione:
‘MIA
CARA LADY MARGARET,
forse
si sorprenderà nel vedere una faccia nuova nella sua stanza oggi. Ho
licenziato la sua cameriera irlandese e me ne sono procurata una
francese da mettere al suo servizio – un passo resosi necessario
dal momento che ho intenzione di visitare il continente a breve, con
tutta la famiglia.
Il
suo devoto tutore,
ARTHUR
T----N
Quando
mi informai, scoprii che la mia fedele assistente era veramente
andata via e ormai lontana sulla strada per la città di Galway. Al
suo posto apparve un’anziana donna francese, alta, ossuta e di
sgradevole aspetto, i cui modi sgarbati e supponenti sembravano
suggerire che la sua vocazione non era mai stata prima quella della
cameriera personale. Non potei fare a meno di considerarla come una
creatura di mio zio e pertanto da essere temuta, anche se non mi
aveva dato altro motivo di sospetto.
I
giorni e le settimane passavano senza alcun dubbio da parte mia,
nemmeno momentaneo, sul percorso da seguire. Il periodo concesso alla
fine trascorse, e arrivò il giorno in cui dovevo comunicare la mia
decisione a mio zio. Anche se la mia volontà non aveva vacillato
nemmeno per un momento, non riuscivo a scacciare la paura per
l’imminente colloquio, e il cuore mi venne meno quando mi fu
annunciata l’attesa convocazione.
Non
avevo più visto mio cugino Edward dall’episodio del grande
chiarimento, doveva avermi artatamente evitata – suppongo per
strategia, non certo per delicatezza. Ero preparata ad una terribile
esplosione di rabbia da parte di mio zio, non appena gli avessi
palesato la mia determinazione, e non senza ragione temevo che in
seguito si sarebbe fatto ricorso a qualche gesto violento o di
intimidazione.
Colma
di queste terribili previsioni, aprii con trepidazione la porta dello
studio e un minuto dopo ero in presenza di mio zio. Mi ricevette con
una cortesia che mi intimorì, dal momento suggeriva un pronostico
positivo riguardo alla risposta che stavo per dare. Dopo una lieve
esitazione, iniziò col dire:
“Sarà
un sollievo per entrambi, credo, concludere questa conversazione al
più presto possibile. Mi scuserà, allora, mia cara nipote, se
parlerò con una schiettezza che in altre circostanze sarebbe
imperdonabile. Sono certo che ha riflettuto con imparzialità e
serietà sull’argomento del nostro ultimo colloquio e confido che
lei sia ora pronta a presentarmi la sua risposta in tutta onestà.
Basteranno poche parole – noi due ci intendiamo perfettamente.”
Si
tacque ed io, sebbene sentissi di essere su di una mina che poteva
esplodere da un momento all’altro, tuttavia risposi con assoluta
calma:
“Ebbene,
signore, devo darle la stessa risposta della volta scorsa e reiterare
la dichiarazione che feci allora: che io non posso né voglio, finché
mi restano vita e ragione, acconsentire ad un’unione con mio cugino
Edward.”
Apparentemente
questo annuncio non provocò nessun cambiamento in sir Arthur, se non
che divenne di un pallore mortale, quasi livido. Per un minuto sembrò
immerso in foschi pensieri e poi, con un certo sforzo, disse:
“Mi
ha risposto in modo onesto e diretto, e afferma che la sua decisione
è immutabile. Bene, se fosse andata diversamente - se fosse andata
diversamente – ma sia come sia – sono soddisfatto.”
Mi
diede la mano – era fredda e umida come la morte. Sotto una calma
apparente, era evidente che era paurosamente agitato. Continuò a
tenermi la mano in una stretta quasi dolorosa, mentre, apparentemente
dimentico della mia presenza, quasi inconsciamente, mormorò:
“Strano,
strano, strano veramente! Stupidità, fatale stupidità!” ci fu una
lunga pausa. “Di sicuro follia, tendere una corda marcia fino al
cuore – non può che rompersi – e poi… tutto va in malora.”
Ci
fu di nuovo una pausa di qualche minuto, dopo di che, cambiando
improvvisamente voce e mutando il suo atteggiamento in uno di attenta
sollecitudine, esclamò:
“Margaret,
mio figlio Edward non la tormenterà più. Domani lascerà questo
paese per la Francia – non toccherà più questo argomento – mai,
mai più. Qualunque siano le conseguenze della sua risposta, ora
devono fare il loro corso ma, per quel che riguarda questa sterile
proposta, essa è stata tentata a sufficienza, non può essere più
ripetuta.”
A
queste parole, lasciò cadere la mia mano con freddezza, come ad
esprimere il suo totale abbandono dei progettati piani di matrimonio
e, certamente, quell’azione, con le parole la accompagnavano,
produsse sulla mia mente un effetto ancora più severo e deprimente,
se possibile, di quello che aveva causato la direzione che avevo
deciso di seguire. Fui colpita al cuore da uno sbigottimento e una
pesantezza che di solito accompagnano l’adempimento di un atto
importante e irrevocabile, sebbene non rimanga dubbio o scrupolo che
possa convincere l’interessato a desiderare di revocarlo.
“Bene,”
disse mio zio, dopo poco, “ora smettiamo di parlare di questo
argomento, per non riprenderlo mai più. Ricordi, non riceverà altro
fastidio da Edward, domani lascerà l’Irlanda alla volta della
Francia, questo per lei sarà un sollievo. Posso contare sul suo
ONORE che non una parola riguardo all’argomento di questo colloquio
le sfuggirà mai?”
Gli
diedi la rassicurazione desiderata e lui disse:
“Va
bene, sono soddisfatto, credo che non abbiamo più nulla da dirci e
la mia presenza deve essere per lei un peso, pertanto la saluto.”
Allora
lasciai la stanza, sapendo a malapena cosa pensare dello strano
colloquio che aveva appena avuto luogo.
Il
giorno seguente, mio zio colse l’occasione per dirmi che Edward si
era imbarcato, a meno che il suo intento non fosse stato ostacolato
da circostanze avverse, e due giorni dopo mi recò una lettera di sui
figlio, scritta, come si dice, A BORDO, e spedita mentre la nave era
in navigazione. Questa fu una grande soddisfazione per me, e
probabilmente, a dimostrazione che era vero, per fugare ogni dubbio
la notizia mi fu comunicata da sir Arthur.
Durante
tutto questo faticoso periodo, trovai infinita consolazione nella
compagnia e nella comprensione della mia cara cugina Emily. Dopo, non
sono più riuscita a creare un’amicizia così intima, così
profonda e che potevo ricordare, in ogni suo aspetto, con sentimenti
di genuino piacere, e sulla cui fine devo sempre indugiare con un
rimpianto così profondo e tuttavia altrettanto privo di amarezza.
Nelle nostre liete conversazioni, recuperai considerevolmente il
morale e trascorsi il mio tempo in maniera abbastanza piacevole,
sebbene ancora nel più rigido isolamento.
Le
cose si svolgevano in modo abbastanza tranquillo, sebbene, a volte,
non potevo fare a meno di provare una momentanea ma orribile
incertezza rispetto al carattere di mio zio, che era in parte
giustificata dalle circostanze dei due snervanti colloqui i cui
particolari ho appena descritto in dettaglio. La spiacevole
impressione che questi incontri avevano di conseguenza lasciato sulla
mia mente, stava svanendo velocemente, quando si verificò una
circostanza, di per sé insignificante, ma fatalmente destinata a
risvegliare tutti i miei peggiori sospetti e a colmarmi di ansia e
terrore.
Un
giorno ero uscita con mia cugina Emily per fare una lunga
passeggiata, con l’intento di disegnare alcuni panorami a noi cari.
Avevamo camminato per quasi un chilometro quando mi resi conto che
avevamo dimenticato i materiali da disegno, senza i quali l’oggetto
della nostra passeggiata sarebbe stato vanificato. Ridendo della
nostra sbadataggine, tornammo a casa e, lasciata Emily fuori, corsi
sopra per recuperare gli album da disegno e le matite che si
trovavano nella mia camera da letto.
Quando
arrivai in cima alle scale mi venne incontro quella francese alta e
brutta, palesemente in piena agitazione.
“Que
veut, madame?” disse, sforzandosi di essere gentile in maniera
molto più netta di quanto non l’avessi mai vista fare prima.
“No,
no… non importa,” dissi, correndo oltre in direzione della mia
stanza
“Madame,”
gridò, con voce stridula, “restez ici, s'il vous plait; votre
chambre n'est pas faite… la vostra camera non è ancora pronta.”
Continuai
a correre senza badarle. Era dietro di me e vedendo che altrimenti
non avrebbe potuto impedirmi di entrare, perché adesso ero arrivata
proprio all’anticamera, fece un disperato tentativo per
trattenermi, riuscendo ad afferrare l’estremità del mio scialle
che mi tolse dalle spalle ma, nello stesso tempo, cadde lunga distesa
sul pavimento. Un po’ spaventata e un po’ arrabbiata per le
maniere rozze di quella strana donna, per sfuggirle spalancai
d’impeto la porta della mia stanza, di fronte a cui ora mi trovavo,
ma quando entrai il mio stupore fu grande nel trovare la camera già
occupata.
La
finestra era aperta e lì vicino c’erano due figure maschili,
sembrava che ne stessero esaminando la chiusura e le loro schiene
erano rivolte alla porta. Uno di loro era mio zio, al mio ingresso si
voltarono entrambi, quasi di soprassalto. Lo straniero indossava
stivali, un mantello ed un cappello a falde larghe calcato sugli
occhi. Si voltò solo per un attimo e col volto nascosto, ma avevo
visto abbastanza per convincermi che non era altri che mio cugino
Edward.
Mio
zio aveva in mano un attrezzo di ferro che nascose velocemente dietro
la schiena e venendo verso di me, disse qualcosa quasi in tono
esplicativo, ma ero troppo stupita e confusa per capire di cosa si
trattasse. Disse qualcosa come ‘RIPARAZIONI…
finestra… cornici… freddo e sicurezza.’ Non
mi fermai, comunque, per chiedere o ricevere spiegazioni, ma lasciai
velocemente la stanza. Mentre scendevo le scale, mi sembrò di
sentire la voce della francese in una
stridula profusione di scuse accompagnata, comunque, da imprecazioni
soppresse ma veementi, o così mi sembrò, a cui si mescolava
chiaramente la voce di mio cugino Edward.
Raggiunsi
mia cugina Emily quasi senza fiato. Non è necessario dire che la mia
testa era troppo piena di altre cose per pensare a disegnare quel
giorno. Le comunicai con franchezza, ma allo stesso tempo con quanta
delicatezza
potevo, le cause dei miei timori e lei mi promise in
lacrime attenzione, devozione e amore. Non
ebbi mai motivo, nemmeno per un momento, di pentirmi della fiducia
senza riserve che allora riposi in lei. Non
era meno sorpresa di me per l’improvvisa comparsa di Edward, della
cui partenza per la Francia nessuna di noi due aveva dubitato per un
momento, ma ora la sua presenza dimostrava che
non era altro che un’impostura, messa in
pratica, temevo, non certo a fin di bene.
La
situazione in cui avevo sorpreso mio zio aveva completamente rimosso
tutti i miei dubbi riguardo ai suoi
progetti.
Enfatizzai i miei sospetti fino a
farli diventare certezze e notte dopo notte temetti di essere
assassinata nel mio letto. Il nervosismo prodotto dalle notti insonni
e dai giorni di ansiose paure accrebbero l’orrore della mia
situazione ad un tale punto che, alla fine, scrissi una lettera a Mr.
Jefferies, un vecchio e fedele amico di mio padre e perfettamente
informato di tutti i suoi affari, pregandolo, per amor di Dio, di
liberarmi dalla mia attuale terribile situazione e comunicandogli,
senza riserve, la natura e i motivi dei miei sospetti.
Tenni
questa lettera sigillata e sempre addosso a
me per due o tre giorni, perché la
scoperta sarebbe stata una sciagura, in attesa di un’opportunità
che potesse essere sicura e affidabile, in
modo da farla arrivare all’ufficio postale. Dal momento che né a
me né ad Emily era permesso oltrepassare i confini della proprietà,
che era circondata da alti muri di pietra, la difficoltà di
procurarmi tale opportunità era ancora maggiore.
In
quel periodo Emily ebbe una breve conversazione con suo padre, che mi
riferì immediatamente.
Dopo
alcuni argomenti di poca importanza, le chiese se noi due eravamo in
buoni rapporti e se io ero di animo
schietto. Lei rispose affermativamente e lui le chiese se ero rimasta
molto sorpresa di trovarlo nella mia camera il giorno precedente.
Rispose che ero rimasta sorpresa e divertita.
“E
come le è sembrato George Wilson?”
“Chi?”
chiese lei.
“Oh,
l’architetto.” rispose lui, “che sta per appaltare le
riparazioni della casa, è considerato un bell’uomo.”
“Non
riuscì a vederlo in faccia,” disse Emily, “ed aveva una tale
fretta di scappare via, che a malapena lo notò.”
Sir
Arthaur sembrò soddisfatto e la conversazione terminò. Questa
breve conversazione, accuratamente riportatami da Emily, ebbe
l’effetto di confermare, se ce ne fosse stato bisogno, tutto quello
che avevo precedentemente pensato sulla presenza di Edward e,
naturalmente, divenni, se possibile, ancora più ansiosa di spedire
la lettera a Mr. Jefferies. Un’opportunità,
alla fine, si presentò.
Un
giorno, mentre io ed Emily stavamo passeggiando vicino al cancello
della tenuta, capitò che un giovanotto del villaggio passasse lungo
il viale della casa: il luogo era appartato, e dal momento che questa
persona non era collegata da rapporti di lavoro con quelli di cui
temevo il controllo, affidai la lettera alla sua custodia, con
rigorose istruzioni di imbucarla senza indugio all’ufficio postale
del paese, allo stesso tempo aggiunsi un’adeguata mancia, e l’uomo,
dopo avermi dato numerose rassicurazioni di puntualità, scomparve
presto alla vista.
Costui
era appena andato via, quando iniziai a dubitare della mia prudenza
per essermi fidata di questa persona, ma non avevo mezzi più sicuri
o migliori per spedire la lettera, e non
avevo giustificazioni per sospettarlo di una così sfrenata disonestà
quale l’intenzione di distruggerla,
ma non potevo essere certa dell’integrità della lettera finché
non avessi ricevuto una risposta, che poteva arrivare solo dopo
qualche giorno. Prima, comunque, successe qualcosa che mi sorprese
alquanto.
Era
mattino presto ed io sedevo nella mia camera intenta a leggere,
quando sentii bussare alla porta.
“Avanti,”
dissi e mio zio entrò nella camera.
“Vuole
scusarmi?” disse. “L’ho cercata nel salotto e poi sono venuto
qui. Desideravo scambiare una parola con lei. Credo che fino a questo
momento lei abbia trovato la mia condotta nei suoi riguardi proprio
come dovrebbe essere quella di un tutore nei riguardi della sua
pupilla.”
Non
osai negargli il mio consenso.
“E,”
continuò, “credo che non mi abbia trovato duro o ingiusto e che
lei si sia resa conto, mia cara nipote, come io abbia cercato di
rendere questo misero luogo piacevole per lei come può esserlo per
me.”
Acconsentii
di nuovo e lui mise la mano in tasca, ne tirò fuori un foglio di
carta ripiegato e, gettandolo sul tavolo con sorprendente enfasi,
disse:
“Ha
scritto lei quella lettera?”
L’improvvisa
e malinconica alterazione della sua voce, del suo atteggiamento e del
suo volto, ma, più di tutto, l’inattesa esibizione della mia
lettera a Mr. Jefferies, che riconobbi immediatamente, mi confusero e
terrorizzarono a tal punto che mi sentii quasi soffocare.
Non
riuscii a pronunciare una parola.
“Ha
scritto lei quella lettera?” ripeté
con lenta e intensa enfasi. “E’ stata lei, bugiarda e ipocrita!
Ha osato scrivere questa calunnia disgustosa e infame, ma sarà
l’ultima. Tutti la crederanno pazza, se deciderò
di metterla sotto inchiesta. Posso farla apparire tale.”
“I
sospetti espressi in questa lettera sono le allucinazioni e gli
allarmi di un’avvilente follia. Ho sconfitto il suo primo
tentativo, signora e, giuro su Dio, se mai ne farà
un altro, catene, giaciglio di paglia, oscurità e la frusta del
guardiano saranno il suo cibo quotidiano!”
Con
queste incredibili parole, uscì dalla stanza, lasciandomi mezza
svenuta. Ero completamente ridotta alla disperazione, il mio ultimo
tentativo era fallito. Non mi era rimasto altro che fuggire in
segreto dal castello e mettermi sotto la protezione del più vicino
magistrato. Sentivo che se non lo avessi fatto, e il prima possibile,
sarei stata ASSASSINATA.
Nessuno,
in base alla semplice descrizione, può farsi un’idea dell’assoluto
orrore della mia situazione – una ragazza indifesa, debole e
inesperta, messa sotto l’autorità e alla completa mercé di uomini
malvagi, sapendo che non era in suo potere sfuggire per un momento
alle maligne influenze sotto cui era probabilmente destinata a cadere
e con la consapevolezza che se violenza e omicidio erano il progetto
finale, il suo grido di morte si sarebbe perso nel vuoto: nessun
essere umano le sarebbe stato accanto per aiutarla, nessuna
interposizione umana poteva liberarla.
Avevo
visto Edward soltanto una volta durante la sua visita e non lo avevo
più incontrato. Iniziai a pensare che fosse andato via – una
convinzione che era in certo qual modo soddisfacente, perché credevo
che la sua assenza stesse ad indicare l’esclusione di un pericolo
imminente. Anche Emily arrivò alle stesse conclusioni per vie
traverse, e non senza buone ragioni, perché riuscì a sapere
indirettamente che il cavallo nero di Edward era realmente stato
nelle stalle del castello per un giorno e parte della notte, proprio
nel periodo della supposta visita del fratello. Il cavallo non c’era
più e pertanto, arguì, anche il cavaliere doveva essere andato via.
Dopo
essere giunta a questa conclusione, mi sentii un po’ meno avvilita,
quando un giorno, trovandomi sola nella mia stanza, guardai
casualmente fuori dalla finestra e, con mio indescrivibile orrore,
vidi la faccia di mio cugino Edward che mi spiava dalla finestra
difronte. Se avessi visto il diavolo stesso in forma umana, non avrei
provato un disgusto più nauseante. Ero troppo sbalordita per
spostami subito dalla finestra, ma ci riuscii in tempo per sottrarmi
alla sua vista. Lui stava fissando lo stretto cortile quadrangolare
su cui si affacciava la finestra. Mi ritrassi senza esser vista e
trascorsi il resto della giornata nel terrore e nella disperazione.
Mi ritirai presto nella mia camera quella sera, ma ero troppo
infelice per dormire.
Era
circa mezzanotte quando, essendo molto agitata, decisi di chiamare
mia cugina Emily, che dormiva, come ricorderà, nella camera accanto,
che comunicava con la mia tramite una seconda porta. Mi feci strada
verso la sua camera attraverso questo ingresso privato e la persuasi
senza difficoltà a venire nella mia stanza e a dormire con me.
Quindi, ci coricammo insieme, lei svestita, io con i vestiti addosso,
perché mi alzavo ogni momento e camminavo su e giù per la camera,
troppo agitata e infelice per pensare a dormire o a riposarmi.
Emily
si addormentò subito profondamente mentre io giacevo sveglia,
bramando ardentemente il primo pallido baluginare del mattino,
contando ogni rintocco del vecchio orologio con un’impazienza che
faceva sembrare ogni ora come sei.
Doveva
essere circa l’una, quando mi sembrò di sentire un leggero rumore
alla porta divisoria tra la stanza di Emily e la mia, come se
qualcuno stesse girando la chiave nella serratura. Trattenni il
respiro e lo stesso rumore si ripeté alla seconda porta della mia
camera – quella che dava sul ballatoio - questa volta il rumore era
chiaramente provocato dal chiavistello che girava nella serratura,
seguito da una leggera pressione sulla porta, come per accertarsi
dell’efficienza della serratura.
La
persona, chiunque potesse essere, rimase probabilmente soddisfatta,
perché sentii le vecchie tavole del ballatoio scricchiolare e
cigolare, come sotto il peso di qualcuno che si muovesse con
circospezione. Il mio senso dell’udito divenne innaturalmente,
quasi dolorosamente acuto. Suppongo che l’immaginazione aggiungesse
chiarezza a rumori di per sé vaghi. Mi sembrava di poter sentire il
respiro della persona che stava lentamente lasciando il ballatoio.
In
cima alle scale sembrò esserci una pausa e riuscii a sentire
chiaramente due o tre frasi sussurrate velocemente, i passi, allora,
scesero giù per le scale apparentemente con meno cautela. A questo
punto, mi avventurai a camminare velocemente e in punta di piedi
verso la porta del ballatoio e tentai di aprirla: era serrata
dall’esterno, come l’altra. Capii che l’ora fatale era
arrivata, ma rimaneva un ultimo disperato espediente – cioè
svegliare Emily e con le nostre energie unite tentare di forzare la
porta divisoria, che era più leggera dell’altra, e poi scendere
nella parte inferiore della casa, da dove era possibile fuggire verso
i campi e da lì verso il villaggio.
Tornai
accanto al letto e iniziai a scuotere Emily, ma invano. Tutto quello
che potei fare non servì ad altro che a ricavare da lei poche parole
senza senso – era un sonno simile alla morte. Aveva certamente
bevuto del narcotico, come probabilmente avevo fatto anche io, a
dispetto di tutte le precauzioni con cui avevo esaminato tutto quello
che ci avevano portato da mangiare e da bere.
Allora,
facendo meno rumore possibile, tentai di forzare prima una porta, poi
l’altra – ma tutto invano. Credo che nessuno sforzo sarebbe
servito allo scopo, perché entrambe le porte si aprivano verso
l’interno. Pertanto, raccolsi tutti i mobili che potei trasportare
fin là e li ammucchiai contro le porte, come supporto in qualunque
tentativo io facessi per oppormi all’ingresso di quelli che erano
fuori. Mi inginocchiai e pregai con esasperato fervore, poi mi
sedetti sul letto e attesi il mio destino con una sorta di terribile
tranquillità. Sentii un debole suono metallico provenire
dall’angusto cortile che ho già menzionato, come causato dallo
sfregamento di un qualche attrezzo di metallo contro i sassi o un
mucchio di terriccio.
Dapprincipio
decisi di non turbare la calma che adesso provavo, andando
inutilmente a spiare le azioni di coloro che volevano la mia vita, ma
dal momento che i rumori continuavano, la tremenda
curiosità che provavo vinse ogni altra emozione e decisi, ad ogni
costo, di gratificarla. Pertanto
mi avvicinai alla finestre strisciando sulle ginocchia, così da far
sporgere oltre il davanzale la più piccola porzione di testa
possibile.
La
luna adesso brillava con un incerto bagliore sugli antichi edifici
grigi e, obliquamente, sull’angusto cortile sottostante, un lato
del quale era pertanto chiaramente illuminato, mentre l’altro era
immerso nell’oscurità, dal momento che, a prima vista, erano
visibili soltanto gli appuntiti profili dei vecchi tetti, con i loro
grappoli di edera rampicante. Chiunque o qualunque cosa provocasse il
rumore che aveva suscitato la mia curiosità, era nascosto nell’ombra
del lato oscuro del cortile. Schermai gli occhi con la mano per
proteggerli dalla luce lunare, che era così intensa da essere quasi
accecante e, scrutando nelle tenebre, riuscii a vedere, prima
vagamente ma poi, gradualmente, quasi in maniera distinta, la sagoma
dell’uomo impegnato a scavare quella che sembrava essere una buca
grossolana a ridosso del muro.
Alcuni
attrezzi, probabilmente una pala ed un piccone, giacevano accanto a
lui, e di questi usava ora l’uno ora l’altro, così come la
natura del terreno richiedeva. Portò a compimento il suo lavoro
rapidamente e col minor rumore possibile.
“Ecco,”
pensai, mentre, palata dopo palata, il terriccio scavato si
ammucchiava, “stanno scavando la tomba in cui, prima di due ore,
dovrò giacere, un cadavere freddo, straziato. Sono in LORO potere…
non posso fuggire.”
Mi
sentii come se la ragione mi stesse abbandonando. Balzai in piedi e,
in preda alla disperazione, mi dedicai di nuovo a ognuna delle due
porte, alterernativamente. Tesi fino allo spasimo ogni nervo e ogni
tendine, ma avrei potuto egualmente tentare, con la mia sola forza,
di spostare l’edificio stesso dalle sue fondamenta. Mi gettai a
terra come impazzita, e serrai le mani sugli occhi, come ad escludere
le orribili immagini che mi si affollavano intorno.
Il
parossismo scemò. Pregai ancora una volta con l’amaro, agonizzante
fervore di chi sente che l’ora della sua morte è vicina e
ineluttabile. Quando mi alzai, andai di nuovo alla finestra e guardai
fuori, giusto in tempo per vedere una sagoma scura scivolare
furtivamente lungo il muro. Il lavoro era finito. La catastrofe della
tragediavii
doveva essere immediatamente portata a compimento. Allora decisi di
difendere la mia vita fino alla fine e, affinché potessi farlo con
qualche risultato, rovistai la stanza alla ricerca di qualcosa che
potesse servirmi come arma ma, o per caso o perché una tale
evenienza era stata prevista, tutto quello che avrebbe potuto fare
allo scopo era stato attentamente rimosso. Avrei dovuto morire
supinamente e senza tentare di difendermi.
Improvvisamente
ebbi un’idea: non sarebbe stato possibile fuggire attraverso la
porta che l’assassino doveva aprire per entrare nella stanza?
Decisi di fare un tentativo. Ero sicura che la porta scelta per
entrare nella stanza sarebbe stata quella che dava sul ballatoio. Era
la via più diretta, oltre ad essere, per ovvie ragioni, meno esposta
ad interruzioni dell’altra. Decisi, allora, di piazzarmi dietro una
sporgenza del muro, la cui ombra sarebbe servita a nascondermi
completamente quando la porta fosse stata aperta, e prima che
l’identità di chi occupava il letto fosse scoperta, sarei uscita
silenziosamente dalla stanza per poi affidarmi alla Provvidenza per
fuggire.
Allo
scopo di facilitare questo piano, spostai i mobili che avevo
ammucchiato contro la porta. Avevo quasi completato i miei
preparativi, quando mi accorsi che la stanza si era rabbuiata a causa
di un qualche oggetto scuro a ridosso della finestra. Volgendo lo
sguardo in quella direzione, potei vedere, in cima alla finestra,
come sospesi dall’alto, prima i piedi, poi le gambe, poi il corpo
e, infine, presentarsi l’intera figura di un uomo. Era Edward
T----n.
Sembrava
guidare la sua discesa in modo da piantare i piedi al centro del
blocco di pietra che occupava la parte inferiore della finestra e,
dopo esserci riuscito, si inginocchiò e iniziò a scrutare nella
stanza. Poiché la luna brillava nella camera, e le cortine del letto
erano scostate, fu in grado di distinguere il letto e quello che
c’era dentro.
Sembrò
soddisfatto della sua indagine, perché guardò in alto e fece un
cenno con la mano, al che la fune con cui aveva effettuato la sua
discesa fu allentata dall’alto e lui si affrettò a slegarla dalla
vita, ciò fatto, appoggiò le mani alla cornice della finestra, che
doveva essere stata ingegnosamente preparata per questo scopo,
perché, apparentemente senza nessuna resistenza, tutta la struttura,
contenente i vetri e tutto il resto, scivolò dalla sua posizione nel
muro e fu da lui calata nella stanza.
Il
freddo vento notturno agitò le tende del letto e lui si fermò per
un momento – tutto era di nuovo tranquillo – e poi scese sul
pavimento della camera. In mano reggeva quello che sembrava essere un
attrezzo di metallo, che rassomigliava ad un martello, ma più largo
e appuntito alle estremità. Lo teneva un po’ dietro di sé mentre,
con tre lunghi passi in punta di piedi, si portò vicino al letto.
Pensai
che adesso la verità sarebbe stata scoperta e trattenni il respiro
nella trepida attesa della maledizione con cui avrebbe espresso la
sua sorpresa e il suo disappunto. Chiusi gli occhi – ci fu una
pausa, ma breve. Sentii due colpi sordi, dati in rapida successione:
un tremolante singhiozzo e il respiro profondo e pesante della
dormiente fu interrotto per sempre. Dischiusi gli occhi e vidi
l’assassino gettare la coperta sulla testa della sua vittima, poi,
con lo strumento di morte ancora in mano, andò alla porta del
ballatoio, su cui bussò in modo deciso due o tre volte.
Allora
si sentì l’avvicinarsi di un passo veloce e una voce sussurrò
qualcosa dall’esterno. Edward rispose, con una specie di ghigno,
“Sua signoria ha finito di lamentarsi; apri la porta, in nome del
diavolo, a meno che non hai paura di entrare e aiutarmi a portare il
corpo fino alla finestra.”
La
chiave girò nella serratura... la porta si aprì… e mio zio entrò
nella stanza.
Come
le ho già detto, mi ero messa all’ombra di una sporgenza del muro,
vicino alla porta. All’ingresso di Edward attraverso la finestra,
mi ero istintivamente abbassata, rannicchiandomi verso il pavimento.
Quando entrò mio zio, lui e suo figlio erano così vicini a me che
la sua mano era sempre sul punto di toccarmi la faccia. Trattenni il
respiro e rimasi immobile come morta.
“Nessuna
interferenza dalla stanza accanto?” disse mio zio.
“No,”
fu la breve risposta.
Allora,
ritornarono al letto, avvolsero le coperte intorno al corpo, lo
trasportarono lentamente fino alla finestra e, scambiate poche brevi
parole con qualcuno lì sotto, lo spinsero oltre il davanzale e lo
sentii cadere pesantemente sul terreno sottostante.
“I
gioielli li prendo io,” disse mio zio, “ce ne sono due cofanetti
nel cassetto in basso.”
Agì
con una meticolosità che, se fossi stata più calma, mi avrebbe
fornito materia di meraviglia, poiché mise le mani nel posto esatto
in cui si trovavano i miei gioielli. Dopo essersene impossessato,
chiamò suo figlio:
“La
fune, è stata assicurata in alto?”
“Non
sono uno sciocco… certo che lo è?” rispose.
Poi
si calarono dalla finestra. A quel punto, mi alzai dal mio
nascondiglio con estrema cautela, osando a malapena respirare, e
stavo silenziosamente scivolando verso la porta quando sentii la voce
di mio cugino esclamare con un brusco sibilo, “Sali di nuovo!
Dannazione, hai dimenticato di chiudere la porta della camera!” E
mi resi conto, dalla tensione della corda che pendeva dall’alto,
che l’ordine era stato immediatamente eseguito.
Non
c’era un secondo da perdere. Oltrepassai la porta, che era soltanto
chiusa, e mi mossi lungo il pianerottolo quanto più rapidamente e
silenziosamente possibile. Prima che avessi percorso qualche metro,
sentii chiudere a doppia mandata, dall’interno, la porta attraverso
cui ero appena passata. Volai giù per le scale in preda al terrore,
temendo che potessi incontrare l’assassino o uno del suoi complici
ad ogni angolo.
Raggiunsi
l’ingresso e mi misi brevemente in ascolto per assicurarmi che lì
intorno tutto fosse tranquillo: non sentii alcun rumore. Le finestre
del salotto si aprivano sul parco e pensai di poter attuare la mia
fuga attraverso una di queste. Di conseguenza, entrai in tutta fretta
ma, con mia grande costernazione, nella stanza c’era una candela
accesa e alla sua luce vidi una figura seduta al tavolo da pranzo, su
cui erano sparsi bicchieri, bottiglie e gli altri accessori di una
bevuta. Intorno al tavolo, c’erano due o tre sedie in disordine,
come se frettolosamente abbandonate dai loro occupanti.
Un
solo sguardo fu sufficiente a sincerarmi che la figura era quella
della mia cameriera francese. Era profondamente addormentata, avendo
probabilmente bevuto tanto. C’era qualcosa di perfido e spettrale
nella tranquillità dei lineamenti di quella donna malvagia,
fiocamente illuminati, come erano, dal baluginante bagliore della
candela. Sul tavolo c’era un coltello e un terribile pensiero mi
colpì, “Dovrei uccidere la complice addormentata di quegli
assassini e così assicurarmi la fuga?”
Niente
avrebbe potuto essere più semplice, non si trattava che di infilzare
la lama nella sua gola, il lavoro di un secondo. L’esitazione di un
attimo, comunque, mi fece ricredere. “No,” pensai, “il Dio che
mi ha condotta fin qui attraverso la valle della morte, non mi
abbandonerà adessoviii.
Cadrò nelle loro mani o fuggirò da qui, ma non mi macchierò le
mani di sangue. Sia fatta la sua volontà.”
Dopo
questa riflessione sentii sorgere in me una fiducia, una garanzia di
protezione che non riesco a descrivere. Non c’era altro modo per
fuggire, così avanzai, a passo fermo e mente fredda, fino alla
finestra. Senza far rumore, tolsi le sbarre e dischiusi le imposte –
aprii la finestra e, senza aspettare di guardarmi dietro, corsi a più
non posso giù per il viale, avendo cura di tenermi sull’erba che
lo delimitava, sentendo a mala pena la terra sotto di me.
Non
rallentai la mia corsa nemmeno per un istante, ed ero ormai a metà
tra il cancello del parco e la casa. Qui il viale faceva un’ampia
curva e, allo scopo di evitare ogni possibile ritardo, diressi i miei
passi attraverso il morbido tappeto erboso intorno a cui il sentiero
girava, con l’intenzione, una volta arrivata al lato opposto di
quel tratto in un punto contrassegnato da un gruppo di vecchie
betulle, di rientrare sul sentiero battuto, che da lì in poi era
abbastanza dritto fino al cancello.
Correndo
a più non posso, ero a metà strada di quell’ampio tratto quando
mi giunse all’orecchio il rapido calpestio degli zoccoli di un
cavallo – ero inseguita – erano ormai sul prato dove stavo
correndo – non c’era un cespuglio od un rovo per ripararmi – e
come a rendere la fuga ancora più disperata, la luna, che fino ad
allora era stata coperta, in quel momento iniziò a brillare con una
luce ampia e chiara, che rese distintamente visibile ogni oggetto.
Adesso
quel tramestio era proprio dietro di me. Sentii le ginocchia venirmi
meno, con la stessa sensazione che ci tormenta nei sogni. Barcollai,
inciampai, caddi, e nello stesso istante la causa del mio allarme mi
sorpassò girandomi intorno a tutto galoppo. Era uno dei giovani
puledri che pascolavano liberi nel parco, i cui giochi finora non mi
avano certo fatto impazzire di terrore.
Scattai
in piedi e continuai a correre a passi leggeri ma rapidi, mentre il
mio giocoso compagno continuava a galopparmi intorno con molti salti
e balzi, finché, finalmente, più morta che viva, raggiunsi
l’ingresso del viale e attraversai il cancello, a
malapena sapevo come.
Fuggii
attraverso il villaggio, dove tutto era
silenzioso come una tomba, finché la mia
corsa fu fermata dalla voce roca di una sentinella, che gridò: “Chi
va là?” Capii che adesso ero in salvo. Mi voltai in direzione di
quella voce e caddi svenuta ai piedi del soldato. Quando rinvenni,
ero seduta in un misero tugurio, circondata da strane facce, che
esprimevano tutte curiosità e compassione.
C’erano
anche molti soldati: infatti, come scoprii dopo, quella
caupola era usata
come posto di guardia da un distaccamento di truppe acquartierato in
città per quella notte. In poche parole informai il loro ufficiale
delle circostanze verificatesi, descrivendo anche l’aspetto delle
persone coinvolte nell’omicidio, e quello, senza perdere tempo,
procedette verso la dimora di Carrickleigh, portando con sé alcuni
dei suoi uomini. Ma i furfanti avevano scoperto il loro errore e si
erano dati alla fuga prima dell’arrivo dei militari.
Il
giorno dopo, tuttavia, la francese fu arrestata nelle vicinanze. Fu
processata e condannata nelle successive assise e prima della sua
esecuzione confessò che “Aveva dato una mano a preparare il letto
per HUGH TISDAL.”A quel tempo, aveva lavorato nel castello come
governante ed era stata una specie di chere
amie di mio zio. In realtà era capace
di parlare inglese perfettamente, ma aveva usato esclusivamente il
francese. Suppongo per facilitare il suo
travestimento. Morì da incorreggibile canaglia come aveva sempre
vissuto, confessando i suoi crimini, così sperava, allo scopo di
poter coinvolgere Sir Arthur T----n, il
principale responsabile delle sue colpe e delle sue disgrazie, che
lei adesso considerava con odio irriducibile.
Lei
è informato sui particolari della fuga di sir Arthur e di suo
figlio, per quel che se ne sa. È anche
a conoscenza del loro conseguente
destino – il terribile, tremendo castigo che, a lungo rimandato,
dopo molti anni finalmente li raggiunse e li annientò. Straordinari
e imperscrutabili sono i rapporti fra Dio e le sue creature.
La
mia gratitudine al cielo per la mia salvezza, resa possibile da una
catena di provvidenziali avvenimenti - il venir meno di un solo
anello avrebbe assicurato la mia distruzione – fu profonda e
fervida, come deve sempre essere, molto prima che potessi guardarmi
indietro con sentimenti diversi da quelli dell’amarezza, fin quasi
della disperazione.
L’unico
essere che mi abbia mai veramente amata,
la mia amica più intima e cara, sempre pronta a capire, consigliare
ed assistere –
il cuore più allegro, gentile e affettuoso – l’unica creatura
sulla terra a cui io importassi – proprio
la sua
vita era stato il prezzo della mia salvezza. Io allora espressi il
desiderio, che nessun avvenimento della mia lunga e dolorosa
esistenza mi ha
mai convinto a
revocare, che lei fosse stata risparmiata e che, al suo posto, fossi
IO a marcire
nella tomba, dimenticata e in pace.
FINE
iSquire:
il termine sta ad indicare la piccola nobiltà di campagna, il
signorotto proprietario della maggior parte della terra attorno a un
villaggio.
iiGalway
è una contea situata sulla costa nord-occidentale della Repubblica
d'Irlanda, nota per i suoi paesaggi selvaggi ed incontaminati.
iiiCork
è la più meridionale e più vasta tra le contee dell'Irlanda e fa
parte della Repubblica d'Irlanda.
iv2.
Pittoresco:
detto di opera pittorica che è realizzata con forti effetti
chiaroscurali e che rappresenta paesaggi solitarî, spesso
caratterizzati dalla presenza di imponenti architetture e rovine, e
talvolta animata da scene di genere; con questa accezione, il
termine è stato usato dai teorici inglesi nel corso del sec. 18°,
soprattutto con riferimento alle opere di Salvator Rosa (1615-1673),
di Claude G. Lorrain detto il Lorenese (1600-1682) e di Nicolas
Poussin (1594-1665), per indicare il gusto e i caratteri di tale
tipo di pittura. Alla fine del sec. 18° il termine entra in uso
anche in architettura, riferito sia al giardino all’inglese sia
agli edifici che imitano castelli medievali o sono caratterizzati da
disposizioni asimmetriche dei varî corpi di fabbrica e dalla
varietà dei rivestimenti esterni. (Treccani.it)
v
Collettività
dei signorotti di campagna, considerata specialmente
in relazione alla sua influenza politica e sociale. Qui
il termine è usato con valore dispregiativo.
viA
New Way to Pay Old Debts (1633) Un
nuovo modo per pagare vecchi debiti è
un dramma del teatro rinascimentale
inglese di
Philip Massinger. Il
suo personaggio centrale, Sir Giles
Over-reach, un usuraio senza scrupoli ma
con manie di grandezza, divenne uno dei più popolari cattivi delle
scene inglesi e americane fino al XIX secolo. Fu un cavallo di
battaglia del famoso attore inglrse Edmund Kean.
vii
La
catastrofe
è l'ultima delle quattro parti in cui si considerava suddivisa la
trama di una tragedia o di una commedia ben composta. Segue la
protasi, l'epitasi e la catastasi. La catastrofe è quella vicenda
conclusiva che chiude la peripezia del personaggio principale,
scioglie i nodi, i conflitti e gli equivoci creati dalla trama,
spesso con la rivelazione (αναγνώρισις, anagnòrisis)
di un fatto ignoto ai personaggi o al pubblico, producendo la
catarsi. Tale quadripartizione fu teorizzata in questi termini da
Giulio Cesare Scaligero nel primo dei suoi Poetices
libri,
pubblicati postumi nel 1561
viii
La
nuova versione della Bibbia di re Giacomo (!611-1982)
Salmo23:4
Yea,
though I walk through the valley of the shadow of death, I will fear
no evil; For You are with
me; Your rod and Your staff, they comfort me.
Se,
anche camminassi
nella valle
della
morte, non temerò alcun pericolo, perché lui sarà con me, il suo
vincastro e il suo bastone mi conforteranno.