La magnifica ossessione
Il grande carbonchio (The Great Carbuncle, noto anche come Gran Rubino, Il gran carbonchio, La leggenda del grande rubino), è un racconto breve di Nathaniel Hawthorne contenuto in Racconti narrati due volte (Twice-Told Tales - 1842), in cui l'autore riunì racconti che erano stati già pubblicati in forma anonima su riviste letterarie o in raccolte annuali (soprattutto su "The Token", un libro strenna natalizio). Il titolo, verosimilmente, fu ispirato dal dramma shakespiriano Re Giovanni (atto III, scena 4), dove un personaggio afferma che “Life is as tedious as a twice-told tale, / Vexing the dull ear of a drowsy man.” ("La vita è noiosa come una storia narrata due volte, che infastidisce l'orecchio pigro d'uno già mezzo addormentato").
I
racconti si ispirano a tradizioni locali, poi trascritte dall'autore.
Nel
caso del Il
Grande Carbonchio, Hawthorne,
come egli
stesso
precisa nella nota al titolo, afferma
di
ispirarsi
ad una leggenda indiana “troppo
selvaggia
e troppo bella
per essere adeguatamente rielaborata
in prosa.” Tra boschi
incontaminati,
fiumi
impetuosi e aspre cime inviolate,
il variegato passato europeo si fonde con l'incanto della natura
selvaggia e con gli echi delle culture native per dare forma ai
protagonisti della nuova America.
La
storia, ambientata nella
metà del seicento, si
svolge
in
quel New England che rappresenta il cuore della giovane nazione
americana, e
narra di un gruppo di otto avventurieri arrivati alle pendici delle
Montagne di Cristallo attratti dall'antica leggenda indiana del
Grande Carbonchio, un rubino meraviglioso la cui luce incorona la
cima più alta delle Crystal Hills e che li ha attirati a sé come la fiamma fa con la
falena. E a quel fuoco rischieranno di bruciarsi tutti.
Come in un Morality Play*, i
nomi dei personaggi alludono ai vizi e alle virtù che essi
rappresentano. Così, il ricco mercante che sguazza nelle suo monete
d'argento come il maiale nel fango, si chiama Pigsnort. Il dottor
Cacaphodel è un alchimista che persegue la conquista della gemma per
usarlo nei suoi folli esprimenti. Il Cercatore, il rude uomo delle
montagne, mezzo uomo e mezzo animale, ha trascorso la sua vita
all'inseguimento della gemma che vuol portare a morire con sé nel
buio di una caverna. Il poeta, ha attraversato il mare nella speranza
che la luce del rubino gli ridia l'ispirazione persa. Lord de Vere,
rappresenta l'albagia di un'aristocrazia ormai morente, e vuole la
gemma per illuminare i simboli dell'antica gloria. Matthew e Hannah,
giovani sposi semplici e diretti come i loro nomi, sono la nota
stonata di questo folle gruppo, ma anche loro hanno subito il fascino
della pietra meravigliosa, che vogliono conquistare per illuminare,
notte e giorno, il loro umile nido d'amore. Infine c'è il Cinico
che, in onore al suo nome, si prende gioco di tutti ed è arrivato
lì, dopo un lungo viaggio, solo per dimostrare che il Grande
Carbonchio non esiste. Alla fine, secondo la legge del contrappasso,
tutti avranno ciò che meritano, a meno di rendersi conto della loro
follia e rinunciare al Grande Carbonchio.
Curiosità:
Il racconto è stato di nuovo raccontato da Sylvia Plath (1932 – 1963) nella poesia The Great Carbuncle, scritto dopo un viaggio nello Yorkshire, in cui la poetessa esplora l'atmosfera irreale della brughiera paragonandola alla luce trasfigurante del Grande Carbonchio.
Il
Grande Carbonchio.[1]
Un
misero delle Montagne Bianche.
Saatchi Art Artist Hilary Baker; Painting, “The Great Carbuncle (after Hawthorne) |
Al calare
della notte, una volta, tanto tempo fa, sull'impervio versante di una
delle colline di Cristallo1, un gruppo di avventurieri si
stava ristorando dopo una faticosa e infruttuosa ricerca del Grande
Carbonchio2. Erano arrivati lì, non come amici, non come
soci nell'impresa, ma ognuno, salve una giovane coppia, sospinto dal
proprio egoistico e solitario desiderio per questa stupefacente
gemma. Il loro senso di cameratismo, comunque, era abbastanza forte
da indurli ad un mutuo contributo per la costruzione di un rozzo
capanno di rami e per accendere un grande fuoco con il legno di pini
sradicati che erano scesi giù per la corrente precipitosa del fiume
Amonoosuck3, sulla cui riva inferiore si accingevano a
trascorrere la notte. Non ce n'era che uno, forse, che era diventato
così estraneo al naturale sentimento di solidarietà, a causa del
totalizzante coinvolgimento di quella ricerca, da non provare
alcuna soddisfazione alla vista di volti umani, nella remota e
solitaria regione a cui erano giunti.