Un uomo di parola...
Il matrimonio di John Charrington ("John Charrington's Wedding") è un breve racconto horror dell’autrice inglese Edith Nesbit (1858-1924). Scritto nel 1891, fu incluso nell’antologia della Nesbit Grim Tales, del 1893.
La storia si svolge in un villaggio del Devon dove “ ... chiunque fosse qualcuno conosceva chiunque altro fosse qualcuno.” Ecco dunque che la storia d’amore tra John Charrington e la bella del villaggio, May Forster, di cui tutti i giovanotti sono più o meno innamorati, non passa inosservata. Tanto più che il futuro sposo era stato ripetutamente rifiutato dalla ragazza e l’improvviso annunzio delle loro nozze stupisce tutti. L’unica spiegazione che egli dà agli amici è “perseveranza” e “fortuna.” E la perseveranza è indubbiamente la principale virtù del protagonista, ed è anche il motore dell’intera vicenda: “... le cose che John Charrington si proponeva avevano uno strano modo di avverarsi.”
Il
racconto
si ispira alla tradizione popolare, con i suoi portenti, premonizioni
e simboli, in particolare il simbolismo di
pante e fiori quali
l’eliotropo,
ad
esempio,
che sta a significare l'amore
esclusivo e pericoloso, o
la pianta del timo,
simbolo di amore
duraturo, da
sempre considerata una pianta dai poteri magici, che
ricorre nel ritornello - Parsley,
sage, rosemary and thyme
- della
famosa ballata Scarborough
fair,
a
sua volta derivata dall’antica ballata scozzese The
Elfin Knight, contrasto
tra una fanciulla e il suo amante soprannaturale.
Non aspettatevi atmosfere cupe, nebbia, ombre inquietanti. In questo ridente villaggio tutto sembra svolgersi alla luce del sole, perfino il cimitero, luogo eletto dai due innamorati per i loro incontri, è illuminato dal fulgore del sole di agosto al tramonto, un “crepuscolo pieno di luce” che getta ombre inquietanti su quell’amore inaspettato e sorprendente.
Questa storia può sembrare il semplice racconto delle terribili conseguenze di promesse ultraterrene fatte da sciocchi mortali nelle spire della passione: “Mia cara, mia cara, credo che ritornerei dal regno dei morti se tu avessi bisogno di me!” Quello che sembra interessare alla scrittrice, invece, è la natura ambigua del matrimonio.
La Nesbit, membro fondatore della socialista Fabian Society, mostrò sempre attenzione ai temi sociali. Sposata ad un marito infedele, aveva conosciuto anche l’aspetto più oscuro dell’amore. Ed in questa storia la scrittrice richiama la nostra attenzione sulla duplice natura del matrimonio: quella pubblica - come legame tra due persone sancito dalle convenzioni sociali e celebrato sotto gli occhi della comunità – e quella privata: una volta che le porte si chiudono alle spalle della ‘coppia felice,’ la maschera cade e tutto può succedere.
🎵Scarborough Fair
Numerose versioni della ballata sono state incise o eseguite da artisti di musica rock, folk e metal, tra le altre quella del nostro Angelo Branduardi. La più famosa resta quella del duo Simon & Garfunkel, incisa nel 1966 nell’album Parsley, Sage, Rosemary and Thyme, dove la ballata tradizionale viene arricchita con una contromelodia originale e un testo antimilitarista.
Il matrimonio di John Charrington
di
Edith Nesbit
Nessuno aveva mai pensato che May Forster avrebbe sposato John Charrington; ma lui la pensava diversamente, e le cose che John Charrington si proponeva avevano uno strano modo di avverarsi.
Le chiese di sposarlo prima di andare ad Oxford. Lei rise e lo rifiutò. Glielo chiese di nuovo quando tornò a casa la volta successiva. Lei rise di nuovo, scosse la sua graziosa testolina bionda e lo rifiutò di nuovo. Glielo chiese una terza volta, lei disse che stava diventando un’inveterata cattiva abitudine, e rise di lui più che mai.
John non era l’unico uomo che volesse sposarla: era la bella della combriccola del nostro villaggio, e noi eravamo tutti più o meno innamorati di lei, era una specie di moda, come le cravatte blu eliotropo o i mantelli Invernessi. Pertanto fummo tanto seccati quanto sorpresi il giorno in cui John Charrington entrò nel nostro piccolo club locale – che si trovava nella soffitta sopra la bottega del sellaio – e ci invitò al suo matrimonio.
“Il tuo matrimonio?”
“Non dirai sul serio?”
“Chi è la fortunata? Quando sarà?”
John Charrington caricò la sua pipa e l’accese prima di rispondere. Poi disse:
“Sono spiacente, amici, di privarvi del vostro unico divertimento… ma Miss Forster ed io ci sposeremo a settembre.”
“Non dirai sul serio?”
“Lo ha rifiutato un’altra volta, e gli ha dato di volta il cervello.”
“No,” dissi, alzandomi, “Credo che sia vero. Qualcuno mi dia una pistola… o un biglietto di prima classe per l’altro capo del mondo. Charrington ha stregato l’unica ragazza carina nel raggio di trenta chilometri. L’hai ipnotizzata o è stato un filtro d’amore, Jack?”
“Nessuna delle due cose, signore, ma un dono che lei non avrà mai – la perseveranza – e il più gran colpo di fortuna al mondo che un uomo possa mai avere.”
C’era qualcosa nella sua voce che mi zittì e tutte le sciocche facezie del resto della compagnia non riuscirono a fargli dire altro.
La cosa bizzarra in questa storia fu che quando ci congratulammo con miss Forster, lei arrossì, sorrise e mostrò due graziose fossette, proprio come se fosse innamorata di lui e lo fosse sempre stata. Parola mia, credo proprio di sì. Le donne sono strane creature.
Fummo tutti invitati al matrimonio. A Brixhamii, chiunque fosse qualcuno conosceva chiunque altro fosse qualcuno. Le mie sorelle, ne sono convinto, erano più interessate al corredo che alla sposa stessa, e io dovevo essere il testimone dello sposo. Il futuro matrimonio era ampiamente dibattuto ai tavoli del tè del pomeriggio e nel nostro piccolo club sulla bottega del sellaio, e la domanda era sempre la stessa, “Lo ama davvero?”
All’inizio del loro fidanzamento, anche io ero solito farmi questa domanda, ma dopo un certa sera di agosto, non me lo sono più chiesto. Di ritorno dal club, stavo andando a casa attraverso il cimitero. La nostra chiesa si trova su di una collina ricoperta di timo e il manto erboso è così alto e soffice da rendere silenziosi i passi.
Non feci alcun rumore quando scavalcai il basso muretto ricoperto di licheni e mi feci strada attraverso le tombe. Fu proprio in quel momento che sentii la voce di John Charrington, e la vidi. May era seduta sulla lastra di una bassa tomba, il viso rivolto ad ovest, verso il fulgore del sole al tramonto. La sua faccia mise fine, una volta per tutte, ad ogni dubbio sul suo amore per lui: era trasfigurata in una bellezza che non avrei mai creduto possibile, perfino in quel meraviglioso visino.
John era steso ai suoi piedi e fu la sua voce a rompere il silenzio di quella dorata sera d’agosto.
“Mia cara, mia cara, credo che ritornerei dal regno dei morti se tu avessi bisogno di me!”
Tossii una volta per segnalare la mia presenza, e passai oltre, in quel crepuscolo pieno di luce.
Il matrimonio era fissato per i primi di settembre. Due giorni prima dovetti correre in città per affari. Il treno era in ritardo, naturalmente, dal momento che siamo sulla South-Eastern, e mentre ero fermo a brontolare con il mio orologio in mano, chi è che ti vedo se non John Charrington e May Forster. Camminavano su e giù lungo la parte finale e poco frequentata del marciapiede, tenendosi sottobraccio e guardandosi negli occhi, incuranti dell’amichevole curiosità dei facchini.
Naturalmente sapevo che avrei fatto meglio a non esitare un attimo prima di nascondermi nella biglietteria, e fu solamente quando il treno si fermò al binario, che passai sfacciatamente accanto alla coppia con la mia valigetta Gladstoneiii e presi il posto all’angolo di una carrozza di prima classe per fumatori. Tutto questo, facendo del mio meglio per fingere di non averli visti.
Mi vanto della mia discrezione, ma se John stava viaggiando da solo, la sua compagnia mi avrebbe fatto piacere. E fui accontentato.
“Salve, vecchio mio,” mi giunse la sua voce allegra mentre lanciava la borsa da viaggio nella mia carrozza, “Questa è fortuna, mi aspettavo un viaggio noioso!”
“Dove sei diretto?” chiesi, la discrezione mi ordinava ancora di distogliere lo sguardo, sebbene vedevo, senza guardare, che gli occhi di lei erano rossi.
“A casa del vecchio Branbridge,” mi rispose, chiudendo lo sportello e sporgendosi fuori dal finestrino per scambiare un’ultima parola con la sua amata.
“Oh, vorrei che tu non andassi, John,” stava dicendo lei, con una voce fievole e sincera. “Sono certa che succederà qualcosa.”
“Credi che lascerei succedere qualcosa che mi possa trattenere, sapendo che dopodomani è il giorno del nostro matrimonio?”
“Non andare,” gli rispose, con una supplichevole insistenza che avrebbe spedito la mia valigetta sul marciapiedi e il sottoscritto subito dietro. Ma non stava parlando con me. John Charrington era fatto diversamente: raramente cambiava le sue opinioni, mai le sue decisioni.
Si limitò ad accarezzare le sue manine senza guanti poggiate sullo sportello della carrozza.
“Devo andare, May. Il vecchio è stato estremamente buono con me, e adesso che sta per morire devo andare a fargli visita, ma ritornerò in tempo per…” il resto dell’addio si perse in un sussurro e nello sferragliante beccheggio del treno in partenza.
“Sei sicuro di venire?” gli chiese mentre il treno si muoveva.
“Niente me lo impedirà,” rispose, e il treno partì sbuffando.
Dopo aver dato l’ultimo sguardo alla sua figurina sul marciapiedi, si sedette nel suo angolo e rimase in silenzio per un minuto.
Quando parlò fu per spiegarmi che il suo padrino, di cui era erede, giaceva morente a Peasmarsh Place, distante circa settanta chilometri, e aveva mandato a chiamarlo e John si era sentito in obbligo di andare.
“Sarò sicuramente di ritorno domani,” disse, “o, altrimenti, il giorno dopo, perfettamente in tempo. Grazie al cielo, oggigiorno non bisogna alzarsi nel cuore della notte per sposarsi!”
“E se Mr Branbridge muore?”
“Vivo o morto, intendo sposarmi giovedì!” rispose John, accendendosi un sigaro e aprendo il Times.
Alla stazione di Peasmarsh ci dicemmo addio, lui scese e lo vidi allontanarsi in carrozza; io andai a Londra, dove rimasi per la notte.
Quando tornai a casa, il pomeriggio successivo, fra l’altro un pomeriggio molto piovoso, mia sorella mi salutò con un:
“Dov’è Mr Charrington?”
“Lo sa il cielo,” risposi seccato. Non c’è uomo, dai tempi di Caino, che non si risenta per certe domande.
“Pensavo che ti avesse dato sue notizie,” proseguì, “dal momento che sarai suo testimone domani.”
“Non è tornato?” chiesi, perché ero stato del tutto fiducioso di trovarlo a casa.
“No, Geoffrey!” - mia sorella Fanny è sempre pronta a saltare a conclusioni, specialmente quel tipo di conclusioni meno favorevoli ai suoi simili - “non è ritornato e, per di più, puoi contarci che non ritornerà. Segnati le mie parole: non ci sarà nessun matrimonio domani.”
Mia sorella Fanny ha una capacità di infastidirmi che nessun altro essere umano possiede.
“Segnati tu le mie parole,” replicai piccato, “faresti meglio a smetterla di fare di te stessa una così sesquipedale idiota. Ci sarà più matrimonio domani di quante probabilità tu avrai mai di esserne protagonista.” Una profezia, fra l’altro, che si avverò.
Ma sebbene potessi disinvoltamente urlare a mia sorella, non mi sentii altrettanto a mio agio quando, a tarda notte, fermo davanti alla porta di casa di John, seppi che non era ritornato. Me ne andai malinconicamente a casa sotto la pioggia.
Il mattino successivo recò con sé un luminoso cielo blu, un sole dorato e tutta quella dolcezza dell’aria e bellezza delle nuvole che concorrono a realizzare una giornata perfetta.
Mi destai con la vaga sensazione di essere andato a letto preoccupato e di essere piuttosto maldisposto ad affrontare quella preoccupazione ora che ero completamente sveglio.
Ma, insieme all’acqua per la barba, arrivò un biglietto da parte di John che mi sollevò lo spirito e mi mandò dai Forster a cuor leggero.
May era in giardino. Vidi il suo abito azzurro attraverso i cespugli di malvarosaiv mentre i cancelli d’ingresso si richiudevano dietro di me. Così non andai su fino alla casa, ma svoltai giù lungo il sentiero erboso.
“Ha scritto anche a te,” mi disse, senza saluto preliminare, quando la raggiunsi.
“Sì, devo incontrarlo alla stazione alle tre, e venire direttamente in chiesa.”
Il volto era pallido, ma c’era una luce nei suoi occhi e un delicato tremore intorno alla bocca che parlavano di rinnovata felicità.
“Mr Branbridge lo pregò di restare ancora una notte e lui non ebbe cuore di rifiutare” continuò. “E’ così gentile, ma vorrei che non fosse rimasto.”
Alle due e mezzo ero alla stazione. Ero piuttosto seccato con John. Mi sembrava una sorta di sgarbo, nei confronti di quella splendida fanciulla che lo amava, il fatto che dovesse arrivare, per così dire, trafelato e con la polvere del viaggio addosso per impalmarla, cosa per cui alcuni di noi avrebbero dato i migliori anni della loro vita.
Ma quando alle tre in punto il treno giunse in stazione e poi partì senza aver portato alcun passeggero nella nostra piccola stazione, fui più che seccato. Non c’erano altri treni per trentacinque minuti, calcolai che, andando di corsa, potevamo arrivare in chiesa giusto in tempo per la cerimonia ma, perbacco, che sciocco a perdere quel primo treno! Chi altro avrebbe potuto farlo?
Quei trentacinque minuti sembrarono un anno, mentre vagavo per la stazione leggendo le pubblicità, gli orari dei treni e il regolamento della compagnia ferroviaria, e arrabbiandomi sempre di più con John Charrington. Questa fiducia nel suo potere di ottenere tutto quello che voleva quando voleva lo stava portando troppo oltre. Odio aspettare. Come tutti, ma io ancor di più, credo. Il treno delle tre e trentacinque era in ritardo, naturalmente.
“Corri in chiesa!” dissi, mentre lo sportello del treno veniva chiuso. “Mr Charrington non è venuto con questo treno.”
Stritolai tra i denti il bocchino della pipa e pestai i piedi per l’impazienza, mentre osservavo i segnali. Click. Il segnale andò giù. Cinque minuti dopo mi fiondai nella carrozza che avevo portato per John.
Adesso la rabbia aveva preso il posto dell’ansia. Cosa era successo a quell’uomo? Forse si era improvvisamente ammalato? Non avevo mai saputo che avesse avuto un solo giorno di malattia in vita sua. E anche così, avrebbe potuto telegrafare. Doveva essergli successo qualcosa di tremendo. Il pensiero che l’avesse ingannata non mi era mai passato per la testa – no, nemmeno per un momento. Sì, doveva essergli successo qualcosa di terribile e a me toccava l’onere di dirlo alla sua sposa. Quasi desiderai che la carrozza su cui viaggiavo si rovesciasse e mi rompessi la testa così che qualcun altro potesse dirglielo, non io, che… ma questo non ha niente a che fare con questa storia.
Erano le quattro meno cinque quando arrivai al cancello del cimitero. Due ali di festanti spettatori erano disposte ai lati del sentiero che andava dall’ingresso del cimitero al portico della chiesa. Saltai giù dalla carrozza e vi passai attraverso. Il nostro giardiniere aveva un bel posto in prima fila, vicino alla porta. Mi fermai.
“State ancora aspettando, Byles?” gli chiesi, giusto per guadar tempo, perché, naturalmente, sapevo che lo erano visto l’atteggiamento di vigile attesa della folla.
“Aspettando, signore?, No, no, signore, dovrebbe ormai essere tutto finito.”
“Finito! Allora Mr Charrington e arrivato?”
“Preciso
al minuto, signore; deve avervi mancato chi sa come, e io dico,
signore,” abbassando la voce, “che non ho mai assolutamente visto
Mr John in questo stato prima, ma, secondo me, deve aver bevuto un
bel po’. I suoi abiti sono tutti impolverati e la faccia è bianca
come un lenzuolo. Vi dico, signore, che il suo aspetto non mi piace
per niente, e le persone dentro stanno dicendo ogni sorta di cose.
Vedrà anche lei, qualcosa è andato storto a Mr John, e lui si è
attaccato al bere. Aveva l’aspetto di un fantasma ed è entrato con
gli occhi fissi davanti a lui, senza uno sguardo o una parola per
nessuno di noi, proprio lui che è sempre stato un tale gentiluomo!”
Non avevo mai sentito Byles fare un discorso così lungo. La folla nella chiesa chiacchierava a bassa voce e teneva pronto riso e pantofolev da gettare quando la sposa e lo sposo sarebbero usciti.
Un mormorio proveniente dalla chiesa li annunciò: e loro vennero fuori. Byles aveva ragione. John Charrington non sembrava lui. C’era polvere sulla sua giacca, e i capelli erano arruffati. Sembrava che fosse stato coinvolto in una rissa, perché c’era un segno nero sul suo sopracciglio. Era di un pallore mortale. Ma non era più pallido della sposa, che avrebbe potuto essere stata scolpita nell’avorio… abito, fiori d’arancio, volto e tutto il resto.
Un brivido di orrore ci attraversò tutti per quello stupido scherzo dei campanari. Ma gli stessi campanari lasciarono cadere le funi e fuggirono nel sole come conigli. La sposa rabbrividì, e ombre grige calarono sulla sua bocca, ma lo sposo continuò a condurla giù per il sentiero, dove la gente sostava con le mani piene di riso, ma quel riso non fu mai gettato e le campane nuziali non suonarono mai. Invano i campanari furono spinti a rimediare al proprio errore, dichiararono, con molte imprecazioni pronunciate a bassa voce, che non l’avrebbero fatto mai e poi mai.In un silenzio simile al silenzio della camera mortuaria, la coppia di sposi si trasferì nella carrozza e lo sportello si richiuse dietro di loro.
Allora le lingue si sciolsero. Ci fu una babele di rabbia, meraviglia e congetture da parte degli ospiti e degli spettatori.
“Se avessi visto la sua condizione, signore,” mi disse il vecchio Forster mentre andavamo via in carrozza, “Lo avrei steso sul pavimento della chiesa, signore, il cielo sa che lo avrei fatto, prima di permettergli di sposare mia figlia!”
Poi sporse la testa dal finestrino.
“Veloce come un fulmine,” gridò al cocchiere, “non risparmiare i cavalli.”
Fu obbedito. Sorpassammo la carrozza della sposa. Mi astenni dal guardarla e il vecchio Forster girò la testa e imprecò. Arrivammo a casa per primi.
Ci fermammo sulla soglia di casa, nel fulgore del sole pomeridiano, e circa mezzo minuto dopo sentimmo lo scricchiolio delle ruote sulla ghiaia del vialetto. Quando la carrozza si fermò di fronte ai gradini di casa, il vecchio Forster ed io corremmo giù.
“Buon Dio, la carrozza è vuota! Eppure...”
In un attimo aprii lo sportello, e questo è quello che vidi…
Nessun segno di John Charrington; e May, sua moglie, soltanto un aggrovigliato mucchio di seta bianca che giaceva a metà sul pavimento della carrozza e a metà sul sedile.
“Sono
venuto direttamente qui, signore,” disse il cocchiere, mentre il
padre della sposa la portava fuori di peso, “e giuro che nessuno è
sceso dalla carrozza.”
La portammo in casa nel suo abito da sposa e sollevammo il velo. Vidi il suo volto. Potrò mai dimenticarlo? Bianco, bianco e segnato dall’agonia e dall’orrore, e aveva un’ espressione di terrore che non ho mai più visto da allora se non nei sogni. E i suoi capelli, i suoi radiosi capelli biondi, in fede mia, erano bianchi come la neve.
E mentre ce ne stavamo lì, suo padre ed io, quasi impazziti per l’orrore ed il mistero, un ragazzo venne su per il viale – un ragazzo dei telegrammi. Mi consegnarono la busta arancione. L’aprii: Mr Charrington era stato sbalzato via dal suo calesse all’una e mezzo, sulla strada per la stazione. Ucciso sul colpo!
E aveva sposato May Forster nella chiesa della nostra parrocchia alle tre e mezza, alla presenza di mezzo villaggio.
“Mi spserò, vivo o morto!”
Cos’era successo in quella carrozza mentre correvano verso casa? Nessuno lo sa… nessuno lo saprà mai. Oh, May! Oh, mia cara!
Prima che la settimana finisse, giaceva accanto a suo marito nel nostro piccolo cimitero, sulla collina ricoperta di timo – il cimitero dove avevano avuto luogo i loro convegni amorosi.
E
fu così che John Charrington portò a compimento il suo matrimonio.
Fine
iDel fiore dell’eliotropo ho già parlato nell’introduzione. Il mantello Inverness è, per intenderci, quello indossato da Sherlock Holmes.
ii Brixham è un vivace porto peschereccio nel Devon, sulla costa sud orientale dell’Inghilterra.
iii A Una borsa Gladstone è una valigetta di cuoio con un telaio rigido che prende il nome da William Gladstone (1809–1898), il quattro volte primo ministro del Regno Unito.
ivLa malvarosa simboleggia l'amore e la comprensione materna.
vRice and Slippers è una poesia del poeta inglese George Cotterell (1839-1898), moderno epitalamio in cui si celebra la bellezza degli sposi e del legame coniugale. Il riso simboleggia l’aspetto pubblico, le pantofole quello intimo e domestico.
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