martedì 12 giugno 2012

I terrestri portano doni


Timeo danaos et dona ferentes...

Così, nell'Eneide di Virgilio, lo sfortunato Laocoonte tentò di impedire ai troiani di accettare il fatale dono dei greci. E certamente Fredric Brown se ne ricordò in questo breve racconto Earthmen Bearing Gifts (Galaxy magazine, giugno1960). Come sempre, nei racconti di Brown la fantascienza è solo un pretesto per parlare del presente. Un presente allora minacciato dalla guerra fredda e dall'incubo dell'olocausto atomico. Noi che eravamo adolescenti quella notte tra il 20 ed il 21 luglio del 1969 imparammo a conoscere Brown attraverso il suo racconto più famoso The Sentry (La sentinella 1954) letto da Warner Bentivegna in attesa dell'allunaggio. Fu semplicemente perfetto. E per me fu amore a primo ascolto.





Marte aveva doni da offrire e la Terra aveva molto da dare a sua volta – se solo lo scambio avesse potuto essere organizzato...






I TERRESTRI PORTANO DONI

di FREDRIC BROWN







Dhar Ry sedeva solo nella sua stanza, meditando. Dall'esterno della porta percepì un'onda di pensiero equivalente ad una bussata, e, guardando verso porta, desiderò che si aprisse.
Si aprì. “Entra, amico mio,” disse. Avrebbe potuto trasmettere l'idea telepaticamente, ma, essendo solo due persone, era più educato parlare.
Ejon Khee entrò. “Sei rimasto sveglio fino a tardi stanotte, mio comandante,”disse.

mercoledì 9 maggio 2012

Il riscatto di Capo Rosso


Un Giamburrasca tra gli indiani

Se cercate O. Henry (1862-1910), pseudonimo di William Sydney Porter, in una storia della letteratura americana, a mala pena troverete un paio di righe che lo definiscono “autore di racconti brillanti e leggeri” ( Cunliffe M., Storia della letteratura americana; P.B.E., 1969). In effetti, O. Henry fu autore estremamente prolifico di racconti caratterizzati da un finale sorprendente che ribalta completamente le premesse iniziali, ne scrisse più di seicento, in parte raccolti in antologie. Sorprendente fu anche la vita di O. Henry. Come tanti scrittori americani, non ricevette un'educazione universitaria, ma sviluppò ben presto un grande amore per la lettura. Intraprese una varietà di lavori: farmcista, cawboy in Texas, editore e giornalista di una rivista satirica, -The Rolling Stone-, cassiere di banca. E fu proprio il suo lavoro in banca a dare una svolta inaspettata alla sua vita e alla sua carriera di scrittore. Nel 1896 fu accusato di appropriazione indebita. Condannato a cinque anni di carcere, fuggì in Honduras dove trovò l'ispirazione per scrivere la raccolta di racconti che, in onore a Lewis Carroll, intitolò, Cabbages and Kings, in cui coniò il termine “banana republic” per descrivere il paese e che diventerà proverbiale. L'anno successivo ritornò negli States per essere vicino alla moglie morente e prendersi cura della loro unica figlia. Nel 1898 andò in prigione, da cui uscì tre anni e una dozzina di racconti dopo. Fu in prigione che adottò lo pseudonimo O. Henry per proteggere la sua vera identità. Nel 1902 si trasferì a New York, dove iniziò la sua collaborazione con il New York World Sunday Magazine, a cui inviò un racconto alla settimana per più di un anno. Il pubblico adorava le sue storie piene di ironia, caratterizzate da un plot avvincente e sorprendente e popolate da personaggi memorabili per le loro debolezze e i loro difetti, più che per le loro virtù. Più severo il giudizio dei critici, che consideravano superficiale la sua leggerezza. Morì a New York nel 1910, alcolizzato e senza un soldo.
O. Henry amava le persone comuni, le cui vite descrisse con sguardo ironico e solidale. Nel suo universo di banditi falliti e redenti, di amanti delusi ma ancora innamorati, di burberi benefici, c'è sempre un sorriso per tutti. Egli è un impareggiabile chiacchierone, un insuperabile intrattenitore, un affascinante bugiardo. Le sue storie sono un meccanismo perfetto, basate sull'intreccio e sulla suspance, fino al colpo di teatro conclusivo, che si sostituisce, con grazia e leggerezza, al finale edificante della letteratura del tempo. Egli costruisce un universo parallelo dove rifugiarsi dalle brutture del mondo reale e dai suoi incubi, dove c'è ancora il tempo per sorridere sulle proprie disgrazie e dove i buoni sentimenti sembrano prevalere.

Il racconto che vi propongo, The Ransom of Red Chief, pubblicato nel 1910 nella raccolta Whirligigs, è uno dei più conosciuti. Le situazioni e i personaggi contribuiscono a costruire un meccanismo così ben oleato da essere stato letteralmente saccheggiato dal cinema e dalla televisione. Il protagonista; Johnny Dorset, una piccola peste di dieci anni, tutto lentiggini e capelli rossi, continua la tradizione dei ragazzi terribili di Mark Twain, mentre i due malfattori che lo rapiscono nella speranza di ottenere un cospicuo riscatto dal ricco papà, sono la parodia buonista degli spietati banditi del selvaggio west.




Il riscatto di Capo Rosso
di
O. Henry (1910)



Sembrava una buona idea: ma prima aspettate che ve la racconti. Eravamo giù al sud, in Alabama – Bill Driscoll e io – quando ci venne quest'idea del rapimento. Successe, come disse Bill dopo, “durante un momento di temporanea apparizione mentalei”; ma lo scoprimmo solo più tardi.
C'era una città laggiù, piatta come una frittella, e chiamata Summit, naturalmente. I suoi abitanti erano di una razza di contadini innocui e cuor contenti come mai se ne erano affollati intorno ad un May Poleii.
Bill e io avevamo messo insieme un capitale di circa seicento dollari, e avevamo proprio bisogno di altri duemila dollari per realizzare una frode di terreni edificabili nell'ovest dell'Illinois. Discutemmo la cosa sui gradini all'ingresso dell'albergo. L'attaccamento alla progenie, ci dicevamo, è forte nelle comunità semi-rurali, per questo, e per altre ragioni, un progetto di rapimento avrebbe funzionato meglio qui che nel raggio d'azione di quei quotidiani che mandano in giro giornalisti in incognito per attizzare chiacchiere su cose di questo genere. Sapevamo che Summit non poteva metterci contro niente più che qualche guardia e forse qualche bracco indolente e una diatriba o due sul Il bilancio settimanale dell'agricoltore. Perciò, ci sembrò una buona idea.
Scegliemmo come nostra vittima il figlio unico di un eminente cittadino a nome Ebnezar Dorset. Il padre era un rispettabile taccagno, collezionista di ipoteche, impeccabile a passare il piatto delle offerte in chiesa e un intemerato speculatore. Il bambino era un ragazzo di dieci anni, con lentiggini a basso rilievo e i capelli del colore della copertina della rivista che comprate all'edicola quando volete prendere il trenoiii. Bill e io ci immaginavamo che Ebnezer avrebbe sganciato senza fiatare i duemila dollari del riscatto fino all'ultimo centesimo. Ma aspettate che ve lo racconti.

mercoledì 21 marzo 2012

Janet la storta


Aspettando Mr. Hyde...

Thrawn Janet fu scritto da Stevenson di ritorno nelle Higlands scozzesi dopo il suo sfortunato soggiorno a Davos, in Svizzera, dove si era recato nella vana speranza di ritrovare sollievo alla tubercolosi che lo affliggeva fin dall'infanzia. Tra il 1881 e il 1882, per sfuggire alla malinconia della malattia e influenzato dai pittoreschi e desolati paesaggi scozzesi, scriverà tre racconti “abbastanza orridi da far gelare il sangue ad un granatiere,” Thrawn Janet, appunto, The Body-Snatcher (Il ladro di cadaveri) e The Merry Men (Gli allegri compari), che saranno pubblicati in un unico volume nel 1887, un anno dopo la pubblicazione di The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde.
Il racconto, calato nel paesaggio naturale e morale della Scozia del diciottesimo secolo, narra della possessione demoniaca della vecchia perpetua – la Janet del titolo – di Mourdock Soulis, il giovane e inesperto ministro della piccola parrocchia di Balweary (area amministrativa di Fife, non lontano da Kirkcaldy).
La struttura narrativa e il linguaggio sono piuttosto complessi e interconnessi. La parte introduttiva, o cornice, è narrata in lingua inglese da un narratore extradiegetico, mentre il racconto vero e proprio è narrato in scozzese, in prima persona, in forma di flashback. Diversi sono i punti di vista; il narratore esterno presenta il protagonista, Mr. Soulis, così come lo vediamo oggi: ieratico e terrificante nei suoi attacchi contro il demonio durante la messa domenicale, immerso in un mondo di protestantesimo presbiteriano ossessionato dall'eterna lotta tra il bene e il male. Il narratore interno, che rappresenta il punto di vista della piccola comunità, riferisce fatti successi cinquanta anni prima; sullo sfondo c'è la lotta tra la parte più integralista della chiesa presbiteriana, gli Evangelici, e la parte più incline al compromesso con il potere centrale, i Moderati. I fatti narrati sono così spaventosi, che egli trova il coraggio di parlarne solo dopo il terzo boccale di birra, cosa che lo rende un narratore non affidabile, lasciando il lettore in bilico tra incredulità e orrore. La traduzione, naturalmente, non riesce a rendere il colore e il ritmo del dialetto, basato su particolari strutture sintattiche, onomatopee e perifrasi spesso intraducibili, tuttavia, questo racconto conserva intatta, anche nella traduzione, la sua capacità di coinvolgere e trascinare il lettore e sembra anticipare una delle tematiche più care a Stevenson, quella del doppio, o meglio, dell'ombra. Quell'uomo nero, che Mr. Soulis incontra in un infuocato giorno d'estate nel piccolo cimitero papista, non è forse la proiezione della sua stessa persona e del suo Io più segreto?


Janet la storta
di 
Robert Louis Stevenson


Credulity, Superstition and Fanaticism
William Hogarth (1697-1764)


Il reverendo Murdoch Soulis fu a lungo ministro della parrocchia di Balweary nella brughiera della valle del Dule. Un vecchio dal volto severo e triste, che incuteva timore ai suoi ascoltatori, visse gli ultimi anni della sua vita, senza parenti né servi o altra compagnia, nel piccolo e solitario presbiterio sotto lo Hanging Show. A dispetto della ferma compostezza dei suoi lineamenti, lo sguardo era agitato, spaventato e incerto, così che, quando egli si soffermava, in confessione, sul futuro dell'uomo impenitente, sembrava che i suoi occhi penetrassero attraverso le tempeste del tempo e i terrori dell'eternità. Molti giovani che venivano a prepararsi per la Prima Comunione rimanevano terribilmente turbati dai suoi discorsi.
La prima domenica dopo ogni 17 di agosto, egli teneva un sermone sull'ottavo versetto della prima epistola di San Pietro “Il diavolo, come un leone ruggentei,” e ogni volta superava sé stesso, sia per la natura spaventosa dell'argomento e sia per il terrore che i suoi modi di fare suscitavano dal pulpito.I bambini avevano attacchi di paura, mentre i vecchi sembravano più che mai degli oracoli ed erano, per tutto il giorno, pieni di quelle allusioni che Amleto deprecavaii. Proprio al principio del ministero di Mr. Soulis lo stesso presbiterio veniva evitato da tutti coloro che si consideravano persone prudenti; esso si trovava presso le acque del Dule, circondato da fitti alberi, con lo Hanging Shaw che lo sovrastava da un lato mentre sull'altro lato fredde colline coperte dalla brughiera si innalzavano verso il cielo; gli onest'uomini che sedevano nella birreria del villaggio scuotevano la testa tutti insieme al pensiero di passare vicino a quel luogo inquietante. C'era un posto in particolare, per essere più precisi, che era guardato con grande timore. Il presbiterio era tra la strada principale e il fiume, con un abbaino su ogni lato, il retro era nella direzione del villaggio di Balweary, che distava quasi mezzo miglio; sul davanti uno spoglio giardino, delimitato dai rovi, occupava la terra tra il fiume e la strada. La casa aveva due piani e su ciascuno c'erano due grandi camere. Non si usciva direttamente sul giardino, ma su un sentiero acciottolato che, da un lato, conduceva alla strada principale, dall'altro, era chiuso da alti salici e sambuchi che fiancheggiavano il fiume. Ed era proprio questa parte del sentiero che godeva di una così pessima reputazione tra i giovani della parrocchia di Balweary. Il ministro vi passeggiava spesso dopo il tramonto, a volte gemendo mentre pregava silenziosamente; quando non era a casa e la porta del presbiterio era chiusa, i ragazzini più coraggiosi, con il cuore gli batteva forte, si avventuravano in quel luogo leggendario per giocare a “segui il capoiii.” 

domenica 26 febbraio 2012

Il diavolo e Tom Walker

Il diavolo, naturalmente...


La nuova storia che vi propongo, “The Devil and Tom Walker,” scritta da Washington Irving, appartiene a Tales of a Traveller (1824) e si trova nella sezione dei “Money Diggers.” Essa è considerata dalla critica contemporanea fra le cose migliori scritte da Irving. Questa deliziosa favola nera ricca di ironia e colpi di scena, ambientata in America al tempo delle colonie, può sembrare, a una lettura superficiale, un edificante sermoncino contro l'avidità di danaro, avendo come protagonista un usuraio, Tom Walker appunto, pronto a vendere la sua anima al diavolo in cambio del tesoro del pirata Kidd.
Noi lettori contemporanei vi possiamo trovare sconcertanti somiglianze con i “tempi difficili” che stiamo vivendo: sconsiderate speculazioni immobiliari, carenza di liquidità, economia di carta, sfrenata corsa all'arricchimento, finché la bolla si sgonfia lasciando solo disastri; il terreno ideale, insomma, per un usuraio senza scrupoli come Tom Walker.
Altrettanto moderno è il linguaggio usato per suggerire lo spirito del tempo: Irving parla, infatti, di una “febbre” speculativa che colpisce indiscriminatamente i coloni del New England, così come noi oggi parliamo di “contagio” per descrivere la crisi che stiamo vivendo.
Ma questo è solo una delle tematiche proposte dall'autore. Tom Walker sembra scavare nell'incoscio collettivo della giovane nazione americana, come suggerisce l'avverbio “unconsciously,” che descrive con il linguaggio che sarà della psicoanalisi l'ossessione compulsiva del protagonista sempre alla ricerca di tesori nascosti. E dal buco che egli scava esce fuori il peccato originale dell'America: il genocidio degli indiani.
Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, qui gli indiani non sono i “noble savages” cari all'illuminismo e alla letteratura romantica. Essi sono selvaggi e crudeli, adoratori di Satana a cui offrono sacrifici umani: sono i favoriti del diavolo, che invece disprezza quella ”razza di facce bianche” venuta a massacrare i suoi protetti e a rubare le loro terre, e pertanto ancora più selvaggia e crudele degli stessi uomini rossi. Qui il diavolo rappresenta, anche fisicamente, la cattiva coscienza di tutto un popolo. Egli indossa abiti di foggia indiana e la sua ascia è simile ad un tomawok, la sua pelle, però, non è rossa, ma nera del fumo dell'inferno e neri sono i suoi crespi capelli, a ricordare l'altro crimine collettivo dei coloni: la tratta e il commercio degli schiavi.
Molte altre sono le colpe che il diavolo imputa a Tom Walker e ai suoi compatrioti: pirateria, persecuzioni religiose, i roghi delle streghe, un'accumulazione capitalistica primitiva e violenta, a cui tutto viene sacrificato, anche la propria anima. Del resto anche la vita ultraterrena è concepita in termini mercantilistici, essi sono “beni,” i peccati sono “addebitati,” i meriti sono “accreditati,” proprio come in una partita doppia.
Ma naturalmente è solo un “vecchio racconto,” la cui veridicità è ironicamente comprovata dal buco scavato dal protagonista nella nera palude dove incontrò il diavolo e che, secondo il narratore, è tutt'ora visibile.



 
IL DIAVOLO E TOM WALKER
di
Washington Irving
(1824)



Jasper Francis Cropsey (artist)
American, 1823 - 1900
Autumn - On the Hudson River, 1860


A poche miglia da Boston, nel Massachusetts, c'è una profonda insenatura che si snoda per diverse miglia da Charles Bay verso l'interno del paese e termina in una zona acquitrinosa, o palude, ricoperta di alberi. Su un lato di questa insenatura c'è un fitto boschetto, sul lato opposto il terreno si alza improvvisamente dalla superficie dell'acqua a formare un alto crinale su cui crescono alcune querce vetuste e maestose. Sotto uno di questi giganteschi alberi, secondo i vecchi racconti, c'era un enorme tesoro sepolto dal pirata Kiddi. L'insenatura aveva reso facile trasportare il denaro con una barca, in segreto e di notte, fino ai piedi della collina. La posizione elevata del luogo permetteva di controllare che non ci fosse nessuno nelle vicinanze, mentre quegli alberi eccezionali formavano un buon punto di riferimento per ritrovare agevolmente il posto. I vecchi racconti aggiungono, poi, che il diavolo presidiava quel nascondiglio e lo teneva sotto la sua sorveglianza; ma, come tutti sanno, questa è una cosa che egli fa sempre con i tesori nascosti, specialmente quando sono mal guadagnati. Ma sia come sia, Kidd non tornò mai a riprendere le sue ricchezze, infatti, poco dopo fu catturato a Boston e spedito in Inghilterra dove fu impiccato per pirateria.

martedì 7 febbraio 2012

Il segnalatore

Per celebrare i 200 anni della nascita di Charles Dickens, vi propongo una breve storia tratta da Mugby Junction (1866), una raccolta di 4 racconti ambientati appunto a Mugby Junction, un fittizio snodo ferroviario. Certamente il treno resta il simbolo per eccellenza della rivoluzione industriale: simbolo di potenza ma anche di distruzione del paesaggio e, a causa dei numerosi incidenti, simbolo di morte. Lo stesso Dickens era stato coinvolto proprio quell'anno in un grave incidente ferroviario, da lì l'ispirazione per questi racconti. La storia che vi propongo è  "Il segnalatore" che possiamo considerare un perfetto esempio di racconto fantastico, con il suo essere sospeso tra reale e irreale, senza che la nostra razionalità riesca a dare risposte certe.





Il segnalatore
di
Charles Dickens


mercoledì 1 febbraio 2012

L'avventura dello studente tedesco

La prima storia che vi propongo è la traduzione di un breve racconto di Washington Irving (1783-1859), che fu il primo autore americano ad avere rinomanza internazionale. Ai suoi racconti brevi, di cui i più famosi restano  "Rip Van Winkle" e "The Legend of Sleepy Hollow," si ispireranno autori come Hawthorne e Poe e oggi sono noti al grande pubblico anche grazie al cinema. La storia che vi propongo è forse meno famosa, ma è un esempio perfetto dello stile elegante e ironico dell'autore.





L'AVVENTURA DELLO STUDENTE TEDESCO
DI
WASHINGTON IRVING
(1824)

In una notte tempestosa, durante i tormentati anni della rivoluzione francese1, un giovane tedesco stava tornando al suo alloggio, a tarda ora, attraverso la parte vecchia di Parigi. I fulmini illuminavano la notte e tuoni assordanti riecheggiavano lungo le stradine alte e strette – ma prima dovrei dirvi qualcosa riguardo questo giovane tedesco.