lunedì 10 febbraio 2014

LE PORTE DELLA PERCEZIONE



La porta nel muro (The Door in the Wall) è un racconto breve di H. G.Wells, pubblicato per la prima volta nel 1911 nella raccolta intitolata The Door in the Wall, and Other Stories.

Protagonista della storia è Lionel Wallace, uomo politico brillante e ambizioso che muore in circostanze poco chiare alla vigilia del suo quarantesimo compleanno. La storia è narrata dal suo antico compagno di scuola Redmond (reliable narrator), che riporta al lettore le confidenze ricevute tre mesi prima dal suo amico durante una cena a quattr'occhi, in cui Wallace (unreliable narrator), sotto forma di un lungo flashback, rivela di aver perso ogni interesse in quello che fa a causa di una preoccupazione che lo ossessiona: “Io sono ossessionato. Ossessionato da qualcosa – che toglie al mondo ogni luce e mi riempie di un desiderio inappagabile...” Quella ossessione ha radici lontane e risale alla sua prima infanzia. Il bambino, orfano di madre, affidato da un padre severo e assente alle cure poco amorevoli di bambinaie e governanti, quando aveva poco più di cinque anni era sfuggito alla sorveglianza degli adulti e vagando per gli squallidi sobborghi della città si era ritrovato davanti ad una misteriosa porta verde in un muro bianco. Cedendo ad un richiamo irresistibile, aveva varcato quella porta per ritrovarsi in un giardino incantato di una bellezza ultraterrena: i fiori erano spontanei, non c'erano erbacce, la luce aveva un riflesso di eternità e perfino gli animali più feroci erano docili e socievoli. In quel giardino non c'era posto per il serpente. Per la prima volta il bambino è felice, lontano dalla ferrea disciplina paterna e dalla bruttezza del mondo esterno. Egli sente di appartenere a quel luogo: “Nella mia mente c'era la profonda sensazione di essere a casa. In un primo momento gli aveva fatto da guida una fanciulla bionda, affettuosa e gioiosa, forse la madre che gli era sempre mancata. E soprattutto vi aveva trovato dei compagni di gioco che per un momento avevano alleviato la sua solitudine. Poi era arrivata una donna bruna e severa, dallo sguardo pieno di tristezza, perché consapevole che il bambino avrebbe dovuto lasciare il giardino incantato e ritornare alla vita di tutti i giorni. La donna lo aveva separato dai suoi amici e attraverso le pagine viventi di un libro magico gli aveva fatto rivivere la storia della sua vita, proprio come in un film, fino al momento in cui il bambino si era rivisto davanti alla porta nel muro. A questo punto la magia era finita ed egli si era trovato di nuovo nel mondo reale. Al dolore per la perdita del giardino incantato si aggiunsero anche l'incomprensione del padre e dei suoi famigliari che non credettero al suo racconto e lo punirono perché troppo “fantasioso”. Col passare del tempo Wallace incominciò a dimenticare il giardino e i suoi meravigliosi abitanti, adeguandosi sempre più al mondo circostante e al modo di pensare del padre, di cui finalmente riceverà il plauso e la stima. Si imbatté altre cinque volte nella porta verde senza mai oltrepassarla, da adolescente perché troppo preso dagli impegni scolastici, da adulto perché troppo preso dalla sua vita sentimentale e personale, ma soprattutto perché troppo impegnato a costruire la sua brillante carriera politica, a cui ha sacrificato tutto, anche la meravigliosa visione del giardino incantato. Ma proprio quando ha ormai raggiunto il successo inseguito per tutta la vita, si rende conto che l'unica cosa veramente importante per lui è quella perduta felicità a cui aveva avuto accesso attraverso la porta verde “Tre volte in un anno la porta si è offerta a me – la porta che conduce alla pace, alla gioia, ad una bellezza inimmaginabile, ad una dolcezza che nessun uomo sulla terra conosce. E l'ho rifiutata, Redmond, e se ne è andata... Così rivela all'incredulo Redmond che ogni notte vaga per la città alla ricerca di quel muro e di quella porta. Il mattino dopo Redmond pensa che l'amico lo abbia preso in giro, ma poi il tono sincero di quelle confidenze gli fanno sorgere il dubbio che, in realtà “quei ricordi, in qualche modo, evocavano, proponevano, suggerivano – non saprei che termmine usare – esperienze altrimenti impossibili da raccontare. E' sicuro che il suo amico fosse sincero, ma non sa dire se “ Egli vide davvero o credette di vedere, se egli veramente possedeva un inestimabile privilegio o era la vittima di un sogno fantastico. Tre mesi dopo questa incredibile confessione i giornali riportano la morte dell'importante uomo politico avvenuta in circostanze poco chiare: Wallace ha per errore oltrepassato una porticina verde che serviva da ingresso agli operai che stavano ampliando la linea ferroviaria di East Kensington, precipitando in un pozzo di collegamento. Questo è ciò che pensa la gente comune, ma Wallace apparteneva a quella categoria speciale che “sono i sognatori, questi uomini di visione e immaginazione” e Redmond si chiede “Ma lui ha visto le cose allo stesso modo?


Con questo interrogativo termina quella che è, a ragione, considerata una delle migliori short story di Wells, in cui l'autore ripropone l'eterno dissidio fra ragione e immaginazione, ma in realtà gli spunti di questo racconto sono molteplici.



Individuo e società: Wallace è definito un “sognatore” che grazie alla sua immaginazione ha il potere di evocare visioni di mondi meravigliosi, ma perché decide di rinunciare a questo “potere” che avrebbe potuto fare di lui un artista o un letterato? Le ragioni vanno trovate nel contesto culturale, sociale e morale di quel particolare periodo storico. Siamo alla fine del periodo edoardiano, che va dalla morte della reggina Vittoria (1901) alla morte di suo figlio Edoardo VII (1911). E' il periodo della Bella Epoque, Edoardo porta nella severa società vittoriana un tocco di eleganza e di gioia di vivere mutuate dal continente e in particolare dalla Francia. Perché se Londra è il cuore di un impero sconfinato, Parigi è la capitale culturale del mondo occidentale. Ma la middle class inglese è ancora legata a quei valori di decoro, dovere e sacrificio che avevano dominato durante tutto il periodo vittoriano e così ben rappresentate dal padre del protagonista. Wallace sente il “peso” del suo ruolo sociale, sente che seguire le sue visioni sarebbe come “tradire” i valori in cui è stato cresciuto dal padre e che pure gli hanno procurato tanta sofferenza. Ancora brucia in lui il ricordo delle punizioni subite in famiglia quando ha cercato di condividere con loro il suo meraviglioso segreto. E così mette il suo genio al servizio della sua carriera, gira le spalle alla porta nel muro, ma questo genera dentro di lui un conflitto che lo consuma e gli preclude ogni felicità, fino alla tragedia finale.



Declino del positivismo: Lo scrittore attraverso la figura di Wallace, rivendica i diritti del singolo a seguire i propri sogni, ad avere una visione autonoma e personale della realtà. L'età edoardiana è un'epoca di sviluppo tecnologico sempre più veloce, come possiamo osservare anche in questo racconto: nell'adolescenza Wallace si muove in carrozza e col treno, nell'età adulta con la macchina, le notizie vengono comunicate in tempo reale attraverso il telefono, il libro magico della donna bruna ci ricorda la scoperta del cinematografo (1895). Il pensiero filosofico dominante è il positivismo che fa coincidere il progresso della società con il progresso della scienza, al concetto di qualità viene sostituito quello della quantità, è la società di massa a scapito del singolo, delle sue istanze, dei suoi sogni e dei suoi desideri. Ma quando il racconto è pubblicato questo modello è stato già messo in crisi dalla psicoanalisi di Freud (1900) che rimette l'individuo al centro dell'attenzione, mentre la fisica newtoniana, che è alla base del pensiero scientifico ottocentesco, è superato dalla fisica quantistica (1900) e dalla relatività di Einstein (1905). Le antiche certezze si vanno sgretolando e Wells, che è anche uno scienziato, ne è ben consapevole. Fra pochi anni lo stesso assetto politico dell'Europa sarà stravolto dalla prima guerra mondiale, che secondo Wells avrebbe dovuto essere l'ultima.

Società industriale vs. natura: La porta nel muro sembra essere un punto di cesura tra la “ugliness” della società industriale e la bellezza della natura e dell'arte. Non a caso, infatti, la porta verde compare per la prima volta in un contesto urbano povero, degradato e caotico. La rivoluzione industriale ha creato delle città tentacolari, dove prima c'era la campagna, ora sorgono squallidi slums. Nel giardino di Wallace, invece, regna la bellezza e l'armonia fra uomo, natura e arte. E in tutta questa perfezione la gente non può che essere felice e amorevole. Certo una visione utopistica dell'uomo e del suo rapporto con la natura, ma necessaria all'economia del racconto, per spiegare quanto grande sia il rimpianto di Wallace, che grazie alle sue capacità di sognatore era riuscito ad andare oltre il muro del materialismo trionfante.

L'eredità del romanticismo: nel racconto ritroviamo molte tematiche ereditate dal romanticismo. La scoperta dell'infanzia come età fondamentale per la formazione dell'adulto: “The Child is father of the Man” asseriva Wordsworth (My heart leaps up...). La contrapposizione immaginazione/ragione “What is now proved was once only imagined.” (William Blake, The Marriage of Heaven and Hell (1790-93). Proverbs of Hell), la visione idealizzata del bambino, che non ancora corrotto dalla società degli adulti, conserva intatte le sua capacità visionarie, destinate a scomparire nell'età adulta: “The things which I have seen I now can see no more.” (Wordsworth, Ode all'immortalità). Al contrario, Wallace conserva le sue capacità visionarie, ma crescendo le rinnega, per omologarsi al modo di pensare comune, intimorito dalla reazione violenta e repressiva degli adulti, finché la metamorfosi è completata ed egli diventa un uomo di successo. “If the doors of perception were cleansed every thing would appear to man as it is, Infinite.” diceva William Blake in uno dei suoi proverbi più famosi (The Marriage of Heaven and Hell). Se Wallace avesse avuto il coraggio di purificare le porte della percezione da ogni pregiudizio, egli sarebbe stato capace di usare la forza dell'immaginazione per spalancare le porte dell'universo: “La conoscenza è limitata, l'immaginazione abbraccia il mondo.” (Albert Einstein)




Background letterario: Il tema del giardino segreto o dell'isola incantata è un tema caro alla letteratura per l'infanzia del primo novecento, il più famoso è sicuramente Peter Pan e la sua isola che non c'è, capolavoro di James Barrie. Il personaggio di Peter ebbe un lunga elaborazione. La prima versione va sotto il titolo di Peter Pan nei giardini di Kensington, tratto da The Little White Bird (1902). Nel 1904 c'è l'edizione teatrale sotto il titolo di Peter Pan, o il ragazzo che non voleva crescere. Questa storia fu poi adattata, ingrandita e trasformata da Barrie in un romanzo pubblicato nel 1911 con il titolo Peter e Wendy, poi Peter Pan e Wendy e infine semplicemente Peter Pan.

Meno conosciuto, forse, ma non meno bello è Il giardino segreto (1910) di Frances Hodgson Burnett, la stesa autrice di Piccolo lord.
























































































     La porta nel muro
          H.G. Wells (1911)

                                                    

                                La porta verde – Giorgio Kienerk, 1920?

                                                            
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Durante una serata di confidenze, meno di tre mesi fa, Lionel Wallace mi raccontò la storia della porta nel muro. E quella volta pensai che, per quello che lo riguardava, fosse una storia vera. Me la raccontò con tanta sincera convinzione che non potei far altro che credergli.  Ma la mattina,  nel mio appartamento, mi svegliai in un diverso stato d'animo e, mentre ero a letto e mi ritornava alla mente tutto quello che mi aveva detto, considerai quella storia francamente incredibile, una volta spogliata del fascino della sua voce sincera e pacata, senza la luce avvolgente della lampada velata e la penombra che circondava lui e i piacevoli oggetti brillanti sul tavolo: le posate e i bicchieri e la tovaglia della cena che avevamo condiviso e che formavano un piccolo mondo splendente separato dalla realtà quotidiana. “Era tutto una mistificazione!” mi dissi, e aggiunsi: “E come l'ha congegnata bene...! E' l'ultima persona al mondo che avrei  ritenuto capace di una cosa del genere.”