domenica 15 dicembre 2013

A spasso nel tempo





 AUGURI DI BUONE FESTE....
 con un po' di  mistero


Non è facile parlare di paradossi temporali, soprattutto per le sue inevitabili implicazioni etiche: siamo in grado di cambiare il nostro futuro cambiando il nostro passato (Ritorno al futuro), o qualunque sforzo è inutile perché il corso del tempo è immutabile (Samarcanda di Vecchioni)? La fisica quantistica sembra dare una terza possibilità se accettiamo la teoria dei molti mondi che vede il tempo come un fiume che si biforca in diversi rami, formando universi distinti (Sliding Doors).
Nella Macchina del tempo (1895) di H.G. Wells la scienza e la tecnologia forniscono per la prima volta gli strumenti per viaggiare nel tempo Nel 1952 Ray Bradbury nel breve racconto A Sound of Thunder  anticipa il concetto di “effetto farfalla” (il termine fu coniato dal metereologo del MIT Edward Lorenz nei primi anni '60) secondo cui calpestare accidentalmente una farfalla preistorica durante un safari temporale, può causare nel futuro effetti imprevedibili e drammatici.
Fredric Brown, maestro del paradosso, nel breve racconto Experiment (1954) ha usato il tema dei viaggi nel tempo per metterci in guardia nei confronti di un progresso scientifico che viaggia a velocità esponenziale superando limiti fino ad a ieri considerati invalicabili. C'é poi la grande paura degli anni '50, quella della catastrofe atomica scatenata da un gesto inconsulto o, peggio, casuale: basta premere il bottone sbagliato per scatenare l'inferno, proprio come accade al professor Johnson e ai suoi colleghi che portano avanti il loro esperimento dimenticando quanto sia pricoloso “giocare a dadi” con le leggi che regolano il nostro universo.


Esperimento 
FREDRIC BROWN 
 Illustrato da STONE




“Signori, la prima macchina del tempo,” fu l'orgoglioso annuncio del professor Johnson ai suoi colleghi. “In effetti, è un modello in scala ridotta. Può operare solo con oggetti che non pesino più di un chilo e mezzo e per distanze nel futuro o nel passato non superiori ai dodici minuti. Ma funziona.” Il modellino in scala ridotta rassomigliava ad una piccola bilancia – come quelle per pesare la posta – se non per due quadranti posti proprio sotto il vassoio. Il professor Johnson mostrò un piccolo cubo di metallo. “L'oggetto del nostro esperimento,” disse, “è un cubo di ottone che pesa mezzo chilo. Per prima cosa, lo manderò cinque minuti avanti nel futuro.” Si chinò e regolò uno dei due quadranti della macchina del tempo. “Controllate i vostri orologi,” disse. Gli altri due controllarono i loro orologi. Il professor Johnson sistemò delicatamente il cubo sul piatto della macchina. Scomparso. Cinque minuti dopo, precisi al secondo, riapparve.

venerdì 6 dicembre 2013

Capitan Omicidio



L'ultima moglie di Barbablù





Capitan Omicidio è tratto da The Uncommercial Traveller (inedito in Italia), composta da una serie di sketches e racconti che contribuirono alla rivista settimanale All the Year Round (1859-1895), di cui Dickens era editore.
Secondo Dickens, sono proprio le bambinaie, con le loro storie paurose, a creare gli "angoli bui" della nostra mente, popolati da esseri malvagi e vecchie canaglie come Capitan Omicidio, diretto discendente di quell'assassino seriale che era Barbablù. Come il suo antenato, lo scopo della sua vita è sposare giovani fanciulle innocenti, per poi sacrificarle al suo appetito cannibalesco, infatti, ad un mese esatto dopo il matrimonio le poverette finiscono tagliate a pezzetti e messe in una torta salata, il cui impasto è preparato inconsapevolmente da loro stesse. Questa catena di matrimoni e omicidi viene interrotta solo grazie al coraggio di una giovane donna desiderosa di vendicare la morte della sua gemella. Il finale è sorprendente e pur esulando dalla formula dell'happy end tanto caro al pubblico vittoriano, si concluderà con la punizione del Capitano, che resterà vittima della sua stessa malvagità.
Capitan Omicidio è una fiaba crudele, pervasa da uno humour nero che non ci aspetteremmo di trovare nel repertorio di Dickens, tanto è vero che l'autore, nella breve introduzione, sente la necessità di attribuirne la responsabilità alle bambinaie, che raccontano ancora ai bambini le fiabe paurose della tradizione popolare, che l'età vittoriana aveva rimosso, sostituendole con storie e racconti edificanti considerati da Dickens “letteratura che rende stupidi”, d'accordo con un altro esimio vittoriano, quel Lewis Carroll che in Alice nel paese delle meraviglie (1865), mise alla berlina tutti i pregiudizi del suo tempo nei confronti dei bambini, considerati adulti in fieri che dovevano essere educati all'obbedienza attraverso una letteratura per l'infanzia melensa e, quella sì, omicida della loro fantasia e della loro curiosità.
Questa ostilità era accresciuta dal fatto che le fiabe tradizionali trattavano anche del rapporto fra i sessi, argomento ossessivamente rimosso dalla cultura vittoriana. Il bambino, infatti, era considerato un essere puro, al riparo, per sua natura, da ogni inclinazione morbosa o violenta e veniva lasciato solo con le sue ansie e le sue paure, che doveva imparare a reprimere per conformarsi ai valori “positivi” imposti dagli adulti. I cattivi delle fiabe, invece, lo aiutavano a riconoscere e ad affrontare gli “angoli bui” e a sconfiggerli. Proprio come  l'ultima moglie di Capitan Omicidio, che grazie all sua curiosità e al suo coraggio, riesce a liberarsi di quel marito tirannico e crudele.
La fiaba si conclude con l'immagine liberatoria dei cavalli bianchi di Capitan Omicidio (alter ego delle sue spose innocenti “macchiate” dalla sua crudeltà) che spezzano le pastoie che li tengono prigionieri irrompendo in una corsa selvaggia e travolgente. 
TESTI CONSIGLIATI 
💟
Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe (brossura)
di Bruno Bettelheim - Feltrinelli - 2013

💟
Capitan Omicidio. Con poster (illustrato, brossura)
di Charles Dickens, Fabian Negrin - Orecchio Acerbo - 2012





CAPITAN OMICIDIO

Charles Dickens (1812-1870)
tratta da All the Year Round, Sep. 8, 1860.


Se tutti noi conoscessimo la nostra mente (in un senso più ampio dell'accezione popolare di quella espressione), sospetto che troveremmo le nostre bambinaie responsabli della maggior parte di quegli angoli bui a cui, pur contro la nostra volontà, siamo costretti a ritornare. 



                        Charles Dickens dipinto da Robert William Bussmentre mentre dorme                          nel suo studio a Gad's Hill Place, Higham, Kent 1875.
 
Il primo personaggio diabolico che si insinuò nella mia pacifica giovinezza fu un certo Capitan Omicidio. Quel miserabile deve essere stato un discendente della famiglia di Barba Blu, ma allora non avevo il minimo sospetto riguardo a questa consanguineità. Del resto, il suo nome allarmante non sembrava suscitare alcun pregiudizio nei suoi confronti, infatti, era ammesso nella migliore società e possedeva immense ricchezze.