Napoleone all'improvviso
I
racconti del Wessex
(Wessex
Tales,
1888)
fu
la prima raccolta di racconti brevi pubblicati da Thomas
Hardy.
Contrariamente ai suoi romanzi, queste
storie sono
ambientate
in un tempo anteriore al 1840, prima
che la rivoluzione industriale cambiasse radicalmente il paesaggio
naturale e morale del suo Wessex,
l'antico regno sassone, comprendente oggi quattro contee: Somerset,
Hampshire, Wiltshire e il Dorset. Esso
costituisce allo stesso tempo una realtà
unificante e
uno scenario
protagonista dove
ambientare i suoi racconti popolati
da personaggi ormai archiviati dal progresso: contrabbandieri,
pastori, contadini, artigiani,
cantastorie
e perdigiorno.
In
una brughiera punteggiata da villaggi sperduti e spazzata dal vento
prendono vita i protagonista di sette racconti (A
Tradition of Eighteen Hundred and Four; The Melancholy Hussar of the
German Legion; The Withered Arm; Fellow-Townsmen; Interlopers at the
Knap; The Distracted Preacher ),
di volta in volta comici, macabri, ironici ed elegiaci.
Una
leggenda del 1805
(ATradition of Eighteen Hundred and Four),
è il racconto che apre la raccolta e che dà la cifra narrativa:
queste
'cronache dell'immaginazione' sono presentate da un
narratore-cantastorie, che non coincide con l'autore ma che è a sua
volta una vera e propria dramatis
persona
che attinge ad un materiale pre-testuale, formato dal ricco
patrimonio folcloristico del Dorset, raccogliendolo soprattutto dalla
voce
dei vecchi. Quella
voce
conserva un ruolo preminente, vista le sua funzione produttiva,
rispetto a quella ricettiva dell'ascoltatore-collezionista. Il
racconto diventa così
un'esperienza
collettiva, fulcro della comunità, dove
la memoria diventa protagonista e
mette in relazione gli uomini, creando
un ponte fra passato e presente, tanto
che le vicende narrate non sono 'cronaca', ma sono la
storia
di questo territorio concreto e magico al tempo stesso, fino ad
intrecciarsi con la storia ufficiale e a sostituirsi ad essa.
Ed
è così che questo Proust della brughiera ci racconta come dieci
anni prima, in una notte di pioggia, si sia rifugiato nell'osteria
del villaggio e qui, lui e gli altri avventori, interrompendo le loro
'chiacchiere peregrine,' abbiano raccolto l'incredibile storia del
vecchio Solomon
Selby. Il
vecchio, a sua vota, racconta di vicende accadute nella sua lontana
giovinezza, ai tempi delle guerre napoleoniche, quando
'l'orco corso' aveva deciso di invadere l'Inghilterra. E in una
particolare notte, appena illuminata dalla luna, il ragazzo e lo zio,
di guardia al solitario ovile della famiglia a picco su una baia
nascosta, sono testimoni di un evento incredibile, mai riportato sui
libri di storia: Napoleone in persona sbarcato per cercare il
migliore approdo per la sua flotta di zattere, che al lettore di oggi
ricordano da vicino
quelle
che sbarcheranno in
Normandia
più di cento anni dopo, quando
inglesi e francesi
non saranno più
nemici ma alleati contro il nazismo.
La poetica di Hardy
Thomas
Hardy (1840
- 1928)
nasce in una famiglia di piccoli proprietari terrieri nel
Dorsetshire, terra che ritorna nei suoi romanzi come l’idilliaco
mondo rurale del Wessex, l'antico
regno sassone di re Alfredo il grande,
dove trascorrerà la maggior parte della vita.
Studiò
architettura a Londra, ma ben presto abbandonò
gli studi per dedicarsi alla sua vera passione: la letteratura.
Nel
1871 pubblica Via
dalla pazza folla
(Far
from the Madding Crowd)
che dà inizio alla fase più originale della sua opera: romanzo
pastorale e melodrammatico che pone in primo piano la storia di
contadini consumati dall’asprezza del lavoro e da sogni ingannevoli
sulla crescita sociale.
Hardy
visse in un'età di transizione. La rivoluzione industriale stava
ormai radicalmente trasformando l'agricoltura: le campagne si
spopolavano a favore delle città, causando
la disintegrazione delle tradizioni e dei costumi rurali che aveva
significato
stabilità e sicurezza per la gente comune. Le nuove teorie
scientifiche, in primis il Darwinismo,
stavano scuotendo dalle fondamenta i capisaldi ideologici
e culturali della
società inglese; nuovi competitors, come la Germania e gli Stati
Uniti, minacciavano
la supremazia industriale
ed economica dell'Inghilterra;
alla fine del secolo l'impero, al suo apogeo, iniziava
a tremare
sotto le spinte indipendentiste dei paesi assoggettai.
Veniva
meno l'ottimismo che aveva caratterizzato la prima fase della
rivoluzione industriale e che aveva accomunato lo scrittore e il suo
pubblico, il cui campione era stato Dickens che, pur criticando gli
aspetti negativi della società vittoriana, non aveva mai perso
fiducia nella capacità di autoaffermazione dell'individuo e nel
riformismo sociale.
Per
Hardy, invece, compito dello scrittore era quello di illustrare
"il
contrasto tra la vita ideale desiderata da un uomo e quella reale e
squallida che egli era destinato ad avere";
un destino ostile, maligno, che finisce con l'annientamento della
felicità e della speranza. I
suoi
ultimo romanzi,
Tess
of the D’Urbervilles (1891)
e
Jude
the Obscure
(1895)
sono
così
pessimisti
da
suscitare critiche tanto negative da indurlo da
abbandonare per sempre la prosa per dedicarsi solo alla poesia.
I
suoi
personaggi si confrontano con una natura sorda e distante, a sua
volta sottoposta ai suoi ritmi e alle sue leggi, del tutto
indifferente all'umana sofferenza. Tuttavia, coloro che riescono a
vivere in
armonia con il loro ambente sono di solito più saggi e più
felici,
e
sono gli unici capaci di una palingenesi morale attraverso il dolore.
Accanto
all'importanza della natura, Hardy pone l'accento sul concetto di
tempo, un tempo transeunte,
mutevole, fatto di momenti. Le gioie della vita sono transitorie e la
felicità di un momento è trasformata in dolore un attimo dopo.
Anche le donne, nella loro disperata ricerca dell'amore, concorrono a
questo inevitabile destino di infelicità, essendo più fragili e più
esposte dell'uomo
alla potenza della passioni.
Una
leggenda del 1805
di
Thomas
Hardy
La
possibilità ampiamente dibattuta di un'invasione dell'Inghilterra
attraverso un tunnel sotto il Canale mi ha spesso richiamato alla
mente la storia del vecchio Solomon Selby*.
Ebbi
l'occasione di annoverarmi tra suoi ascoltatori una sera in cui era
seduto nel sonnecchioso angolo accanto al caminetto nella cucina
della locanda, con pochi altri lì convenuti, ed io entrai per
ripararmi dalla pioggia. Rimuovendo il cannello della pipa
dall'incavo tra i denti in cui era abitualmente posizionato, si
ritrasse nella nicchia dietro di lui e sorrise verso il fuoco. Il suo
sorriso non era né gioioso né malinconico, non esattamente
divertito né del tutto pensieroso. Noi che lo conoscevamo lo notammo
all'istante: era il suo sorriso narrativo.
Interrompendo immediatamente le nostre chiacchiere peregrine, ci
avvicinammo e lui iniziò:
“Mio
padre, come voi sapete, ha fatto il pastore per tutta la vita e ha
vissuto nei pressi della baia, a quattro miglia da qui, dove sono
nato e vissuto, fino a quando mi sono trasferito da queste parti poco
prima di sposarmi. Il cottage dove sono venuto al mondo si trovava in
cima alla collina, vicino al mare, non c'era una casa nel raggio di
due chilometri, era stato costruito proprio per accogliere il pastore
della fattoria, e non aveva altra destinazione. Mi dicono che ora
l'hanno buttato giù, ma si può ancora vedere dov'era dai cumuli di
terra e alcuni mattoni rotti che ancora si trovano lì intorno. Era
un posto desolato e cupo in inverno, ma d'estate era abbastanza
bello, sebbene l'orto fosse piuttosto stentato, perché non eravamo
riusciti a tirar su un buon riparo per le verdure e i ribes, che non
prosperano dove c'è troppo vento.
Fisherman's House at Varengeville, Monet 1882
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