venerdì 27 ottobre 2023

YUKI-ONNA

 

Bianca come la neve...


La storia di fantasmi che vi propongo oggi, intitolata YUKI-ONNA, appartiene al folklore giapponese ed è tratta dalla raccolta di racconti soprannaturali di Lafcadio Hearn Kwaidan: Stories and Studies of Strange Things. Hearn noto anche con lo pseudonimo di Koizumi Yakumo (小泉八雲?; Leucade, 1850 – Tokyo, 1904), fu giornalista, scrittore e iamatologo irlandese naturalizzato giapponese, famoso per i suoi scritti sul Giappone.

Hearn dichiara nella sua introduzione alla prima edizione del libro, che scrisse il 20 gennaio 1904, poco prima della sua morte, che la maggior parte di queste storie erano tradotte da vecchi testi giapponesi (probabilmente con l'aiuto di sua moglie, Setsu Koizumi). Egli afferma anche che Yuki-onna gli fu raccontata da un agricoltore della Provincia di Musashi, e che la sua, per quanto fosse a sua conoscenza, ne era la prima trascrizione.

Le yuki-onna, o donna delle nevi, sono creature soprannaturali del folclore giapponese. Sono donne bellissime eppure spietata nell'uccidere gli incauti viandanti durante le tempeste di neve, con cui si confondono a causa del candore della loro pelle. Ma anche il loro gelido cuore può essere toccato dall’amore, come accade in questa storia.

 

Curiosità:

Nel folklore popolare il biancore della neve viene spesso associato alla bellezza femminile, Biancaneve ne è un esempio. Lo stesso Andersen scrisse La regina delle nevi (Sneedronningen, 1844) una delle fiabe più lunghe di Andersen, e fra quelle più apprezzate. Anche qui l’algida bellezza della protagonista è associato ad un gelido cuore.

Entrambe le fiabe hanno ispirato due fortunati film d’animazione della Disney, rispettivamente: Biancaneve e i sette nani (1937), e il più recente Frozen (2013)



Dello stesso autore:

La storia di Mimi-nashi-Hoichi ( pubblicato il 25- 1- 2015)




YUKI-ONNA

di

Lafcadio Hearn




In un villaggio nella provincia di Musashii, vivevano due taglialegna: Mosaku e Minokichi. Al tempo di cui vi parlo, Mosaku era un vecchio e Minokichi, suo apprendista, era un ragazzo di diciotto anni. Ogni giorno, si recavano insieme in una foresta situata a circa cinque miglia dal loro villaggio. Sulla strada per la foresta c’è un ampio fiume da attraversare e c’è anche un traghetto. Là dove c’è il traghetto, avevano costruito un ponte diverse volte, ma ogni volta il ponte era stato trascinato via dalla piena. In quel punto, nessun ponte comune può resistere alla corrente quando il fiume si alza.

Una fredda sera d’inverno, Mosaku e Minokichi stavano tornando a casa, quando furono sorpresi da un tremenda tempesta di neve. Raggiunsero il traghetto e scoprirono che il barcaiolo era andato via, lasciando la barca sull’altra riva del fiume. Non era giornata per nuotare, così i taglialegna trovarono rifugio nella capanna del traghettatore, considerandosi fortunati di aver trovato un riparo, qualunque fosse. Non c’era un braciere nella capanna, né un posto dove fare fuoco: era una capanna larga solo due metri per due, con un’unica porta e nessuna finestra. Mosaku e Minokichi chiusero la porta e si stesero a terra per riposare, coprendosi con le loro mantelle di paglia. Dapprincipio non sentirono troppo freddo e pensarono che la tempesta sarebbe finita molto presto.

Il vecchio si addormentò quasi immediatamente, ma il ragazzo, Minokichi, rimase sveglio per molto tempo, ascoltando l’infuriare del vento e il continuo sferzare della neve contro la porta. Il fiume ruggiva e il capanno oscillava e scricchiolava come una giunca sul mare. Era una tempesta tremenda e l’aria diventava ogni momento più fredda, e Minokichi tremava sotto la sua mantella. Ma alla fine, a dispetto del freddo, si addormentò anche lui.

Fu svegliato da uno scroscio di neve sulla faccia. La porta del capanno era stata aperta con la forza e, grazie al bagliore della neve (yuki-akari), vide una donna nella stanza – una donna tutta vestita di bianco. Era piegata su Mosaku e gli stava alitando addosso: il suo respiro era simile ad un luminoso fumo bianco. Quasi nello stesso momento, si voltò verso Minokichi, e si chinò su di lui. Il ragazzo tentò di gridare, ma scoprì che non riusciva ad emettere alcun suono.

La donna bianca si piegò su di lui, sempre più vicino, finché la sua faccia quasi lo toccò, e lui vide quanto era bella, anche se i suoi occhi lo spaventarono. Per un beve momento, lei continuò a guardarlo, poi sorrise e sussurrò: “Volevo trattarti come l’altro uomo. Ma non posso fare a meno di provare pietà per te, perché sei così giovane… Sei un bel ragazzo, Minokichi, e non ti farò del male, per il momento. Ma, se mai dirai a qualcuno, fosse anche tua madre, quello che hai visto questa notte, io lo saprò e allora ti ucciderò… Ricorda quello che dico!”

Con queste parole, si alzò e se ne uscì dalla porta. Il ragazzo, allora, riuscì a muoversi, si alzò di scatto e si guardò intorno. Ma non poté vedere la donna da nessuna parte, mentre la neve entrava furiosamente nella capanna. Minokichi chiuse la porta e la assicurò fissandoci diverse tavolette di legno. Si chiese se l’avesse spalancata il vento, pensò che doveva avere soltanto sognato e che forse aveva scambiato il bagliore della neve nel vano della porta con la figura di una donna bianca, ma non poteva esserne certo.

Chiamò Mosaku e si spaventò perché il vecchio non rispondeva. Allungò la mano nel buio e toccò la faccia di Mosaku e scoprì che era di ghiaccio! Mosaku era morto stecchito…

Col giungere dell’alba, la tempesta si placò e quando il traghettatore ritornò alla sua postazione, poco dopo il sorgere del sole, trovò Minokichi disteso a terra privo di sensi, accanto al corpo gelato di Mosaku. Minokichi fu immediatamente soccorso e subito rinvenne, ma rimase a lungo malato per gli effetti del freddo di quella terribile notte.

Era rimasto molto impressionato anche dalla morte del vecchio, ma non disse niente riguardo alla visione della donna vestita di bianco. Appena si rimise, ritornò al suo lavoro. La mattina andava da solo nella foresta e ritornava al calar della sera con le sue fascine di legna, che la madre aiutava a vendere.

Una mattina, l’inverno dell’anno seguente, mentre stava tornando a casa, si imbatté in una ragazza che stava facendo la sua stessa strada. Era una ragazza alta e slanciata, di bell’aspetto, e rispose al saluto di Minokichi con una voce piacevole all’orecchio come quella di un usignolo. Quindi, la affiancò e iniziarono a parlare.

La ragazza disse che il suo nome era O-Yukiii, che aveva perso i genitori recentemente e che stava andando a Yedoiii dove aveva dei parenti poveri che potevano aiutarla a trovare un lavoro come serva. Minokichi si sentì immediatamente affascinato da quella strana ragazza e più la guardava, più gli sembrava bella. Le chiese se era già fidanzata, lei rispose, ridendo, che era libera.

Poi, a sua volta, la ragazza chiese a Minokichi se era sposato o promesso sposo, e lui le disse che, sebbene avesse soltanto una madre vedova da mantenere, la questione di un’onorevole nuora non era ancora stata considerata, dal momento che era molto giovane… Dopo queste confidenze, continuarono a camminare per un bel pezzo senza parlare, ma, come dice il proverbio, Ki ga aréba, mé mo kuchi hodo ni mono wo iu: “quando c’è il desiderio, gli occhi dicono quanto la bocca.”

Quando giunsero al villaggio, si piacevano ormai moltissimo, e così Minokichi chiese a O-Yuki di riposarsi un poco a casa sua. Dopo una timida esitazione, andò con lui e sua madre la accolse con benevolenza e le preparò un pasto caldo. O-Yuki si comportò così educatamente che la madre di Minokichi le si affezionò immediatamente e la persuase a posticipare il suo viaggio a Yedo. E la naturale conclusione di tutto ciò fu che Yuki non andò mai a Yedo. Rimase nella casa come un’onorevole nuora.

O-Yuki si dimostrò un’ottima nuora. Quando la madre di Minokichi fu prossima a morire, quasi cinque anni dopo, le sue ultime parole furono parole di affetto e di stima per la moglie di suo figlio. E O-Yuki diede a Minokichi dieci figli, maschi e femmine, tutti bellissimi e dalla pelle molto chiara.

La gente di campagna considerava O-Yuki una splendida persona, di una natura diversa dalla loro. La maggior parte delle contadine invecchiava presto, ma O-Yuki, anche dopo essere diventata madre di dieci figli, appariva giovane e fresca come quando era arrivata al villaggio la prima volta. Una sera, dopo che i bambini erano andati a dormire, O-Yuki stava cucendo alla luce di una lampada di carta e Minokichi, guardandola, disse:

Vederti cucire qui, con la luce sulla faccia, mi fa pensare a una strana cosa che mi successe quando ero un ragazzo di diciotto anni. Allora vidi una donna bella e bianca come sei tu adesso, in effetti, era proprio uguale a te.”

Senza sollevare gli occhi dal lavoro, O-Yuki rispose:

Parlami di lei… Dove la vedesti?”

Allora Minokichi le raccontò di quella terribile notte nella capanna del traghettatore – e della Donna Bianca che si era chinata su di lui, sorridendo e sussurrando – e della morte silenziosa di Mosaku. E disse:

Addormentato o sveglio, quella fu l’unica volta in cui vidi un essere bello come te. Naturalmente, non era un essere umano, e io ne avevo paura – tanta paura – ma era così bianca!… In effetti, non sono mai stato sicuro se fosse un sogno quello che vidi, o la Donna della neve.”…

O-Yuki gettò a terra il suo lavoro di cucito, si alzò e si chinò su Minokichi, che era seduto, e gli gridò in faccia:

Ero io, io, io! Ero io, Yuki! E allora ti dissi che ti avrei ucciso se ne avessi fatto parola con qualcuno!… Ma per amore di quei bambini che dormono , potrei ucciderti all’istante! E ora, farai bene a prenderti estrema cura di loro, perché se mai avessero motivo di lamentarsi di te, ti tratterò come meriti!”

Sebbene stesse gridando, la sua voce divenne sottile, come il fruscio del vento, poi si dissolse in una brillante nebbia bianca che volteggiò fino alle travi del tetto e sparì attraverso il foro di uscita del fumo.



FINE

i Un’antica provincia, i cui confini includono gran parte dell’odierna Tokyo e parte delle prefetture di Saitama e Kanagawa.

ii Questo nome significa ‘neve’ e non è insolito. (N.d.A.)

iii Scritto anche Edo, l’antico nome di Tōkyō. (N.d.A.)