Fantasmi a New York
Mentre
nell'età vittoriana la ghost story era uno spazio per discutere
liberamente delle ipocrisie del tempo, in particolare riguardo a
sesso, razzismo, classismo e religione, per Algernon
Henry Blackwood, (14 Marzo
1869 – 10 Dicembre
1951), le
cui esperienze lo avevano lasciato profondamente impressionato
dall'isolamento e dall'anonimato della vita nella città
postindustriale, non c'era peccato più grande che avesse bisogno di
essere esplorato della deumanizzazione
urbana. Le sue ghost story seguono le vite di intellettuali
marginalizzati con mediocri lavori che conducono vite solitarie
confinati
in squallidi appartamenti gestiti da avide padrone di casa. I
fantasmi che li tormentano sono tutti morti
a causa dell'isolamento, la marginalizzazione e la
violenza del mercantilismo e del
materialismo urbano, e quelli che tormentano sono tutte vittime
inconsapevoli delle stesse forze.
Nel
racconto Uno strano origliare (ACase of Eavesdropping, 1906
The Empty House and Other Ghost Stories)
uno scrittore squattrinato che vive a New York in una squallida
camera in quella che una volta era stata un'elegante residenza
privata, riesce ad entrare suo malgrado in contatto con i fantasmi
dell'antico
proprietario distrutto dalla sua avidità e disonestà.
Il protagonista è quel Jim Shorthouse che avevamo già incontrato ne La casa vuota (The empty House vedi mio post del 25/02/13) che per carattere ed esperienze di vita può essere considerato un alter ego dello scrittore: irregolarità degli studi, vita errabonda in Europa ed America del nord (Stati Uniti e Canada) una molteplicità di mestieri, tra cui il giornalista, ma soprattutto l'esperienza di isolamento e violenza che aveva avuto a New York e che lo aveva gettato in uno stato di profonda prostrazione psicologica.
Uno
strano origliare
Jim
Shorthouse era quel tipo di persona che incasina sempre le cose.
Tutto quello che veniva a contatto con le sue mani o la sua mente
usciva fuori da tale contatto in uno stato di irrimediabile e
inqualificabile caos. I suoi anni al college furono un caos: fu
espulso due volte. Gli anni della scuola furono un caos: ne cambiò
una mezza dozzina, e ogni volta che passava dall'una all'altra il suo
carattere peggiorava e lo stato di caos aumentava. Gli anni della
prima adolescenza furono caratterizzati da quella sorta di caos che
libri e dizionari scrivono con la lettera maiuscola, e la sua
infanzia, ahimè, fu l'incarnazione di un ululante, urlante, ruggente
caos.
Arrivato
ai quarant'anni, comunque, ci fu un cambiamento nella sua vita
tormentata, quando incontrò una ragazza in legittimo possesso di un
mezzo milione che acconsentì a sposarlo e che ben presto riuscì a
ridurre la sua caotica esistenza ad uno stato di relativo ordine e
metodo.
Alcuni
avvenimenti, importanti ma di diversa natura, della vita di Jim non
sarebbero mai stati raccontati qui se non per il fatto che durante il
suo periodo 'incasinato', da cui poi si tirò fuori, egli riuscì a
calarsi nell'atmosfera di circostanze particolari e di strani
avvenimenti. Infallibilmente, attraeva sul suo cammino le stranezze
della vita nello stesso modo in cui la carne attrae le mosche e la
marmellata le vespe. E' alla carne e alla marmellata della sua vita,
per così dire, che egli deve le sue avventure; quello che venne dopo
fu solo pudding, che non attrae altro che bambini golosi. Con il
matrimonio la sua vita non ebbe interesse che per una sola persona, e
il suo cammino divenne regolare come quello del sole invece che
erratico come quello delle comete.
La
prima avventura in ordine di tempo che mi raccontò dimostra che,
nascoste da qualche parte, nel suo disordinato sistema nervoso c'erano
percezioni psichiche di straordinaria qualità. Quando aveva circa
ventidue anni - penso dopo la sua seconda espulsione – il
portafoglio e la pazienza di suo padre si erano parimenti esauriti e
Jim si ritrovò piantato in asso in una grande città americana.
Piantato in asso! E gli unici abiti senza buchi custoditi nel
guardaroba di suo zio.
Dopo
attenta riflessione sulla panchina di un grande parco della città,
giunse alla conclusione che l'unica cosa da fare era persuadere il
caporedattore di un quotidiano di possedere una mente sveglia e una
penna pronta, e di poter “fare un buon lavoro per il suo giornale,
signore, in qualità di reporter.” E questo fu quello che, poi,
fece, rimanendo in una posizione estremamente innaturale tra il
caporedattore e la finestra allo scopo di nascondere la faccenda dei
buchi.
“Credo
che dovremo darvi una settimana di prova,” disse il caporedattore,
che, continuamente alla ricerca del colpo fortunato, assumeva in quel
modo branchi di uomini, per poi confermarne in media uno per branco.
In ogni modo, questo diede a Jim
Shorthouse i mezzi per rattoppare i buchi e liberare il guardaroba
dello zio dal suo fardello.
Redazione di un giornale - 1909 |
Poi
andò alla ricerca di un alloggio, e in questa impresa le sue
caratteristiche uniche appena menzionate – che un teosofo
chiamerebbe il suo karma
– iniziarono a manifestarsi in modo inequivocabile, perché fu
nella casa che infine scelse che questa triste storia ebbe luogo.
Non
ci sono 'camere ammobiliate' nelle città americane. Le alternative
per un magro reddito sono abbastanza tristi – una stanza in una
pensione dove vengono servono i pasti, oppure un affittacamere dove
i pasti non sono serviti – nemmeno la prima colazione. I ricchi
vivono nei palazzi, naturalmente, ma Jim non aveva niente a che
spartirci. Il suo orizzonte non andava oltre le pensioni o gli
affittacamere, e a causa dell'inevitabile irregolarità dei suoi
pasti, scelse quest'ultima soluzione.
Era
un palazzone dall'aspetto desolato in una strada secondaria, con i
vetri delle finestre sporchi e un cancello cigolante, ma le stanze
erano ampie, e quella che Jim scelse e che pagò in anticipo era
all'ultimo piano. La padrona di casa aveva lo stesso aspetto desolato
e polveroso della casa, ed era quasi altrettanto vecchia. I suoi
occhi erano di un verde scolorito, i lineamenti grossolani.
Egon Schiele -The old city, 1912 |
“Beene,”
gracchiò la donna, col suo elettrizzante biascicare dell'ovest,
“Questa è la stanza, se le garba, e questo è il prezzo. Ora, se
la vuole, beh, basta che lo dica, e se non la vuole, beh, per me va
bene lo stesso.”
Jim
avrebbe voluto scuoterla, ma ebbe paura delle nuvole di polvere
accumulatesi da anni sui suoi abiti, e siccome il prezzo e le
dimensioni della stanza gli stavano bene, decise di prenderla.
“Qualcun
altro su questo piano?” le chiese.
Lo
guardò in modo strano con i suoi occhi scoloriti prima di
rispondergli.
“Nessuno
dei miei ospiti mi ha mai fatto una domanda del genere prima,”
disse; “ma penso che lei sia diverso. Beh, non c'è nessun altro se
non un vecchio gentiluomo che sta qui da ben cinque anni. Sta
laggiù,” e indicò la fine del corridoio.
“Ah!
Vedo,” disse Shorthouse con poca convinzione. “Così sono solo
quassù?”
“Si
consideri solo, o quasi,” gracchiò la donna, che mise
improvvisamente fine alla conversazione girando le spalle al nuovo
'ospite' e scendendo giù per le scale con lenta cautela.
Il
lavoro al giornale teneva Shorthouse fuori per la maggior parte della
notte. Tre volte alla settimana tornava a casa all'una, e tre volte
alle tre. La stanza risultò sufficientemente confortevole, e pagò
per una seconda settimana. I suoi orari insoliti non gli avevano
permesso di incontrare nessuno degli altri inquilini della casa, e
non si era sentito nemmeno un suono provenire dalla stanza del
'vecchio gentiluomo'. Sembrava una casa molto tranquilla.
Una
notte, circa alla metà della seconda settimana, ritornò a casa
stanco dopo una lunga giornata di lavoro. La lampada che di solito
restava accesa tutta la notte nell'ingresso, si era spenta e dovette
salire le scale al buio incespicando ad ogni passo. In tal modo fece
parecchio rumore, ma nessuno sembrò accorgersene. Tutta la casa era
estremamente silenziosa, e probabilmente dormivano tutti. Non c'erano
luci sotto le porte. Tutto era avvolto nelle tenebre. Erano passate
le due.
Dopo
aver letto alcune lettere dall'Inghilterra arrivate quel giorno, e
dopo essersi immerso per alcuni minuti in un libro, gli venne sonno e
si preparò ad andare a letto. Proprio mentre si stava infilando tra
le lenzuola, si fermò un attimo ad ascoltare. Tutto ad un tratto, la
notte fu percorsa dal rumore di passi provenienti dal basso della
casa. Ascoltando attentamente, si accorse che era qualcuno che veniva
su – un passo pesante e il proprietario non si prendeva alcuna pena
di fare le scale silenziosamente. Il rumore continuava a venire su –
tramp, tramp, tramp – evidentemente il passo di un uomo corpulento,
e che sembrava avere una certa fretta.
Ad
un tratto, nella mente di Jim si affacciarono immagini collegate con
il fuoco e la polizia, ma i passi non erano accompagnati dal suono di
voci e, nello stesso momento, rifletté che potesse essere
semplicemente il vecchio gentiluomo che faceva le ore piccole e che
inciampava per le scale a causa del buio. Era sul punto di spegnere
la lampada a gas e di mettersi a letto, quando nella casa tornò
l'abituale silenzio, infatti i passi erano improvvisamente cessati
proprio davanti alla sua camera.
Con
la mano sulla manopola del gas, Shorthouse si fermò un momento prima
di girarla per vedere se i passi avrebbero proseguito, quando fu
colto di sorpresa da un forte bussare alla sua porta. Immediatamente,
obbedendo ad uno strano ed inesplicabile istinto, spense la luce,
lasciando sé stesso e la stanza completamente al buio.
Aveva
a mala pena fato un passo per andare ad aprire la porta, quando una
voce dall'altra parte della parete, così vicina che quasi gli
rimbombò nell'orecchio, esclamò in tedesco, “Sei tu, padre?
Entra.” La persona che parlava era un uomo nella stanza adiacente
e, dopo tutto, non avevano bussato alla sua porta ma a quella della
camera accanto, che lui aveva creduto vuota.
Un
attimo prima che l'uomo nel corridoio avesse il tempo di rispondere
in tedesco, “Fammi entrare subito,” Jim sentì qualcuno
attraversare la stanza e aprire la porta. Poi la porta fu chiusa con
un colpo violento, e si udì il suono di passi in giro per la stanza
e poi quello di sedie che venivano trascinate fino al tavolo e che
sbattevano contro i mobili nel tragitto. I due uomini sembravano del
tutto incuranti della tranquillità dei vicini, perché fecero
abbastanza rumore da svegliare i morti.
“Mi
sta bene per aver scelto una stanza in un buco del genere,” si
diceva Jim al buio, “Vorrei sapere a che razza di gente quella
donna ha affittato la stanza!”
Le
due stanze, gli aveva detto la padrona di casa, in origine erano una.
Vi aveva fatto mettere un sottile divisorio – appena una fila di
tavole – per aumentare le sue entrate. Le porte erano adiacenti, e
separate tra di loro solo da una massiccia trave verticale. Quando
una veniva aperta o chiusa, l'altra tremava.
Con
la massima indifferenza per il sonno degli altri inquilini della
casa, i due tedeschi, nel frattempo, avevano iniziato a parlare tutti
e due allo stesso tempo e a voce alta. Parlavano con un tono
veemente, perfino arrabbiato. Le parole 'padre' e 'Otto' furono usate
molto spesso. Shorthouse capiva il tedesco, ma quando si mise ad
ascoltare, origliando suo malgrado, per i primi uno o due minuti fu
difficile venire a capo del discorso, perché nessuno dei due voleva
lasciare spazio all'altro, e il miscuglio di suoni gutturali e frasi
incomplete era del tutto incomprensibile. Poi, tutto ad un tratto, le
due voci tacquero all'unisono e, dopo un momento di pausa, la voce
profonda di uno dei due, che sembrava essere il “padre,” disse,
in modo estremamente chiaro.
“Vuoi
dire, Otto, che ti rifiuti di chiederlo?”
Ci
fu un rumore come di qualcuno che si agitasse sulla sedia prima che
arrivasse la risposta. “Voglio dire che non so come fare. E' tanto,
padre. E' troppo. Una parte...”
“Una
parte!” gridò l'altro, con una bestemmia rabbiosa. “una parte,
quando la rovina e la vergogna sono già in casa, è peggio che
inutile. Se puoi ottenerne la metà puoi ottenere tutto, maledetto
stupido. Le mezze misure servono solo a mandare tutto in malora.”
“L'ultima
volta mi hai detto...” iniziò l'altro con tono deciso, ma non gli
fu possibile concludere. La sua frase fu sommersa da una sequela di
terribili bestemmie, e il padre continuò, con una voce che vibrava
di rabbia.
“Tu
sai che lei ti darà tutto. Siete sposati solo da pochi mesi. Se
chiedi dando una spiegazione plausibile, puoi ottenere tutto quello
che vogliamo e anche di più. Lo puoi chiedere in prestito. Tutto
sarà restituito. Potremo rimettere in sesto la ditta, e lei non
saprà mai a cosa è servito. Con quella somma, Otto, lo sai che
posso recuperare tutte queste terribili perdite, e in meno di un anno
tutto sarà ripagato. Ma senza… . Devi ottenerlo, Otto. Ascoltami,
devi. Devo essere arrestato per il cattivo uso del denaro che mi era
stato affidato?”
Shorthouse
rimaneva al buio tutto tremante continuando ad ascoltare a dispetto
di sé. Si era fatto prendere dalla conversazione e per qualche
motivo aveva paura di essere scoperto dai suoi vicini. Ma a questo
punto capì che era stato ad ascoltare troppo a lungo e che doveva
informare i due uomini che si poteva sentire ogni singola sillaba
della loro conversazione. Così tossì forte e allo stesso tempo si
mise a far rumore con la maniglia della porta. Questo sembrò non
avere alcun effetto, perché le voci continuarono ad essere alte come
prima, il figlio protestando e il padre diventando sempre più
furioso. Tossì di nuovo insistentemente, e decise di lasciarsi
cadere di proposito al buio contro il divisorio, e nel fare così
sentì le tavole piegarsi facilmente sotto il suo peso facendo un
considerevole rumore. Ma le voci continuarono indisturbate, e più
alte che mai. Possibile che non avessero sentito?
In
quel momento Jim era più preoccupato per il suo sonno che per la
correttezza di origliare gli scandali privati dei suoi vicini, e uscì
nel corridoio e bussò educatamente alla loro porta. Immediatamente,
come per magia, i rumori cessarono. Tutto cadde nel più assoluto
silenzio. Non c'era luce sotto la porta e non un sussurro proveniva
dall'interno. Bussò di nuovo, ma non ricevette alcuna risposta.
“Signori,”
disse dopo un po', con le labbra vicine al buco della serratura e in
tedesco, “per favore, non parlate così forte. Posso sentire tutto
ciò che dite dalla stanza accanto. Inoltre, è molto tardi, e vorrei
dormire.”
Si
fermò ad ascoltare, ma non arrivò nessuna risposta. Nel girare la
maniglia scoprì che la porta era chiusa. Non un suono turbava la
tranquillità della notte, ad eccezione del flebile fruscio del vento
sopra il lucernario, e il crepitio di una tavola qui e là nei piani
sottostanti. L'aria fredda delle primissime luci dell'alba invase il
corridoio e lo fece tremare. Il silenzio della casa iniziò a fargli
una sgradevole impressione. Gli sembrava che le voci gli risuonassero
ancora nelle orecchie, ma quell'improvviso silenzio, dopo che aveva
bussato alla porta, gli fece un effetto ancora più spiacevole delle
voci, e gli mise in testa degli strani pensieri – pensieri che non
gli piacevano e non approvava.
Brown Lady of Raynham Hall - Country Life Magazine, 1936 |
Allontanandosi
silenziosamente dalla porta, si sporse oltre la balaustra per
sbirciare nello spazio sottostante. Era come una profonda volta che
non poteva nascondere niente di buono nelle sue ombre. Non gli fu
difficile immaginare di vedere un indistinto andirivieni sotto di
lui. Era quella una figura seduta sulle scale a fissarlo furtivamente
con i suoi occhi malvagi? Era quello il suono di sospiri e di passi
che si trascinavano laggiù nelle sale buie e sui pianerottoli
deserti? Era qualcosa di più dell'inarticolato mormorio della notte?
Il
vento soffiò più forte sopra di lui, sibilando sopra il lucernario,
e la porta dietro di lui tremò facendolo sobbalzare. Si girò per
tornare nella sua stanza, ma lo spiffero gli chiuse lentamente la
porta sulla faccia, come se dall'altra parte ci fosse qualcuno che la
spingesse. Quando la spalancò ed entrò, gli sembrò che un
centinaio di ombre sfrecciassero velocemente e silenziosamente
tornando nei loro angoli e nei loro nascondigli. Ma nella stanza
accanto i suoni erano cessati del tutto e Shorthouse si infilò
immediatamente nel letto lasciando la casa con suoi abitanti, svegli
o addormentati, a prendersi cura di sé, mentre lui entrava nella
regione dei sogni e del silenzio.
Il
giorno dopo, forte del buon senso che reca la luce del giorno, decise
di presentare una lamentela contro i rumorosi inquilini della stanza
accanto in modo che la padrona di casa gli chiedesse di abbassare la
voce a notte tarda e al mattino presto. Ma successe che la donna
quel giorno non si fece vedere, e quando lui ritornò dall'ufficio a
mezzanotte era troppo tardi, naturalmente.
Quando
salì per andare a letto, guardando sotto la porta, notò che non
c'era luce e concluse che i tedeschi erano fuori. Tanto meglio. Andò
a dormire che era circa l'una, assolutamente deciso, se fossero
ritornati più tardi e lo avessero svegliato con i loro terribili
rumori, a non darsi tregua finché non avesse svegliato la padrona di
casa e l'avesse costretta a rimproverarli con il suo autoritario
gracchiare, in cui ogni parola era simile alla frustata di uno
scudiscio metallico.
Comunque,
andò a finire che non ci fu bisogno di misure così drastiche,
perché Shorthouse riposò tranquillamente tutta la notte, e i suoi
sogni – riguardanti principalmente i campi di grano e le greggi di
pecore delle lontane fattorie sulla proprietà del padre –
riuscirono a fare il loro fantastico corso indisturbati
Due
notti più tardi, comunque, tornato a casa completamente stanco, dopo
una giornata difficile, per di più bagnato e stremato da uno dei
peggiori temporali che avesse mai visto, i suoi sogni – sempre
quelli dei campi e delle pecore – non erano destinati ad essere
così tranquilli.
Si
era già appisolato in quel delizioso tepore che ci avvolge dopo che
ci siamo tolti gli abiti bagnati e ci ci siamo infilati sotto il
caldo delle coperte, quando la sua coscienza, vagando sul confine tra
il sonno e la veglia, fu alquanto turbata da un suono indistinto
proveniente dalle profondità della casa e che, tra le raffiche di
vento e pioggia, raggiunse le sue orecchie insieme ad un senso di
disagio e sconforto. Il suono si propagava nell'aria notturna con una
certa pretesa di regolarità, affievolendosi quando il vento ululava
per rafforzarsi in lontananza nei profondi e brevi silenzi del
temporale.
Per
qualche minuto i sogni di Jim furono colorati solamente – o meglio,
furono incupiti – da questa spaventosa impressione che da chissà
dove si avvicinava impercettibilmente a lui. La sua coscienza,
dapprincipio, si rifiutò di farsi trascinare fuori dalla regione
incantata in cui vagava, e non si svegliò subito. Ma la natura dei
suoi sogni mutò in modo spiacevole. Vide le pecore fuggire
improvvisamente accalcandosi come se spaventate dall'approssimarsi di
un nemico, mentre i campi di spighe ondeggianti incominciarono ad
agitarsi come se un mostro si muovesse scompostamente tra i fitti
gambi. Il cielo divenne scuro, e nel suo sogno un suono spaventoso
venne giù dalle nuvole. In realtà, era il suono in fondo alle scale
che stava diventando sempre più distinto.
Shorthouse
si rigirò inquieto nel letto emettendo qualcosa simile ad un gemito
angoscioso. Un minuto dopo si svegliò e si trovò seduto nel letto –
con le orecchie tese. Era un incubo? Aveva fatto un brutto sogno, per
cui aveva la pelle d'oca e i capelli ritti in testa?
La
stanza era buia e silenziosa, ma all'esterno il vento ululava
sinistramente e lanciava scrosci di pioggia in ripetuti assalti
contro le finestre facendole vibrare. Come sarebbe stato bello –
gli venne da pensare all'improvviso – se tutti i venti, come il
maestrale, cessassero al tramonto! La notte facevano un rumore
raccapricciante, come urli di voci arrabbiate. Durante il giorno
avevano un suono così diverso. Se solo…
Un
attimo! Dopo tutto, non era un sogno, perché il suono diventava più
forte ad ogni momento, e la sua causa stava salendo le scale.
Si ritrovò a speculare con una certa difficoltà su cosa potesse
essere questa causa, ma il suono era ancora troppo indistinto per
permettergli di arrivare ad una conclusione definitiva.
L'orologio
della chiesa batté le due facendo sentire la sua voce al di sopra
del vento. Era quasi l'ora in cui i tedeschi avevano iniziato il loro
battibecco tre notti prima. Shorthouse decise che se avessero
ricominciato non lo avrebbe tollerato molto a lungo. Tuttavia, era
ormai terribilmente consapevole della difficoltà che avrebbe avuto
ad uscire dal letto. Le coperte ammucchiate dietro la sua schiena
erano così calde e confortevoli. Quel suono, che si avvicinava
progressivamente, si era ormai differenziato dal confuso clamore
degli elementi, per diventare quello dei passi di una o più persone.
“I
tedeschi, accidenti a loro!” pensò Jim. “Ma cosa diavolo mi sta
succedendo? Non mi sono mai sentito così strano in tutta la mia
vita.”
Stava
tremando tutto, e aveva freddo come se si trovasse in un'atmosfera
gelida. I suoi nervi erano abbastanza saldi, e non avvertiva alcuna
diminuzione del coraggio fisico, ma era conscio di un curioso senso
di malessere e trepidazione, simile a quello che anche gli uomini più
vigorosi sanno di aver conosciuto nella morsa iniziale di una qualche
orribile e mortale malattia. Quel senso di debolezza aumentava con
l'avvicinarsi dei passi. Si sentì invadere da uno strano languore,
una sorta di stanchezza, accompagnato da un crescente intorpidimento
degli arti, e nella testa una sensazione di sonnolenza, come se,
forse, la coscienza stesse abbandonando la sua sede abituale nel
cervello e si preparasse ad agire su di un altro livello. Eppure,
strano a dirsi, man mano che la vitalità abbandonava lentamente il
suo corpo, i suoi sensi sembravano diventare più acuti.
Nel
frattempo i passi erano già sul pianerottolo in cima alle scale, e
Shorthouse, ancora seduto nel letto, sentì un corpo pesante
strisciare dietro la sua porta e lungo il muro e, quasi
immediatamente dopo, un forte bussare alla porta della stanza
accanto.
Immediatamente,
anche se fino ad allora nessun suono era arrivato dall'interno,
sentì, attraverso il divisorio, una sedia spinta indietro e un uomo
attraversare velocemente la stanza e aprire la porta.
“Ah!
Sei tu,” sentì dire dalla voce del figlio. Allora, quel tipo era
rimasto seduto in silenzio per tutto il tempo, aspettando l'arrivo
del padre? Quella riflessione non giunse per niente gradita a
Shorthouse.
Non
ci fu alcuna risposta a quel saluto diffidente, ma la porta fu chiusa
velocemente, e poi ci fu un rumore come se una borsa o un pacco fosse
stato gettato su di un tavolo di legno scivolando per un tratto prima
di fermarsi.
“Che
cos'è” chiese il figlio, con tono ansioso.
“Potrai
saperlo prima che me ne vado,” rispose l'altro in modo burbero. In
effetti, la sua voce era più che burbera, tradiva una mal celata
rabbia.
Shorthouse
realizzò un forte desiderio di fermare la conversazione prima che
proseguisse oltre, ma in qualche modo la sua volontà non era
all'altezza del compito e non poté uscire dal letto. La
conversazione continuò, ogni tonalità e inflessione era
perfettamente udibile sopra il fragore della tempesta.
Il
padre continuò a voce bassa. Jim perse alcune parole all'inizio
della frase, che finì con: “… ma ora sono andati via tutti, e
sono riuscito a salire qui da te. Tu lo sai per cosa sono venuto.”
C'era una chiara minaccia nella sua voce.
“Sì,”
rispose l'altro, “Stavo aspettando.”
“E
il denaro?” chiese il padre con impazienza.
Nessuna
risposta.
“Hai
avuto tre giorni per ottenerlo, e sono riuscito a evitare il peggio
fino ad ora – ma domani sarà la fine.”
Nessuna
risposta.
“Parla,
Otto! Che cosa hai per me? Parla, figlio mio, per amor di Dio,
parlami.”
Ci
fu un momento di silenzio, durante il quale i vibranti accenti del
vecchio sembrarono riecheggiare nelle due stanze. Poi, a voce bassa,
arrivò la risposta.
“Non
ho niente..”
“Otto!”
gridò l'altro con impeto, “niente!”
“Non
sono riuscito ad ottenere niente,” riuscì a dire quasi in un
sospiro.
“Tu
menti!” gridò l'altro, con voce quasi strozzata. “Giuro che tu
menti. Dammi il denaro.”
Si
udì una sedia grattare il pavimento. Evidentemente i due uomini
erano seduti intorno al tavolo, e uno di loro si era alzato.
Shorthouse sentì tirare la borsa o il pacchetto sul tavolo, e poi un
passo, come se uno dei due uomini stesse andando verso la porta.
“Padre,
cosa c'è lì dentro? Devo saperlo,” disse Otto, con i primi segni
di determinazione nella voce. Doveva esserci stato un tentativo da
parte del figlio di impadronirsi del pacco in questione, e da parte
del padre di trattenerlo, perché fra tutti e due cadde a terra.
Quando toccò il pavimento, ci fu un curioso tintinnio.
Immediatamente ci fu il rumore di una zuffa. I due uomini stavano
lottando per il possesso della scatola. Il più anziano con bestemmie
e imprecazioni blasfeme, l'altro con un fitto ansimare che tradiva
l'intensità dei suoi sforzi. Non durò a lungo, e il più giovane
aveva evidentemente vinto, perché un minuto dopo si sentì la sua
rabbiosa esclamazione.
“Lo
sapevo. I gioielli di mia moglie! Canaglia, non li avrai mai. E' un
crimine!”
Il
più anziano rispose con una breve risata gutturale, che gelò il
sangue a Jim e gli diede i brividi. Non dissero nemmeno una parola, e
per lo spazio di dieci secondi ci fu un profondo silenzio. Poi un
rumore sordo fece vibrare l'aria, seguito immediatamente da un gemito
e dal tonfo di un corpo pesante che cadeva sul tavolo. Un secondo
dopo si sentì qualcuno barcollare via dal tavolo e cadere sul
pavimento e contro il divisorio che separava le due camere. Il letto
tremò per un istante a causa di quel colpo, ma la sua anima fu
liberata da quel malefico incantesimo e Jim Shorthouse saltò fuori
dal letto e attraversò la stanza in un sol balzo. Sapeva che era
stato commesso uno spaventoso omicidio – l'assassinio di un figlio
ad opera del padre.
Con
dita tremanti ma cuore saldo accese il gas, e la prima cosa che diede
conferma ai suoi occhi di ciò che avevano udito le sue orecchie fu
il terrificante dettaglio della parte inferiore del divisorio che
sporgeva innaturalmente nella sua stanza. La carta grossolana di cui
era ricoperto si era spaccata per la pressione e le tavole
sottostanti si erano piegate verso di lui. Tremò al pensiero del
terribile peso che gli gravava sopra.
Vide
tutto questo in meno di un secondo. Dopo quell'ultimo colpo contro la
parete, dalla stanza non era giunto alcun suono, nemmeno un gemito o
un rumore di passi. Tutto era silenzio ad eccezione dell'ululato del
vento, che risuonava nelle sue orecchie con una nota di orrore
trionfante.
Shortause
si accingeva a lasciare la stanza per svegliare gli abitanti della
casa e mandare a chiamare la polizia – infatti la sua mano era già
sulla maniglia, quando qualcosa nella stanza lo bloccò. Pensò di
aver catturato con la coda degli occhi l'immagine di qualcosa che si
muoveva. Ne era sicuro, e girando lo sguardo in quella direzione,
scoprì di non essersi sbagliato.
Qualcosa
stava strisciando lentamente sul pavimento verso di lui. Era qualcosa
di scuro e con una forma serpentina, e proveniva dal posto in cui il
divisorio sporgeva. Si inchinò ad esaminarla con un sentimento di
intenso orrore e ripugnanza, e scoprì che si stava muovendo verso di
lui dall'altra parte della parete. I suoi occhi ne
rimasero affascinati, e per il momento fu incapace di muoversi.
Silenziosamente, lentamente, simile ad un grosso serpente da una
parte e dall'altra del divisorio, scivolò in mezzo alla stanza sotto
i suoi occhi terrorizzati, finché alla lunga non riuscì più a
trattenersi e allungò il braccio per toccarla. Ma nel momento in cui
toccò quella cosa ritirò la mano con un grido soffocato. Era
viscida – e calda! E vide che le sue dita erano macchiate di un
rosso vivo.
Ancora
un secondo, e Shorthouse era fuori nel corridoio con la mano sulla
porta della stanza accanto. Era chiusa. Vi si gettò sopra con tutto
il suo peso e, avendo ceduto il lucchetto, cadde lungo disteso nella
stanza che era completamente al buio e freddissima. In un attimo si
rimise in piedi e cercò di penetrare quelle tenebre. Non un suono,
non un movimento. Nemmeno la sensazione di una presenza. Era vuota,
tristemente vuota!
Dall'altra
parte della stanza si intravedeva il profilo di una finestra con la
pioggia che scorreva lungo i vetri, e in lontananza le luci incerte
della città. Ma la stanza era vuota, spaventosamente vuota, e così
silenziosa. Rimase lì, freddo come il ghiaccio, a guardare, ad
ascoltare tutto tremante. Improvvisamente, sentì un passo dietro di
lui e nella stanza ci fu il bagliore di una luce, e quando si girò
velocemente con il braccio sollevato come a ripararsi da un terribile
colpo, si trovò faccia a faccia con la padrona di casa. In
quell'istante, iniziò a reagire.
Erano
quasi le tre del mattino, e Jim era lì, a piedi nudi e pigiama a
strisce in una piccola stanza che in quella provvidenziale luce
apparve essere assolutamente vuota, senza tappeto e senza un briciolo
di mobilio e nemmeno una tenda. Rimase lì a guardare la sua
sgradevole padrona di casa. Anche lei rimase lì, a fissarlo in
silenzio, avvolta in qualcosa di nero, la testa quasi calva, la
faccia bianca come gesso, schermando una candela baluginante con la
sua mano ossuta, mentre lo spiava con i suoi occhi ammiccanti
illuminati da quella luce incerta. Era decisamente spaventosa.
Il personaggio di Mary Shaw nel film Dead Silence, 2007 |
“Beene?”
gracchiò dopo un po', “L'ho sentito per un bel pezzo. Immagino
che non riuscisse a dormire! O stava dando un'occhiata in giro –
non è così?”
La
stanza vuota, l'assenza di ogni traccia della recente tragedia, il
silenzio, l'ora, il suo pigiama a strisce e i piedi nudi – tutte
queste cose insieme contribuirono ad ammutolirlo momentaneamente. La
fissò con uno sguardo vuoto senza dire una parola.
“Beene?”
disse la donna con la sua terribile voce metallica.
“Mia
brava donna,” riuscì a dire alla fine, “è successo qualcosa di
terribile...” La sua disperazione lo portò fino a questo punto, ma
non oltre. Arrivato al sostantivo, si fermò di colpo.
“Oh!
Non è successo un bel niente,” disse lei continuando a fissarlo.
“Penso che abbia visto e sentito solamente quello che hanno visto e
sentito gli altri. Non riesco mai a tenere la gente su questo piano
troppo a lungo. La maggior parte di loro prima o poi se ne accorge –
cioè quelli più svegli e sensibili. Solamente, essendo lei inglese,
pensavo che non ci avrebbe fatto caso. Non succede niente veramente,
è solamente immaginazione.”
Shorthouse
era fuori di sé. Si sentì sul punto di afferrarla e buttarla giù
per le scale, con tutta la candela.
“Guardi
qua,” disse, puntando verso di lei, a pochi centimetri dai suoi
occhi ammiccanti, le dita con cui aveva toccato il sangue viscido;
“Guardi qui, mia brava donna. Questa è solo immaginazione?”
Lei
stette a guardare per un minuto, come se non capisse quello che
voleva dire.
“Penso
di sì,” disse alla fine.
Jim
seguì lo sguardo della donna, e con sua sorpresa vide che le dita
erano bianche come al solito, e completamente libere dalla terribile
macchia che c'era stata fino a dieci minuti prima. Non c'era alcuna
traccia di sangue. E non c'era modo di riportarla indietro per quanto
guardasse. Era uscito fuori di senno? I suoi occhi e le sue orecchie
potevano ingannarlo in quel modo? I suoi sensi erano diventati falsi
e perversi? Oltrepassò di corsa la padrona di casa, e uscì nel
corridoio raggiungendo la sua stanza in un paio di passi. Accidenti!…
Il divisorio non sporgeva più. La carta non era lacerata. Non c'era
nessuna cosa che strisciava e serpeggiava sul vecchio tappeto
scolorito.
“E'
tutto finito adesso,” biascicò la voce metallica dietro di lui.
“Me ne ritorno a letto.”
Lui
si girò e vide la padrona di casa ridiscendere lentamente le scale,
continuando a schermare la candela con la mano e girandosi di tanto
in tanto a scrutarlo senza fermarsi. Una cosa nera, brutta,
sgradevole, pensò, mentre la donna spariva nelle tenebre sottostanti
e l'ultimo bagliore della candela proiettava un'ombra bizzarra lungo
il muro e sul soffitto.
Senza
esitare un istante, Shorthouse s'infilò addosso gli abiti e uscì di
casa. Preferiva la tempesta agli orrori dell'ultimo piano, e vagò
per strada fino all'alba. A sera, disse alla padrona di casa che
sarebbe andato via il giorno dopo, a dispetto delle sue assicurazioni
che non sarebbe successo più niente.
“Non
si ripete mai,” gli disse, “cioè, non dopo che lui è stato
assassinato.”
Shorthouse
rimase senza fiato.
“Mi
ha dato molto per
quel che ho pagato,”
brontolò.
“Beene,
non li ho fatti venire io,” biascicò lei. “Non sono una medium.
E' un rischio. Alcuni dormono sodo tutta la notte e non sentono
niente. Altri, come lei, sono diversi e si beccano l'intero
spettacolo.”
“Chi
è il vecchio gentiluomo?… lui sente niente?” chiese Jim.
“Non
c'è nessun vecchio gentiluomo,” gli rispose bruscamente. “L'ho
detto solo per farla stare tranquillo in caso avesse sentito
qualcosa. Era completamente solo sul piano.”
“Mi
dica ora,” continuò la donna, dopo una pausa in cui Shorthouse non
riuscì a pensare a niente da dire se non a cose irriferibili, “mi
dica, la prego, ha avvertito una specie di freddo quando lo
spettacolo era in corso, una specie di stanchezza e debolezza, voglio
dire, come se fosse sul punto di morire?”
“Che
ne so?” rispose arrabbiato, “quello che ho sentito lo sa solo
Dio.”
“Beene,
ma Lui non ce lo dirà,” biascicò lei. “Mi chiedevo solamente
come si è sentito veramente. Perché l'uomo che ha occupato per
ultimo quella stanza fu trovato una mattina a letto...”
“A
letto?”
“Era
morto. Era quello prima di lei. Oh! Non c'è bisogno che si alteri in
quel modo. Dopo tutto sta bene. E si dice che quelle cose siano
successe veramente. Questa casa era una residenza privata circa
venticinque anni fa, e ci viveva una famiglia tedesca di nome
Steinhardt. Avevano un grosso giro di affari a Wall Street, e le cose
andavano a gonfie vele.”
“Ah!”
disse il suo ascoltatore.
“Oh
si, proprio a gonfie vele, finché un giorno andò tutto a rotoli, e
il vecchio tagliò la corda con il malloppo.”
“Tagliò
la corda con il malloppo?”
“Proprio
così,” disse la donna, “fuggì con tutto il denaro, e il figlio
fu trovato morto in casa, si pensò che si fosse suicidato. Tuttavia
c'era chi pensava che non avrebbe potuto pugnalarsi e cadere in
quella posizione. Dissero che era stato pugnalato. Il padre morì in
prigione. Cercarono di attribuirgli l'omicidio, ma non c'era movente,
o nessuna prova, o non so cosa. Adesso non ricordo.”
“Interessante,”
disse Shorthouse.
“Le
mostrerò una cosa veramente strana, comunque,” biascicò lei, “se
viene su un momento. Ho sentito i passi e le voci tante volte, non mi
fanno nessun effetto. E' come se sentissi abbaiare tanti cani.
Troverete tutta la storia nei giornali, se cercate – non quello che
succede qui, ma la storia dei tedeschi. La mia casa sarebbe rovinata
se si sapesse tutto, e io sarei denunciata per danni.”
Raggiunsero
la stanza e la donna entrò e tirò su l'orlo del tappeto nel punto
in cui Shorthouse aveva visto colare il sangue la sera prima.
“Guardi
qua, se ne ha voglia,” disse la vecchia strega. Chinandosi giù,
Jim vide sulle assi una macchia scura, sbiadita che corrispondeva
esattamente alla forma e alla posizione del sangue come lo aveva
precedentemente visto.
Quella
notte dormì in albergo e il giorno dopo cercò una nuova
sistemazione. Nei giornali dell'archivio del suo ufficio, dopo una
lunga ricerca trovò, andando indietro di venti anni, i dettagli
della storia, in sostanza come glieli aveva raccontati la donna, del
fallimento di Steinhardt & Co, la fuga e il successivo arresto
del socio più anziano, il suicidio, o l'omicidio, del figlio Otto.
La pensione della sua padrona di casa era stata in precedenza la loro
residenza privata.
FINE
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