domenica 15 dicembre 2013

A spasso nel tempo





 AUGURI DI BUONE FESTE....
 con un po' di  mistero


Non è facile parlare di paradossi temporali, soprattutto per le sue inevitabili implicazioni etiche: siamo in grado di cambiare il nostro futuro cambiando il nostro passato (Ritorno al futuro), o qualunque sforzo è inutile perché il corso del tempo è immutabile (Samarcanda di Vecchioni)? La fisica quantistica sembra dare una terza possibilità se accettiamo la teoria dei molti mondi che vede il tempo come un fiume che si biforca in diversi rami, formando universi distinti (Sliding Doors).
Nella Macchina del tempo (1895) di H.G. Wells la scienza e la tecnologia forniscono per la prima volta gli strumenti per viaggiare nel tempo Nel 1952 Ray Bradbury nel breve racconto A Sound of Thunder  anticipa il concetto di “effetto farfalla” (il termine fu coniato dal metereologo del MIT Edward Lorenz nei primi anni '60) secondo cui calpestare accidentalmente una farfalla preistorica durante un safari temporale, può causare nel futuro effetti imprevedibili e drammatici.
Fredric Brown, maestro del paradosso, nel breve racconto Experiment (1954) ha usato il tema dei viaggi nel tempo per metterci in guardia nei confronti di un progresso scientifico che viaggia a velocità esponenziale superando limiti fino ad a ieri considerati invalicabili. C'é poi la grande paura degli anni '50, quella della catastrofe atomica scatenata da un gesto inconsulto o, peggio, casuale: basta premere il bottone sbagliato per scatenare l'inferno, proprio come accade al professor Johnson e ai suoi colleghi che portano avanti il loro esperimento dimenticando quanto sia pricoloso “giocare a dadi” con le leggi che regolano il nostro universo.


Esperimento 
FREDRIC BROWN 
 Illustrato da STONE




“Signori, la prima macchina del tempo,” fu l'orgoglioso annuncio del professor Johnson ai suoi colleghi. “In effetti, è un modello in scala ridotta. Può operare solo con oggetti che non pesino più di un chilo e mezzo e per distanze nel futuro o nel passato non superiori ai dodici minuti. Ma funziona.” Il modellino in scala ridotta rassomigliava ad una piccola bilancia – come quelle per pesare la posta – se non per due quadranti posti proprio sotto il vassoio. Il professor Johnson mostrò un piccolo cubo di metallo. “L'oggetto del nostro esperimento,” disse, “è un cubo di ottone che pesa mezzo chilo. Per prima cosa, lo manderò cinque minuti avanti nel futuro.” Si chinò e regolò uno dei due quadranti della macchina del tempo. “Controllate i vostri orologi,” disse. Gli altri due controllarono i loro orologi. Il professor Johnson sistemò delicatamente il cubo sul piatto della macchina. Scomparso. Cinque minuti dopo, precisi al secondo, riapparve.

venerdì 6 dicembre 2013

Capitan Omicidio



L'ultima moglie di Barbablù





Capitan Omicidio è tratto da The Uncommercial Traveller (inedito in Italia), composta da una serie di sketches e racconti che contribuirono alla rivista settimanale All the Year Round (1859-1895), di cui Dickens era editore.
Secondo Dickens, sono proprio le bambinaie, con le loro storie paurose, a creare gli "angoli bui" della nostra mente, popolati da esseri malvagi e vecchie canaglie come Capitan Omicidio, diretto discendente di quell'assassino seriale che era Barbablù. Come il suo antenato, lo scopo della sua vita è sposare giovani fanciulle innocenti, per poi sacrificarle al suo appetito cannibalesco, infatti, ad un mese esatto dopo il matrimonio le poverette finiscono tagliate a pezzetti e messe in una torta salata, il cui impasto è preparato inconsapevolmente da loro stesse. Questa catena di matrimoni e omicidi viene interrotta solo grazie al coraggio di una giovane donna desiderosa di vendicare la morte della sua gemella. Il finale è sorprendente e pur esulando dalla formula dell'happy end tanto caro al pubblico vittoriano, si concluderà con la punizione del Capitano, che resterà vittima della sua stessa malvagità.
Capitan Omicidio è una fiaba crudele, pervasa da uno humour nero che non ci aspetteremmo di trovare nel repertorio di Dickens, tanto è vero che l'autore, nella breve introduzione, sente la necessità di attribuirne la responsabilità alle bambinaie, che raccontano ancora ai bambini le fiabe paurose della tradizione popolare, che l'età vittoriana aveva rimosso, sostituendole con storie e racconti edificanti considerati da Dickens “letteratura che rende stupidi”, d'accordo con un altro esimio vittoriano, quel Lewis Carroll che in Alice nel paese delle meraviglie (1865), mise alla berlina tutti i pregiudizi del suo tempo nei confronti dei bambini, considerati adulti in fieri che dovevano essere educati all'obbedienza attraverso una letteratura per l'infanzia melensa e, quella sì, omicida della loro fantasia e della loro curiosità.
Questa ostilità era accresciuta dal fatto che le fiabe tradizionali trattavano anche del rapporto fra i sessi, argomento ossessivamente rimosso dalla cultura vittoriana. Il bambino, infatti, era considerato un essere puro, al riparo, per sua natura, da ogni inclinazione morbosa o violenta e veniva lasciato solo con le sue ansie e le sue paure, che doveva imparare a reprimere per conformarsi ai valori “positivi” imposti dagli adulti. I cattivi delle fiabe, invece, lo aiutavano a riconoscere e ad affrontare gli “angoli bui” e a sconfiggerli. Proprio come  l'ultima moglie di Capitan Omicidio, che grazie all sua curiosità e al suo coraggio, riesce a liberarsi di quel marito tirannico e crudele.
La fiaba si conclude con l'immagine liberatoria dei cavalli bianchi di Capitan Omicidio (alter ego delle sue spose innocenti “macchiate” dalla sua crudeltà) che spezzano le pastoie che li tengono prigionieri irrompendo in una corsa selvaggia e travolgente. 
TESTI CONSIGLIATI 
💟
Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe (brossura)
di Bruno Bettelheim - Feltrinelli - 2013

💟
Capitan Omicidio. Con poster (illustrato, brossura)
di Charles Dickens, Fabian Negrin - Orecchio Acerbo - 2012





CAPITAN OMICIDIO

Charles Dickens (1812-1870)
tratta da All the Year Round, Sep. 8, 1860.


Se tutti noi conoscessimo la nostra mente (in un senso più ampio dell'accezione popolare di quella espressione), sospetto che troveremmo le nostre bambinaie responsabli della maggior parte di quegli angoli bui a cui, pur contro la nostra volontà, siamo costretti a ritornare. 



                        Charles Dickens dipinto da Robert William Bussmentre mentre dorme                          nel suo studio a Gad's Hill Place, Higham, Kent 1875.
 
Il primo personaggio diabolico che si insinuò nella mia pacifica giovinezza fu un certo Capitan Omicidio. Quel miserabile deve essere stato un discendente della famiglia di Barba Blu, ma allora non avevo il minimo sospetto riguardo a questa consanguineità. Del resto, il suo nome allarmante non sembrava suscitare alcun pregiudizio nei suoi confronti, infatti, era ammesso nella migliore società e possedeva immense ricchezze. 

domenica 24 novembre 2013

Lo sposo fantasma



Un americano nella Selva Nera



Eccoci di nuovo in compagnia di Washington Irving e dei suoi racconti di fantasmi. Questo che vi propongo, Lo sposo fantasma (The Spectre Bridegroom), é tratto dal The Sketch Book of Geoffrey Crayon, Gent.(1819-1820). La storia è ambientata in un antico castello tedesco, il cui proprietario, il barone Landshort (poca terra), vive in compagnia dell'unica bellissima figlia e di una comitiva di parenti poveri che vivono a scrocco alla sua tavola e lo assecondano nella sua passione per le storie di spiriti. La ragazza è promessa dal padre ad un giovane di nobile casato che nessuno conosce di persona. Il giorno del matrimonio lo sposo è trucidato dai briganti sulla via per il castello. Il suo compagno di viaggio si assume il triste incarico di portare la ferale notizia alla sposa, ma complici la bellezza della fanciulla, la loquacità del barone e, soprattutto, la sua passione per il soprannaturale, le cose andranno altrimenti
 
L'autore, o meglio il suo alter ego, asserisce di aver a scoltato questo racconto in Olanda, durante una sosta in una locanda (“quel tempio della vera libertà”), da un “vecchio svizzero corpulento”, più interessato ad una prosperosa fantesca che alla storia che stava raccontando. Lo stesso autore confessa di ricordare la storia soprattutto per lo spirito con cui fu narrata e per il bizzarro aspetto del narratore. Il contenuto del racconto, poi, non è nemmeno originale, ma suggerito da una “storiella francese”. Sembra quasi che Irving stia facendo il verso a quei critici che lo definiranno “autore elegante ma di poca inventiva.” Gran parte delle sue storie, infatti, attingono al folklore europeo, in particolare quello tedesco. Irving, insomma, attinge a quel materiale mitico che oggi chiamiamo immaginario collettivo. Non gli interessa fingere che queste storie siano originali, quello che è importante è l'atto del narrare. Né gli interessa il concetto di verosimiglianza, l'autenticità delle sue storie è nel fatto che tutti le considerano autentiche: che cosa sarebbe la letteratura senza quella “willing suspensionof dibilief” invocata da Colleridge? Nel momento stesso in cui Irving sembra farsi beffe della credulona passione per il soprannaturale del Barone e della sua combriccola di parenti affamati e scrocconi, non fa altro che rivendicare l'autonomia della letteratura, che egli considera “arte dell'inutile”, in contrapposizione alla morale utilitaristica della nascente borghesia mercantile e industriale: “Poiché non avevo altro modo di trascorrere una serata tediosa e ventosa, presi posto davanti alla stufa e ascoltai svariate storie di viaggiatori, alcune stravaganti, altre noiosissime.”





LO SPOSO FANTASMA

Washington Irving
(1783-1859)


Colui per cui la cena è pronta,
Stanotte, credo, giace freddo gelato!
Ieri alla sua camera l'ho condotto,
Questa notte Sir Gray-steel gli ha fatto il letto!
-Sir Eger, Sir Graheme e Sir Gray-steel. 1




Castello medievale nel Lichtenstein - Germania


Sulla sommità di una della cime dell'Odenwald, una zona selvaggia e romantica della Germania settentrionale situata non lontana dalla confluenza del Meno e del Reno, c'era, moltissimi anni fa, Il castello del barone von Landshort. Adesso è completamente in rovina e quasi seppellito da faggi e fitti abeti; al di sopra, comunque, si può ancora vedere la sua vecchia torre di guardia che combatte, come il suo antico proprietario, per tenere alta la testa e dominare la regione circostante. Il barone era l'ultimo erede della grande casato dei Katzenellenbogen 2, ed aveva ereditato tutto l'orgoglio dei suoi antenati insieme a ciò che restava delle loro proprietà. Sebbene l'attitudine bellicosa dei suoi predecessori avesse impoverito di molto i possedimenti di famiglia, tuttavia il barone riusciva ancora a conservare una parte dell'antica grandezza. I tempi erano pacifici e i nobili tedeschi, in generale, avevano abbandonato i loro scomodi castelli aviti, appollaiati tra le montagne come nidi di aquila, e avevano costruito residenze molto più confortevoli a valle; il barone, invece, continuava a rimanere orgogliosamente asserragliato nella sua piccola fortezza, tenendo in vita con ostinazione ereditaria tutte le vecchie faide di famiglia, così che era in cattivi rapporti con alcuni dei suoi vicini più prossimi, a causa di dispute che erano nate tra i loro bis-bis nonni.

domenica 27 ottobre 2013

L'album del canonico Alberico





Un professore tra i fantasmi



Montague Rhodes James (Goodnestone Parsonage, 1º agosto 1862 – 12 giugno 1936) è stato uno scrittore, storico, noto studioso medievalista e bibliofilo, ricordato oggi per i suoi racconti vittoriani di fantasmi, firmati come M. R. James. Studiò prima ad Eaton e poi al King's Colleddge di Cambridge, di cui fu poi rettore. E sarà prorprio questo “uomo di Cambridge,” questo raffinato antiquario che riuscirà a innovare e dare nuova linfa ai racconti di fantasmi, che iniziò a scrivere per intrattenere gli amici durante le feste natalizie. James capì che i fantasmi dovevano lasciare i castelli desolati e i sotterranei bui del racconto gotico per invadere il quotidiano. I suoi fantasmi non sono anime in pena, ma entità melvole e demoniache che mettono l'uomo mederno e il suo scetticismo di fronte all'inesplicabile. I fenomeni soprannaturali invadono il quotidiano con gradualità, spesso stemperati da dettagli di banale quotidianità o arricchiti di dettgli eruditi: rinuncia al sensazinalismo per creare emozioni filtrate dall'intelletto e dalla cultura. E la novità di questo approccio è stata colta e apprezzata dallo stesso H.P. Lovecraft: “Pur impiegando un tocco leggero, il dottr James sa evocare gli aspetti più atrocemente impressionanti della paura e dell'orrore, e certamente, in questo inquietante ambito, rimarrà sempre come uno dei pochi narratori dotati di originale creatvità”
L'album del canonico Alberico (Canon Alberic's Scrap-Book) è il primo racconto della prima collezione di storie di fantasmi pubblicata da Montague Rhodes James, Storie di fantasmi di un antiquario (Ghost Stories of an Antiquary). Il libro apparve nel 1904, ma L'album del canonico Alberico era stato scritto nel 1894 e pubblicato subito dopo sulla National Review. La storia fu ispirata a James da un viaggio fatto qualche anno prima a Saint-Bertrand-de-Comminges, ai piedi dei Pirenei nel sud della Francia, per visitarne la cattedrale. L'aspetto decadente di quella che una volta era stata una prestigiosa sede vescovile deve aver colpito profondamente lo studioso di antichità medievali, al punto di trsformarlo in uno scrittore di racconti dell'orrore. Le condizioni di rovina della città gli forniscono la perfetta ambientazione per un'apparizione diabolica: essa richiama alla mente del protagonista, un inglese di nome Denniston appassionato di libri antichi, le parole del profeta Isaia quando parla dei mostri notturni che infestano le rovine di Babilonia. Ma il vero protagonista della storia è prorio l'album del titolo, uno pseudo-biblium (antenato del più famoso Neconomicon di H.P. Lovecraft) costruito con i ritagli di misteriosi codici miniati che lo scrittore descrive con la perizia del bibliofilo, creando un manufatto arricchito da citazioni latine fasulle, riferimenti ad episodi della Bibbia e a personaggi realmente esistiti, in un sapiente miscuglio di verosimile e vero, che contribuisce a creare l'atmosfera spiazzante del racconto. Lo stesso canonico Alberico è l'erede fittizio di un personaggio storico, quel Jaen de Mauleon vescovo di Comiges nel XVI secolo. E per dare ancora più verosimiglianza al tutto, l'autore veste i panni del confidente: egli ci riferisce la terrificante avventura vissuta dal suo amico Denniston, quasi a prendere egli stesso le distanze da ciò che racconta.







L'ALBUM DEL CANONICO ALBERICO
DI M. R. JAMES, 1894




 1850 for "Les Pyrenees Monumentales Et Pittoresques" by Andre Gorse.


St. Bertrand de Comminges è una cittadina in decadenza sui contrafforti dei Pirenei, non lontana da Tolosa e ancora più vicina a Bagnères-de-Luchon. Fu sede vescovile fino alla rivoluzione e ha una cattedrale che è visitata a un certo numero di turisti. Nella primavera del 1883 un inglese arrivò in questo luogo del vecchio mondo –mi è difficile fregiarlo del nome di città, perché non vi sono nemmeno mille abitanti. Era uno studioso di Cambridge, che era venuto da Tolosa proprio per visitare la chiesa di san Bertrando e aveva lasciato due amici, che erano archeologi meno appassionati di lui, nel loro hotel a Tolosa, con la promessa di raggiungerlo il giorno dopo. Una mezz'ora in chiesa sarebbe stata sufficiente per loro e dopo tutti e tre avrebbero potuto proseguire il viaggio in direzione di Auch. 

martedì 23 luglio 2013

L'assassinio del mandarino

 
Un Mandarino per Vera


Arnold Bennett nacque ad Hanley, Staffordshire, nel 1867. Dopo aver frequentato la London University (senza riuscire a laurearsi), lavorò come impiegato nello studio di avocato del padre, ma il lavoro a lui poco congeniale e l'avarizia paterna, tema che riapparirà in molti dei suoi romanzi, lo convinsero a lasciare per sempre lo Stratfordshire e a trsferirsi a Londra dove intraprese la carriera giornalistica, arrivando a ricoprire il ruolo di vice direttore della rivista Woman. Contemporaneamente, iniziò la sua prolifica carriera di scrittore che lo porterà a pubblicare romanzi, commedie e saggi di successo. La gran parte dei suoi romanzi sono ambientati là dove era nato e cresciuto, nel famoso distretto delle ceramiche dello Stratfordshire, conosciuto col nome di the Potteries. Egli si ispirò al grande romanzo realista francese, in particolare alle opere di Maupassant e nel 1903 si trasferì a Parigi dove risiedette per circa otto anni e dove ebbe modo di incontrare le personalità più eminenti dell'epoca. Sposò l'attrice francese Marguerite Soulié, da cui più tardi divorzierà. Durante la prima guerra mondiale fu coinvolto con atri scrittori in un grande progetto di propaganda bellica. Dopo la guerra si stabilì nell'Essex con l'attrice Dorothy Cheston, da cui ebbe la figlia Virginia. Morì a Londra nel 1931 di febbre tifoidea, contratta probabilmente durante una sua visita in Francia. Fu l'ultimo scrittore a cui fu tributato l'onore di cospargere di paglia la strada sotto casa per non turbare la sua agonia.
Sebbene durante la sua vita fosse stato uno scrittore estremamente popolare sia in Inghilterra che negli Stati Uniti, dopo la morte la sua popolarità fu offuscata dalla critica tranchant di Virginia Woolf. In Mr Bennett and Mrs Brown del 1924, un'articolata riflessione sul rinnovamento del romanzo, Woolf attacca la narrativa edoardiana di ispirazione realistica, in particolare quella di Arnold Bennett, condannandone l’eccessiva concentrazione sui dettagli materiali, a scapito dell’interesse per la psicologia del personaggio. Oggi, tuttavia, le sue opere più importanti sono ancora lette, in particolare Anna of the Five Towns (1902), The Old Wives' Tale (1908) e quelle che formano la trilogia di Clayhanger Clayhanger (1910), Hilda Lessways (1911) e These Twain (1916).
Il racconto che vi propongo, L'assassinio del Mandarino, è tratto dalla raccolta The Grim Smile of the Five towns (1902), la cui location trae ispirazione dalle sei città che costituivano le così dette Potteries. Le cinque città reali sono Tunstall, Burslem, Hanley, Stoke-upon-Trent and Longton, a cui corrispondono nella fiction Turnhill, Bursley, Hanbridge, Knype and Longshaw. Il distretto, una volta ricco e fiorente grazie alla produzione di vasellame, era una tipica zona industriale: inquinata e avvelenata dai sali di piombo usati dalle industrie locali, (di cui il paesaggio porta ancora oggi le cicatrici), e con uno skyline caratterizzato dalle tipiche ciminiere a forma di bottiglia, circa quattromila allora (ne restano ancora quarantasei oggi), da cui usciva il fumo nero e denso del carbone bruciato nelle fornaci. Bennett, memore della lezione dei grandi realisti francesi, descrive la vita della gente comune, le sue difficoltà e i suoi drammi, ma in questa raccolta di racconti usa un tono leggero e ironico. L'idea di base gli venne suggerita dal così detto paradosso del Mandarino che compare nel Papà Goriot di Honoré de Balzac. In cosa consiste? Se vi dicessero che scuotendo un campanello potete uccidere un Mandarino della lontana Cina (all’epoca forse lo era di più) e ottenerne così i suoi beni, senza venire mai scoperti, lo fareste? Il tema, che evidentemente affascinò i salotti dell’ottocento, è più volte ripreso da vari scrittori, ma la versione più interessante è quella data dallo scrittore portoghese José Maria Eça de Queirós nel suo O Mandarim del 1880.
L'eroina, Vera Cheswardine, donna bella, elegante e capricciosa, ha sostituito il culto dell'eleganza e dell'apparire agli ideali di frugalità e operosità che avevano ispirato la comunità delle Potteries, sotto l'influenza della potente chiesa Metodista locale. Ma Vera non è esattamente una donna frivola e leggera, al contrario si rende ben conto dei propri limiti intellettuali: “Odiava vedere la vita sotto una luce inconsueta, Odiava pensare.”  Sa che la bellezza e l'eleganza sono la sua unica arma per conquistarsi un ruolo nella propria comunità: “Vera era diventata la donna meglio vestita di Bursley. E non è poco.” Ma soprattutto, la bellezza è l'unica arma che ha per tener testa al marito, ricco industriale, discendente di una di una dinastia di industriali arricchitisi con la ceramica, oculato e intransigente amministratore del proprio patrimonio: Il grande Stephen le proibiva in modo assoluto di procurarsi alcunché a credito. Lei lo temeva. Sapeva bene fin dove poteva arrivare con Stephen. Egli, pur amando la moglie, ha nei suoi confronti un atteggiamento di paternalistico autoritarismo, tipico del pater familias vittoriano. Ma la loro non è certo la tipica famiglia vittoriana: “Vedete, lei era l'unica bambina della casa. Invidiava le altre mogli e i loro bebè. Ma dal momento che i frugoletti si divertivano a scendere giù dai camini di tutte le altre case di Bursley evitando la sua, cercò conforto negli abiti.” A questo va aggiunto lo strano ménage a trois di cui fa parte l'amico di famiglia, da sempre innamorato senza speranza di Vera: Woodruff, dopo essere stato testimone degli sposi, continuò ad amarla, sommessamente e con filosofia.E proprio l'intersecarsi di queste tre sensibilità darà l'avvio a questa bizzarra vicenda: da una parte la cultura pseudo-scientifica di Woodruff, che si nutre di stampa popolare, dall'altro la rigida amministrazione del denaro da parte di Mr. Cheswardine e al centro Vera, con la sua smania di apparire e le sue mani bucate; sullo sfondo la potenza del danaro, unico strumento per l'affermazione personale e la realizzazione delle proprie ambizioni, costi quel che costi.

Curiosità:
In onore di Bennett il cuoco del Savoy Hotel di Londra inventò la omelette alla Bennett (videoricetta della BBC)
Nel 1960 il formidabile duo Garinei e Giovannini, trasse dal racconto O Mandarim dello scrittore portoghese José Maria Eça de Queirós (1880) la commedia musicale “Un mandarino per Teo”, con uno scanzonato inno al danaro “Soldi,soldi, soldi” molto prima degli Abba.
Richard Matheson, scomparso di recente, si ispirò al paradosso del mandarino per il suo racconto Button, Button (Uncanny Stories, 2008). Dal racconto fu tratto anche un episodio della ormai mitica serie televisiva TheTwilight Zone.



L'ASSASSINIO DEL MANDARINO

di
Arnold Bennett (1902)


Watercolour - Tunstall, the Potteries, 1937 - Ronald



I

Cos'è che state dicendo riguardo all'assassinio?” chiese Mrs. Cheswardine, mentre entrava nell'ampio soggiorno, portando il vassoio con la cena. “Poggialo qua,” disse il marito, riferendosi al vassoio e indicando un tavolino sistemato davanti al focolare, con due gambe dentro e due gambe fuori dal tappeto. Quel grembiule ti dona immensamente.” mormorò Woodruff, l'amico di famiglia, mentre allungava le sue lunghe gambe contro il parafuoco in direzione delle fiamme, perfino oltre le lunghe gambe di Cheswardine. Ciascuno dei due uomini occupava una poltrona posta su ciascun lato del focolare, erano tutti e due molto alti e avevano tutti e due quarant'anni. 

giovedì 30 maggio 2013

La casa del giudice


Il re dei ratti



Abraham “Bram” Stoker (Dublino 1847 – Londra 1912) è considerato fra i maggiori esponenti del gotico vittoriano.
Dopo un’infanzia segnata da gravi malattie che lo costringono a trascorrere a letto i primi sei anni della sua vita, guarisce improvvisamente in un modo che i medici definiscono miracoloso. Fu durante questi anni che sviluppò il suo amore per la lettura e per il folclore gaelico, popolato da figure vampiresche come le
Leannansidhe. Si laureò a pieni voti in matematica al Trinity College di Dublino e vinse il campionato di atletica all'università. Conobbe anche Oscar Wilde e fu assiduo frequentatore della sua casa a Merrion Square. Nel 1877 lasciò il suo lavoro di impiegato presso il Dublin Castle per diventare l'impresario dell'attore Henry Irving. Nel 1878 sposò Florence Balcombe, raffinata bellezza preraffaellita, già amata da Oscar Wilde. Intanto scrive racconti neo gotici, anche per arrotondare i magri introiti. Nel 1897 pubblicò Dracula (primo titolo The Dead Undead). La stesura del suo capolavoro durò sette anni. Per documentarsi, lo scrittore prese fiumi di appunti sul folclore locale delle varie regioni inglesi, ma l'incontro più importante fu quello con lo studioso ungherese Arminius Vambery, che consigliò a Stoker quali testi leggere sulla figura storica di Vlad Tapes, detto Dracul (figlio del drago o del diavolo), a cui attingerà per creare il suo personaggio. La figura del vampiro aveva già fatto il suo ingresso nella letteratura inglese nel 1819, anno della pubblicazione de Il Vampiro di John Polidori, medico personale di Lord Byron che sarà anche il modello di questo primo vampiro dal fascino fatale ma molto mondano, e che stabilisce l'archetipo del vampiro come metafora di quella seduzione sessuale di cui sarebbe stato impossibile parlare apertamente a causa dell'ipocrita morale del tempo. Meno raffinato ma di gran successo fu il romanzo popolare di autore incerto Varny il vampiro (1847), un penny dreadful, venduto a puntate nelle strade di Londra, al prezzo di un penny, appunto. Questo vampiro ha molte delle caratteristiche del futuro Dracula: denti aguzzi, di cui lascia i segni sul collo delle sue vittime, una forza sovrumana, la capacità di ipnotizzare, un'inestinguibile sete di sangue. Ma l'autore che ha maggiormente influenzato Stoker è un altro illustre irlandese, Sheridan Le Fanu, che nel 1872 pubblicò il racconto Carmilla (In a Glass Darkly,1872), ambientato in Austria, che ha come protagonista una misteriosa vampira e il suo potere di seduzione su fanciulle giovani e innocenti. Grazie al successo dei suoi romanzi e racconti, Stoker presto può dedicarsi esclusivamente alla letteratura e compiere lunghi viaggi per il mondo. Muore a Londra nel 1912.


La casa del giudice (The Judge’s house) è pubblicato per la prima volta nel 1891 nella rivista Illustrated Sporting and Dramatic News. Nel 1914, viene pubblicato postumo nella raccolta Dracula's Guest And Other Weird Stories.

Il racconto narra la storia di Malcom Malcomson, uno studente di matematica dell'università di Cambridge che, in cerca di tranquillità per prepararsi all'esame di laurea, si reca in una sonnolenta cittadina scelta a caso sull'orario ferroviario. Ma nemmeno la quiete della locanda del posto è abbastanza per lui, così, andando a zonzo nei dintorni del paese, viene attratto da una vetusta dimora ormai disabitata, sorella minore dei terrificanti castelli gotici di Walpole o Mrs. Radcliff, con mura spesse come una fortezza e una campana d’allarme sul tetto. L'agente immobiliare è fin troppo felice di affittargliela, anche per sfatare le non meglio specificate 'voci' che girano sulla vecchia casa. Quando il giovane dice alla padrona della locanda dove andrà a stabilirsi, la donna ha una reazione allarmata, ma non riesce a dire cosa esattamente c'è che non va in quel luogo che tutti chiamano 'la casa del giudice' perché appartenuta, qualche secolo prima, a un giudice spietato e vendicativo, che godeva nel dispensare a pioggia condanne a morte e nel presenziare alle esecuzioni. Il giovane, forte del suo sapere scientifico, si fa burla di queste paure irrazionali, e si stabilisce nella grande sala da pranzo della casa. Intanto i topi, antichi abitatori della casa, abituatisi alla presenza dello studente, riprendono a scorrazzare nella soffitta e dietro i pannelli di legno che rivestono la sala. Il giovane, divertito più che spaventato, va in giro per la stanza in cerca delle tane dei topi, che sembrano abitare ogni crepa di quelle vecchie mura. Due cose, comunque, attirano la sua attenzione, i quadri appesi alle pareti ormai così anneriti da essere indistinguibili e la lunga corda della campana di allarme che pende dal soffitto, proprio vicino ad un'antica seggiola di legno intagliato accanto al focolare. Ed è proprio su quella seggiola che, preannunciato da un improvviso silenzio, scenderà, calandosi lungo la corda della campana, un enorme ratto dagli occhi malevoli, che fugge solo quando il giovane lo minaccia con lo spiedo e sparisce in un buco nel quadro che, dopo essere stato ripulito dalla fuliggine, risulta essere il ritratto del defunto giudice, seduto sulla vecchia seggiola di legno accanto al focolare, con la corda della campana dietro e lo stesso sguardo malefico di quello che sembra essere la sua reincarnazione topesca.








LA CASA DEL GIUDICE (1891)
DI
BRAM STOKER







Quando la data del suo esame si avvicinò, Malcolm Malcolmson decise di andare a studiare da qualche parte da solo. Temeva allo stesso modo sia le distrazioni del mare che il completo isolamento della campagna, perché un tempo ne aveva conosciuto le attrattive, così decise di trovare una piccola città senza pretese, dove non ci fosse nulla che lo distraesse. Si trattenne dal chiedere suggerimenti a qualcuno dei suoi amici, perché arguiva che ciascuno gli avrebbe raccomandato un posto che aveva già frequentato e dove aveva delle conoscenze. Dal momento che Malcolmson desiderava evitare gli amici, non aveva alcuna intenzione di sobbarcarsi le attenzioni degli amici degli amici, così decise di andare a cercarsi un posto per conto suo. Riempì una valigia con alcuni abiti e tutti i libri che gli servivano, quindi prese un biglietto per la prima località dell'orario ferroviario che non conoscesse.

sabato 13 aprile 2013

Il diavolo nella bottiglia

Difficile, l'amore ai tropici
   
Nel 1889 Robert Louis Stevenson (Edimburgo, 13 novembre 1850 – Vailima, 3 dicembre 1894) era ormai un autore amato e rispettato sia in Europa che negli Stati Uniti, grazie al successo incontrato dai suoi romanzi più famosi come Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde o L'isola del tesoro. Influenzato dalle opere di Melville, accettò l'invito di un editore a scrivere un volume sui mari del Sud e partì, con la famiglia, per una crociera verso le isole Marchesi (Polinesia francese), Tahiti e le isole Sandwich. La sua salute, da sempre cagionevole a causa di problemi polmonari, ebbe un tale miglioramento che lo scrittore decise di stabilire la sua dimora a Upolu, la principale delle isole Samoa. Qui visse dal 1890 fino alla morte, rispettato dagli indigeni che lo chiamavano Tusitala, ("narratore di storie"). E' a questo periodo che risale la raccolta di quattro racconti An Island Night's Entertainments (1839), scritta per un pubblico polinesiano, di cui il più famoso è certamente Il diavolo nella bottiglia (The Bottle Imp). Il racconto è considerato uno dei capolavori dello Stevenson, che nella narrazione riesce a fondere i temi a lui più cari: l'avventura, l'amore per i viaggi, il fascino dell'esotismo. Ma man mano che lo scrittore viene a contatto con la cultura di quei popoli, l'atteggiamento di gioiosa scoperta lascia il passo all'interesse morale e alla sincera solidarietà per le esigenze umane e sociale dei nativi. Ed è così che questa narrazione favolistica si tinge dei colori morali dell'eterna lotta tra il bene ed il male, e accanto allo Stevenson cantastorie, ritroviamo il rigore calvinista che aveva condotto il Dr. Jekyll all'autodistruzione. Ma forse il vero limite del Dr. Jekyll è la sua solitudine, il suo orgoglio che gli impediscono di trovare aiuto e solidarietà negli altri: è il perfetto figlio della società vittoriana. Ma qui, ai tropici, dove la ricchezza non ha senso se non può essere condivisa con gli altri, dove il valore di un uomo è anche quello dei suoi amici, dove l'amore è spontaneo e totale, il protagonista riuscirà a riscattarsi grazie al coraggio e alla coerenza morale della donna amata.

Il protagonista di questa storia di sapore faustiano è Keawe, un povero marinaio hawaiano, che durante uno dei suoi viaggi acquista per pochi dollari un'antica bottiglia, dimora di un demone capace di soddisfare ogni suo desiderio. La condizione, si sa, è sempre la stessa: l'anima dello sciagurato possessore. Apparentemente, c'è una via d'uscita: riuscire a rivendere a qualcun altro la bottiglia. Ma il diavolo si nasconde nei dettagli. La bottiglia, infatti, può essere ceduta solo ad un prezzo sempre inferiore a quello precedente. Sebbene terrorizzato da una visione dell'inferno quanto mai tangibile (le anime dei dannati rosolate sulle fiamme dell'inferno come in un barbecue hawaiano, fumo e diavoli spaventosi dappertutto), Keawe cede alla sua cupidigia e ottiene dal diavolo una splendida casa e denaro sufficiente per una vita di agi. Quando riesce a vendere la bottiglia, si sente finalmente in salvo. Ma il diavolo non abbandona facilmente le sue prede. Il tempo passa e Keawe si innamora della dolcissima Kokua, ma proprio prima delle nozze scopre di essersi ammalato di lebbra. E così, contrariamente a quello che si era riproposto, egli dovrà di nuovo ricorrere ai favori della bottiglia maledetta. Ma, quando finalmente riesce a rintracciarla, questa ha cambiato così tante mani e il suo prezzo è così basso che chi la compera non riuscirà più a rivenderla. Nonostante tutto, Keawe è così innamorato da rischiare la dannazione eterna. Ma il matrimonio non è felice: Keawe ha sempre davanti agli occhi le fiamme dell'inferno e trascura la giovane moglie, che finisce con l'attribuire a una sua mancanza l'atteggiamento del marito. Quando finalmente Keawe trova il coraggio di confessare alla moglie ciò che lo tormenta, la giovane donna, forte della buona educazione ricevuta alla scuola dei bianchi, convince il marito a partire per Tahiti, colonia francese, dove ci sono monete sottomultipli del cent americano: avranno così la possibilità di altre compravendite. Ma le persone avvicinate, appena scoprono il terribile prezzo da pagare, fuggono via inorridite, mentre Keawe sprofonda in una disperazione senza fine. Kokua, allora, grazie ad uno stratagemma, compra lei stessa la bottiglia, pur di vedere felice l'uomo che ama. Ma ora tocca a lei essere tormentata dalla consapevolezza della dannazione eterna al punto da non riuscire a condividere la ritrovata serenità del marito. Questo atteggiamento indispettisce l'ignaro Keawe, che pensa di aver venduto la bottiglia ad uno sconosciuto. A questo punto, sarà proprio Kokua a mettere il marito di fronte alla sua ambiguità morale:

O my husband!" said Kokua. "It is not a terrible thing to save oneself by the eternal ruin of another? It seems to me I could not laugh. I would be humbled. I would be filled with melancholy. I would pray for the poor holder."
 
Salvare la propria anima al prezzo della rovina eterna di qualcun altro: la consapevolezza della loro cinica condotta morale potrebbe essere la perfetta conclusione dell'apologo racchiuso in questa storia. Ma non dimentichiamo che questa è anche una fiaba, dove magia e realtà convivono sullo stesso piano, spingendo il destino dei Keawe e Kokua verso una felice conclusione. E qui entra in scena un quanto mai improbabile deus ex machina, un nostromo bianco ubriacone e brutale, autentico pendaglio da forca, che permetterà alla fiaba di avere il suo immancabile happy end, lasciando il diavolo a bocca asciutta!


                            
                        IL DIAVOLO NELLA BOTTIGLIA
                            di Louis Robert Stevenson


AITUTAKI - DONNA SULLA SPIAGGIA


C'era un uomo dell'isola di Hawaii 1, che chiamerò Keawe, perché, a dire il vero, è ancora vivo e il suo nome deve rimanere segreto, ma il suo luogo di nascita non era lontano da Honaunau, dove le ossa di Keawe 2 il grande giacciono nascoste in una caverna. Quest'uomo era povero, coraggioso e laborioso e sapeva leggere e scrivere come un maestro di scuola, inoltre, era un marinaio di prim'ordine: aveva navigato per un certo tempo sui battelli a vapore dell'isola e lavorato come timoniere in una nave baleniera lungo e coste di Hamakua. A lungo andare, nella mente di Keawe si fece strada l'idea di dare un'occhiata al vasto mondo e alle città straniere, così si imbarcò su un vascello diretto a San Francisco. 

lunedì 25 febbraio 2013

La casa vuota

--> Il buio oltre la porta 
 
Algernon Henry Blackwood (Shooter's Hill, 14 marzo 1869 – 10 dicembre 1951) è stato uno scrittore inglese di romanzi horror e soprannaturali. Studiò al Wellington College ed intraprese diverse carriere tra cui quella di agricoltore in Canada, di direttore di un albergo e di giornalista per una rivista di New York, prima di trasferirsi nel New England e cominciare a scrivere racconti horror. Superati i trenta anni, decise di ritornare in Inghilterra, dove iniziò a scrivere racconti soprannaturali. Collaborò con la BBC per leggere i suoi racconti sia in radio che in televisione. Scrisse dieci libri di racconti brevi, quattordici romanzi e numerose opere teatrali, che ottennero un certo successo di pubblico e di critica. Tra le sue opere più famose ricordiamo The Willows, influenzata profondamente dai viaggi di Blackwood sul Danubio, che narra la storia di due campeggiatori che scelgono il luogo sbagliato per trascorrere la notte; The Wendigo, ambientata in Canada, è la storia di un gruppo di cacciatori che si imbatte nella leggendaria creatura.
Di lui H.P. Lovecraft ha scritto “E' il maestro assoluto e indiscusso delle atmosfere soprannaturali.” (Supernatural Horror in Literature, cap. X). E, in effetti, autori come Blackwood e M.R. James sono riconosciuti maestri nella creazione di atmosfere soprannaturali attraverso un accumulo di indizi e colpi di scena che portano al climax, creando un'immagine culminante così potente da far sembrare insoddisfacente la conclusione stessa della storia.
Fra le sue creazioni la più originale è quella del detective dell'occulto John Silence (ispirato, probabilmente, dal personaggio del Dottor Hasselius di Le Fanu), un barbuto medico sulla quarantina, la cui passione per il soprannaturale lo porta ad affrontare casi eccezionali tra occultismo, licantropia e presenze paranormali. John Silence è il precursore di un vastissimo immaginario pop, che va dalla serie televisiva Ai confini della realtà fino ai più recenti Dylan Dog e Dr House.
Il racconto che vi propongo La casa vuota, fu pubblicato per la prima vota nel 1906 in una collezione di short story intitolata The Empty House and Other Ghost Stories. Protagonisti della storia sono Jim Shorthouse “Un giovanotto piuttosto comune” e la sua anziana zia Giulia, una vecchia zitella con la passione per la ricerca psichica. I due decidono di introdursi nottetempo in una casa dove si dice che accadano fenomeni così spaventosi da far fuggire tutti i suoi inquilini. Per il giovane Shorthouse questa avventura diventa una sorta di prova iniziatica, dove potrà mettere alla prova la sua capacità di autocontrollo di fronte alla “vera paura”, prova resa ancora più ardua dal fatto che egli dovrà farsi carico non solo della sua paura, ma anche di quella della sua fragile, ancorché temeraria, zia Giulia. Ma la vera protagonista della storia è proprio la casa. Apparentemente, una squallida casa di periferia, del tutto simile alle sue squallide vicine, ma le violenze commesse al suo interno le danno un'aura di malvagità quasi palpabile. Una volta varcata la porta d'ingresso, i nostri tragicomici eroi si troveranno calati in una perfetta atmosfera gotica: fitte tenebre, rumori inspiegabili, ratti grossi come gatti, semiinterrati maleodoranti, il labirinto delle camere della servitù nel sottotetto, il tutto tenuto insieme dalla spirale infinita delle scale, proprio come in un'incisione di Piranesi. Ed è su queste scale che tutte le sere si ripete lo stesso orrore. Ma se il lettore si aspetta di trovare dettagli orrifici o sanguinolenti, rimarrà deluso. Blackwood riesce a costruire un'atmosfera di terrore servendosi di pochi e significativi dettagli, l'horror vero va in scena nella mente dei nostri protagonisti. La casa diventa così la metafora del buco nero del loro inconscio, non più luogo sicuro e accogliente, ma possibile teatro di violenze e crudeltà, in controtendenza con la retorica vittoriana del “focolare domestico”.




La casa vuota
Algernon Blackwood, 1906






Certe case, come certe persone, riescono, non si sa come, a proclamare immediatamente la loro propensione al male. Nel caso di queste ultime, non necessariamente vengono tradite da qualche tratto particolare: possono vantare un atteggiamento aperto e un sorriso ingenuo, e tuttavia, solo un po' di tempo in loro compagnia lascia l'inalterabile convinzione che c'è qualcosa di radicalmente sbagliato nel loro modo di essere: sono malvagie. Volenti o nolenti, sembrano emanare un'aura di pensieri segreti e perversi, che fa arretrare quelli che si trovano nella loro immediata vicinanza come se si trattasse di una cosa infetta.