Fantasmi a New York
Mentre
nell'età vittoriana la ghost story era uno spazio per discutere
liberamente delle ipocrisie del tempo, in particolare riguardo a
sesso, razzismo, classismo e religione, per Algernon
Henry Blackwood, (14 Marzo
1869 – 10 Dicembre
1951), le
cui esperienze lo avevano lasciato profondamente impressionato
dall'isolamento e dall'anonimato della vita nella città
postindustriale, non c'era peccato più grande che avesse bisogno di
essere esplorato della deumanizzazione
urbana. Le sue ghost story seguono le vite di intellettuali
marginalizzati con mediocri lavori che conducono vite solitarie
confinati
in squallidi appartamenti gestiti da avide padrone di casa. I
fantasmi che li tormentano sono tutti morti
a causa dell'isolamento, la marginalizzazione e la
violenza del mercantilismo e del
materialismo urbano, e quelli che tormentano sono tutte vittime
inconsapevoli delle stesse forze.
Nel
racconto Uno strano origliare (ACase of Eavesdropping, 1906
The Empty House and Other Ghost Stories)
uno scrittore squattrinato che vive a New York in una squallida
camera in quella che una volta era stata un'elegante residenza
privata, riesce ad entrare suo malgrado in contatto con i fantasmi
dell'antico
proprietario distrutto dalla sua avidità e disonestà.
Il protagonista è quel Jim Shorthouse che avevamo già incontrato ne La casa vuota (The empty House vedi mio post del 25/02/13) che per carattere ed esperienze di vita può essere considerato un alter ego dello scrittore: irregolarità degli studi, vita errabonda in Europa ed America del nord (Stati Uniti e Canada) una molteplicità di mestieri, tra cui il giornalista, ma soprattutto l'esperienza di isolamento e violenza che aveva avuto a New York e che lo aveva gettato in uno stato di profonda prostrazione psicologica.
Uno
strano origliare
Jim
Shorthouse era quel tipo di persona che incasina sempre le cose.
Tutto quello che veniva a contatto con le sue mani o la sua mente
usciva fuori da tale contatto in uno stato di irrimediabile e
inqualificabile caos. I suoi anni al college furono un caos: fu
espulso due volte. Gli anni della scuola furono un caos: ne cambiò
una mezza dozzina, e ogni volta che passava dall'una all'altra il suo
carattere peggiorava e lo stato di caos aumentava. Gli anni della
prima adolescenza furono caratterizzati da quella sorta di caos che
libri e dizionari scrivono con la lettera maiuscola, e la sua
infanzia, ahimè, fu l'incarnazione di un ululante, urlante, ruggente
caos.