venerdì 25 maggio 2018

Il Grande Carbonchio


La magnifica ossessione







Il grande carbonchio (The Great Carbuncle, noto anche come Gran Rubino, Il gran carbonchio, La leggenda del grande rubino), è un racconto breve di Nathaniel Hawthorne contenuto in Racconti narrati due volte (Twice-Told Tales - 1842), in cui l'autore riunì racconti che erano stati già pubblicati in forma anonima su riviste letterarie o in raccolte annuali (soprattutto su "The Token", un libro strenna natalizio). Il titolo, verosimilmente, fu ispirato dal dramma shakespiriano Re Giovanni (atto III, scena 4), dove un personaggio afferma che “Life is as tedious as a twice-told tale, / Vexing the dull ear of a drowsy man.” ("La vita è noiosa come una storia narrata due volte, che infastidisce l'orecchio pigro d'uno già mezzo addormentato").

I racconti si ispirano a tradizioni locali, poi trascritte dall'autore. Nel caso del Il Grande Carbonchio, Hawthorne, come egli stesso precisa nella nota al titolo, afferma di ispirarsi ad una leggenda indiana “troppo selvaggia e troppo bella per essere adeguatamente rielaborata in prosa.” Tra boschi incontaminati, fiumi impetuosi e aspre cime inviolate, il variegato passato europeo si fonde con l'incanto della natura selvaggia e con gli echi delle culture native per dare forma ai protagonisti della nuova America. 

 

La storia, ambientata nella metà del seicento, si svolge in quel New England che rappresenta il cuore della giovane nazione americana, e narra di un gruppo di otto avventurieri arrivati alle pendici delle Montagne di Cristallo attratti dall'antica leggenda indiana del Grande Carbonchio, un rubino meraviglioso la cui luce incorona la cima più alta delle Crystal Hills e che li ha attirati a sé come la fiamma fa con la falena. E a quel fuoco rischieranno di bruciarsi tutti.

Come in un Morality Play*, i nomi dei personaggi alludono ai vizi e alle virtù che essi rappresentano. Così, il ricco mercante che sguazza nelle suo monete d'argento come il maiale nel fango, si chiama Pigsnort. Il dottor Cacaphodel è un alchimista che persegue la conquista della gemma per usarlo nei suoi folli esprimenti. Il Cercatore, il rude uomo delle montagne, mezzo uomo e mezzo animale, ha trascorso la sua vita all'inseguimento della gemma che vuol portare a morire con sé nel buio di una caverna. Il poeta, ha attraversato il mare nella speranza che la luce del rubino gli ridia l'ispirazione persa. Lord de Vere, rappresenta l'albagia di un'aristocrazia ormai morente, e vuole la gemma per illuminare i simboli dell'antica gloria. Matthew e Hannah, giovani sposi semplici e diretti come i loro nomi, sono la nota stonata di questo folle gruppo, ma anche loro hanno subito il fascino della pietra meravigliosa, che vogliono conquistare per illuminare, notte e giorno, il loro umile nido d'amore. Infine c'è il Cinico che, in onore al suo nome, si prende gioco di tutti ed è arrivato lì, dopo un lungo viaggio, solo per dimostrare che il Grande Carbonchio non esiste. Alla fine, secondo la legge del contrappasso, tutti avranno ciò che meritano, a meno di rendersi conto della loro follia e rinunciare al Grande Carbonchio.


Curiosità:

Il racconto è stato di nuovo raccontato da  Sylvia Plath (1932 – 1963) nella poesia The Great Carbuncle, scritto dopo un viaggio nello  Yorkshire, in cui la poetessa esplora l'atmosfera irreale della brughiera paragonandola alla luce trasfigurante del Grande Carbonchio. 







Il Grande Carbonchio.[1]
Un misero delle Montagne Bianche.



Saatchi Art Artist Hilary Baker; Painting, “The Great Carbuncle (after Hawthorne)

Al calare della notte, una volta, tanto tempo fa, sull'impervio versante di una delle colline di Cristallo1, un gruppo di avventurieri si stava ristorando dopo una faticosa e infruttuosa ricerca del Grande Carbonchio2. Erano arrivati lì, non come amici, non come soci nell'impresa, ma ognuno, salve una giovane coppia, sospinto dal proprio egoistico e solitario desiderio per questa stupefacente gemma. Il loro senso di cameratismo, comunque, era abbastanza forte da indurli ad un mutuo contributo per la costruzione di un rozzo capanno di rami e per accendere un grande fuoco con il legno di pini sradicati che erano scesi giù per la corrente precipitosa del fiume Amonoosuck3, sulla cui riva inferiore si accingevano a trascorrere la notte. Non ce n'era che uno, forse, che era diventato così estraneo al naturale sentimento di solidarietà, a causa del totalizzante coinvolgimento di quella ricerca, da non provare alcuna soddisfazione alla vista di volti umani, nella remota e solitaria regione a cui erano giunti.


Una vasta estensione di territorio selvaggio si frapponeva tra loro e l'insediamento più vicino, mentre a poco meno di un miglio sopra le loro teste, c'era quel desolato limitare dove le colline si spogliano del loro ispido mantello boscoso e si vestono di nuvole, oppure torreggiano nude verso il cielo. Il rombo dell'Amonoosuk sarebbe stato troppo spaventoso da sopportare, se ci fosse stato un solo uomo ad ascoltare, mentre il fiume montano chiacchierava con il vento.
Gli avventurieri, perciò, si scambiarono amichevoli saluti e si diedero l'un l'altro il benvenuto nel capanno, dove ciascuno era anfitrione, e tutti erano ospiti dell'intera comitiva. Sistemarono le loro personali provviste di cibo sulla superficie piatta di un masso, e parteciparono al pasto comune, alla fine del quale nel gruppo era percettibile un sentimento di buon cameratismo, anche se represso dall'idea che la rinnovata ricerca del Grande Carbonchio li avrebbe resi di nuovo estranei, il mattino seguente. Sette uomini e una giovane donna si scaldavano insieme intorno al fuoco, che spandeva il suo splendore su tutta la parte anteriore del loro wigwam. Mentre osservavano le figure varie e contrastanti che componevano quell'assemblaggio, dove ognuno sembrava la caricatura di sé stesso, nella luce fluttuante che guizzava sopra di loro, arrivarono alla conclusione condivisa che non si era mai incontrato un gruppo più strano di persone, in città o nella natura selvaggia, in montagna o in pianura.

The Notch of The White Mountains - Thomas Cole, 1839

Il più anziano del gruppo, un uomo alto, magro, segnato dalle intemperie, di circa sessanta anni, era vestito di pelli di animali selvaggi, di cui imitava bene il modo di vestire, dal momento che il lupo e il cervo erano suoi più intimi amici da lungo tempo. Era uno di quei mortali sfortunati, così ne parlavano gli indiani, che, nella loro prima giovinezza il Grande Carbonchio aveva colpito con una singolare follia che era diventata il sogno appassionato della loro esistenza. Tutti quelli che visitavano la regione lo conoscevano come il Cercatore, e con nessun altro nome. Dal momento che nessuno poteva ricordare quando aveva intrapreso la ricerca, circolava una favola nella valle del Saco, secondo cui a causa della sua smodata bramosia per il Grande Carbonchio, era stato condannato a vagare tra le montagne fino alla fine dei tempi, sempre con le stesse febbrili speranze all'alba – la stessa disperazione al tramonto.
Accanto all'infelice Cercatore sedeva un un ometto attempato, con in testa un cappello a cilindro, che rassomigliava un po' ad un crogiolo. Veniva di là dal mare, un certo dottor Cacaphodel4, che si era avvizzito e dissecato come una mummia stando continuamente chino su fornaci di carbone e inalando fumi pestiferi durante le sue ricerche di chimica e alchimia. Si diceva di lui, vero o falso che fosse, che all'inizio dei suoi studi, aveva drenato dal suo corpo tutto il sangue più ricco e lo aveva dissipato, con altri inestimabili ingredienti, in un fallimentare esperimento – e da allora non era più stato in salute.
Un altro degli avventurieri era mastro Ichabod Pigsnort5, un importante mercante e consigliere comunale di Boston e un anziano della chiesa del famoso Mr. Norton6. I suoi nemici raccontavano una ridicola storia, secondo cui mastro Pigsnot aveva l'abitudine di trascorrere un'intera ora, dopo aver detto le sue preghiere, ogni mattino ed ogni sera, nuotando nudo in un'immensa quantità di scellini del pino, che erano il primo conio d'argento del Massachusetts7. Il quarto, di cui vogliamo occuparci, non aveva nome, di cui i suoi compagni fossero a conoscenza, e si notava soprattutto per via di un ghigno, che gli contorceva sempre il viso, e per un prodigioso paio di occhiali che servivano per deformare e scolorire ogni aspetto della natura alla percezione di questo gentiluomo.

Il quinto avventuriero era egualmente privo di nome, ed era veramente un peccato, perché sembrava che fosse un poeta. Era un uomo dagli occhi fulgidi, ma tristemente emaciato, cosa più che naturale se, come alcuni asserivano, la sua dieta ordinaria era fatta di nebbia, bruma mattutina e una fetta della nuvola più densa alla sua portata, condita con chiaro di luna, quando riusciva a prenderne un po'. Certo è, che la poesia che fluiva da lui, aveva l'odore di tutte queste delicatezze. Il sesto membro del gruppo era un giovane dall'aspetto sussiegoso, e sedeva un po' appartato dagli altri, indossando altezzosamente il suo cappello piumato come i suoi avi, mentre il fuoco riluceva sui ricchi ricami del suo abito, e risplendeva intensamente sulle gemme del pomello della sua spada. Questi era quel Lord de Vere che, quando era a casa, si diceva che trascorresse molto del suo tempo nella cripta dove erano sepolti i suoi antenati, rovistando nelle loro bare ammuffite alla ricerca di tutta la superbia e vanagloria terrena nascosta tra le loro ossa e la povere; così che, oltre alla sua, aveva l'altezzosità raccolta da tutta la sua linea di discendenza.
Infine, c'era un bel giovane in un rustico abbigliamento e, al suo fianco, una personcina in fiore, in cui una delicata sfumatura di timidezza di giovinetta si stava allora trasformando nel ricco splendore dell'affetto di una giovane sposa. Il suo nome era Hanna, e quello del marito Matthew, due nomi comuni, ma che ben si adattavano a quella semplice coppia, che sembrava stranamente fuori luogo in quella bizzarra confraternita i cui animi erano stati messi in subbuglio dal Grande Carbonchio.
Al riparo di quel solo capanno, nel bagliore dello stesso fuoco, sedeva quel variegato gruppo di avventurieri, tutti così concentrati su di un unico obbiettivo che, di qualunque altro argomento iniziassero a parlare, le ultime parole sarebbero state sicuramente illuminate dal Grande Carbonchio. Alcuni raccontavano delle circostanze che li avevano condotti lì. Uno aveva sentito parlare, nel suo remoto paese, di questa meravigliosa pietra da un viaggiatore, ed era stato immediatamente preso da un tale desiderio di ammirarla, che avrebbe potuto estinguerlo solo nel suo intenso bagliore.
Un altro, tanto tempo fa, quando il famoso capitano Smith8 visitò queste coste, aveva visto il suo splendore dal mare aperto e non aveva trovato pace negli anni a seguire finché non intraprese la sua ricerca. Un terzo, che si era accampato durante una battuta di caccia, a quaranta miglia a sud delle White Mountains, si svegliò a mezzanotte e vide il Grande carbonchio brillare come una meteora, tanto da proiettare all'indietro le ombre degli alberi. Parlarono degli innumerevoli tentativi che erano stati fatti per raggiungere quel luogo e della singolare fatalità che fino a quel momento aveva tenuto tutti gli avventurieri lontano dal successo, sebbene potesse sembrare così facile seguire fino alla sua sorgente una luce che superava quella della luna e quasi eguagliava quella del sole. Si poteva chiaramente vedere come ognuno sorridesse sprezzantemente alla follia degli altri, che speravano miglior fortuna che in passato, mentre nutriva la malcelata convinzione che sarebbe stato proprio lui il fortunato.
Come a voler placare le loro ottimistiche speranze, rievocarono le leggende indiane secondo cui uno spirito era a guardia della gemma e confondeva coloro che la cercavano spostandola da una cima all'altra delle colline più alte, oppure faceva salire la nebbia dal lago incantato su cui era sospeso. Ma quei racconti non erano considerati degni di credito, poiché tutti affermavano di essere convinti che la ricerca era stata ostacolata dalla mancanza di sagacità o perseveranza degli avventurieri, o altre cause quali quelle che potevano naturalmente ostruire il passaggio ad un determinato luogo, tra gli intrichi della foresta, delle valli o della montagna.
Durante una pausa della conversazione, il tizio che indossava gli occhiali prodigiosi volse lo sguardo sui componenti del gruppo, facendo di ogni individuo, a turno, l'oggetto del ghigno che era invariabilmente impresso sul suo viso.
Così, compagni d'avventura,” disse, “eccoci qui, sette uomini saggi e una bella damigella – che, senza dubbio, è saggia come ogni barba grigia della compagnia: eccoci qui, dicevo, tutti impegnati nella stessa valorosa impresa. Ora, credo che non sarebbe fuori luogo se ognuno di noi dichiarasse cosa si propone di fare con il Grande Carbonchio, sempre che abbia la buona sorte di impossessarsene. Cosa dice il nostro amico vestito di pelle d'orso? Come intende, mio buon signore, godersi il premio che sta cercando, Dio sa da quanto tempo, tra le Colline di Cristallo?”
Come godermelo!” esclamò l'anziano Cercatore, con amarezza. “Non spero di trarne alcun godimento – questa follia mi è passata tanto tempo fa! Continuo la ricerca di questa maledetta pietra, perché la vana ambizione della mia giovinezza è diventata il destino della mia vecchiaia. Ormai solamente questa ricerca è la mia forza, l'energia della mia anima e il midollo delle mie ossa! Se dovessi rinunciarvi, cadrei morto, ai piedi della gola che è la porta d'ingresso di questa regione montagnosa. Eppure, nemmeno per riavere indietro il tempo sprecato della mia vita rinunzierei al Grande Carbonchio! Dopo averlo trovato, lo porterò in una caverna che conosco solo io e lì, tenendolo stretto fra le braccia, mi coricherò e morirò e lo seppellirò con me per sempre.”

Un Trapper o Mountain Man
Oh, infelice, incurante degli interessi della scienza!” gridò il Dottor Cacaphodel, con filosofica indignazione. “Non sei degno di guardare, nemmeno da lontano, il fulgore della più preziosa gemma che sia mai stata concepita nel laboratorio della natura. Il mio è l'unico scopo per cui un uomo saggio possa desiderare di possedere il Grande Carbonchio. Non appena lo avrò in mio possesso – perché brava gente – ho il presentimento che questo premio è destinato a coronare la mia reputazione scientifica – ritornerò in Europa e impiegherò gli anni che mi restano a scomporlo nei suoi componenti elementari. Ridurrò una parte della pietra in una polvere impalpabile, altre parti le scioglierò in diversi acidi, o in qualunque solvente sia in grado di agire su un composto così eccezionale; ciò che rimane ho deciso di scioglierlo nel crogiolo o gli darò fuoco con un cannello. Grazie a questi diversi metodi, otterrò un'analisi accurata, e alla fine donerò il risultato delle mie fatiche a tutto il mondo, in un volume in folio9.
Eccellente!” esclamò l'uomo con gli occhiali. “Né deve esitare, dotto signore, davanti alla necessità di distruggere la gemma, dal momento che la lettura del suo scritto insegnerà a tutti noi comuni mortali a produrre un Grande Carbonchio tutto suo.”

Hawthorne's Dr. Cacaphodel as imagined by illustrator Jennifer Dubord
Ma, in verità,” disse mastro Icabod Pigsnort5, “da parte mia, sono contrario alla produzione di queste contraffazioni, dal momento che sono destinate a ridurre il valore di mercato della vera gemma. In tutta sincerità, signori, vi dico che ho interesse a mantenerne alto il prezzo. Per venire qui ho abbandonato i miei affari correnti, lasciando il mio magazzino alla cura dei miei impiegati e mettendo a grande rischio la mia credibilità e, inoltre, ho messo in pericolo la mia vita correndo il rischio di essere ucciso o catturato da quei maledetti selvaggi pagani – e tutto ciò senza nemmeno osare chiedere le preghiere della mia congregazione, perché la ricerca del Grande Carbonchio è considerata poco più del traffico col maligno. Ora pensate che io abbia fatto questo grande torto alla mia anima, al mio corpo, alla mia reputazione e alla mia proprietà, senza una ragionevole possibilità di ricavarne un profitto?”
Non io, devoto mastro Pigsnort,” disse l'uomo con gli occhiali. “Non ti ho mai attribuito una così grande follia.”
Certo che no,” disse il mercante. “Poi, appena toccherò questo Grande Carbonchio, sarò libero di possedere quello che non ho mai nemmeno intravisto, ma se è solo la centesima parte brillante come dice la gente, sicuramente supererà il valore del più prezioso diamante del grande Mogol, da lui acquistato per una somma incalcolabile. Pertanto, ho in mente di mettere il Grande Carbonchio su una nave, e viaggiare con esso fino in Inghilterra, Francia, Spagna o Italia, o fino alle terre dei pagani, se la Provvidenza dovesse condurmi là e, in una parola, vendere la gemma al miglior offerente tra i potenti della terra, in modo che costui possa metterla tra i gioielli della sua corona. Se qualcuno di voi ha un piano più intelligente, ce lo illustri.”
Ce l'ho io, sordido uomo!” esclamò il poeta. “Non desideri niente di più brillante dell'oro, al punto che vorresti trasformare tutto questo etereo splendore in quella sporcizia in cui tu già sguazzi? Per quel che mi riguarda, dopo aver nascosto il gioiello sotto il mio mantello, mi affretterò a tornare nella mia soffitta, in uno dei vicoli bui di Londra. Lì, notte e giorno, resterò ad ammirarlo – la mia anima berrà la sua luce – che si diffonderà in tutti i miei poteri intellettuali e brillerà in ogni verso che comporrò. Così, secoli dopo la mia morte, lo splendore del Grande Carbonchio illuminerà il mio nome!”
Ben detto, mastro Poeta!” gridò quello degli occhiali. “Nasconderlo sotto il tuo mantello, hai detto? Così brillerebbe attraverso i buchi e ti farebbe sembrare una zucca di Halloween!”


The Poor Poet, 1837 
Carl Spitzweg

Incredibile!” sbottò lord de Vere, più con sé stesso che con i suoi compagni, il migliore dei quali egli riteneva assolutamente indegno della sua considerazione, - “pensare che un tizio avvolto in un mantello sbrindellato debba parlare di portare il Grande Carbonchio in una soffitta in via dei Poveracci! Non ho forse deciso dentro di me che in tutta la terra non c'è ornamento più degno per il salone del mio castello avito? Lì brillerà per i secoli a venire, trasformando la mezzanotte in mezzogiorno, illuminando le armature, gli stendardi e gli stemmi appesi alle pareti, e tenendo viva la memoria degli eroi. Per quale altro motivo tutti gli altri avventurieri hanno cercato in vano questo premio, se non perché possa vincerlo io e farne il simbolo delle glorie del mio augusto casato? E mai, sul diadema delle White Mountains, il Grande Carbonchio ha occupato un posto così onorevole come quello che gli è riservato nel salone dei de Vere!”
E' un nobile pensiero,” disse il Cinico, con un ghigno ossequioso. “Ma se posso permettermi, direi che la gemma sarebbe una mirabile lampada sepolcrale e illuminerebbe le glorie dei progenitori di vostra grazia più degnamente nella tomba degli antenati che nel salone del castello.”
No davvero,” osservò Matthew, il giovane campagnolo, che sedeva mano nella mano con la sua sposa, “Il gentiluomo ha escogitato un uso vantaggioso per questa splendente pietra. Hannah qui ed io la stiamo cercando per lo stesso scopo.”
Come, amico!” esclamò sua grazia, sorpreso. “In quale castello la devi appendere?”
Nessun castello,” rispose Matthew, “Ma il più grazioso cottage che si possa ammirare sulle Colline di Cristallo. Dovete sapere, amici, che Hanna ed io, dopo esserci sposati la settimana scorsa, abbiamo intrapreso la ricerca del Grande Carbonchio perché avremo bisogno della sua luce durante le lunghe sere invernali, e sarà una bella cosa da mostrare ai vicini, quando ci faranno visita. Illuminerà tutta la casa, così che sarà possibile raccogliere uno spillo in qualunque angolo, e farà risplendere tutte le finestre, come se nel caminetto ardessero grandi ceppi di legno di pino. E poi sarà piacevole, quando ci sveglieremo di notte, poterci guardare in faccia!”
Ci fu un sorriso generale tra gli avventurieri, alla semplicità del progetto della giovane coppia, riguardo a questa meravigliosa e inestimabile pietra, con cui il più potente monarca della terra sarebbe stato orgoglioso di adornare il suo palazzo. Specialmente l'uomo con gli occhiali, che aveva a turno irriso tutta la compagnia, ora contorceva il viso in un'espressione di così maligna ilarità, che Matthew gli chiese, piuttosto irritato, quello che lui aveva intenzione di fare con il Grande Carbonchio.
Il Grande Carbonchio!” rispose il Cinico, con indicibile disprezzo. “Devi sapere, testone, che non c'è, in rerum natura, niente del genere. Ho percorso tremila miglia fin qui, e sono deciso a mettere piede su ogni vetta di queste montagne, e infilare la testa in ogni abisso, con l'unico proposito di dimostrare a soddisfazione di ogni uomo, purché meno asino di te, che il Grande Carbonchio è un imbroglio.”
Vani e folli erano le ragioni che avevano condotto la maggior parte degli avventurieri alle Colline di Cristallo, ma nessuno così vano, così folle e anche così empio come quello del dileggiatore dai prodigiosi occhiali. Era uno di quegli uomini meschini e malvagi, i cui desideri sono rivolti giù verso le tenebre, invece che verso il cielo e che, potendo spegnere le luci che Dio ha acceso per noi, considererebbero le tenebre della mezzanotte la loro principale gloria. Mentre il Cinico parlava, diversi membri del gruppo trasalirono alla vista di un bagliore di rosso splendore, che metteva in risalto le imponenti sagome delle montagne circostanti e il letto roccioso del turbolento fiume, con una luce diversa da quella del loro fuoco sui tronchi e i rami neri degli alberi della foresta. Si aspettavano di sentire il rombo del tuono, ma non udirono niente e furono felici che la tempesta non si stesse avvicinando a loro. Le stelle, quei punti meridiani del cielo, ora avvertirono gli avventurieri di chiudere i loro occhi al riverbero dei tizzoni e ad aprirli, in sogno, al fulgore del Grande Carbonchio.


Detail from The Great Carbuncle, undated, oil on canvas by British artist William Sidney Goodwin (1833–1916).
La giovane coppia di sposi aveva preso alloggio nell'angolo più appartato del wigwam ed erano separati dal resto del gruppo da una curiosa cortina di ramoscelli intrecciati, come quella che avrebbe potuto essere appesa, in fitti festoni, intorno alla camera nuziale di Eva. La timida mogliettina aveva intrecciato quella tappezzeria mentre gli altri ospiti conversavano. Lei e suo marito si addormentarono stringendosi teneramente le mani e si risvegliarono da visioni di radiosità ultraterrena per incontrare la luce più benedetta degli occhi dell'altro. Si svegliarono nello stesso momento e con lo stesso sorriso felice ad illuminargli il viso, che divenne più luminoso mentre prendevano coscienza della realtà della vita e dell'amore. Ma appena la sposa ricordò dov'erano, sbirciò attraverso gli interstizi della cortina di foglie e vide che il resto della capanna era deserto.
In piedi, caro Matthew!” gridò in tutta fretta. “I forestieri sono andati via! In piedi, in questo istante o perderemo il Grande Carbonchio!”
A dire il vero, questi poveri giovani meritavano così poco quel prezioso premio che li aveva attratti fin là, che avevano dormito pacificamente tutta la notte fino a quando le cime delle colline scintillarono sotto i raggi del sole, mentre gli altri avventurieri si erano agitati in una veglia febbrile, o avevano sognato di scalare precipizi, e alle prime luci dell'alba se ne erano andati per realizzare i loro sogni. Ma Mtthew e Hannah, dopo il loro tranquillo riposo, erano agili come giovani cervi, e si fermarono solo per dire le loro preghiere e lavarsi in una gelida pozza del fiume Amonoosuck, e poi per per mangiare un boccone prima di rivolgere i loro visi alla montagna.
Formavano un dolce emblema di amore coniugale, mentre arrancavano su per la difficile salita, ricevendo forza dall'aiuto che si offrivano l'un l'altro. Dopo qualche piccolo incidente, come un vestito strappato, una scarpa persa e i capelli di Hannah rimasti impigliati in un ramo, raggiunsero il confine superiore della foresta ed erano sul punto di intraprendere un percorso molto più avventuroso. Gli innumerevoli tronchi e il fitto fogliame degli alberi avevano fino a quel momento trattenuto i loro pensieri, che ora indietreggiavano spaventati da quella regione di vento e nuvole e nude rocce e sole implacabile che si ergeva davanti a loro immensurabile. Si voltarono a guardare l'oscura distesa che avevano attraversato e desiderarono immergersi di nuovo nelle sue profondità, piuttosto che affidarsi a quella solitudine così vasta e visibile.
Dobbiamo continuare?” disse Matthew, cingendo la vita di Hannah col suo braccio, sia per proteggerla che per confortare il proprio cuore stringendola a sé.
Ma la sposina, per quanto fosse semplice, aveva la passione delle donne per i gioielli, e non poteva abbandonare la speranza di possedere proprio il più splendente al mondo, a dispetto dei pericoli che avrebbero dovuto affrontare per conquistarlo.
Arrampichiamoci un po' pi in alto,” sussurrò, con voce tuttavia tremante, mentre volgeva il viso al quel cielo desolato.
Andiamo, allora,” disse Mattew, facendo appello al suo coraggio di uomo e trascinandola con sé, perché lei diventò di nuovo timorosa, nel momento in cui lui diventò coraggioso.
E così, i pellegrini del Grande Carbonchio continuarono a salire, calpestando ora le cime e i rami intricati dei pini nani che, nonostante crescessero da secoli e fossero tutti ricoperti di muschio per l'età, avevano a malapena raggiunto gli ottanta centimetri. Poi, arrivarono a massi e frammenti di nuda roccia, ammucchiati confusamente, simili ad un tumulo innalzato dai giganti, in memoria di un loro capo. In questo desolato regno dell'alta atmosfera, niente respirava, niente cresceva, non c'era vita se non quella concentrata nei loro due cuori; si erano arrampicati tanto in alto che la natura stessa sembrava non tenergli più compagnia. Si era fermata sotto di loro, sul limitare della foresta, e mandò uno sguardo di addio ai suoi due figli mentre si inoltravano dove le sue verdi impronte non erano mai state. Ma presto sarebbero scomparsi dalla sua vista.
Dense e nere, le nebbie iniziarono a raccogliersi sotto di loro, proiettando nere chiazze di ombra sul vasto paesaggio, e veleggiando lentamente verso lo stesso centro, come se la vetta più alta della montagna avesse convocato un concilio di nubi sue anime gemelle. Finalmente, i vapori si fusero, per così dire, in una massa che sembrava avere la consistenza di un sentiero su cui i viandanti avrebbero potuto camminare, ma dove avrebbero invano cercato la strada verso la benedetta terra che avevano smarrito. E gli amanti desideravano rivedere la verde terra ancora più intensamente, ahimè! di quanto avessero mai desiderato, sotto un cielo nuvoloso, uno squarcio di azzurro. Avvertirono persino un senso di sollievo alla loro desolazione quando le nebbie, avanzando lentamente su per la montagna, nascosero la sua vetta solitaria cancellando così, almeno per loro, l'intera porzione di spazio visibile. Ma si strinsero ancora più vicini, con uno sguardo amorevole e malinconico, temendo che quella nube universale potesse nasconderli l'uno alla vista dell'altro.
Eppure, forse, sarebbero stati determinati ad arrampicarsi sempre più lontano e più in alto, tra terra e cielo, fin dove era possibile trovare un punto d'appoggio, se le forze di Hannah non avessero iniziato a venir meno e insieme ad esse, anche il suo coraggio. Aveva il fiato corto. Si rifiutò di caricare il marito con il suo peso, ma vacillava spesso contro il suo fianco, e ogni volta si riprendeva con uno sforzo sempre più debole. Alla fine, si accasciò su uno dei gradini di roccia del pendio.
Ci siamo persi, Matthew caro,” disse con tono mesto. “Non ritroveremo mai la strada verso terra. E, oh, amore, come avremmo potuto essere felici nel nostro cottage!”
Cuore mio! Vi saremo di nuovo felici,” rispose Mtthew. “Guarda! In questa direzione, la luce del sole penetra la cupa nebbia. Grazie ad essa, potrò indirizzare il nostro cammino verso la Gola. Torniamocene indietro, amore, e non sogniamo mai più il Grande Carbonchio!”
Il sole non può venire di là,” disse Hnnah tristemente. “A quest'ora dovrebbe essere mezzogiorno. Se qui ci potesse essere un raggio di sole, dovrebbe venire da sopra le nostre teste.”
Ma, guarda!” ripeté Matthew, con un tono leggermente alterato. “Si sta facendo sempre più luminoso ad ogni momento. Se non è il sole, cosa può essere?”
La giovane sposa non poté più negare che una strana luminosità stava irrompendo attraverso la nebbia mutando il suo pallido colore in un rosso cupo, che diventava sempre più vivido, come se delle particelle brillanti si mescolassero all'oscurità. Poi, anche la nuvola iniziò a lasciare la montagna e, mentre si ritraeva lentamente, un oggetto dopo l'altro spuntò fuori dalla sua impenetrabile oscurità, rendendosi visibile, facendo esattamente lo stesso effetto di una nuova creazione, prima che la massa indistinta del vecchio caos fosse stata completamente divorata. Mentre questo processo proseguiva, videro il riflesso dell'acqua vicino ai loro piedi, e scoprirono di essere proprio sulla riva di un lago di montagna profondo, luminoso, chiaro e di tranquilla bellezza, che si allungava da un bordo all'altro di un bacino scavato nella solida roccia. I pellegrini guardarono da dove potesse provenire, ma chiusero gli occhi con un brivido di timorosa ammirazione, per escludere l'intenso splendore che fiammeggiava dal ciglio di una rupe sospesa sopra il lago incantato. Perché questa semplice coppia aveva raggiunto il lago del mistero e trovato l'agognato santuario del Grande Carbonchio.
Si gettarono l'uno nelle braccia dell'altro e tremarono al loro stesso successo perché, mentre le leggende della meravigliosa gemma si affollavano nella loro memoria, si sentirono segnati dal destino – e quella consapevolezza era terribile. Spesso, fin dalla loro infanzia, lo avevano visto brillare come una stella lontana. E ora quella stella diffondeva la sua luce più intensa sui loro cuori. Ciascuno sembrava cambiato agli occhi dell'altro, nel rosso fulgore che infiammava le loro guance mentre la gemma diffondeva lo stesso fuoco sul lago, sulle rocce e sul cielo e alle nebbie che si erano ritratte davanti alla sua potenza. Ma, guardando meglio, videro qualcosa che distrasse la loro attenzione perfino dalla prodigiosa pietra. Ai piedi della rupe, proprio sotto il Grande Carbonchio, apparve la figura di un uomo con le braccia protese nell'atto di arrampicarsi e il volto girato verso l'alto, quasi a voler bere tutto quel getto di splendore. Ma non si muoveva, come se si fosse trasformato in una statua di marmo.
E' il cercatore,” sussurrò Hannah, stringendo convulsamente il braccio del marito. “Matthew, è morto!”

La gioia del successo lo ha ucciso,” rispose Matthew, tremando violentemente. “O forse proprio la luce del Grande Carbonchio è stata mortale!”
Il Grande Carbonchio,” gridò una voce stizzita dietro di loro, “il Grande Imbroglio! Se lo avete trovato, indicatemelo.”
Girarono la testa, ed ecco il Cinico, con i suoi prodigiosi occhiali calzati accuratamente sul naso, che guardava ora verso il lago, ora verso le rocce, ora verso le lontane masse di vapore, ora verso il Grande Carbonchio stesso, eppure sembrava così inconsapevole della sua luce, come se tutte le nuvole sparse si fossero condensate intorno alla sua persona. Anche se il suo splendore proiettava l'ombra di quell'incredulo ai suoi piedi, mentre dava le spalle al magnifico gioiello, era convinto che non c'era il minimo riflesso luminoso in quel luogo.
Dov'è il vostro Grande Imbroglio?” ripetè. “Vi sfido a farmelo vedere!”
Eccolo,” disse Matthew, infuriato a tale perversa cecità e facendo voltare il Cinico verso la roccia illuminata. “Si tolga quegli abominevoli occhiali e non potrà fare a meno di vederlo!”
Ebbene, quegli occhiali colorati probabilmente oscuravano la vista del Cinico almeno quanto i vetri affumicati attraverso cui si osservano le eclissi. Con risoluta spavalderia, comunque, si strappò gli occhiali dal naso e fissò il fulgore rossastro del Grande Carbonchio con uno sguardo temerario. Ma lo aveva a malapena incontrato quando, con un gemito cupo e raccapricciante, piegò la testa e si premette le mani sui suoi poveri occhi. Da quel momento in poi, in verità, per il povero Cinico non ci fu più luce del Grande Carbonchio, né nessun altra luce sulla terra e tanto meno la luce del cielo. Era abituato da così tanto tempo a vedere gli oggetti attraverso un filtro che li privava di ogni barlume di luminosità, che un singolo lampo di un così possente fenomeno, colpendo i suoi occhi nudi, lo aveva accecato per sempre.
Matthew,” disse Hannah, appoggiandosi addosso a lui, “Andiamo via!”
Matthew vide che era svenuta e, inginocchiandosi, la prese fra le braccia, mentre le gettava un po' della gelida acqua del lago incantato sul viso e sul petto. Questo la ravvivò, ma non poté rinnovare il suo coraggio.
Sì, mia cara!” gridò Matthew, stringendo a sé il suo corpo tremante, - “Ce ne andremo e ritorneremo al nostro umile cottage. I raggi benedetti del sole e il tranquillo chiarore della luna illumineranno le nostre finestre. Accenderemo l'allegro fuoco del nostro camino e saremo felici alla sua luce. Ma non desidereremo mai più una luce che il mondo non possa dividere con noi.”
No,” disse la sua sposa, “infatti, come potremmo vivere giorno dopo giorno, o dormire la notte, nell'accecante splendore del Grande Carbonchio!”
Mettendo le mani a coppa, bevvero un sorso dal lago, che gli donò le sue acque incontaminate da labbra terrene. Poi, prestando la loro guida al Cinico ormai cieco, che non pronunciava più una parola, e anzi soffocava i gemiti nel suo cuore desolato, iniziarono a scendere dalla montagna. Eppure, mentre lasciavano le rive, fino ad allora mai calpestate, del lago dello Spirito, lanciarono uno sguardo d'addio verso la roccia e videro i vapori aggregarsi in densi volumi, attraverso i quali la gemma bruciava cupamente.
Per quanto riguarda gli altri pellegrini del Grande Carbonchio, la leggenda prosegue a dire che il devoto mastro Ichabod Pigsnort ben presto abbandonò la ricerca, considerandola una speculazione infruttuosa e decise saggiamente di ritornarsene al suo magazzino, nella zona del porto della città di Boston. Ma mentre attraversava la Gola delle montagne, un gruppo di guerrieri indiani catturò il nostro sfortunato mercante e lo portò a Montreal, dove fu tenuto prigioniero fino al pagamento di un grosso riscatto, che egli aveva dolorosamente sottratto al suo mucchio di scellini del pino. A causa della sua lunga assenza, per di più, i suoi affari erano andati tanto in malora che, per il resto della vita, invece di nuotare nell'argento, raramente ebbe in tasca un soldino di rame.
Il dottor Cacaphodel, l'alchimista, ritornò al suo laboratorio con un prodigioso frammento di granito, che ridusse in polvere, dissolse in acidi, fuse nel crogiolo e bruciò col cannello, e pubblicò i risultati dei suoi esprimenti in uno dei più ponderosi in folio dei suoi tempi. E nemmeno la gemma stessa avrebbe potuto prestarsi meglio del granito a tutti quegli scopi. Il poeta, a causa di un errore simile, si impossessò di un grosso pezzo di ghiaccio, che aveva trovato in un buio crepaccio delle montagne, e giurò che corrispondeva, punto per punto, alla sua idea del Grande Carbonchio. I critici dicono che se la sua poesia mancava dello splendore della gemma, tuttavia possedeva tutta la freddezza del ghiaccio. Lord de Vere ritornò al suo salone ancestrale, dove si accontentò della luce delle candele del lampadario e, a tempo debito, riempì un'altra bara nella cripta dei suoi antenati. Dal momento che le torce funebri illuminavano quel buio ricettacolo, non ci fu alcun bisogno del Grande Carbonchio per mostrare la vanità della pompa terrena.
Il Cinico, avendo gettato via i suoi occhiali, vagò in giro per il mondo, ridotto in condizioni miserevoli, e fu punito con un agonizzante desiderio della luce, a causa dell'ostinata cecità della sua vita precedente. Di notte alzava le sue orbite devastate dallo splendore verso la luna e le stelle; all'alba rivolgeva il volto verso est, con la puntualità di un idolatra persiano10; compì un pellegrinaggio a Roma, per ammirare la magnifica illuminazione di San Pietro e, in fine, perì nel grande incendio di Londra11, nel mezzo del quale si era lanciato con la disperata idea di carpire un flebile raggio dalla vampa che stava infiammando terra e cielo.


Matthew e la sua sposa trascorsero insieme molti anni sereni e amavano raccontare la leggenda del Grande Carbonchio. Il racconto, comunque, verso la fine delle loro lunghe vite, non incontrò la totale accettazione che gli era stata accordata da coloro che ricordavano l'antico fulgore della gemma. Perché si sostiene che, nel momento in cui due mortali si erano mostrati così saggi da rifiutare un gioiello che avrebbe offuscato ogni cosa terrena, il suo splendore declinò. Quando altri pellegrini raggiunsero la roccia, trovarono solo una pietra opaca, con particelle di mica che rilucevano sulla sua superficie. C'è anche una leggenda secondo cui, appena la giovane coppia andò via, la gemma scivolò dal bordo della roccia e cadde nel lago incantato e che, a mezzogiorno, si può ancora vedere il corpo del Cercatore piegarsi sulla sua inestinguibile luce.
Solo in pochi credono che questa inestimabile pietra emani ancora il suo fulgore, come una volta, e dicono di aver colto la sua luce, simile al lampo di un fulmine estivo, dal fondo della valle del Saco. E devo ammettere che, a molte miglia lontano dalle Colline di Cristallo, anche io vidi una luce incredibile intorno alle sue vette, e fui indotto, dalla forza della poesia, ad essere l'ultimo pellegrino del Grande Carbonchio.
1.
La leggenda indiana, su cui si fonda questo racconto alquanto bizzarro, è troppo selvaggia e troppo bella per essere adeguatamente rielaborata in prosa. Sullivan, nella sua storia del Maine, scritta a partire dalla Rivoluzione, sottolinea che, anche allora, l'esistenza del Grande Carbonchio godeva di una certa credibilità.

FINE



*Morality play, o morality, dramma allegorico popolare in Europa specialmente nel XV e XVI secolo, in cui i personaggi rappresentano qualità morali (come il vizio o la virtù) o astrazioni (come la morte o la giovinezza) e in cui viene data una lezione  morale.

1 Montagne Bianche: catena montuosa nel New Hampshire, si trova nella parte settentrionale degli Appalachi
2 In mineralogia il carbonchio, dal latino carbunculus, "piccolo carbone", è un rubino; quanto al carbonchio degli antichi si suppone che fosse un granato.
3 L' Ammonoosuc River lungo 89 km, nel nord ovest del New Hampshire (US) è un affluente del fiume Connecticut. "Ammonoosuc" nella lingua degli indiani Abenaki significa "piccolo luogo per pescare.”
4 Caca phodel – il prefisso ha una connotazione escrementale, mentre phodel deriva da un verbo obsoleto fode che secondo OED significa “Nutrire false speranze, incoraggiare convinzioni o propositi ingannevoli.”
5 Anche questo nome è pieno di connotazioni negative: Icabod, nome biblico, vuol dire “senza gloria,” Pigsnort, alla lettera, “grugnito di maiale.”
6 John Norton (1606 –1663), religioso puritano e ministro della prima chiesa di Boston.
7 I pine tree shilling, così detti per l'albero di pino impresso su una delle due facce, fu la prima moneta coniata autonomamente nel Massachusetts a partire dal 1652.

8 John Smith (1580 – 1631) fu fu soldato, esploratore e governatore del New England. Oggi è stato reso famoso dal cinema per la sua presunta storia d'amore con l'indiana Pocahontas.
9 Antico formato di libri, l' in-folio si otteneva piegando un foglio intero una sola volta lungo il lato minore, in modo da avere quattro facciate ossia due carte.
10 Si riferisce allo zoroastrismo, religione dell’Iran antico, fino all’avvento dell’islam alla metà del 7° secolo. Prende il nome dal suo fondatore, chiamato Zarathustra. La parte principale e la più caratteristica del culto zoroastrico è il culto del fuoco.
11 The Great Fire of London fu un incendio che si propagò nella City di Londra dal 2 al 5 settembre 1666, distruggendo in gran parte gli edifici medioevali della city, di cui oggi restano solo pochi esempi.

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