domenica 9 ottobre 2016

Uno strano origliare



Fantasmi a New York



Mentre nell'età vittoriana la ghost story era uno spazio per discutere liberamente delle ipocrisie del tempo, in particolare riguardo a sesso, razzismo, classismo e religione, per Algernon Henry Blackwood, (14 Marzo 1869 – 10 Dicembre 1951), le cui esperienze lo avevano lasciato profondamente impressionato dall'isolamento e dall'anonimato della vita nella città postindustriale, non c'era peccato più grande che avesse bisogno di essere esplorato della deumanizzazione urbana. Le sue ghost story seguono le vite di intellettuali marginalizzati con mediocri lavori che conducono vite solitarie confinati in squallidi appartamenti gestiti da avide padrone di casa. I fantasmi che li tormentano sono tutti morti a causa dell'isolamento, la marginalizzazione e la violenza del mercantilismo e del materialismo urbano, e quelli che tormentano sono tutte vittime inconsapevoli delle stesse forze.
Nel racconto Uno strano origliare (ACase of Eavesdropping, 1906 The Empty House and Other Ghost Stories) uno scrittore squattrinato che vive a New York in una squallida camera in quella che una volta era stata un'elegante residenza privata, riesce ad entrare suo malgrado in contatto con i fantasmi dell'antico proprietario distrutto dalla sua avidità e disonestà.

Il protagonista è quel Jim Shorthouse che avevamo già incontrato ne La casa vuota (The empty House vedi mio post del 25/02/13) che per carattere ed esperienze di vita può essere considerato un alter ego dello scrittore: irregolarità degli studi, vita errabonda in Europa ed America del nord (Stati Uniti e Canada) una molteplicità di mestieri, tra cui il giornalista, ma soprattutto l'esperienza di isolamento e violenza che aveva avuto a New York e che lo aveva gettato in uno stato di profonda prostrazione psicologica.




Uno strano origliare






Jim Shorthouse era quel tipo di persona che incasina sempre le cose. Tutto quello che veniva a contatto con le sue mani o la sua mente usciva fuori da tale contatto in uno stato di irrimediabile e inqualificabile caos. I suoi anni al college furono un caos: fu espulso due volte. Gli anni della scuola furono un caos: ne cambiò una mezza dozzina, e ogni volta che passava dall'una all'altra il suo carattere peggiorava e lo stato di caos aumentava. Gli anni della prima adolescenza furono caratterizzati da quella sorta di caos che libri e dizionari scrivono con la lettera maiuscola, e la sua infanzia, ahimè, fu l'incarnazione di un ululante, urlante, ruggente caos.