mercoledì 21 marzo 2018

Una leggenda del 1805



Napoleone all'improvviso


I racconti del Wessex (Wessex Tales, 1888) fu la prima raccolta di racconti brevi pubblicati da Thomas Hardy. Contrariamente ai suoi romanzi, queste storie sono ambientate in un tempo anteriore al 1840, prima che la rivoluzione industriale cambiasse radicalmente il paesaggio naturale e morale del suo Wessex, l'antico regno sassone, comprendente oggi quattro contee: Somerset, Hampshire, Wiltshire e il Dorset. Esso costituisce allo stesso tempo una realtà unificante e uno scenario protagonista dove ambientare i suoi racconti popolati da personaggi ormai archiviati dal progresso: contrabbandieri, pastori, contadini, artigiani, cantastorie e perdigiorno.
In una brughiera punteggiata da villaggi sperduti e spazzata dal vento prendono vita i protagonista di sette racconti (A Tradition of Eighteen Hundred and Four; The Melancholy Hussar of the German Legion; The Withered Arm; Fellow-Townsmen; Interlopers at the Knap; The Distracted Preacher ), di volta in volta comici, macabri, ironici ed elegiaci.
Una leggenda del 1805 (ATradition of Eighteen Hundred and Four), è il racconto che apre la raccolta e che dà la cifra narrativa: queste 'cronache dell'immaginazione' sono presentate da un narratore-cantastorie, che non coincide con l'autore ma che è a sua volta una vera e propria dramatis persona che attinge ad un materiale pre-testuale, formato dal ricco patrimonio folcloristico del Dorset, raccogliendolo soprattutto dalla voce dei vecchi. Quella voce conserva un ruolo preminente, vista le sua funzione produttiva, rispetto a quella ricettiva dell'ascoltatore-collezionista. Il racconto diventa così un'esperienza collettiva, fulcro della comunità, dove la memoria diventa protagonista e mette in relazione gli uomini, creando un ponte fra passato e presente, tanto che le vicende narrate non sono 'cronaca', ma sono la storia di questo territorio concreto e magico al tempo stesso, fino ad intrecciarsi con la storia ufficiale e a sostituirsi ad essa.
Ed è così che questo Proust della brughiera ci racconta come dieci anni prima, in una notte di pioggia, si sia rifugiato nell'osteria del villaggio e qui, lui e gli altri avventori, interrompendo le loro 'chiacchiere peregrine,' abbiano raccolto l'incredibile storia del vecchio Solomon Selby. Il vecchio, a sua vota, racconta di vicende accadute nella sua lontana giovinezza, ai tempi delle guerre napoleoniche, quando 'l'orco corso' aveva deciso di invadere l'Inghilterra. E in una particolare notte, appena illuminata dalla luna, il ragazzo e lo zio, di guardia al solitario ovile della famiglia a picco su una baia nascosta, sono testimoni di un evento incredibile, mai riportato sui libri di storia: Napoleone in persona sbarcato per cercare il migliore approdo per la sua flotta di zattere, che al lettore di oggi ricordano da vicino quelle che sbarcheranno in Normandia più di cento anni dopo, quando inglesi e francesi non saranno più nemici ma alleati contro il nazismo. 
 

 La poetica di Hardy

Thomas Hardy (1840 - 1928) nasce in una famiglia di piccoli proprietari terrieri nel Dorsetshire, terra che ritorna nei suoi romanzi come l’idilliaco mondo rurale del Wessex, l'antico regno sassone di re Alfredo il grande, dove trascorrerà la maggior parte della vita. Studiò architettura a Londra, ma ben presto abbandonò gli studi per dedicarsi alla sua vera passione: la letteratura.
Nel 1871 pubblica Via dalla pazza folla (Far from the Madding Crowd) che dà inizio alla fase più originale della sua opera: romanzo pastorale e melodrammatico che pone in primo piano la storia di contadini consumati dall’asprezza del lavoro e da sogni ingannevoli sulla crescita sociale.
Hardy visse in un'età di transizione. La rivoluzione industriale stava ormai radicalmente trasformando l'agricoltura: le campagne si spopolavano a favore delle città, causando la disintegrazione delle tradizioni e dei costumi rurali che aveva significato stabilità e sicurezza per la gente comune. Le nuove teorie scientifiche, in primis il Darwinismo, stavano scuotendo dalle fondamenta i capisaldi ideologici e culturali della società inglese; nuovi competitors, come la Germania e gli Stati Uniti, minacciavano la supremazia industriale ed economica dell'Inghilterra; alla fine del secolo l'impero, al suo apogeo, iniziava a tremare sotto le spinte indipendentiste dei paesi assoggettai.
Veniva meno l'ottimismo che aveva caratterizzato la prima fase della rivoluzione industriale e che aveva accomunato lo scrittore e il suo pubblico, il cui campione era stato Dickens che, pur criticando gli aspetti negativi della società vittoriana, non aveva mai perso fiducia nella capacità di autoaffermazione dell'individuo e nel riformismo sociale.
Per Hardy, invece, compito dello scrittore era quello di illustrare "il contrasto tra la vita ideale desiderata da un uomo e quella reale e squallida che egli era destinato ad avere"; un destino ostile, maligno, che finisce con l'annientamento della felicità e della speranza. I suoi ultimo romanzi, Tess of the D’Urbervilles (1891) e Jude the Obscure (1895) sono così pessimisti da suscitare critiche tanto negative da indurlo da abbandonare per sempre la prosa per dedicarsi solo alla poesia.
I suoi personaggi si confrontano con una natura sorda e distante, a sua volta sottoposta ai suoi ritmi e alle sue leggi, del tutto indifferente all'umana sofferenza. Tuttavia, coloro che riescono a vivere in armonia con il loro ambente sono di solito più saggi e più felici, e sono gli unici capaci di una palingenesi morale attraverso il dolore.
Accanto all'importanza della natura, Hardy pone l'accento sul concetto di tempo, un tempo transeunte, mutevole, fatto di momenti. Le gioie della vita sono transitorie e la felicità di un momento è trasformata in dolore un attimo dopo. Anche le donne, nella loro disperata ricerca dell'amore, concorrono a questo inevitabile destino di infelicità, essendo più fragili e più esposte dell'uomo alla potenza della passioni.



Una leggenda del 1805
di
Thomas Hardy




La possibilità ampiamente dibattuta di un'invasione dell'Inghilterra attraverso un tunnel sotto il Canale mi ha spesso richiamato alla mente la storia del vecchio Solomon Selby*.
Ebbi l'occasione di annoverarmi tra suoi ascoltatori una sera in cui era seduto nel sonnecchioso angolo accanto al caminetto nella cucina della locanda, con pochi altri lì convenuti, ed io entrai per ripararmi dalla pioggia. Rimuovendo il cannello della pipa dall'incavo tra i denti in cui era abitualmente posizionato, si ritrasse nella nicchia dietro di lui e sorrise verso il fuoco. Il suo sorriso non era né gioioso né malinconico, non esattamente divertito né del tutto pensieroso. Noi che lo conoscevamo lo notammo all'istante: era il suo sorriso narrativo. Interrompendo immediatamente le nostre chiacchiere peregrine, ci avvicinammo e lui iniziò:
Mio padre, come voi sapete, ha fatto il pastore per tutta la vita e ha vissuto nei pressi della baia, a quattro miglia da qui, dove sono nato e vissuto, fino a quando mi sono trasferito da queste parti poco prima di sposarmi. Il cottage dove sono venuto al mondo si trovava in cima alla collina, vicino al mare, non c'era una casa nel raggio di due chilometri, era stato costruito proprio per accogliere il pastore della fattoria, e non aveva altra destinazione. Mi dicono che ora l'hanno buttato giù, ma si può ancora vedere dov'era dai cumuli di terra e alcuni mattoni rotti che ancora si trovano lì intorno. Era un posto desolato e cupo in inverno, ma d'estate era abbastanza bello, sebbene l'orto fosse piuttosto stentato, perché non eravamo riusciti a tirar su un buon riparo per le verdure e i ribes, che non prosperano dove c'è troppo vento.


Fisherman's House at Varengeville, Monet 1882