Speriamo che vada meglio
Non riuscendo a trovare un editore per “The Greatest Gift,” Philip Van Doren Stern (1900–84) stampò 200 copie del suo racconto e le usò come cartoline del Natale del 1943, in piena guerra. Da questo modesto inizio, era nato un classico. Il racconto di Van Doren Stern arrivò nelle mani del regista Frank Capra, che disse “L’ho cercato per tutta la vita.”
Nel 1946 Capra ne trasse il film La vita è meravigliosa (It’s a Wonderful Life), interpretato da un immenso James Stewart.
Pur avendo avuto ben tre nomination (miglior film, migliore attore, miglior regista) non ricevette nemmeno un Oscar. Resta tuttavia una pietra miliare del cinema di tutti i tempi, il testamento spirituale di Capra, un film che mostra l'orrore e la realtà dell'America del dopoguerra il cui solo antidoto contro il vento freddo dell’opportunismo e dell’avidità personale è la solidarietà, l'utopia della piccola comunità.
Curiosità:
🌲La trilogia di Ritorno al futuro di Robert Zemeckis ha attinto a piene mani sia dal racconto che dal film di Capra.
Il dono più grande
PHILIP VAN DOREN STERN
La piccola città, sparsa sulle pendici della collina, era illuminata dalle luci colorate del Natale. Ma George Pratt non le vedeva. Era chino sul parapetto del ponte di ferro, fissando pensieroso le acque nere. La corrente turbinava vorticosamente come vetro liquido e occasionalmente un pezzo di ghiaccio, staccatosi dalla riva, galleggiava giù a valle per finire divorato dalle ombre sotto il ponte. L’acqua sembrava di un freddo paralizzante. George si chiese quanto tempo un uomo potesse sopravvivere lì dentro. Quella lucida oscurità aveva su di lui un effetto strano, ipnotico. Si sporse un po’ di più oltre il parapetto…
“Non lo farei se fossi in lei,” disse con calma una voce al suo fianco.
George si voltò irritato verso un ometto che non aveva mai visto prima. Era robusto, ben oltre la mezza età, e le sue guance erano rosee nell’aria invernale come se fossero state appena rasate.
“Non farei cosa?” chiese George con tono scontroso.
“Quella che stava pensando di fare.”
“Cosa ne sa di quello che stavo pensando?”
“Oh, il nostro lavoro è proprio quello di sapere un sacco di cose,” disse pacatamente lo straniero.
George si chiese quale fosse il lavoro dell’uomo. Era una persona assolutamente insignificante, il tipo a cui passereste accanto nella folla senza mai notarlo. A meno che non vediate i suoi luminosi occhi azzurri, cioè. Non potreste dimenticarli, perché erano gli occhi più gentili e penetranti che abbiate mai visti. Di lui, niente altro era degno di nota. Indossava un vecchio cappello di pelo mangiucchiato dalle tarme, un malandato cappotto teso al massimo sulla sua pancia tonda. Portava una borsa a tracolla nera. Non era la borsa di un dottore – era troppo grande per quello e non era della forma giusta. Era il campionario di un commesso viaggiatore, decise George con disprezzo. Quel tipo era probabilmente una specie di venditore ambulante, uno di quelli che se ne andava in giro a ficcare il suo piccolo naso affilato negli affari degli altri.
“Sembra che voglia nevicare,” disse lo straniero, volgendo uno sguardo indagatore al cielo nuvoloso. “Sarà bello avere un bianco Natale. Stanno diventando sempre più rari al giorno d’oggi, come tante altre cose.” Si voltò a guardare George direttamente in faccia. “Si sente bene adesso?”
“Certo che sto bene. Cosa le ha fatto pensare il contrario? Io...” George rimase in silenzio davanti allo sguardo tranquillo dello straniero.
L’ometto scosse la testa. “Sa che non dovrebbe pensare a queste cose – e tanto meno alla vigilia di Natale! Lei deve pensare a Mary… e anche a sua madre.”
George aprì la bocca per chiedere come lo straniero potesse sapere il nome di sua moglie, ma quello lo anticipò.
“Non mi chieda come conosca queste cose. E’ il mio lavoro conoscerle. Questo è il motivo per cui sono venuto quaggiù questa notte. E per fortuna.” Guardò giù all’acqua scura e rabbrividì. “Allora, se lei sa tutte queste cose su di me,” disse George, “mi dia una sola buona ragione per cui dovrei vivere.”
L’ometto fece una strana risatina. “Suvvia, non può andare così male. Lei ha un lavoro alla banca. E Mary e i bambini. E’ giovane e in salute e...”
“E stufo di tutto!” gridò George. “Sono bloccato in questo buco per la vita, a fare lo stesso noioso lavoro giorno dopo giorno. Altri uomini conducono una vita eccitante, ma io… ebbene, sono solo un impiegato di banca di questa piccola città che nemmeno l’esercito ha voluto. Non ho mai fatto niente di utile o interessante, e pare che non ci riuscirò mai. Potrei anche essere morto. Sarebbe meglio che fossi morto. A volte vorrei esserlo. Anzi, vorrei non essere mai nato!”
L’ometto rimase a fissarlo nella crescente oscurità. “Cosa ha detto?” chiese dolcemente.
“Ho detto che vorrei non essere mai nato,” ripeté George con fermezza. “Ne sono convinto.”
Le guance rosee dello straniero si accesero per l’eccitazione. “Ma questo è meraviglioso! Ha trovato la soluzione. Temevo che mi avrebbe dato dei problemi. Ma ecco che lei stesso ha trovato la soluzione. Vorrebbe non essere mai nato. Benissimo! OK! Così sia!”
“Cosa vuole dire?” grugnì George.
“Lei non è nato. Soltanto questo. Lei non è nato. Nessuno la conosce. Non ha alcuna responsabilità – niente lavoro – niente moglie – niente bambini. Beh, non ha nemmeno una madre. Non potrebbe averla, naturalmente. Tutti i suoi guai sono finiti. Sono felice di dirle che il suo desiderio è stato esaudito – ufficialmente.” “Sciocchezze!” George sbuffò e andò via.
Lo straniero lo rincorse e lo afferrò per un braccio. “Farebbe meglio a prendere questa con lei,” disse, porgendogli la sua borsa. “Le aprirà tante porte che altrimenti le sarebbero chiuse in faccia.”
“Quali porte nella faccia di chi?” sbottò George. “Conosco tutti in questa città. E poi, mi piacerebbe vedere qualcuno sbattermi la porta sulla faccia.”
“Sì, lo so,” disse pazientemente l’ometto. “Ma la prenda comunque. Non può farle alcun danno e potrebbe esserle d’aiuto.” Aprì la borsa e gli mostrò un certo numero di spazzole. “La sorprenderebbe quanto possano essere utili queste spazzole come presentazione – specialmente quelle gratis. Queste, voglio dire.” Tirò fuori una semplice spazzoletta per capelli. “Le farò vedere come si usa.” Spinse la valigetta nelle riluttanti mani di George e iniziò: “Quando la padrona di casa esce sulla porta, le dia questa e poi parli velocemente. Deva dire: ‘Buona sera, signora. Sono della World Cleaning Company e voglio farle omaggio di questa bella e utile spazzola assolutamente gratis – senza nessun obbligo di comprare qualcosa.” Dopo, naturalmente, è uno scherzo. Adesso provi lei.”
George lasciò subito cadere la spazzola nella valigetta e armeggiò con il lucchetto, riuscendo finalmente a chiuderlo con uno scatto rabbioso. “Ecco,” disse, e poi di colpo si fermò, perché non c’era più nessuno. Il piccolo straniero doveva essere scivolato via tra i cespugli che crescevano lungo la riva del fiume, pensò George. Di sicuro, non aveva voglia di mettersi a giocare a nascondino con lui. Era quasi buio e diventava più freddo ad ogni minuto. Rabbrividì e sollevò il colletto del cappotto.
I lampioni erano stati accesi e dietro i vetri delle finestre brillavano dolcemente le candele di Natale. La piccola città sembrava incredibilmente allegra. Dopo tutto, il posto dove era cresciuto era l’unico posto sulla terra dove poteva veramente sentirsi a casa. George provò un’improvvisa esplosione di affetto perfino per il vecchio burbero Hank Biddle, davanti alla cui casa stava passando. Ricordò la lite che aveva avuto quando la sua macchina aveva grattato via un pezzo della corteccia del grande acero di Hank. George guardò su all’ampio dispiegarsi dei rami spogli che torreggiavano su di lui nelle tenebre. L’albero doveva essere lì fin dai tempi degli indiani. Sentì un improvviso senso di colpa per il danno che aveva fatto.
Non si era mai fermato ad osservare la ferita, perché solitamente aveva paura perfino che Hank lo beccasse ad osservare l’albero. Ora, si avviò baldanzosamente al bordo della carreggiata per esaminare il grande tronco. Hank doveva aver riparato la ferita o l’aveva ridipinta, perché non ce n’era traccia. George accese un fiammifero e si chinò per guardare più da vicino. Si rialzò con una strana, inquietante sensazione nello stomaco. Non c’era nessuna ferita, La corteccia era liscia e senza danni. Ricordò quello che gli aveva detto l’ometto sul ponte. Era tutta una sciocchezza, naturalmente, ma la ferita scomparsa lo preoccupava.
Quando arrivò alla banca, vide che qualcosa non andava bene. L’edificio era buio, e lui sapeva di aver acceso la luce del caveau. Notò, poi, che le tendine non erano state tirate giù. Corse sul davanti dell’edificio. C’era un vecchio cartello scolorito attaccato alla porta. George riuscì a malapena a leggere le parole:
SI AFFITTA O SI VENDE
Rivolgersi JAMES SILVA
Agenzia Immobiliare.
Forse era lo scherzo di qualche ragazzo, pensò in un primo momento. Poi vide un mucchio di vecchie foglie e brandelli di giornali sulla soglia della banca solitamente immacolata. E sembrava che le finestre non fossero state lavate da chissà quanti anni. Dall’altra parte della strada c’era ancora una luce accesa nell’ufficio di Jim Silva. George attraversò di corsa e spalancò la porta. Jim sollevò sorpreso gli occhi dal suo libro mastro.
“Cosa posso fare per lei, giovanotto?” disse con la voce gentile che riservava ai possibili clienti.
“La banca,” Disse George senza fiato. “Che problema c’è?”
“Il vecchio edificio della banca?” Jim Silva si girò e guardò fuori dalla finestra. “Nessun problema, da quello che posso vedere. Ha per caso intenzione di comprarlo o affittarlo?”
“Intende dire che… ha cessato l’attività?”
“Da almeno dieci anni. Ha fatto bancarotta. Lei non è di queste parti, vero?”
George si appoggiò sopraffatto alla parete. “Sono stato qui qualche tempo fa,” disse con un filo di voce.
“La banca allora andava bene. Conoscevo anche alcune persone che ci lavoravano.”
“Conosceva un certo Marty Jenkins?”
“Marty Jenkins! Ma lui...” George stava per dire che Marty non aveva mai lavorato alla banca – non avrebbe potuto, infatti, perché finita la scuola, tutti e due avevano cercato lavoro alla banca e solo George lo aveva ottenuto. Ma ora, naturalmente, le cose erano cambiate. Doveva fare attenzione.
“No, non lo conoscevo,” disse lentamente. “Non veramente, cioè. Ne avevo sentito parlare.”
“Allora forse avete sentito parlare di come se l’è filata con cinquantamila dollari. Ecco perché la banca fallì. Quasi tutti rovinati da queste parti.” Silva lo osservò attentamente. “Per un minuto ho sperato che forse sapeva dov’è. Io stesso ho perso parecchio in quella bancarotta. Ci piacerebbe mettere le mani su Marty Jenkins.”
“Non aveva un fratello? Mi sembra che avesse un fratello di nome Arthur.”
“Art? Oh, certo. Ma è uno a posto. Non sa dove è andato suo fratello. Ha avuto un effetto terribile anche su di lui. Iniziò a bere, proprio così. E’ un peccato – e a prendersela con sua moglie. Ha sposato una bella ragazza.”
George sentì di nuovo quella sensazione inquietante nello stomaco. “Chi ha sposato?” Domandò con voce roca. Sia lui che Art avevano corteggiato Mary.
“Una ragazza che si chiama Mary Thatcher,” disse Silva allegramente. “Vive sulla collina, proprio di fianco alla chiesa – Ehi! Dove sta andando?”
Ma George era fuggito via dall’ufficio. Oltrepassò correndo la banca e si diresse su per la collina. Per un momento pensò di andare subito da Mary. La casa di fianco alla chiesa gli era stata regalata dal padre di lei come dono di nozze. Naturalmente l’aveva avuta Art Jenkins se aveva sposato Mary. George si chiese se avevano figli. Allora si rese conto che non poteva affrontare Mary – non ancora, comunque. Decise di far visita ai suoi genitori e scoprire di più su di lei.
C’erano candele accese alle finestre della vecchia casa segnata dalle intemperie situata sulla traversa della strada, e una ghirlanda natalizia era appesa al pannello di vetro della porta. George sollevò il chiavistello del cancello con uno scatto rumoroso. Un’ombra nera sul portico saltò su e iniziò a ringhiare. Quindi, si precipitò giù per i gradini, abbaiando ferocemente.
“Brownie!” gridò George. “Brownie, vecchia matta, smettila! Non mi riconosci?”
Ma il cane avanzò minaccioso e lo respinse dietro il cancello. La luce del portico si accese, e il padre di George uscì fuori per richiamare il cane. I latrati divennero un basso, rabbioso ringhiare. Suo padre trattenne il cane per il collare mentre George gli passò davanti con cautela. Si rese conto che suo padre non lo aveva riconosciuto.
“C’è la padrona di casa?” domandò.
Suo padre indicò la porta. “Entri,” disse cordialmente. “Voglio legare il cane. Può essere cattiva con gli estranei.”
Suo madre, che aspettava nell’ingresso, naturalmente non lo riconobbe. George aprì il campionario e afferrò la prima spazzola che gli venne a portata di mano.
“Buona sera, signora,” disse educatamente. “Lavoro per la World Cleaning Company. Stiamo distribuendo una spazzola come campione omaggio. Pensavo che le piacerebbe averne una. Senza impegno. Senza nessun impegno...” la voce gli venne meno.
Sua madre sorrise alla sua goffaggine. “Suppongo che voglia vendermi qualcosa. Non sono proprio sicura di aver bisogno di una spazzola.”
“Nossignora. Non voglio venderle niente,” la rassicurò. “Il venditore ufficiale sarà da queste parti tra pochi giorni. Questo è solamente… beh, solo un regalo di Natale da parte della ditta.”
“Davvero gentile,” disse la madre.”Voialtri non avete mai dato via spazzole così belle prima.”
“Questa è un’offerta speciale,” disse George. Suo padre entrò nell’ingresso e chiuse la porta.
“Non volete entrare un pochino e sedervi” disse sua madre. “Dovete essere stanco dopo tanto camminare.”
“Grazie, signora. Non mi dispiacerebbe.” Entrò nel salottino e poggiò la borsa sul pavimento. La stanza sembrava un po’ diversa, anche se no riusciva a capire perché.
“Conoscevo abbastanza bene questa città,” disse per fare conversazione, “Conoscevo alcune persone del posto. Mi ricordo una ragazza che si chiamava Mary Thatcher. Ho sentito che ha sposato Art Jenkins. Sono certo che li conoscete.”
“Naturalmente,” disse sua madre. “Conosciamo bene Mary.”
“Bambini?” chiese con noncuranza.
“Due – un maschio e una femmina.”
George sospirò in modo evidente.
“Poveretto, dovete essere stanco,” disse sua madre. “Forse gradite una tazza di tè.”
“Nossignora, non datevi pensiero,” disse. “Sto per andare a cena.” Diede un’occhiata al salottino, cercando di scoprire perché sembrava diverso. Sul caminetto era appesa una fotografia incorniciata che era stata scattata il giorno del sedicesimo compleanno di suo fratello Harry.
Si ricordò di come erano andati allo studio di Potter per essere fotografati insieme. C’era qualcosa di strano in quel ritratto. Mostrava una sola figura, quella di Harry.
“E’ vostro figlio?” chiese.
Il volto della madre si rabbuiò. Fece cenno di sì ma non disse niente.
“Penso di averlo incontrato,” disse George con esitazione. “Si chiama Harry, vero?”
Sua madre si girò dall’altra parte, soffocando in gola un singhiozzo. Il marito le circondò goffamente le spalle con un braccio. La sua voce, di solito calma e gentile, divenne improvvisamente brusca.
“Non potete averlo incontrato,” disse. “E’ morto da tanto tempo. Annegò il giorno in cui fu fatta la fotografia.”
La mente di George volò indietro a quel lontano pomeriggio di Agosto quando lui e Harry erano stati allo studio di Potter. Sulla strada del ritorno erano andati a nuotare. Harry era stato preso da un crampo, ricordò. Lo aveva tirato fuori dall’acqua ed era finita lì. Ma supponiamo che non ci fosse stato!
“Mi dispiace,” disse avvilito. “Penso che sia meglio che vada. Spero che la spazzola le piaccia. E auguro a tutti e due un felice Natale.” Ecco, l’aveva detta grossa di nuovo, augurandogli un felice Natale, mentre il loro pensiero era rivolto al figlio morto.
Brownie tirò ferocemente la catena quando George scese i gradini del portico e accompagnò la sua dipartita con un ringhio cupo e ostile.
Ora voleva disperatamente vedere Mary. Non era sicuro di poter sopportare di non essere riconosciuto da lei. Le luci della chiesa erano accese e il coro stava facendo gli ultimissimi preparativi per i vespri natalizi. L’organo aveva provato “Holy Night” sera dopo sera finché George non ne aveva potuto più. Ma ora la musica quasi gli strappò via il cuore.
Brancolò alla cieca su per il sentiero che conduceva alla sua casa. Il prato era ricoperto di erbacce, e i cespugli da fiori che egli aveva tenuto accuratamente potati erano trascurati e appassiti. Certo non ci si poteva aspettare che Art Jenkins si prendesse cura di certe cose. Quando bussò alla porta ci fu un lungo silenzio, seguito dal grido di un bambino. Poi Mary venne alla porta.
Quando la vide, George rimase quasi senza voce. “Buon Natale, signora,” riuscì a dire alla fine. La mano gli tremava quando cercò di aprire la borsa.
Quando George entrò nel soggiorno, per quanto fosse infelice, non poté fare a meno di notare, con un sorrisetto segreto, che il carissimo sofà blu, per cui avevano spesso discusso, era lì. Evidentemente Mary aveva affrontato la stessa situazione con Art Jenkins e l’aveva avuta vinta anche con lui.
George riuscì ad aprire la borsa. Una delle spazzole aveva un impugnatura blu acceso e setole variopinte. Evidentemente non era una spazzola destinata ad essere regalata, ma a George non importava. La porse a Mary.
“Questa andrebbe bene per il suo sofà,” disse.
“Però! questa è una bellissima spazzola,” esclamò. “La date via gratis?”
George annuì solennemente. “Un’eccezionale offerta di lancio. E’ uno dei modi con cui la compagnia abbassa i profitti extra – dividendoli con gli amici.”
Mary passò gentilmente la spazzola sul sofà, lisciando il tessuto vellutato. “E’ una bella spazzola. Grazie. Io...” Improvvisamente dalla cucina arrivò un urlo e due bambini entrarono correndo. Una ragazzina bruttina si buttò nelle braccia della madre, singhiozzando rumorosamente mentre un maschietto di sette anni arrivò correndo dietro di lei, sparandole alla testa con una pistola giocattolo. “Mamma, non vuole morire,” urlò. “Le ho sparato un centinaio di volte, ma non vuole morire.”
Rassomiglia proprio ad Art Jenkins, pensò George. E si comporta anche come lui.
Di colpo, il bambino rivolse su di lui la sua attenzione. Puntò la pistola verso George e premette il grilletto. “Sei morto!” gridò. “Sei morto. Perché non cadi giù e muori?”
Sul portico ci fu un passo pesante. Il ragazzo sembrò spaventato e indietreggiò. George vide che Mary fissava la porta con apprensione. Art Jenkins entrò. Si fermò un momento sulla soglia, afferrando la maniglia per tenersi su. I suoi occhi erano velati e la sua faccia era paonazza.
“Chi è questo?” chiese con voce impastata.
“E’ un venditore di spazzole,” cercò di spiegare Mary. “Mi ha regalato questa spazzola.”
“Venditore di spazzole!” ghignò Art. “Beh, digli di andare fuori di qua. Non vogliamo nessuna spazzola.” Art singhiozzò violentemente e barcollò attraverso la stanza fino al divano, dove crollò a sedere. “E non vogliamo nemmeno nessun venditore di spazzole.”
George guardò Mary con disperazione. Gli occhi di lei lo pregarono di andare. Art aveva sollevato i piedi sopra sofà e vi si stava sdraiando, borbottando cose spiacevoli sui venditori di spazzole. George andò alla porta, seguito dal figlio di Art, che continuò a schioccare la pistola contro di lui dicendo: “Sei morto – morto – morto!”
Forse il ragazzo aveva ragione, pensò George quando fu sul portico. Forse era morto, o forse questo era un brutto sogno da cui alla fine si sarebbe svegliato. Voleva ritrovare l’ometto del ponte e cercare di convincerlo ad annullare l’intera faccenda.
Si affrettò giù per la collina e iniziò improvvisamente a correre quando fu vicino al fiume. George si sentì sollevato nel vedere il piccolo straniero fermo sul ponte.
“Ne ho avuto abbastanza,” ansimò. “Tiramene fuori – tu mi ci hai ficcato.”
Lo straniero aggrottò le sopracciglia. “Ti ci ho ficcato io! Questa mi piace! Il tuo desiderio è stato esaudito. Hai avuto quello che chiedevi. Ora sei l’uomo più libero della terra. Non hai legami. Puoi andare dove vuoi – fare quello che vuoi. Cos’altro potresti desiderare?”
“Fammi tornare come prima,” implorò George. “Fammi tornare come prima – ti prego. Non solo per me ma anche per gli altri. Non sai in che guai si trova questa città. Non puoi capire. Devo tornare sui miei passi. Hanno bisogno di me qui.”
“Capisco benissimo,” disse adagio lo straniero. “Volevo solo assicurarmi che capissi anche tu. Hai ricevuto il dono più grande di tutti, il dono della vita, di essere parte di questo mondo e di prendervi parte. Eppure hai rinnegato quel dono.” Mentre lo straniero parlava, la campana della chiesa in cima alla collina suonò, chiamando la gente ai vespri di Natale. Allora anche le campane della chiesa giù in città iniziarono a suonare.
“Devo tornare indietro,” disse George con disperazione. “Non puoi farmi fuori in questo modo. Accidenti, è un omicidio!”
“Non volevi dire suicidio, invece?” mormorò lo straniero. “Te la sei cercata tu. Comunque, dal momento che è la vigilia di Natale… va bene, chiudi gli occhi, e ascolta le campane.” La sua voce diventava sempre più distante. “Continua ad ascoltare le campane...”
George fece come gli era stato detto. Aveva freddo, un umido fiocco di neve gli toccò la guancia, e poi un altro e un altro ancora. Quando aprì gli occhi, la neve stava cadendo velocemente, così velocemente da oscurare ogni cosa intorno a lui. Il piccolo straniero non si vedeva, del resto non si vedeva niente. La neve era così fitta che George dovette cercare a tentoni la ringhiera del ponte.
Mentre si avviava verso il villaggio, gli sembrò di sentire qualcuno che diceva “Buon Natale,” ma le campane annullavano tutti gli altri suoni, così non poté esserne sicuro.
Quando raggiunse la casa di Hank Biddle si fermò e scese in strada, osservando con ansia la base del grande acero. Il taglio era ancora lì, grazie al cielo! Toccò affettuosamente l’albero. Doveva fare qualcosa per quella ferita – portare un chirurgo degli alberi o qualcosa del genere. Comunque, era chiaro che era stato riportato indietro. Era di nuovo sé stesso. Forse era stato tutto un sogno, o forse era stato ipnotizzato dal lento fluire dell’acqua scura. Aveva sentito parlare di cose del genere.
All’angolo tra Main e Bridge Street, per poco non andò a sbattere con qualcuno che andava di fretta. Era Jim Silva, l’agente immobiliare. “Salve, George,” disse Jim allegramente.
“Hai fatto tardi stasera. Avrei detto che saresti tornato a casa presto alla vigilia di Natale.”
George tirò un profondo respiro. “Volevo solo vedere se va tutto bene alla banca. Devo assicurarmi che la luce del caveau sia accesa.”
“Sicuro che è accesa. L’ho visto quando sono passato.”
“Andiamo a vedere, eh?” disse George, tirando Silva per la manica. Voleva la rassicurazione di un testimone. Trascinò lo stupito agente immobiliare fino all’ingresso della banca dove la luce brillava attraverso la neve che cadeva.
“Te l’ho detto che era accesa,” disse Silva con una certa irritazione.
“Dovevo esserne sicuro,” borbottò George. “Grazie – e buon Natale.”
Poi si dileguò in un lampo, correndo su per la collina. Aveva fretta di arrivare a casa, ma non tanta fretta da non potersi fermare un attimo a casa dei genitori, dove fece la lotta con Brownie finché quel vecchio cane bonaccione fu tutto uno scodinzolare per la contentezza. Afferrò la mano del suo stupefatto fratello stringendola freneticamente, augurandogli un quasi isterico buon Natale. Poi attraversò il salotto di corsa per esaminare una certa fotografia. Baciò sua madre, scherzò con suo padre e pochi secondi dopo era fuori, incespicando e scivolando sulla neve appena caduta mentre correva su per la collina.
La chiesa brillava di luci e il coro e l’organo andavano a tutto vapore.
George spalancò la porta di casa sua e chiamò a squarcia gola:” Mary! Dove sei? Mary! Bambini!” sua moglie venne verso di lui, vestita per andare a messa e gesticolando per farlo tacere.
“Ho appena messo i bambini a letto,” protestò. “Ora si...” Ma non un’altra parola poté uscire dalla sua bocca, perché lui la ricoprì di baci e poi la trascinò su nella stanza dei bambini, dove violò ogni regola di comportamento parentale abbracciando pazzamente suo figlio e sua figlia e svegliandoli completamente. Non ritornò del tutto in sé finché Mary non lo ebbe condotto di sotto.
“Che ti succede, caro?” chiesa stupefatta.
La tirò giù sul divano e la baciò di nuovo. E poi, proprio mentre stava per raccontarle del suo strano sogno, le sue dita toccarono qualcosa sul sedile del sofà. La sua voce si bloccò. Non dovette nemmeno raccogliere quella cosa, perché sapeva benissimo cos’era. E sapeva che aveva un’impugnatura blu e setole variopinte.
FINE
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