Un
Giamburrasca tra gli indiani
Se cercate O. Henry
(1862-1910), pseudonimo di William Sydney Porter, in una storia della
letteratura americana, a mala pena troverete un paio di righe che lo
definiscono “autore di racconti brillanti e leggeri” ( Cunliffe
M., Storia della letteratura americana; P.B.E., 1969). In
effetti, O. Henry fu autore estremamente prolifico di racconti
caratterizzati da un finale sorprendente che ribalta completamente le
premesse iniziali, ne scrisse più di seicento, in parte raccolti in
antologie. Sorprendente fu anche la vita di O. Henry. Come tanti
scrittori americani, non ricevette un'educazione universitaria, ma
sviluppò ben presto un grande amore per la lettura. Intraprese una
varietà di lavori: farmcista, cawboy in Texas, editore e giornalista
di una rivista satirica, -The Rolling Stone-, cassiere di
banca. E fu proprio il suo lavoro in banca a dare una svolta
inaspettata alla sua vita e alla sua carriera di scrittore. Nel 1896
fu accusato di appropriazione indebita. Condannato a cinque anni di
carcere, fuggì in Honduras dove trovò l'ispirazione per scrivere la
raccolta di racconti che, in onore a Lewis Carroll, intitolò,
Cabbages and Kings, in cui
coniò il termine “banana republic” per descrivere il paese e che
diventerà proverbiale. L'anno successivo ritornò negli States per
essere vicino alla moglie morente e prendersi cura della loro unica
figlia. Nel 1898 andò in prigione, da cui uscì tre anni e una
dozzina di racconti dopo. Fu in prigione che adottò lo pseudonimo O.
Henry per proteggere la sua vera identità. Nel 1902 si trasferì a
New York, dove iniziò la sua collaborazione con il New York World
Sunday Magazine, a cui inviò un racconto alla settimana per più di
un anno. Il pubblico adorava le sue storie piene di ironia,
caratterizzate da un plot avvincente e sorprendente e popolate da
personaggi memorabili per le loro debolezze e i loro difetti, più
che per le loro virtù. Più severo il giudizio dei critici, che
consideravano superficiale la sua leggerezza. Morì a New York nel
1910, alcolizzato e senza un soldo.
O.
Henry amava le persone comuni, le cui vite descrisse con sguardo
ironico e solidale. Nel suo universo di banditi falliti e redenti, di
amanti delusi ma ancora innamorati, di burberi benefici, c'è sempre
un sorriso per tutti. Egli è un impareggiabile chiacchierone, un
insuperabile intrattenitore, un affascinante bugiardo. Le sue storie
sono un meccanismo perfetto, basate sull'intreccio e sulla suspance,
fino al colpo di teatro conclusivo, che si sostituisce, con grazia e
leggerezza, al finale edificante della letteratura del tempo. Egli
costruisce un universo parallelo dove rifugiarsi dalle brutture del
mondo reale e dai suoi incubi, dove c'è ancora il tempo per
sorridere sulle proprie disgrazie e dove i buoni sentimenti sembrano prevalere.
Il
racconto che vi propongo, The Ransom of Red Chief,
pubblicato nel 1910 nella raccolta Whirligigs,
è uno dei più conosciuti. Le situazioni e i personaggi
contribuiscono a costruire un meccanismo così ben oleato da essere
stato letteralmente saccheggiato dal cinema e dalla televisione. Il
protagonista; Johnny Dorset, una piccola peste di dieci anni, tutto
lentiggini e capelli rossi, continua la tradizione dei ragazzi
terribili di Mark Twain, mentre i due malfattori che lo rapiscono
nella speranza di ottenere un cospicuo riscatto dal ricco papà, sono
la parodia buonista degli spietati banditi del selvaggio west.
Il
riscatto di Capo Rosso
di
O.
Henry (1910)
Sembrava
una buona idea: ma prima aspettate che ve la racconti. Eravamo giù
al sud, in Alabama – Bill Driscoll e io – quando ci venne
quest'idea del rapimento. Successe, come disse Bill dopo, “durante
un momento di temporanea apparizione mentalei”;
ma lo scoprimmo solo più tardi.
C'era
una città laggiù, piatta come una frittella, e chiamata Summit,
naturalmente. I suoi abitanti erano di una razza di contadini innocui
e cuor contenti come mai se ne erano affollati intorno ad un May
Poleii.
Bill
e io avevamo messo insieme un capitale di circa seicento dollari, e
avevamo proprio bisogno di altri duemila dollari per realizzare una
frode di terreni edificabili nell'ovest dell'Illinois. Discutemmo la
cosa sui gradini all'ingresso dell'albergo. L'attaccamento alla
progenie, ci dicevamo, è forte nelle comunità semi-rurali, per
questo, e per altre ragioni, un progetto di rapimento avrebbe
funzionato meglio qui che nel raggio d'azione di quei quotidiani che
mandano in giro giornalisti in incognito per attizzare chiacchiere su
cose di questo genere. Sapevamo che Summit non poteva metterci
contro niente più che qualche guardia e forse qualche bracco
indolente e una diatriba o due sul Il bilancio settimanale
dell'agricoltore. Perciò, ci
sembrò una buona idea.
Scegliemmo
come nostra vittima il figlio unico di un eminente cittadino a nome
Ebnezar Dorset. Il padre era un rispettabile taccagno, collezionista
di ipoteche, impeccabile a passare il piatto delle offerte in chiesa
e un intemerato speculatore. Il bambino era un ragazzo di dieci anni,
con lentiggini a basso rilievo e i capelli del colore della copertina
della rivista che comprate all'edicola quando volete prendere il
trenoiii.
Bill e io ci immaginavamo che Ebnezer avrebbe sganciato senza fiatare i duemila
dollari del riscatto fino all'ultimo centesimo. Ma aspettate che ve
lo racconti.