domenica 20 dicembre 2020

Il dono più grande

 

Speriamo che vada meglio


 

Non riuscendo a trovare un editore perThe Greatest Gift,” Philip Van Doren Stern (1900–84) stampò 200 copie del suo racconto e le usò come cartoline del Natale del 1943, in piena guerra. Da questo modesto inizio, era nato un classico. Il racconto di Van Doren Stern arrivò nelle mani del regista Frank Capra, che disseL’ho cercato per tutta la vita.”

Nel 1946 Capra ne trasse il film La vita è meravigliosa (It’s a Wonderful Life), interpretato da un immenso James Stewart. 

Pur avendo avuto ben tre nomination (miglior film, migliore attore, miglior regista) non ricevette nemmeno un Oscar. Resta tuttavia una pietra miliare del cinema di tutti i tempi, il testamento spirituale di Capra, un film che mostra l'orrore e la realtà dell'America del dopoguerra il cui solo antidoto contro il vento freddo dell’opportunismo e dell’avidità personale è la solidarietà, l'utopia della piccola comunità.



Curiosità:

🌲La trilogia di Ritorno al futuro di Robert Zemeckis ha attinto a piene mani sia dal racconto che dal film di Capra.





Il dono più grande

 

PHILIP VAN DOREN STERN




La piccola città, sparsa sulle pendici della collina, era illuminata dalle luci colorate del Natale. Ma George Pratt non le vedeva. Era chino sul parapetto del ponte di ferro, fissando pensieroso le acque nere. La corrente turbinava vorticosamente come vetro liquido e occasionalmente un pezzo di ghiaccio, staccatosi dalla riva, galleggiava giù a valle per finire divorato dalle ombre sotto il ponte. L’acqua sembrava di un freddo paralizzante. George si chiese quanto tempo un uomo potesse sopravvivere lì dentro. Quella lucida oscurità aveva su di lui un effetto strano, ipnotico. Si sporse un po’ di più oltre il parapetto…

Non lo farei se fossi in lei,” disse con calma una voce al suo fianco.

George si voltò irritato verso un ometto che non aveva mai visto prima. Era robusto, ben oltre la mezza età, e le sue guance erano rosee nell’aria invernale come se fossero state appena rasate.

Non farei cosa?” chiese George con tono scontroso.

Quella che stava pensando di fare.”

Cosa ne sa di quello che stavo pensando?”

Oh, il nostro lavoro è proprio quello di sapere un sacco di cose,” disse pacatamente lo straniero.

George si chiese quale fosse il lavoro dell’uomo. Era una persona assolutamente insignificante, il tipo a cui passereste accanto nella folla senza mai notarlo. A meno che non vediate i suoi luminosi occhi azzurri, cioè. Non potreste dimenticarli, perché erano gli occhi più gentili e penetranti che abbiate mai visti. Di lui, niente altro era degno di nota. Indossava un vecchio cappello di pelo mangiucchiato dalle tarme, un malandato cappotto teso al massimo sulla sua pancia tonda. Portava una borsa a tracolla nera. Non era la borsa di un dottore – era troppo grande per quello e non era della forma giusta. Era il campionario di un commesso viaggiatore, decise George con disprezzo. Quel tipo era probabilmente una specie di venditore ambulante, uno di quelli che se ne andava in giro a ficcare il suo piccolo naso affilato negli affari degli altri.

 

 

Sembra che voglia nevicare,” disse lo straniero, volgendo uno sguardo indagatore al cielo nuvoloso. “Sarà bello avere un bianco Natale. Stanno diventando sempre più rari al giorno d’oggi, come tante altre cose.” Si voltò a guardare George direttamente in faccia. “Si sente bene adesso?”

Certo che sto bene. Cosa le ha fatto pensare il contrario? Io...” George rimase in silenzio davanti allo sguardo tranquillo dello straniero.

L’ometto scosse la testa. “Sa che non dovrebbe pensare a queste cose – e tanto meno alla vigilia di Natale! Lei deve pensare a Mary… e anche a sua madre.”

George aprì la bocca per chiedere come lo straniero potesse sapere il nome di sua moglie, ma quello lo anticipò.

Non mi chieda come conosca queste cose. E’ il mio lavoro conoscerle. Questo è il motivo per cui sono venuto quaggiù questa notte. E per fortuna.” Guardò giù all’acqua scura e rabbrividì. “Allora, se lei sa tutte queste cose su di me,” disse George, “mi dia una sola buona ragione per cui dovrei vivere.”

L’ometto fece una strana risatina. “Suvvia, non può andare così male. Lei ha un lavoro alla banca. E Mary e i bambini. E’ giovane e in salute e...”

E stufo di tutto!” gridò George. “Sono bloccato in questo buco per la vita, a fare lo stesso noioso lavoro giorno dopo giorno. Altri uomini conducono una vita eccitante, ma io… ebbene, sono solo un impiegato di banca di questa piccola città che nemmeno l’esercito ha voluto. Non ho mai fatto niente di utile o interessante, e pare che non ci riuscirò mai. Potrei anche essere morto. Sarebbe meglio che fossi morto. A volte vorrei esserlo. Anzi, vorrei non essere mai nato!”

L’ometto rimase a fissarlo nella crescente oscurità. “Cosa ha detto?” chiese dolcemente.

Ho detto che vorrei non essere mai nato,” ripeté George con fermezza. “Ne sono convinto.”

Le guance rosee dello straniero si accesero per l’eccitazione. “Ma questo è meraviglioso! Ha trovato la soluzione. Temevo che mi avrebbe dato dei problemi. Ma ecco che lei stesso ha trovato la soluzione. Vorrebbe non essere mai nato. Benissimo! OK! Così sia!”

Cosa vuole dire?” grugnì George.

Lei non è nato. Soltanto questo. Lei non è nato. Nessuno la conosce. Non ha alcuna responsabilità – niente lavoro – niente moglie – niente bambini. Beh, non ha nemmeno una madre. Non potrebbe averla, naturalmente. Tutti i suoi guai sono finiti. Sono felice di dirle che il suo desiderio è stato esaudito – ufficialmente.” “Sciocchezze!” George sbuffò e andò via.

Lo straniero lo rincorse e lo afferrò per un braccio. “Farebbe meglio a prendere questa con lei,” disse, porgendogli la sua borsa. “Le aprirà tante porte che altrimenti le sarebbero chiuse in faccia.”

Quali porte nella faccia di chi?” sbottò George. “Conosco tutti in questa città. E poi, mi piacerebbe vedere qualcuno sbattermi la porta sulla faccia.”

Sì, lo so,” disse pazientemente l’ometto. “Ma la prenda comunque. Non può farle alcun danno e potrebbe esserle d’aiuto.” Aprì la borsa e gli mostrò un certo numero di spazzole. “La sorprenderebbe quanto possano essere utili queste spazzole come presentazione – specialmente quelle gratis. Queste, voglio dire.” Tirò fuori una semplice spazzoletta per capelli. “Le farò vedere come si usa.” Spinse la valigetta nelle riluttanti mani di George e iniziò: “Quando la padrona di casa esce sulla porta, le dia questa e poi parli velocemente. Deva dire: ‘Buona sera, signora. Sono della World Cleaning Company e voglio farle omaggio di questa bella e utile spazzola assolutamente gratis – senza nessun obbligo di comprare qualcosa.” Dopo, naturalmente, è uno scherzo. Adesso provi lei.”

George lasciò subito cadere la spazzola nella valigetta e armeggiò con il lucchetto, riuscendo finalmente a chiuderlo con uno scatto rabbioso. “Ecco,” disse, e poi di colpo si fermò, perché non c’era più nessuno. Il piccolo straniero doveva essere scivolato via tra i cespugli che crescevano lungo la riva del fiume, pensò George. Di sicuro, non aveva voglia di mettersi a giocare a nascondino con lui. Era quasi buio e diventava più freddo ad ogni minuto. Rabbrividì e sollevò il colletto del cappotto.


I lampioni erano stati accesi e dietro i vetri delle finestre brillavano dolcemente le candele di Natale. La piccola città sembrava incredibilmente allegra. Dopo tutto, il posto dove era cresciuto era l’unico posto sulla terra dove poteva veramente sentirsi a casa. George provò un’improvvisa esplosione di affetto perfino per il vecchio burbero Hank Biddle, davanti alla cui casa stava passando. Ricordò la lite che aveva avuto quando la sua macchina aveva grattato via un pezzo della corteccia del grande acero di Hank. George guardò su all’ampio dispiegarsi dei rami spogli che torreggiavano su di lui nelle tenebre. L’albero doveva essere lì fin dai tempi degli indiani. Sentì un improvviso senso di colpa per il danno che aveva fatto.

 


 

Non si era mai fermato ad osservare la ferita, perché solitamente aveva paura perfino che Hank lo beccasse ad osservare l’albero. Ora, si avviò baldanzosamente al bordo della carreggiata per esaminare il grande tronco. Hank doveva aver riparato la ferita o l’aveva ridipinta, perché non ce n’era traccia. George accese un fiammifero e si chinò per guardare più da vicino. Si rialzò con una strana, inquietante sensazione nello stomaco. Non c’era nessuna ferita, La corteccia era liscia e senza danni. Ricordò quello che gli aveva detto l’ometto sul ponte. Era tutta una sciocchezza, naturalmente, ma la ferita scomparsa lo preoccupava.

Quando arrivò alla banca, vide che qualcosa non andava bene. L’edificio era buio, e lui sapeva di aver acceso la luce del caveau. Notò, poi, che le tendine non erano state tirate giù. Corse sul davanti dell’edificio. C’era un vecchio cartello scolorito attaccato alla porta. George riuscì a malapena a leggere le parole:


SI AFFITTA O SI VENDE

Rivolgersi JAMES SILVA

Agenzia Immobiliare.


Forse era lo scherzo di qualche ragazzo, pensò in un primo momento. Poi vide un mucchio di vecchie foglie e brandelli di giornali sulla soglia della banca solitamente immacolata. E sembrava che le finestre non fossero state lavate da chissà quanti anni. Dall’altra parte della strada c’era ancora una luce accesa nell’ufficio di Jim Silva. George attraversò di corsa e spalancò la porta. Jim sollevò sorpreso gli occhi dal suo libro mastro.

Cosa posso fare per lei, giovanotto?” disse con la voce gentile che riservava ai possibili clienti.

La banca,” Disse George senza fiato. “Che problema c’è?”

Il vecchio edificio della banca?” Jim Silva si girò e guardò fuori dalla finestra. “Nessun problema, da quello che posso vedere. Ha per caso intenzione di comprarlo o affittarlo?”

Intende dire che… ha cessato l’attività?”

Da almeno dieci anni. Ha fatto bancarotta. Lei non è di queste parti, vero?”

George si appoggiò sopraffatto alla parete. “Sono stato qui qualche tempo fa,” disse con un filo di voce.

La banca allora andava bene. Conoscevo anche alcune persone che ci lavoravano.”

Conosceva un certo Marty Jenkins?”

Marty Jenkins! Ma lui...” George stava per dire che Marty non aveva mai lavorato alla banca – non avrebbe potuto, infatti, perché finita la scuola, tutti e due avevano cercato lavoro alla banca e solo George lo aveva ottenuto. Ma ora, naturalmente, le cose erano cambiate. Doveva fare attenzione.

No, non lo conoscevo,” disse lentamente. “Non veramente, cioè. Ne avevo sentito parlare.”

Allora forse avete sentito parlare di come se l’è filata con cinquantamila dollari. Ecco perché la banca fallì. Quasi tutti rovinati da queste parti.” Silva lo osservò attentamente. “Per un minuto ho sperato che forse sapeva dov’è. Io stesso ho perso parecchio in quella bancarotta. Ci piacerebbe mettere le mani su Marty Jenkins.”

Non aveva un fratello? Mi sembra che avesse un fratello di nome Arthur.”

Art? Oh, certo. Ma è uno a posto. Non sa dove è andato suo fratello. Ha avuto un effetto terribile anche su di lui. Iniziò a bere, proprio così. E’ un peccato – e a prendersela con sua moglie. Ha sposato una bella ragazza.”

George sentì di nuovo quella sensazione inquietante nello stomaco. “Chi ha sposato?” Domandò con voce roca. Sia lui che Art avevano corteggiato Mary.

Una ragazza che si chiama Mary Thatcher,” disse Silva allegramente. “Vive sulla collina, proprio di fianco alla chiesa – Ehi! Dove sta andando?”

Ma George era fuggito via dall’ufficio. Oltrepassò correndo la banca e si diresse su per la collina. Per un momento pensò di andare subito da Mary. La casa di fianco alla chiesa gli era stata regalata dal padre di lei come dono di nozze. Naturalmente l’aveva avuta Art Jenkins se aveva sposato Mary. George si chiese se avevano figli. Allora si rese conto che non poteva affrontare Mary – non ancora, comunque. Decise di far visita ai suoi genitori e scoprire di più su di lei.

C’erano candele accese alle finestre della vecchia casa segnata dalle intemperie situata sulla traversa della strada, e una ghirlanda natalizia era appesa al pannello di vetro della porta. George sollevò il chiavistello del cancello con uno scatto rumoroso. Un’ombra nera sul portico saltò su e iniziò a ringhiare. Quindi, si precipitò giù per i gradini, abbaiando ferocemente.

Brownie!” gridò George. “Brownie, vecchia matta, smettila! Non mi riconosci?”

Ma il cane avanzò minaccioso e lo respinse dietro il cancello. La luce del portico si accese, e il padre di George uscì fuori per richiamare il cane. I latrati divennero un basso, rabbioso ringhiare. Suo padre trattenne il cane per il collare mentre George gli passò davanti con cautela. Si rese conto che suo padre non lo aveva riconosciuto.

C’è la padrona di casa?” domandò.

Suo padre indicò la porta. “Entri,” disse cordialmente. “Voglio legare il cane. Può essere cattiva con gli estranei.”

Suo madre, che aspettava nell’ingresso, naturalmente non lo riconobbe. George aprì il campionario e afferrò la prima spazzola che gli venne a portata di mano.


Buona sera, signora,” disse educatamente. “Lavoro per la World Cleaning Company. Stiamo distribuendo una spazzola come campione omaggio. Pensavo che le piacerebbe averne una. Senza impegno. Senza nessun impegno...” la voce gli venne meno.

Sua madre sorrise alla sua goffaggine. “Suppongo che voglia vendermi qualcosa. Non sono proprio sicura di aver bisogno di una spazzola.”

Nossignora. Non voglio venderle niente,” la rassicurò. “Il venditore ufficiale sarà da queste parti tra pochi giorni. Questo è solamente… beh, solo un regalo di Natale da parte della ditta.”

Davvero gentile,” disse la madre.”Voialtri non avete mai dato via spazzole così belle prima.”

Questa è un’offerta speciale,” disse George. Suo padre entrò nell’ingresso e chiuse la porta.

Non volete entrare un pochino e sedervi” disse sua madre. “Dovete essere stanco dopo tanto camminare.”

Grazie, signora. Non mi dispiacerebbe.” Entrò nel salottino e poggiò la borsa sul pavimento. La stanza sembrava un po’ diversa, anche se no riusciva a capire perché.

Conoscevo abbastanza bene questa città,” disse per fare conversazione, “Conoscevo alcune persone del posto. Mi ricordo una ragazza che si chiamava Mary Thatcher. Ho sentito che ha sposato Art Jenkins. Sono certo che li conoscete.”

Naturalmente,” disse sua madre. “Conosciamo bene Mary.”

Bambini?” chiese con noncuranza.

Due – un maschio e una femmina.”

George sospirò in modo evidente.

Poveretto, dovete essere stanco,” disse sua madre. “Forse gradite una tazza di tè.”

Nossignora, non datevi pensiero,” disse. “Sto per andare a cena.” Diede un’occhiata al salottino, cercando di scoprire perché sembrava diverso. Sul caminetto era appesa una fotografia incorniciata che era stata scattata il giorno del sedicesimo compleanno di suo fratello Harry.

Si ricordò di come erano andati allo studio di Potter per essere fotografati insieme. C’era qualcosa di strano in quel ritratto. Mostrava una sola figura, quella di Harry.

E’ vostro figlio?” chiese.

Il volto della madre si rabbuiò. Fece cenno di sì ma non disse niente.

Penso di averlo incontrato,” disse George con esitazione. “Si chiama Harry, vero?”

Sua madre si girò dall’altra parte, soffocando in gola un singhiozzo. Il marito le circondò goffamente le spalle con un braccio. La sua voce, di solito calma e gentile, divenne improvvisamente brusca.

Non potete averlo incontrato,” disse. “E’ morto da tanto tempo. Annegò il giorno in cui fu fatta la fotografia.”

La mente di George volò indietro a quel lontano pomeriggio di Agosto quando lui e Harry erano stati allo studio di Potter. Sulla strada del ritorno erano andati a nuotare. Harry era stato preso da un crampo, ricordò. Lo aveva tirato fuori dall’acqua ed era finita lì. Ma supponiamo che non ci fosse stato!

Mi dispiace,” disse avvilito. “Penso che sia meglio che vada. Spero che la spazzola le piaccia. E auguro a tutti e due un felice Natale.” Ecco, l’aveva detta grossa di nuovo, augurandogli un felice Natale, mentre il loro pensiero era rivolto al figlio morto.

Brownie tirò ferocemente la catena quando George scese i gradini del portico e accompagnò la sua dipartita con un ringhio cupo e ostile.

Ora voleva disperatamente vedere Mary. Non era sicuro di poter sopportare di non essere riconosciuto da lei. Le luci della chiesa erano accese e il coro stava facendo gli ultimissimi preparativi per i vespri natalizi. L’organo aveva provato “Holy Night” sera dopo sera finché George non ne aveva potuto più. Ma ora la musica quasi gli strappò via il cuore.

Brancolò alla cieca su per il sentiero che conduceva alla sua casa. Il prato era ricoperto di erbacce, e i cespugli da fiori che egli aveva tenuto accuratamente potati erano trascurati e appassiti. Certo non ci si poteva aspettare che Art Jenkins si prendesse cura di certe cose. Quando bussò alla porta ci fu un lungo silenzio, seguito dal grido di un bambino. Poi Mary venne alla porta.

Quando la vide, George rimase quasi senza voce. “Buon Natale, signora,” riuscì a dire alla fine. La mano gli tremava quando cercò di aprire la borsa.

Quando George entrò nel soggiorno, per quanto fosse infelice, non poté fare a meno di notare, con un sorrisetto segreto, che il carissimo sofà blu, per cui avevano spesso discusso, era lì. Evidentemente Mary aveva affrontato la stessa situazione con Art Jenkins e l’aveva avuta vinta anche con lui.

George riuscì ad aprire la borsa. Una delle spazzole aveva un impugnatura blu acceso e setole variopinte. Evidentemente non era una spazzola destinata ad essere regalata, ma a George non importava. La porse a Mary.

Questa andrebbe bene per il suo sofà,” disse.

Però! questa è una bellissima spazzola,” esclamò. “La date via gratis?”

George annuì solennemente. “Un’eccezionale offerta di lancio. E’ uno dei modi con cui la compagnia abbassa i profitti extra – dividendoli con gli amici.”

Mary passò gentilmente la spazzola sul sofà, lisciando il tessuto vellutato. “E’ una bella spazzola. Grazie. Io...” Improvvisamente dalla cucina arrivò un urlo e due bambini entrarono correndo. Una ragazzina bruttina si buttò nelle braccia della madre, singhiozzando rumorosamente mentre un maschietto di sette anni arrivò correndo dietro di lei, sparandole alla testa con una pistola giocattolo. “Mamma, non vuole morire,” urlò. “Le ho sparato un centinaio di volte, ma non vuole morire.”

Rassomiglia proprio ad Art Jenkins, pensò George. E si comporta anche come lui.

Di colpo, il bambino rivolse su di lui la sua attenzione. Puntò la pistola verso George e premette il grilletto. “Sei morto!” gridò. “Sei morto. Perché non cadi giù e muori?”

Sul portico ci fu un passo pesante. Il ragazzo sembrò spaventato e indietreggiò. George vide che Mary fissava la porta con apprensione. Art Jenkins entrò. Si fermò un momento sulla soglia, afferrando la maniglia per tenersi su. I suoi occhi erano velati e la sua faccia era paonazza.

Chi è questo?” chiese con voce impastata.

E’ un venditore di spazzole,” cercò di spiegare Mary. “Mi ha regalato questa spazzola.”

Venditore di spazzole!” ghignò Art. “Beh, digli di andare fuori di qua. Non vogliamo nessuna spazzola.” Art singhiozzò violentemente e barcollò attraverso la stanza fino al divano, dove crollò a sedere. “E non vogliamo nemmeno nessun venditore di spazzole.”

George guardò Mary con disperazione. Gli occhi di lei lo pregarono di andare. Art aveva sollevato i piedi sopra sofà e vi si stava sdraiando, borbottando cose spiacevoli sui venditori di spazzole. George andò alla porta, seguito dal figlio di Art, che continuò a schioccare la pistola contro di lui dicendo: “Sei morto – morto – morto!”

Forse il ragazzo aveva ragione, pensò George quando fu sul portico. Forse era morto, o forse questo era un brutto sogno da cui alla fine si sarebbe svegliato. Voleva ritrovare l’ometto del ponte e cercare di convincerlo ad annullare l’intera faccenda.

Si affrettò giù per la collina e iniziò improvvisamente a correre quando fu vicino al fiume. George si sentì sollevato nel vedere il piccolo straniero fermo sul ponte.

Ne ho avuto abbastanza,” ansimò. “Tiramene fuori – tu mi ci hai ficcato.”

Lo straniero aggrottò le sopracciglia. “Ti ci ho ficcato io! Questa mi piace! Il tuo desiderio è stato esaudito. Hai avuto quello che chiedevi. Ora sei l’uomo più libero della terra. Non hai legami. Puoi andare dove vuoi – fare quello che vuoi. Cos’altro potresti desiderare?”

Fammi tornare come prima,” implorò George. “Fammi tornare come prima – ti prego. Non solo per me ma anche per gli altri. Non sai in che guai si trova questa città. Non puoi capire. Devo tornare sui miei passi. Hanno bisogno di me qui.”

Capisco benissimo,” disse adagio lo straniero. “Volevo solo assicurarmi che capissi anche tu. Hai ricevuto il dono più grande di tutti, il dono della vita, di essere parte di questo mondo e di prendervi parte. Eppure hai rinnegato quel dono.” Mentre lo straniero parlava, la campana della chiesa in cima alla collina suonò, chiamando la gente ai vespri di Natale. Allora anche le campane della chiesa giù in città iniziarono a suonare.

Devo tornare indietro,” disse George con disperazione. “Non puoi farmi fuori in questo modo. Accidenti, è un omicidio!”

Non volevi dire suicidio, invece?” mormorò lo straniero. “Te la sei cercata tu. Comunque, dal momento che è la vigilia di Natale… va bene, chiudi gli occhi, e ascolta le campane.” La sua voce diventava sempre più distante. “Continua ad ascoltare le campane...”

George fece come gli era stato detto. Aveva freddo, un umido fiocco di neve gli toccò la guancia, e poi un altro e un altro ancora. Quando aprì gli occhi, la neve stava cadendo velocemente, così velocemente da oscurare ogni cosa intorno a lui. Il piccolo straniero non si vedeva, del resto non si vedeva niente. La neve era così fitta che George dovette cercare a tentoni la ringhiera del ponte.

Mentre si avviava verso il villaggio, gli sembrò di sentire qualcuno che diceva “Buon Natale,” ma le campane annullavano tutti gli altri suoni, così non poté esserne sicuro.

Quando raggiunse la casa di Hank Biddle si fermò e scese in strada, osservando con ansia la base del grande acero. Il taglio era ancora lì, grazie al cielo! Toccò affettuosamente l’albero. Doveva fare qualcosa per quella ferita – portare un chirurgo degli alberi o qualcosa del genere. Comunque, era chiaro che era stato riportato indietro. Era di nuovo sé stesso. Forse era stato tutto un sogno, o forse era stato ipnotizzato dal lento fluire dell’acqua scura. Aveva sentito parlare di cose del genere.

All’angolo tra Main e Bridge Street, per poco non andò a sbattere con qualcuno che andava di fretta. Era Jim Silva, l’agente immobiliare. “Salve, George,” disse Jim allegramente.

Hai fatto tardi stasera. Avrei detto che saresti tornato a casa presto alla vigilia di Natale.”

George tirò un profondo respiro. “Volevo solo vedere se va tutto bene alla banca. Devo assicurarmi che la luce del caveau sia accesa.”

Sicuro che è accesa. L’ho visto quando sono passato.”

Andiamo a vedere, eh?” disse George, tirando Silva per la manica. Voleva la rassicurazione di un testimone. Trascinò lo stupito agente immobiliare fino all’ingresso della banca dove la luce brillava attraverso la neve che cadeva.

Te l’ho detto che era accesa,” disse Silva con una certa irritazione.

Dovevo esserne sicuro,” borbottò George. “Grazie – e buon Natale.”

Poi si dileguò in un lampo, correndo su per la collina. Aveva fretta di arrivare a casa, ma non tanta fretta da non potersi fermare un attimo a casa dei genitori, dove fece la lotta con Brownie finché quel vecchio cane bonaccione fu tutto uno scodinzolare per la contentezza. Afferrò la mano del suo stupefatto fratello stringendola freneticamente, augurandogli un quasi isterico buon Natale. Poi attraversò il salotto di corsa per esaminare una certa fotografia. Baciò sua madre, scherzò con suo padre e pochi secondi dopo era fuori, incespicando e scivolando sulla neve appena caduta mentre correva su per la collina.

La chiesa brillava di luci e il coro e l’organo andavano a tutto vapore.

George spalancò la porta di casa sua e chiamò a squarcia gola:” Mary! Dove sei? Mary! Bambini!” sua moglie venne verso di lui, vestita per andare a messa e gesticolando per farlo tacere.

Ho appena messo i bambini a letto,” protestò. “Ora si...” Ma non un’altra parola poté uscire dalla sua bocca, perché lui la ricoprì di baci e poi la trascinò su nella stanza dei bambini, dove violò ogni regola di comportamento parentale abbracciando pazzamente suo figlio e sua figlia e svegliandoli completamente. Non ritornò del tutto in sé finché Mary non lo ebbe condotto di sotto. 

 

 

Pensavo di averti persa. Oh, Mary, pensavo di averti persa!”

Che ti succede, caro?” chiesa stupefatta.

La tirò giù sul divano e la baciò di nuovo. E poi, proprio mentre stava per raccontarle del suo strano sogno, le sue dita toccarono qualcosa sul sedile del sofà. La sua voce si bloccò. Non dovette nemmeno raccogliere quella cosa, perché sapeva benissimo cos’era. E sapeva che aveva un’impugnatura blu e setole variopinte.


FINE









martedì 8 settembre 2020

Razza guerriera

 


Stazione di servizio galattica




Robert Sheckley (1928–2005) è stato un autore di fantascienza statunitense, particolarmente noto per i toni satirici e paradossali delle sue opere. Considerato uno dei massimi esponenti della narrativa breve fantascientifica, di padre polacco (Sheckley è l'americanizzazione di Shekowsky) e madre lituana, Robert Sheckley esordisce come scrittore nel 1951 dopo la laurea alla New York University. Fu esponente di spicco della social sf americana degli anni ‘60. Nel suo universo distopico tutto è visto allo specchio, e attraverso questo ribaltamento mette a fuoco le incoerenze del nostro universo.

Il racconto che vi propongo, Razza guerriera (WarriorRace, Galaxy Science Fiction novembre 1952), potrebbe essere considerato quasi un western spaziale. I due protagonisti, Fannia e Donnaught, due astronauti a corto di carburante, scendono sul pianeta Cascella, dove esiste un deposito segreto lasciato lì per le emergenze. I problemi iniziano quando i due devono fare i conti con quella che la sorveglianza galattica aveva definito come ‘particolare struttura socialedella popolazione indigena, una razza guerriera che ha completamente ribaltato le regole del combattimento, ed è proprio attraverso questo ribaltamento che Robert Sheckley denuncia l’assurdità della guerra, con tono leggero e ironico e un linguaggio secco ed essenziale, tipico dei racconti d’azione, e senza mai usare toni moralistici “...ci ha dato una favola morale, in bilico tra la sferzata satirica e le peripezie a rotta di collo.” (Carlo Fruttero e Franco Lucentini)



🎯Per approfondire:

Tra i suoi libri tradotti in Italia, Calibro ’50 (Mondadori 1963) e Gli orrori di Omega (Urania 1983).

Dal racconto "The Seventh Victim" il regista Elio Petri ha tatto il film "La DecimaVittima," 1965, con Marcello Mastroianni, Ursula Andress e sceneggiatura di Ennio Flaiano e Tonino Guerra.





Razza guerriera



di

ROBERT SHECKLEY



Distruggere lo spirito del nemico è lo scopo della guerra e gli alieni conoscevano il modo migliore!




Non scoprirono mai di chi fosse la colpa. Fannia osservò che se Donnaught avesse avuto il cervello di un bue, oltre alla stazza, si sarebbe ricordato di controllare i serbatoi. Donnaught, sebbene fosse il doppio di lui, non fu altrettanto veloce a ricambiare l’insulto. Dopo averci pensato un po’, asserì che il naso di Fannia doveva avergli impedito la lettura dell’indicatore del carburante.

Va bene,” disse allora Fannia. “Quel che è fatto è fatto. Possiamo spremere circa tre anni luce dal quel che resta del carburante prima di ritornare all’energia atomica. Passami Il pilota galattico – sempre che tu non abbia dimenticato anche quello.”

Donnaught tirò fuori dall’apposito armadietto il pesante volume microfilmato e ne esplorarono le pagine.

Il pilota galattico disse loro che erano in una sezione dello spazio povera di sistemi solari e raramente visitata, cosa che già sapevano. Il sistema planetario più vicino era Hatterfield, nessuna vita intelligente, là. Sersus aveva una popolazione indigena, ma non c’erano stazioni di rifornimento. La stessa cosa con Illed, Hung e Porderai.

"Ah-ha!" disse Fannia. “Leggi questo, Donnaught. Se sai leggere, cioè.”

"Cascella," lesse Donnaught, scandendo piano e seguendo il rigo con il suo grosso indice. “Il sole è una nana rossa. Tre pianeti, sul secondo forma di vita umanoide intelligente. Respirano ossigeno. Niente tecnologia. Religiosi. Amichevoli. Originale struttura sociale, descritta nel Rapporto del servizio ispettivo galattico 33877242. Popolazione stimata: stabile intorno ai tre miliardi. Vocabolario basico cascellano registrato sotto la sigla Cas33b2. Prevista nuova ispezione nel 2375. Lasciato deposito segreto di carburante per il motore interstellare, raggio di guida: 8741 kgl. Descriz. fisica: pianura disabitata. *

Carburante interstellare, ragazzo!”* esclamò Fannia allegramente. “Penso che arriveremo a Thetis, dopo tutto.” Inserì la nuova direzione sul nastro perforato della nave. “Se quel carburante è ancora lì.”

Dovremmo documentarci sulla particolare struttura sociale?” chiese Donnaught, ancora immerso nella lettura de Il pilota galattico.

Certamente,” disse Fannia. “Fai un salto alla principale base galattica sulla Terra e compramene una copia.”

L’ho dimenticato,” ammise Donnaught mogio mogio.

Fammi vedere,” disse Fannia, tirando fuori la biblioteca linguistica della nave.

Cascellano, cascellano… Eccolo. Stai buono mentre imparo la lingua.” Inserì il nastro nell’ipnofono e lo accese. “Un’altra lingua inutile nella mia teste superaffollata,” mormorò e poi l’ipnofono ebbe la meglio.

Uscendo fuori dalla guida a modalità intergalattica con almeno una goccia di carburante avanzata, passarono all’energia atomica. Fannia guidò il raggio direzionale sulla superficie del pianeta, localizzando l’esile guglia metallica del deposito segreto del Servizio ispettivo galattico. Tuttavia, la pianura non era più disabitata. I cascellani avevano costruito una città intorno al deposito, e la guglia dominava i primitivi edifici di fango e legno.

Reggiti,” disse Fannia e portò la nave giù, alla periferia della città, in un campo di stoppie.

Adesso ascolta,” disse Fannia, sganciando la cintura di sicurezza. “Siamo qui soltanto per il carburante. Niente souvenir, niente diversivi, niente fraternizzazione.”

Attraverso il portello videro una nuvola di polvere che avanzava dalla città. Quando fu più vicina, riuscirono a distinguere delle figure che correvano verso la nave.

Cosa pensi che sia questa struttura sociale particolare?” chiese Donnaught pensieroso, mentre controllava il caricatore del fucile ad aghi.

Non lo so e me ne importa anche meno,” disse Fannia, infilandosi faticosamente nell’armatura spaziale. “Vestiti.”

L’aria è respirabile.”

Guarda, pachiderma, che per quanto ne sappiamo, questi cascellani pensano che il modo più appropriato per dare il benvenuto ai visitatori è tagliargli la testa e farcirla con una mela verde. Se la guida galattica dice particolare, probabilmente è particolare.”

Dice anche che sono amichevoli.”

Questo significa che non hanno la bomba atomica. Forza, vestiti.” Donnaught mise giù lo spara-aghi e si infilò a fatica in un’armatura spaziale oversize. I due uomini fissarono all’armatura la spara-aghi, il paralizzatore e qualche granata.

Non penso che abbiamo niente da temere,” disse Fannia, stringendo l’ultimo bullone del suo casco. “Anche se diventano violenti, non possono rompere l’armatura spaziale. E se non diventano violenti, non ci sarà alcun problema. Forse queste cianfrusaglie potranno esserci utili.” Prese una scatola di oggetti da scambiare – specchi, giocattoli e cose del genere.

Con indosso l’elmetto e l’armatura, Fannia scivolò fuori dal portello e alzò una mano verso i cascellani. La lingua, fissata nella sua mente dall’ipnosi, gli affiorò alle labbra.

Veniamo come amici e fratelli. Portateci dal vostro capo.”

Gli indigeni si affollarono tutto intorno, fissando a bocca aperta la nave e l’armatura spaziale. Sebbene avessero lo stesso numero di occhi, orecchie, braccia e gambe degli umani, tuttavia non gli rassomigliavano per niente.

Se sono amichevoli,” chiese Donnaught, arrampicandosi fuori dal portello, “perché tutta quella ferraglia?” I cascellani indossavano quasi esclusivamente una collezione di coltelli, spade e daghe. Ogni uomo ne aveva almeno cinque, alcuni anche otto o nove.

Forse quelli del servizio galattico hanno frainteso la situazione,” disse Fannia, mentre la folla si apriva per scortali. “O forse gli indigeni usano i coltelli per giocare a freccette.”

La città era tipica di una cultura non tecnologica. Stradine ricoperte di immondizia serpeggiavano tra capanne pericolanti. Alcuni edifici a due piani minacciavano di collassare ad ogni momento. Un fetore riempiva l’aria, così forte che il filtro di Fannia non riusciva ad eliminarlo completamente. I cascellani saltellavano davanti ai terrestri pesantemente carichi, sfrecciandogli intorno come un branco di cuccioli giocherelloni. I coltelli brillavano e tintinnavano.

La casa del capo era l’unico edificio a tre piani della città. L’alta guglia del deposito segreto era proprio dietro di essa.

by Scattergood

Se venite in pace,” gli disse il capo quando entrarono, “siete i benvenuti.” Era un cascellano di mezza età con almeno quindici coltelli appiccicati su varie parti della sua persona. Era accovacciato a gambe incrociate su di una pedana rialzata.

Siamo onorati,” disse Fannia. Ricordò dalla lezione di lingua sotto ipnosi che “capo” su Cascella significava molto di più di quello che di solito significasse sulla Terra. Il capo era una combinazione di re, alto prelato, divinità e guerriero temerario.

Abbiamo alcuni doni con noi,” aggiunse Fannia, posando le cianfrusaglie ai piedi del re. “Sua maestà vuole accettarli?”

No,” disse il re. “Noi non accettiamo doni.” Era quella la struttura sociale particolare? Si chiese Fannia. Di sicuro, non era umano. “Noi siamo una razza guerriera. Quello che vogliamo ce lo prendiamo.”

Fannia sedette a gambe incrociate di fronte alla pedana e iniziò a conversare con il re mentre Donnaught giocherellava con i doni rifiutati. Tentando di superare la cattiva impressione iniziale, Fannia parlò al re delle stelle e degli altri mondi, dal momento che le persone semplici di solito amano le fiabe. Parlò della nave, senza dire che era senza carburante. Parlò di Cascella, raccontando al re come la sua fama fosse conosciuta in tutta la galassia.

Ed è giusto che sia così.” disse il capo orgogliosamente. “Noi siamo una razza di guerrieri, come non se ne sono mai visti. Tutti i nostri uomini muoiono combattendo.”

Dovete aver combattuto delle guerre memorabili,” disse Fannia educatamente, chiedendosi chi fosse l’idiota che aveva compilato il rapporto galattico.

Non combatto una guerra da molti anni,” disse il capo. “Ora siamo in pace e tutti i nostri nemici si sono uniti a noi.”

Un po’ alla volta Fannia arrivò all’argomento del carburante.

Che cos’è questo ‘carburante’?” chiese esitante il capo, poiché in lingua cascellana non c’erano equivalenti.

Fa muovere la nostra nave.”

E dove si trova?”

Nella guglia metallica,” disse Fannia “Se soltanto voleste permetterci ...”

Nel sacro tempio?” Esclamò il capo, scioccato. “L’alta chiesa metallica che gli dei hanno lasciato qui tanto tempo fa?”

Già,” disse Fannia mestamente, sapendo quello che sarebbe successo. “Penso proprio di sì.”

Per uno di un altro mondo è un sacrilegio avvicinarsi,” disse il capo. “Lo proibisco.”

Abbiamo bisogno del carburante.” Fannia iniziava a stancarsi di sedere a gambe incrociate. L’armatura spaziale non era fatta per posture complicate. “La guglia è stata messa qui per emergenze di questo tipo.”

Stranieri, sappiate che io sono il dio del mio popolo, così come il loro capo. Se osate avvicinarvi al sacro tempio, ci sarà guerra.”

Lo temevo,” disse Fannia alzandosi in piedi.

E dal momento che siamo una razza di guerrieri,” disse il capo, “al mio comando, ogni combattente del pianeta muoverà contro di voi. Altri ne verranno dalle colline e dall’altra sponda del fiume.”

D’un tratto, il capo sguainò un coltello. Doveva essere stato un segnale, perché ogni indigeno nella stanza fece lo stesso.

Fannia trascinò Donnaught via dai giochi. “Ascolta, zuccone. Questi amichevoli guerrieri non possono farci un accidenti. Quei coltelli non possono tagliare l’armatura spaziale e dubito che abbiano qualcosa di meglio. Però non permettergli di aggredirti. Usa prima il paralizzatore, la spara aghi solo se diventano troppi.”

Capito.” Donnaught tirò velocemente fuori il paralizzatore e lo caricò con un unico movimento coordinato. Con le armi, Donnaught era veloce e affidabile, virtù sufficiente perché Fannia lo tenesse come suo partner.

Tagliamo intorno a questo edificio e arraffiamo il carburante. Due taniche dovrebbero essere sufficienti. Poi ce la diamo a gambe.”

Uscirono dall’edificio seguiti dai cascellani. Quattro portatori sollevarono il capo, che stava abbaiando ordini. Fuori, la stradina si era improvvisamente riempita fino all’inverosimile di indigeni armati. Tuttavia, nessuno provò a toccarli, ma almeno un migliaio di coltelli balenarono nel sole.

All’esterno del deposito segreto c’era una folta falange di cascellani. Erano schierati dietro una rete di corde, che probabilmente segnava il confine tra il suolo sacro e quello profano.

Tieniti pronto,” disse Fannia, e saltò sopra le corde.

Immediatamente, la guardia del tempio più vicina a loro alzò il suo coltello. Fannia impugnò il paralizzatore, senza tuttavia sparare, continuando a camminare. La guardia gridò qualcosa e il coltello fece un rapido movimento formando un arco scintillante. Il cascellano farfugliò qualcos’altro, barcollò e cadde giù. Un brillante getto di sangue schizzò dalla sua gola.

Ti ho detto di non usare ancora la spara aghi!” urlò Fannia.  


Non ho sparato,” protestò Donnaught. Guardando dietro di sé, Fannia vide che la spara aghi era ancora nella fondina di Donnaught.

Allora non capisco,” disse Fannia con sconcerto.

Altri tre indigeni balzarono avanti, tenendo alti i loro coltelli. Anche loro crollarono a terra. Fannia si fermò a guardare mentre un plotone di indigeni avanzava verso di loro.

Appena arrivarono ad una distanza sufficiente ad accoltellare i terrestri, gli indigeni squarciarono le proprie gole!

Per un istante, Fannia rimase completamente fermo, non riuscendo a credere ai propri occhi. Donnaught si arrestò dietro di lui.

In quel momento gli indigeni avanzarono a centinaia, pugnali sguainati, gridando verso i terrestri. Appena arrivarono abbastanza vicino, ogni nativo si pugnalò, cadendo su una pila di cascellani che cresceva rapidamente. Nel giro di qualche minuto i terrestri furono circondati da un cumulo di cadaveri sanguinanti, che diventava sempre più alto.

Va bene!” gridò Fannia. “Basta!” Si tirò dietro Donnaught fino al suolo profano. “Tregua!” urlò in cascellano.

La folla si aprì per lasciar passare i portatori. Il capo, con due coltelli stretti nelle mani, ansimava per l’eccitazione.

Abbiamo vinto la prima battaglia!” esclamò con orgoglio. “La potenza dei nostri guerrieri spaventa perfino degli alieni come voi. Non profanerete il nostro tempio finché rimarrà un solo uomo vivo su Cascella!”

Gli indigeni urlarono la loro approvazione e il loro trionfo.

I due alieni, completamente sopraffatti, arretrarono a passi incerti fino alla nave.

Allora questo è questo che il rapporto galattico intendeva con particolare struttura sociale,” disse Fannia cupamente. Si strappò di dosso l’armatura e si stese sulla sua cuccetta. “Il loro modo di fare la guerra è di suicidare i loro nemici fino alla capitolazione.”

Devono essere svitati,” grugnì Donnaught. “Non è questo il modo di combattere.”

Però funziona.” Fannia si alzò e guardò attraverso l’oblò. Il sole stava tramontando, tingendo la città di un suggestivo rosso nel suo splendore. I raggi di luce rimbalzavano sulla guglia

Continuo a dire che è folle.” Donnaught aveva le sue idee sul modo di combattere. “Non è umano.”

Sono d’accordo. L’idea sembra essere che se abbastanza gente si suicida, il nemico si arrende per puro senso di colpa.”

E se il nemico non si arrende?”

Prima che questa gente fosse unita, devono aver combattuto tribù per tribù, suicidandosi finché qualcuno si arrendeva. Gli sconfitti probabilmente si univano ai vincitori, la tribù deve essere cresciuta finché ha potuto annettersi l’intero pianeta grazie alla semplice forza dei numeri.” Fannia osservò attentamente Donnaught, cercando di capire se aveva afferrato il concetto. “Naturalmente è anti-sopravvivenza, se qualcuno non si arrendesse, la specie probabilmente si sterminerebbe da sé.” Scosse la testa. “Ma ogni genere di guerra è anti-sopravvivenza. Forse hanno delle regole.”

Non potremmo semplicemente sgattaiolare dentro e arraffare velocemente il carburante?”chiese Donnaught. “E andare via prima che quelli si ammazzino tutti?”

Non credo,” disse Fannia. “Andrebbero avanti a suicidarsi per i prossimi dieci anni, convinti di combattere ancora contro di noi.” Guardò pensieroso verso la città. “E’ quel loro capo. E’ il loro dio e probabilmente continuerebbe a farli suicidare finché non rimane un solo uomo. Quindi esclamerebbe soddisfatto, diciamo, ‘Siamo grandi guerrieri’ e si ucciderebbe.”

Donnaught alzò disgustato le sue grosse spalle. “Perché non lo togliamo di mezzo?”

Eleggerebbero subito un altro dio.” Il sole adesso era quasi sotto l’orizzonte. “Ho un’idea, però,” disse Fannia. Si grattò la testa. “Potrebbe funzionare. Tutto quello che possiamo fare è provare.”

A mezzanotte, i due sgattaiolarono fuori dalla nave, muovendosi silenziosamente per la città. Indossavano di nuovo l’armatura spaziale. Donnaught trasportava due taniche per carburante vuote. Fannia aveva estratto il paralizzatore.

Le strade erano buie e silenziose mentre scivolavano lungo i muri e intorno ai pali, tenendosi fuori visuale. Un indigeno svoltò l’angolo all’improvviso, ma Fannia lo paralizzò prima che potesse fiatare.

Si rannicchiarono nell’oscurità, all’imboccatura di un vicolo di fronte al deposito.

Hai capito bene?” chiese Fannia. “Io paralizzo le guardie. Tu ti precipiti dentro e riempi le due taniche. Ci leviamo di torno alla svelta. Quando controlleranno, troveranno le taniche ancora qui. Forse così non si suicideranno.”

Gli uomini avanzarono sui gradini bui davanti al deposito. C’erano tre cascellani di guardia all’ingresso, con i coltelli infilati nei loro perizomi. Fannia li stordì con una carica media e Donnaught iniziò a correre.

Nello stesso momento ci fu un bagliore di torce, gli indigeni sbucarono fuori da ogni stradina, gridando e brandendo i loro coltelli.

Siamo caduti in un’imboscata!” gridò Fannia. “Ritorna qui, Donnaught!”

Donnaught arretrò precipitosamente. Gli indigeni li stavano aspettando. Gridando, urlando, corsero verso i terrestri, tagliandosi la gola quando furono ad un metro di distanza. Corpi cadevano di fronte a Fannia, facendolo quasi inciampare mentre si ritirava. Donnaught lo afferrò per un braccio per sorreggerlo. Corsero fuori dall’area sacra.

Tregua, dannazione!” Gridò Fannia. “Fatemi parlare col capo. Basta! Basta! Voglio una tregua!”

Con riluttanza, i cascellani fermarono la loro carneficina.

Questa è la guerra,” disse il capo, facendosi avanti a grandi passi. La sua faccia quasi umana aveva un aspetto severo alla luce delle torce. “Avete visto i nostri guerrieri. Ora sapete che non potete opporvi a loro. La voce si è sparsa in tutti i nostri territori. Il mio intero popolo è pronto alla battaglia.”

Guardò orgogliosamente i suoi compatrioti, poi di nuovo i terrestri. “Io stesso guiderò il mio popolo alla battaglia. Niente potrà fermarci. Combatteremo finché non vi arrenderete completamente, vi strapperemo via le vostre armature.”

Aspetta, capo,” ansimò Fannia, nauseato alla vista di tutto quel sangue. La spianata sembrava una scena uscita dall’inferno. Centinaia di corpi erano sparsi tutto intorno. Le strade erano fangose per il sangue.

Fammi consultare col mio socio questa notte. Domani parlerò con te.”

No,” disse il capo. “Voi avete iniziato la battaglia. Deve giungere alla sua conclusione. Gli uomini coraggiosi desiderano morire in battaglia. E’ il nostro più ardente desiderio. Siete i primi nemici dopo tanti anni, da quando abbiamo sottomesso le tribù delle montagne.”

Sicuro,” disse Fannia. “Ma parliamone...”

Io stesso vi combatterò,” disse il capo, sfoderando una daga. “Morirò per il mio popolo, come deve fare un guerriero!”

Aspetta!” gridò Fannia. “Accordaci una tregua. Ci è concesso di combattere solo alla luce del sole. E’ un tabù tribale:”

Il capo ci pensò per un momento, poi disse, “Molto bene. Fino a domani.”

Gli sconfitti terrestri camminarono lentamente fino alla loro nave, tra lo scherno della popolazione vittoriosa.


Il mattino successivo, Fannia non aveva ancora un piano. Sapeva che doveva prendere il carburante, non aveva intenzione di trascorrere il resto della sua vita su Cascella o aspettare che la sorveglianza galattica inviasse un’altra nave, più o meno fra una cinquantina di anni. D’altra parte, esitava all’idea di essere responsabile della morte di qualcosa come tre miliardi di persone. Non sarebbe stato il migliore dei record da portare su Thetis. La sorveglianza galattica avrebbe potuto scoprirlo. Comunque, non ne aveva alcuna intenzione.

Non c’era via d’uscita.

Lentamente i due uomini si incamminarono per incontrare il capo. Fannia stava ancora disperatamente cercando un’idea mentre ascoltava il rimbombo dei tamburi.

Se solo ci fosse qualcuno contro cui combattere,” si rammaricò Donnaught, guardano le sue inutili armi.

Questo è il nocciolo della questione,” disse Fannia, “Il senso di colpa ci rende tutti peccatori, o qualcosa del genere. Si aspettano che noi ci arrendiamo prima che la carneficina sfugga di mano.” Si fermò un attimo a pensare. “Non è poi così folle. Sulla Terra, gli eserciti di solito non combattono finché non rimane più nessuno dall’altra parte. Quando ne hanno abbastanza, c’è sempre chi si arrende.”

Se solo ci avessero combattuto!”

Già, se solo...” Si fermò. “Ci combatteremo noi due!” disse.

Per questa gente il suicido è guerra. Non potrebbero considerare la guerra – un vero combattimento – come un suicidio?”

Quale sarebbe il vantaggio per noi?” chiese Donnaught.

Stavano entrando in città e le strade erano zeppe di indigeni armati. Intorno alla città ce ne erano altre migliaia. Gli indigeni stavano riempendo la pianura, fin dove l’occhio poteva arrivare. Evidentemente, avevano risposto ai tamburi ed erano qui per combattere contro gli alieni.

Il che, naturalmente, significava suicidio di massa.

Mettila così,” disse Fannia. “Se un tizio decide di suicidarsi sulla Terra, cosa facciamo?”

Lo arrestiamo?” chiese Donnaught.

Non subito. Gli offriamo tutto quello che vuole, purché non lo faccia. La gente gli offre danaro, un lavoro, le figlie, tutto, purché non lo faccia. Sulla Terra è un tabù.”

Allora?”

Allora,” proseguì Fannia, “forse qui il tabù è combattere. Forse ci offriranno il carburante, solo per farci smettere.”

Donnaught sembrava perplesso, ma Fannia pensava che valesse la pena provarci.

Si fecero strada attraverso la folla, fino all’ingresso del deposito segreto. Il capo li stava aspettando, sorridendo alla sua gente come un gioviale dio della guerra.

Siete pronti per la battaglia?” chiese. “O ad arrendervi?”

Certamente,” disse Fannia. “Ora, Donnaught!”

Sferrò un colpo e il suo pugno ricoperto dall’armatura prese Donnaught nelle costole. Donnaught non reagì.

Avanti, idiota, colpiscimi pure tu.”

Donnaught ubbidì, e Fannia barcollò per la violenza di quel pugno. In un secondo si diedero da fare come due fabbri con i colpi che risuonavano sulle loro armature metalliche.

Un po’ più piano,” rantolò Fannia, sollevandosi da terra. “Mi stai rompendo le costole.” E picchiò ferocemente Donnaught sul casco.

Fermi,” gridò il capo. “E’ una cosa disgustosa!”

Sta funzionando,” ansimò Fannia. “Ora lascia che ti strangoli. Penso che questa potrebbe essere la mossa giusta.”

Donnaught lo assecondò cadendo a terra. Fannia strinse le mani intorno al collo corazzato di Donnaught.

Fagli credere che stai soffrendo, idiota,” disse.

Donnaught gemette e si lamentò nel modo più convincente possibile.

Dovete fermarvi!” gridò il capo. “E’ una cosa tremenda uccidersi l’un l’altro!”

Allora lasciami prendere un po’ di carburante,” disse Fannia, aumentando la sua stretta sul collo di Donnaught.

Il capo ci pensò per un momento. Poi scosse la testa.

No.”

Cosa?”

Voi siete alieni. Se volete commetter questo atto disonorevole, fate pure. Ma non profanerete le nostre reliquie religiose.”

Donnaught e Fannia si rimisero in piedi barcollando. Fannia era esausto a causa del combattimento nella pesante armatura spaziale e ce la fece a malapena.

Ora,” disse il capo, “arrendetevi subito. Toglietevi la vostra armatura o combattete con noi.”

Migliaia di guerrieri – forse milioni, ogni secondo ne arrivavano altri – gridavano la loro collera sanguinaria. L’urlo si estese oltre la periferia e riecheggiò fino alle colline, dove altri combattenti si stavano riversando nella pianura affollata.

Il volto di Fannia si contorse. Non poteva consegnare sé stesso e Donnaught ai Cascellani. Avrebbero potuto cucinarli per la prossima cena parrocchiale. Per un momento prese in considerazione l’idea di preoccuparsi solo del carburante e lasciare che quei dannati pazzi si suicidassero al oro piacimento.

La sua mente divenne una cieca furia, Fannia barcollò in avanti e colpì il capo in faccia con il suo guanto corazzato.                   

NASA glove


Il capo cadde a terra e gli indigeni si ritrassero per l’orrore. Velocemente, il capo estrasse il coltello e se lo portò alla gola. Le mani di Fannia si chiusero intorno ai polsi del capo.

Ascoltatemi,” gracchiò Fannia. “Stiamo andando a prendere quel carburante. Se un solo uomo fa una mossa – se qualcuno si uccide – io ucciderò il vostro capo.”

Gli indigeni si aggiravano confusi. Il capo si dibatteva furiosamente nelle mani di Fannia, cercando di portarsi il coltello alla gola, in modo da poter morire con onore.

Vallo a prendere,” disse Fannia a Donnaught, “e sbrigati.”

Gli indigeni erano incerti sul da farsi. Avevano i coltelli puntati alla gola, pronti ad affondarli se la battaglia avesse avuto inizio.

Non fatelo,” li avvisò Fannia. “Ucciderò il capo che così non potrà mai avere una morte degna di un guerriero.”

Il capo stava ancora cercando di uccidersi. Disperatamente, Fannia tenne duro, sapendo che doveva impedirgli di suicidarsi per poter mantenere la sua minaccia di morte.

Ascolta, capo,” disse Fannia, dando un’occhiata alla folla incerta. “Devi promettermi che non ci sarà più guerra tra di noi. Sia che io prenda il carburante o che ti uccida.”

Guerrieri,” ruggì il capo. “Sceglietevi un altro comandante. Dimenticatemi e combattete!”

I cascellani erano ancora indecisi, ma i pugnali iniziarono a salire.

Se lo fate,” urlò Fannia disperato, “Ucciderò il vostro capo. Ucciderò tutti voi!”

Questo li fermò.

Ho una potente magia nella mia nave. Posso uccidevi fino all’ultimo uomo, così non potrete avere una morte degna di un guerriero. O andare in paradiso!”

Il capo tentò di liberarsi con un potente scatto che riuscì quasi a sbloccaregli un braccio, ma Fannia tenne duro, immobilizzando tutte e due le braccia dietro la schiena.

Molto bene,” disse il capo, con le lacrime che gli spuntavano negli occhi. “Un guerriero deva morire per propria mano. Hai vinto, alieno.”

La folla lanciò urla di maledizione mentre i terrestri portavano il capo e le taniche di carburante verso la nave. Agitarono i loro pugnali e danzarono su e giù in una frenesia di odio.

Facciamo presto,” disse Fannia, dopo che Donnaught ebbe rifornito la nave.

Diede una spinta al capo e saltò dentro. Un secondo dopo avevano decollato diretti verso Thetis e il bar più vicino alla massima velocità.

Gli indigeni erano assetati di sangue – il loro sangue. Ogni uomo era pronto ad offrire la sua vita per lavare l’insulto al loro leader e al loro tempio.

Ma gli alieni erano andati via. Non c’era nessuno da combattere.







FINE



*I dettagli tecnici quali microfilm, nastro perforato, sistema di guida missilistico sono propri degli anni ‘50-

*Nell’originale ‘transformation fuel’ a cui non sono riuscita a dare un preciso corrispettivo.