La magnifica ossessione
Il grande carbonchio (The Great Carbuncle, noto anche come Gran Rubino, Il gran carbonchio, La leggenda del grande rubino), è un racconto breve di Nathaniel Hawthorne contenuto in Racconti narrati due volte (Twice-Told Tales - 1842), in cui l'autore riunì racconti che erano stati già pubblicati in forma anonima su riviste letterarie o in raccolte annuali (soprattutto su "The Token", un libro strenna natalizio). Il titolo, verosimilmente, fu ispirato dal dramma shakespiriano Re Giovanni (atto III, scena 4), dove un personaggio afferma che “Life is as tedious as a twice-told tale, / Vexing the dull ear of a drowsy man.” ("La vita è noiosa come una storia narrata due volte, che infastidisce l'orecchio pigro d'uno già mezzo addormentato").
I
racconti si ispirano a tradizioni locali, poi trascritte dall'autore.
Nel
caso del Il
Grande Carbonchio, Hawthorne,
come egli
stesso
precisa nella nota al titolo, afferma
di
ispirarsi
ad una leggenda indiana “troppo
selvaggia
e troppo bella
per essere adeguatamente rielaborata
in prosa.” Tra boschi
incontaminati,
fiumi
impetuosi e aspre cime inviolate,
il variegato passato europeo si fonde con l'incanto della natura
selvaggia e con gli echi delle culture native per dare forma ai
protagonisti della nuova America.
La
storia, ambientata nella
metà del seicento, si
svolge
in
quel New England che rappresenta il cuore della giovane nazione
americana, e
narra di un gruppo di otto avventurieri arrivati alle pendici delle
Montagne di Cristallo attratti dall'antica leggenda indiana del
Grande Carbonchio, un rubino meraviglioso la cui luce incorona la
cima più alta delle Crystal Hills e che li ha attirati a sé come la fiamma fa con la
falena. E a quel fuoco rischieranno di bruciarsi tutti.
Come in un Morality Play*, i
nomi dei personaggi alludono ai vizi e alle virtù che essi
rappresentano. Così, il ricco mercante che sguazza nelle suo monete
d'argento come il maiale nel fango, si chiama Pigsnort. Il dottor
Cacaphodel è un alchimista che persegue la conquista della gemma per
usarlo nei suoi folli esprimenti. Il Cercatore, il rude uomo delle
montagne, mezzo uomo e mezzo animale, ha trascorso la sua vita
all'inseguimento della gemma che vuol portare a morire con sé nel
buio di una caverna. Il poeta, ha attraversato il mare nella speranza
che la luce del rubino gli ridia l'ispirazione persa. Lord de Vere,
rappresenta l'albagia di un'aristocrazia ormai morente, e vuole la
gemma per illuminare i simboli dell'antica gloria. Matthew e Hannah,
giovani sposi semplici e diretti come i loro nomi, sono la nota
stonata di questo folle gruppo, ma anche loro hanno subito il fascino
della pietra meravigliosa, che vogliono conquistare per illuminare,
notte e giorno, il loro umile nido d'amore. Infine c'è il Cinico
che, in onore al suo nome, si prende gioco di tutti ed è arrivato
lì, dopo un lungo viaggio, solo per dimostrare che il Grande
Carbonchio non esiste. Alla fine, secondo la legge del contrappasso,
tutti avranno ciò che meritano, a meno di rendersi conto della loro
follia e rinunciare al Grande Carbonchio.
Curiosità:
Il racconto è stato di nuovo raccontato da Sylvia Plath (1932 – 1963) nella poesia The Great Carbuncle, scritto dopo un viaggio nello Yorkshire, in cui la poetessa esplora l'atmosfera irreale della brughiera paragonandola alla luce trasfigurante del Grande Carbonchio.
Il
Grande Carbonchio.[1]
Un
misero delle Montagne Bianche.
Saatchi Art Artist Hilary Baker; Painting, “The Great Carbuncle (after Hawthorne) |
Al calare
della notte, una volta, tanto tempo fa, sull'impervio versante di una
delle colline di Cristallo1, un gruppo di avventurieri si
stava ristorando dopo una faticosa e infruttuosa ricerca del Grande
Carbonchio2. Erano arrivati lì, non come amici, non come
soci nell'impresa, ma ognuno, salve una giovane coppia, sospinto dal
proprio egoistico e solitario desiderio per questa stupefacente
gemma. Il loro senso di cameratismo, comunque, era abbastanza forte
da indurli ad un mutuo contributo per la costruzione di un rozzo
capanno di rami e per accendere un grande fuoco con il legno di pini
sradicati che erano scesi giù per la corrente precipitosa del fiume
Amonoosuck3, sulla cui riva inferiore si accingevano a
trascorrere la notte. Non ce n'era che uno, forse, che era diventato
così estraneo al naturale sentimento di solidarietà, a causa del
totalizzante coinvolgimento di quella ricerca, da non provare
alcuna soddisfazione alla vista di volti umani, nella remota e
solitaria regione a cui erano giunti.
Una vasta
estensione di territorio selvaggio si frapponeva tra loro e
l'insediamento più vicino, mentre a poco meno di un miglio sopra le
loro teste, c'era quel desolato limitare dove le colline si spogliano
del loro ispido mantello boscoso e si vestono di nuvole, oppure
torreggiano nude verso il cielo. Il rombo dell'Amonoosuk sarebbe
stato troppo spaventoso da sopportare, se ci fosse stato un solo
uomo ad ascoltare, mentre il fiume montano chiacchierava con il
vento.
Gli
avventurieri, perciò, si scambiarono amichevoli saluti e si diedero
l'un l'altro il benvenuto nel capanno, dove ciascuno era anfitrione,
e tutti erano ospiti dell'intera comitiva. Sistemarono le loro
personali provviste di cibo sulla superficie piatta di un masso, e
parteciparono al pasto comune, alla fine del quale nel gruppo era
percettibile un sentimento di buon cameratismo, anche se represso
dall'idea che la rinnovata ricerca del Grande Carbonchio li avrebbe
resi di nuovo estranei, il mattino seguente. Sette uomini e una
giovane donna si scaldavano insieme intorno al fuoco, che spandeva il
suo splendore su tutta la parte anteriore del loro wigwam. Mentre
osservavano le figure varie e contrastanti che componevano
quell'assemblaggio, dove ognuno sembrava la caricatura di sé stesso,
nella luce fluttuante che guizzava sopra di loro, arrivarono alla
conclusione condivisa che non si era mai incontrato un gruppo più
strano di persone, in città o nella natura selvaggia, in montagna o
in pianura.
The Notch of The White Mountains - Thomas Cole, 1839 |
Il più
anziano del gruppo, un uomo alto, magro, segnato dalle intemperie, di
circa sessanta anni, era vestito di pelli di animali selvaggi, di cui
imitava bene il modo di vestire, dal momento che il lupo e il cervo
erano suoi più intimi amici da lungo tempo. Era uno di quei mortali
sfortunati, così ne parlavano gli indiani, che, nella loro prima
giovinezza il Grande Carbonchio aveva colpito con una singolare
follia che era diventata il sogno appassionato della loro esistenza.
Tutti quelli che visitavano la regione lo conoscevano come il
Cercatore, e con nessun altro nome. Dal momento che nessuno poteva
ricordare quando aveva intrapreso la ricerca, circolava una favola
nella valle del Saco, secondo cui a causa della sua smodata bramosia
per il Grande Carbonchio, era stato condannato a vagare tra le
montagne fino alla fine dei tempi, sempre con le stesse febbrili
speranze all'alba – la stessa disperazione al tramonto.
Accanto
all'infelice Cercatore sedeva un un ometto attempato, con in testa un
cappello a cilindro, che rassomigliava un po' ad un crogiolo. Veniva
di là dal mare, un certo dottor Cacaphodel4, che si era
avvizzito e dissecato come una mummia stando continuamente chino su
fornaci di carbone e inalando fumi pestiferi durante le sue ricerche
di chimica e alchimia. Si diceva di lui, vero o falso che fosse, che
all'inizio dei suoi studi, aveva drenato dal suo corpo tutto il
sangue più ricco e lo aveva dissipato, con altri inestimabili
ingredienti, in un fallimentare esperimento – e da allora non era
più stato in salute.
Un altro
degli avventurieri era mastro Ichabod Pigsnort5, un
importante mercante e consigliere comunale di Boston e un anziano
della chiesa del famoso Mr. Norton6. I suoi nemici
raccontavano una ridicola storia, secondo cui mastro Pigsnot aveva
l'abitudine di trascorrere un'intera ora, dopo aver detto le sue
preghiere, ogni mattino ed ogni sera, nuotando nudo in un'immensa
quantità di scellini del pino, che erano il primo conio d'argento
del Massachusetts7. Il quarto, di cui vogliamo occuparci,
non aveva nome, di cui i suoi compagni fossero a conoscenza, e si
notava soprattutto per via di un ghigno, che gli contorceva sempre il
viso, e per un prodigioso paio di occhiali che servivano per
deformare e scolorire ogni aspetto della natura alla percezione di
questo gentiluomo.
Il quinto
avventuriero era egualmente privo di nome, ed era veramente un
peccato, perché sembrava che fosse un poeta. Era un uomo dagli occhi
fulgidi, ma tristemente emaciato, cosa più che naturale se, come
alcuni asserivano, la sua dieta ordinaria era fatta di nebbia, bruma
mattutina e una fetta della nuvola più densa alla sua portata,
condita con chiaro di luna, quando riusciva a prenderne un po'. Certo
è, che la poesia che fluiva da lui, aveva l'odore di tutte queste
delicatezze. Il sesto membro del gruppo era un giovane dall'aspetto
sussiegoso, e sedeva un po' appartato dagli altri, indossando
altezzosamente il suo cappello piumato come i suoi avi, mentre il
fuoco riluceva sui ricchi ricami del suo abito, e risplendeva
intensamente sulle gemme del pomello della sua spada. Questi era quel
Lord de Vere che, quando era a casa, si diceva che trascorresse molto
del suo tempo nella cripta dove erano sepolti i suoi antenati,
rovistando nelle loro bare ammuffite alla ricerca di tutta la
superbia e vanagloria terrena nascosta tra le loro ossa e la povere;
così che, oltre alla sua, aveva l'altezzosità raccolta da tutta la
sua linea di discendenza.
Infine,
c'era un bel giovane in un rustico abbigliamento e, al suo fianco,
una personcina in fiore, in cui una delicata sfumatura di timidezza
di giovinetta si stava allora trasformando nel ricco splendore
dell'affetto di una giovane sposa. Il suo nome era Hanna, e quello
del marito Matthew, due nomi comuni, ma che ben si adattavano a
quella semplice coppia, che sembrava stranamente fuori luogo in
quella bizzarra confraternita i cui animi erano stati messi in
subbuglio dal Grande Carbonchio.
Al riparo
di quel solo capanno, nel bagliore dello stesso fuoco, sedeva quel
variegato gruppo di avventurieri, tutti così concentrati su di un
unico obbiettivo che, di qualunque altro argomento iniziassero a
parlare, le ultime parole sarebbero state sicuramente illuminate dal
Grande Carbonchio. Alcuni raccontavano delle circostanze che li
avevano condotti lì. Uno aveva sentito parlare, nel suo remoto
paese, di questa meravigliosa pietra da un viaggiatore, ed era stato
immediatamente preso da un tale desiderio di ammirarla, che avrebbe
potuto estinguerlo solo nel suo intenso bagliore.
Un altro,
tanto tempo fa, quando il famoso capitano Smith8 visitò
queste coste, aveva visto il suo splendore dal mare aperto e non
aveva trovato pace negli anni a seguire finché non intraprese la sua
ricerca. Un terzo, che si era accampato durante una battuta di
caccia, a quaranta miglia a sud delle White Mountains, si svegliò a
mezzanotte e vide il Grande carbonchio brillare come una meteora,
tanto da proiettare all'indietro le ombre degli alberi. Parlarono
degli innumerevoli tentativi che erano stati fatti per raggiungere
quel luogo e della singolare fatalità che fino a quel momento aveva
tenuto tutti gli avventurieri lontano dal successo, sebbene potesse
sembrare così facile seguire fino alla sua sorgente una luce che
superava quella della luna e quasi eguagliava quella del sole. Si
poteva chiaramente vedere come ognuno sorridesse sprezzantemente alla
follia degli altri, che speravano miglior fortuna che in passato,
mentre nutriva la malcelata convinzione che sarebbe stato proprio lui
il fortunato.
Come a
voler placare le loro ottimistiche speranze, rievocarono le leggende
indiane secondo cui uno spirito era a guardia della gemma e
confondeva coloro che la cercavano spostandola da una cima all'altra
delle colline più alte, oppure faceva salire la nebbia dal lago
incantato su cui era sospeso. Ma quei racconti non erano considerati
degni di credito, poiché tutti affermavano di essere convinti che la
ricerca era stata ostacolata dalla mancanza di sagacità o
perseveranza degli avventurieri, o altre cause quali quelle che
potevano naturalmente ostruire il passaggio ad un determinato luogo,
tra gli intrichi della foresta, delle valli o della montagna.
Durante una
pausa della conversazione, il tizio che indossava gli occhiali
prodigiosi volse lo sguardo sui componenti del gruppo, facendo di
ogni individuo, a turno, l'oggetto del ghigno che era invariabilmente
impresso sul suo viso.
“Così,
compagni d'avventura,” disse, “eccoci qui, sette uomini saggi e
una bella damigella – che, senza dubbio, è saggia come ogni barba
grigia della compagnia: eccoci qui, dicevo, tutti impegnati nella
stessa valorosa impresa. Ora, credo che non sarebbe fuori luogo se
ognuno di noi dichiarasse cosa si propone di fare con il Grande
Carbonchio, sempre che abbia la buona sorte di impossessarsene. Cosa
dice il nostro amico vestito di pelle d'orso? Come intende, mio buon
signore, godersi il premio che sta cercando, Dio sa da quanto tempo,
tra le Colline di Cristallo?”
“Come
godermelo!” esclamò l'anziano Cercatore, con amarezza. “Non
spero di trarne alcun godimento – questa follia mi è passata tanto
tempo fa! Continuo la ricerca di questa maledetta pietra, perché la
vana ambizione della mia giovinezza è diventata il destino della mia
vecchiaia. Ormai solamente questa ricerca è la mia forza, l'energia
della mia anima e il midollo delle mie ossa! Se dovessi rinunciarvi,
cadrei morto, ai piedi della gola che è la porta d'ingresso di
questa regione montagnosa. Eppure, nemmeno per riavere indietro il
tempo sprecato della mia vita rinunzierei al Grande Carbonchio! Dopo
averlo trovato, lo porterò in una caverna che conosco solo io e lì,
tenendolo stretto fra le braccia, mi coricherò e morirò e lo
seppellirò con me per sempre.”
Un Trapper o Mountain Man |
“Oh,
infelice, incurante degli interessi della scienza!” gridò il
Dottor Cacaphodel, con filosofica indignazione. “Non sei degno di
guardare, nemmeno da lontano, il fulgore della più preziosa gemma
che sia mai stata concepita nel laboratorio della natura. Il mio è
l'unico scopo per cui un uomo saggio possa desiderare di possedere il
Grande Carbonchio. Non appena lo avrò in mio possesso – perché
brava gente – ho il presentimento che questo premio è destinato a
coronare la mia reputazione scientifica – ritornerò in Europa e
impiegherò gli anni che mi restano a scomporlo nei suoi componenti
elementari. Ridurrò una parte della pietra in una polvere
impalpabile, altre parti le scioglierò in diversi acidi, o in
qualunque solvente sia in grado di agire su un composto così
eccezionale; ciò che rimane ho deciso di scioglierlo nel crogiolo o
gli darò fuoco con un cannello. Grazie a questi diversi metodi,
otterrò un'analisi accurata, e alla fine donerò il risultato delle
mie fatiche a tutto il mondo, in un volume in folio9.
“Eccellente!”
esclamò l'uomo con gli occhiali. “Né deve esitare, dotto signore,
davanti alla necessità di distruggere la gemma, dal momento che la
lettura del suo scritto insegnerà a tutti noi comuni mortali a
produrre un Grande Carbonchio tutto suo.”
Hawthorne's Dr. Cacaphodel as imagined by illustrator Jennifer Dubord |
“Ma, in
verità,” disse mastro Icabod Pigsnort5, “da parte
mia, sono contrario alla produzione di queste contraffazioni, dal
momento che sono destinate a ridurre il valore di mercato della vera
gemma. In tutta sincerità, signori, vi dico che ho interesse a
mantenerne alto il prezzo. Per venire qui ho abbandonato i miei
affari correnti, lasciando il mio magazzino alla cura dei miei
impiegati e mettendo a grande rischio la mia credibilità e, inoltre,
ho messo in pericolo la mia vita correndo il rischio di essere ucciso
o catturato da quei maledetti selvaggi pagani – e tutto ciò senza
nemmeno osare chiedere le preghiere della mia congregazione, perché
la ricerca del Grande Carbonchio è considerata poco più del
traffico col maligno. Ora pensate che io abbia fatto questo grande
torto alla mia anima, al mio corpo, alla mia reputazione e alla mia
proprietà, senza una ragionevole possibilità di ricavarne un
profitto?”
“Non io,
devoto mastro Pigsnort,” disse l'uomo con gli occhiali. “Non ti
ho mai attribuito una così grande follia.”
“Certo
che no,” disse il mercante. “Poi, appena toccherò questo Grande
Carbonchio, sarò libero di possedere quello che non ho mai nemmeno
intravisto, ma se è solo la centesima parte brillante come dice la
gente, sicuramente supererà il valore del più prezioso diamante del
grande Mogol, da lui acquistato per una somma incalcolabile.
Pertanto, ho in mente di mettere il Grande Carbonchio su una nave, e
viaggiare con esso fino in Inghilterra, Francia, Spagna o Italia, o
fino alle terre dei pagani, se la Provvidenza dovesse condurmi là e,
in una parola, vendere la gemma al miglior offerente tra i potenti
della terra, in modo che costui possa metterla tra i gioielli della
sua corona. Se qualcuno di voi ha un piano più intelligente, ce lo
illustri.”
“Ce l'ho
io, sordido uomo!” esclamò il poeta. “Non desideri niente di più
brillante dell'oro, al punto che vorresti trasformare tutto questo
etereo splendore in quella sporcizia in cui tu già sguazzi? Per
quel che mi riguarda, dopo aver nascosto il gioiello sotto il mio
mantello, mi affretterò a tornare nella mia soffitta, in uno dei
vicoli bui di Londra. Lì, notte e giorno, resterò ad ammirarlo –
la mia anima berrà la sua luce – che si diffonderà in tutti i
miei poteri intellettuali e brillerà in ogni verso che comporrò.
Così, secoli dopo la mia morte, lo splendore del Grande Carbonchio
illuminerà il mio nome!”
“Ben
detto, mastro Poeta!” gridò quello degli occhiali. “Nasconderlo
sotto il tuo mantello, hai detto? Così brillerebbe attraverso i
buchi e ti farebbe sembrare una zucca di Halloween!”
The Poor Poet, 1837
|
“Incredibile!”
sbottò lord de Vere, più con sé stesso che con i suoi compagni, il
migliore dei quali egli riteneva assolutamente indegno della sua
considerazione, - “pensare che un tizio avvolto in un mantello
sbrindellato debba parlare di portare il Grande Carbonchio in una
soffitta in via dei Poveracci! Non ho forse deciso dentro di me che
in tutta la terra non c'è ornamento più degno per il salone del mio
castello avito? Lì brillerà per i secoli a venire, trasformando la
mezzanotte in mezzogiorno, illuminando le armature, gli stendardi e
gli stemmi appesi alle pareti, e tenendo viva la memoria degli eroi.
Per quale altro motivo tutti gli altri avventurieri hanno cercato in
vano questo premio, se non perché possa vincerlo io e farne il
simbolo delle glorie del mio augusto casato? E mai, sul diadema delle
White Mountains, il Grande Carbonchio ha occupato un posto così
onorevole come quello che gli è riservato nel salone dei de Vere!”
“E' un
nobile pensiero,” disse il Cinico, con un ghigno ossequioso. “Ma
se posso permettermi, direi che la gemma sarebbe una mirabile lampada
sepolcrale e illuminerebbe le glorie dei progenitori di vostra grazia
più degnamente nella tomba degli antenati che nel salone del
castello.”
“No
davvero,” osservò Matthew, il giovane campagnolo, che sedeva mano
nella mano con la sua sposa, “Il gentiluomo ha escogitato un uso
vantaggioso per questa splendente pietra. Hannah qui ed io la stiamo
cercando per lo stesso scopo.”
“Come,
amico!” esclamò sua grazia, sorpreso. “In quale castello la devi
appendere?”
“Nessun
castello,” rispose Matthew, “Ma il più grazioso cottage che si
possa ammirare sulle Colline di Cristallo. Dovete sapere, amici, che
Hanna ed io, dopo esserci sposati la settimana scorsa, abbiamo
intrapreso la ricerca del Grande Carbonchio perché avremo bisogno
della sua luce durante le lunghe sere invernali, e sarà una bella
cosa da mostrare ai vicini, quando ci faranno visita. Illuminerà
tutta la casa, così che sarà possibile raccogliere uno spillo in
qualunque angolo, e farà risplendere tutte le finestre, come se nel
caminetto ardessero grandi ceppi di legno di pino. E poi sarà
piacevole, quando ci sveglieremo di notte, poterci guardare in
faccia!”
Ci fu un
sorriso generale tra gli avventurieri, alla semplicità del progetto
della giovane coppia, riguardo a questa meravigliosa e inestimabile
pietra, con cui il più potente monarca della terra sarebbe stato
orgoglioso di adornare il suo palazzo. Specialmente l'uomo con gli
occhiali, che aveva a turno irriso tutta la compagnia, ora contorceva
il viso in un'espressione di così maligna ilarità, che Matthew gli
chiese, piuttosto irritato, quello che lui aveva intenzione di fare
con il Grande Carbonchio.
“Il
Grande Carbonchio!” rispose il Cinico, con indicibile disprezzo.
“Devi sapere, testone, che non c'è, in rerum natura, niente del
genere. Ho percorso tremila miglia fin qui, e sono deciso a mettere
piede su ogni vetta di queste montagne, e infilare la testa in ogni
abisso, con l'unico proposito di dimostrare a soddisfazione di ogni
uomo, purché meno asino di te, che il Grande Carbonchio è un
imbroglio.”
Vani e
folli erano le ragioni che avevano condotto la maggior parte degli
avventurieri alle Colline di Cristallo, ma nessuno così vano, così
folle e anche così empio come quello del dileggiatore dai prodigiosi
occhiali. Era uno di quegli uomini meschini e malvagi, i cui desideri
sono rivolti giù verso le tenebre, invece che verso il cielo e che,
potendo spegnere le luci che Dio ha acceso per noi, considererebbero
le tenebre della mezzanotte la loro principale gloria. Mentre il
Cinico parlava, diversi membri del gruppo trasalirono alla vista di
un bagliore di rosso splendore, che metteva in risalto le imponenti
sagome delle montagne circostanti e il letto roccioso del turbolento
fiume, con una luce diversa da quella del loro fuoco sui tronchi e i
rami neri degli alberi della foresta. Si aspettavano di sentire il
rombo del tuono, ma non udirono niente e furono felici che la
tempesta non si stesse avvicinando a loro. Le stelle, quei punti
meridiani del cielo, ora avvertirono gli avventurieri di chiudere i
loro occhi al riverbero dei tizzoni e ad aprirli, in sogno, al
fulgore del Grande Carbonchio.
Detail from The Great Carbuncle, undated, oil on canvas by British artist William Sidney Goodwin (1833–1916). |
La giovane
coppia di sposi aveva preso alloggio nell'angolo più appartato del
wigwam ed erano separati dal resto del gruppo da una curiosa cortina
di ramoscelli intrecciati, come quella che avrebbe potuto essere
appesa, in fitti festoni, intorno alla camera nuziale di Eva. La
timida mogliettina aveva intrecciato quella tappezzeria mentre gli
altri ospiti conversavano. Lei e suo marito si addormentarono
stringendosi teneramente le mani e si risvegliarono da visioni di
radiosità ultraterrena per incontrare la luce più benedetta degli
occhi dell'altro. Si svegliarono nello stesso momento e con lo stesso
sorriso felice ad illuminargli il viso, che divenne più luminoso
mentre prendevano coscienza della realtà della vita e dell'amore. Ma
appena la sposa ricordò dov'erano, sbirciò attraverso gli
interstizi della cortina di foglie e vide che il resto della capanna
era deserto.
“In
piedi, caro Matthew!” gridò in tutta fretta. “I forestieri sono
andati via! In piedi, in questo istante o perderemo il Grande
Carbonchio!”
A dire il
vero, questi poveri giovani meritavano così poco quel prezioso
premio che li aveva attratti fin là, che avevano dormito
pacificamente tutta la notte fino a quando le cime delle colline
scintillarono sotto i raggi del sole, mentre gli altri avventurieri
si erano agitati in una veglia febbrile, o avevano sognato di scalare
precipizi, e alle prime luci dell'alba se ne erano andati per
realizzare i loro sogni. Ma Mtthew e Hannah, dopo il loro tranquillo
riposo, erano agili come giovani cervi, e si fermarono solo per dire
le loro preghiere e lavarsi in una gelida pozza del fiume Amonoosuck,
e poi per per mangiare un boccone prima di rivolgere i loro visi
alla montagna.
Formavano
un dolce emblema di amore coniugale, mentre arrancavano su per la
difficile salita, ricevendo forza dall'aiuto che si offrivano l'un
l'altro. Dopo qualche piccolo incidente, come un vestito strappato,
una scarpa persa e i capelli di Hannah rimasti impigliati in un ramo,
raggiunsero il confine superiore della foresta ed erano sul punto di
intraprendere un percorso molto più avventuroso. Gli innumerevoli
tronchi e il fitto fogliame degli alberi avevano fino a quel momento
trattenuto i loro pensieri, che ora indietreggiavano spaventati da
quella regione di vento e nuvole e nude rocce e sole implacabile che
si ergeva davanti a loro immensurabile. Si voltarono a guardare
l'oscura distesa che avevano attraversato e desiderarono immergersi
di nuovo nelle sue profondità, piuttosto che affidarsi a quella
solitudine così vasta e visibile.
“Dobbiamo
continuare?” disse Matthew, cingendo la vita di Hannah col suo
braccio, sia per proteggerla che per confortare il proprio cuore
stringendola a sé.
Ma la
sposina, per quanto fosse semplice, aveva la passione delle donne per
i gioielli, e non poteva abbandonare la speranza di possedere proprio
il più splendente al mondo, a dispetto dei pericoli che avrebbero
dovuto affrontare per conquistarlo.
“Arrampichiamoci
un po' pi in alto,” sussurrò, con voce tuttavia tremante, mentre
volgeva il viso al quel cielo desolato.
“Andiamo,
allora,” disse Mattew, facendo appello al suo coraggio di uomo e
trascinandola con sé, perché lei diventò di nuovo timorosa, nel
momento in cui lui diventò coraggioso.
E così, i
pellegrini del Grande Carbonchio continuarono a salire, calpestando
ora le cime e i rami intricati dei pini nani che, nonostante
crescessero da secoli e fossero tutti ricoperti di muschio per l'età,
avevano a malapena raggiunto gli ottanta centimetri. Poi, arrivarono
a massi e frammenti di nuda roccia, ammucchiati confusamente, simili
ad un tumulo innalzato dai giganti, in memoria di un loro capo. In
questo desolato regno dell'alta atmosfera, niente respirava, niente
cresceva, non c'era vita se non quella concentrata nei loro due
cuori; si erano arrampicati tanto in alto che la natura stessa
sembrava non tenergli più compagnia. Si era fermata sotto di loro,
sul limitare della foresta, e mandò uno sguardo di addio ai suoi due
figli mentre si inoltravano dove le sue verdi impronte non erano mai
state. Ma presto sarebbero scomparsi dalla sua vista.
Dense e
nere, le nebbie iniziarono a raccogliersi sotto di loro, proiettando
nere chiazze di ombra sul vasto paesaggio, e veleggiando lentamente
verso lo stesso centro, come se la vetta più alta della montagna
avesse convocato un concilio di nubi sue anime gemelle. Finalmente, i
vapori si fusero, per così dire, in una massa che sembrava avere la
consistenza di un sentiero su cui i viandanti avrebbero potuto
camminare, ma dove avrebbero invano cercato la strada verso la
benedetta terra che avevano smarrito. E gli amanti desideravano
rivedere la verde terra ancora più intensamente, ahimè! di quanto
avessero mai desiderato, sotto un cielo nuvoloso, uno squarcio di
azzurro. Avvertirono persino un senso di sollievo alla loro
desolazione quando le nebbie, avanzando lentamente su per la
montagna, nascosero la sua vetta solitaria cancellando così, almeno
per loro, l'intera porzione di spazio visibile. Ma si strinsero
ancora più vicini, con uno sguardo amorevole e malinconico, temendo
che quella nube universale potesse nasconderli l'uno alla vista
dell'altro.
Eppure,
forse, sarebbero stati determinati ad arrampicarsi sempre più
lontano e più in alto, tra terra e cielo, fin dove era possibile
trovare un punto d'appoggio, se le forze di Hannah non avessero
iniziato a venir meno e insieme ad esse, anche il suo coraggio. Aveva
il fiato corto. Si rifiutò di caricare il marito con il suo peso, ma
vacillava spesso contro il suo fianco, e ogni volta si riprendeva con
uno sforzo sempre più debole. Alla fine, si accasciò su uno dei
gradini di roccia del pendio.
“Ci siamo
persi, Matthew caro,” disse con tono mesto. “Non ritroveremo mai
la strada verso terra. E, oh, amore, come avremmo potuto essere
felici nel nostro cottage!”
“Cuore
mio! Vi saremo di nuovo felici,” rispose Mtthew. “Guarda! In
questa direzione, la luce del sole penetra la cupa nebbia. Grazie ad
essa, potrò indirizzare il nostro cammino verso la Gola.
Torniamocene indietro, amore, e non sogniamo mai più il Grande
Carbonchio!”
“Il sole
non può venire di là,” disse Hnnah tristemente. “A quest'ora
dovrebbe essere mezzogiorno. Se qui ci potesse essere un raggio di
sole, dovrebbe venire da sopra le nostre teste.”
“Ma,
guarda!” ripeté Matthew, con un tono leggermente alterato. “Si
sta facendo sempre più luminoso ad ogni momento. Se non è il sole,
cosa può essere?”
La giovane
sposa non poté più negare che una strana luminosità stava
irrompendo attraverso la nebbia mutando il suo pallido colore in un
rosso cupo, che diventava sempre più vivido, come se delle
particelle brillanti si mescolassero all'oscurità. Poi, anche la
nuvola iniziò a lasciare la montagna e, mentre si ritraeva
lentamente, un oggetto dopo l'altro spuntò fuori dalla sua
impenetrabile oscurità, rendendosi visibile, facendo esattamente lo
stesso effetto di una nuova creazione, prima che la massa indistinta
del vecchio caos fosse stata completamente divorata. Mentre questo
processo proseguiva, videro il riflesso dell'acqua vicino ai loro
piedi, e scoprirono di essere proprio sulla riva di un lago di
montagna profondo, luminoso, chiaro e di tranquilla bellezza, che si
allungava da un bordo all'altro di un bacino scavato nella solida
roccia. I pellegrini guardarono da dove potesse provenire, ma
chiusero gli occhi con un brivido di timorosa ammirazione, per
escludere l'intenso splendore che fiammeggiava dal ciglio di una rupe
sospesa sopra il lago incantato. Perché questa semplice coppia aveva
raggiunto il lago del mistero e trovato l'agognato santuario del
Grande Carbonchio.
Si
gettarono l'uno nelle braccia dell'altro e tremarono al loro stesso
successo perché, mentre le leggende della meravigliosa gemma si
affollavano nella loro memoria, si sentirono segnati dal destino –
e quella consapevolezza era terribile. Spesso, fin dalla loro
infanzia, lo avevano visto brillare come una stella lontana. E ora
quella stella diffondeva la sua luce più intensa sui loro cuori.
Ciascuno sembrava cambiato agli occhi dell'altro, nel rosso fulgore
che infiammava le loro guance mentre la gemma diffondeva lo stesso
fuoco sul lago, sulle rocce e sul cielo e alle nebbie che si erano
ritratte davanti alla sua potenza. Ma, guardando meglio, videro
qualcosa che distrasse la loro attenzione perfino dalla prodigiosa
pietra. Ai piedi della rupe, proprio sotto il Grande Carbonchio,
apparve la figura di un uomo con le braccia protese nell'atto di
arrampicarsi e il volto girato verso l'alto, quasi a voler bere tutto
quel getto di splendore. Ma non si muoveva, come se si fosse
trasformato in una statua di marmo.
“E' il
cercatore,” sussurrò Hannah, stringendo convulsamente il braccio
del marito. “Matthew, è morto!”
“La gioia
del successo lo ha ucciso,” rispose Matthew, tremando
violentemente. “O forse proprio la luce del Grande Carbonchio è
stata mortale!”
“Il
Grande Carbonchio,” gridò una voce stizzita dietro di loro, “il
Grande Imbroglio! Se lo avete trovato, indicatemelo.”
“Girarono
la testa, ed ecco il Cinico, con i suoi prodigiosi occhiali calzati
accuratamente sul naso, che guardava ora verso il lago, ora verso le
rocce, ora verso le lontane masse di vapore, ora verso il Grande
Carbonchio stesso, eppure sembrava così inconsapevole della sua
luce, come se tutte le nuvole sparse si fossero condensate intorno
alla sua persona. Anche se il suo splendore proiettava l'ombra di
quell'incredulo ai suoi piedi, mentre dava le spalle al magnifico
gioiello, era convinto che non c'era il minimo riflesso luminoso in
quel luogo.
“Dov'è
il vostro Grande Imbroglio?” ripetè. “Vi sfido a farmelo
vedere!”
“Eccolo,”
disse Matthew, infuriato a tale perversa cecità e facendo voltare il
Cinico verso la roccia illuminata. “Si tolga quegli abominevoli
occhiali e non potrà fare a meno di vederlo!”
Ebbene,
quegli occhiali colorati probabilmente oscuravano la vista del Cinico
almeno quanto i vetri affumicati attraverso cui si osservano le
eclissi. Con risoluta spavalderia, comunque, si strappò gli occhiali
dal naso e fissò il fulgore rossastro del Grande Carbonchio con uno
sguardo temerario. Ma lo aveva a malapena incontrato quando, con un
gemito cupo e raccapricciante, piegò la testa e si premette le mani
sui suoi poveri occhi. Da quel momento in poi, in verità, per il
povero Cinico non ci fu più luce del Grande Carbonchio, né nessun
altra luce sulla terra e tanto meno la luce del cielo. Era abituato
da così tanto tempo a vedere gli oggetti attraverso un filtro che li
privava di ogni barlume di luminosità, che un singolo lampo di un
così possente fenomeno, colpendo i suoi occhi nudi, lo aveva
accecato per sempre.
“Matthew,”
disse Hannah, appoggiandosi addosso a lui, “Andiamo via!”
Matthew
vide che era svenuta e, inginocchiandosi, la prese fra le braccia,
mentre le gettava un po' della gelida acqua del lago incantato sul
viso e sul petto. Questo la ravvivò, ma non poté rinnovare il suo
coraggio.
“Sì, mia
cara!” gridò Matthew, stringendo a sé il suo corpo tremante, -
“Ce ne andremo e ritorneremo al nostro umile cottage. I raggi
benedetti del sole e il tranquillo chiarore della luna illumineranno
le nostre finestre. Accenderemo l'allegro fuoco del nostro camino e
saremo felici alla sua luce. Ma non desidereremo mai più una luce
che il mondo non possa dividere con noi.”
“No,”
disse la sua sposa, “infatti, come potremmo vivere giorno dopo
giorno, o dormire la notte, nell'accecante splendore del Grande
Carbonchio!”
Mettendo le
mani a coppa, bevvero un sorso dal lago, che gli donò le sue acque
incontaminate da labbra terrene. Poi, prestando la loro guida al
Cinico ormai cieco, che non pronunciava più una parola, e anzi
soffocava i gemiti nel suo cuore desolato, iniziarono a scendere
dalla montagna. Eppure, mentre lasciavano le rive, fino ad allora mai
calpestate, del lago dello Spirito, lanciarono uno sguardo d'addio
verso la roccia e videro i vapori aggregarsi in densi volumi,
attraverso i quali la gemma bruciava cupamente.
Per quanto
riguarda gli altri pellegrini del Grande Carbonchio, la leggenda
prosegue a dire che il devoto mastro Ichabod Pigsnort ben presto
abbandonò la ricerca, considerandola una speculazione infruttuosa e
decise saggiamente di ritornarsene al suo magazzino, nella zona del
porto della città di Boston. Ma mentre attraversava la Gola delle
montagne, un gruppo di guerrieri indiani catturò il nostro
sfortunato mercante e lo portò a Montreal, dove fu tenuto
prigioniero fino al pagamento di un grosso riscatto, che egli aveva
dolorosamente sottratto al suo mucchio di scellini del pino. A causa
della sua lunga assenza, per di più, i suoi affari erano andati
tanto in malora che, per il resto della vita, invece di nuotare
nell'argento, raramente ebbe in tasca un soldino di rame.
Il dottor
Cacaphodel, l'alchimista, ritornò al suo laboratorio con un
prodigioso frammento di granito, che ridusse in polvere, dissolse in
acidi, fuse nel crogiolo e bruciò col cannello, e pubblicò i
risultati dei suoi esprimenti in uno dei più ponderosi in folio
dei suoi tempi. E nemmeno la gemma stessa avrebbe potuto prestarsi
meglio del granito a tutti quegli scopi. Il poeta, a causa di un
errore simile, si impossessò
di un grosso pezzo di ghiaccio, che aveva trovato in un buio
crepaccio
delle montagne, e giurò che
corrispondeva, punto per punto, alla sua idea del Grande Carbonchio.
I critici dicono che se la sua poesia mancava dello splendore della
gemma, tuttavia possedeva tutta la freddezza del ghiaccio. Lord
de Vere ritornò al suo salone ancestrale, dove si accontentò
della luce delle candele del lampadario e, a tempo debito, riempì
un'altra bara nella cripta dei suoi antenati. Dal momento che le
torce funebri illuminavano quel buio ricettacolo, non ci
fu alcun bisogno del Grande
Carbonchio per mostrare la
vanità della pompa terrena.
Il
Cinico, avendo gettato via i suoi occhiali, vagò in giro per il
mondo, ridotto in condizioni miserevoli,
e fu punito con un agonizzante desiderio della luce, a
causa dell'ostinata cecità della sua vita precedente. Di notte
alzava le sue orbite devastate dallo splendore verso la luna e le
stelle; all'alba rivolgeva il volto verso est, con la puntualità di
un idolatra persiano10;
compì un pellegrinaggio a Roma, per ammirare la magnifica
illuminazione di San Pietro e, in fine, perì nel grande incendio di
Londra11,
nel mezzo del quale si era lanciato con la disperata idea di carpire
un flebile raggio dalla vampa che stava infiammando terra e cielo.
Matthew
e la sua sposa trascorsero insieme molti anni sereni e amavano
raccontare la leggenda del Grande Carbonchio. Il racconto, comunque,
verso la fine delle loro lunghe vite, non incontrò la totale
accettazione che gli era stata accordata da coloro che ricordavano
l'antico fulgore della gemma. Perché si sostiene che, nel momento in
cui due mortali si erano mostrati così saggi da rifiutare un
gioiello che avrebbe offuscato ogni cosa terrena, il suo splendore
declinò. Quando altri pellegrini raggiunsero la roccia, trovarono
solo una pietra opaca, con particelle di mica che rilucevano sulla
sua superficie. C'è anche una leggenda secondo cui, appena la
giovane coppia andò via, la gemma scivolò dal bordo della roccia e
cadde nel lago incantato e che, a mezzogiorno, si può ancora vedere
il corpo del Cercatore piegarsi sulla sua inestinguibile luce.
Solo in
pochi credono che questa inestimabile pietra emani ancora il suo
fulgore, come una volta, e dicono di aver colto la sua luce, simile
al lampo di un fulmine estivo, dal fondo della valle del Saco. E devo
ammettere che, a molte miglia lontano dalle Colline di Cristallo,
anche io vidi una luce incredibile intorno alle sue vette, e fui
indotto, dalla forza della poesia, ad essere l'ultimo pellegrino del
Grande Carbonchio.
1.
La
leggenda indiana, su cui si fonda questo racconto alquanto bizzarro,
è troppo selvaggia
e troppo bella
per essere adeguatamente rielaborata
in prosa. Sullivan, nella sua storia del Maine, scritta a partire
dalla Rivoluzione, sottolinea che, anche allora, l'esistenza del
Grande Carbonchio godeva di una certa credibilità.
FINE
*Morality play, o morality, dramma allegorico popolare in Europa specialmente nel XV e XVI secolo, in cui i personaggi rappresentano qualità morali (come il vizio o la virtù) o astrazioni (come la morte o la giovinezza) e in cui viene data una lezione morale.
1
Montagne Bianche: catena montuosa nel New
Hampshire, si trova nella parte settentrionale degli Appalachi
2 In mineralogia il carbonchio, dal latino
carbunculus, "piccolo carbone", è un rubino; quanto al
carbonchio degli antichi si suppone che fosse un granato.
3 L' Ammonoosuc River lungo 89 km, nel nord
ovest del New Hampshire (US) è un affluente del fiume Connecticut.
"Ammonoosuc" nella lingua degli indiani Abenaki significa
"piccolo luogo per pescare.”
4 Caca phodel – il prefisso ha una
connotazione escrementale, mentre phodel deriva da un verbo
obsoleto fode che secondo OED significa “Nutrire false
speranze, incoraggiare convinzioni o propositi ingannevoli.”
5 Anche questo nome è pieno di connotazioni
negative: Icabod, nome biblico, vuol dire “senza gloria,”
Pigsnort, alla lettera, “grugnito di maiale.”
6 John Norton (1606 –1663), religioso
puritano e ministro della prima chiesa di Boston.
7 I pine tree shilling, così detti per
l'albero di pino impresso su una delle due facce, fu la prima moneta
coniata autonomamente nel Massachusetts a partire dal 1652.
8
John Smith (1580 – 1631) fu fu soldato, esploratore e
governatore del New England. Oggi è stato reso famoso dal cinema per
la sua presunta storia d'amore con l'indiana Pocahontas.
9
Antico formato di libri, l' in-folio si
otteneva piegando un foglio intero una sola volta lungo il lato
minore, in modo da avere quattro facciate ossia due carte.
10 Si riferisce allo zoroastrismo,
religione dell’Iran antico, fino all’avvento dell’islam alla
metà del 7° secolo. Prende il nome dal suo fondatore, chiamato
Zarathustra. La parte principale e la più caratteristica del culto
zoroastrico è il culto del fuoco.
11 The Great Fire of London fu un incendio
che si propagò nella City di Londra dal 2 al 5 settembre 1666,
distruggendo in gran parte gli edifici medioevali della city, di cui
oggi restano solo pochi esempi.
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