Nel brodo primordiale
Joe Richard Harold Lansdale, meglio conosciuto come Joe R. Lansdale (1951), è uno scrittore statunitense, autore di romanzi, di racconti e di fumetti, oltre che di testi per la televisione, e di sceneggiature per il cinema.
È difficile inquadrare la sua vasta produzione letteraria: si va dal racconto gotico a quello di fantascienza, dalla satira sociale alla narrativa per ragazzi, dal "noir" (spesso con una forte componente di azione violenta) ai racconti western, il tutto condito con forti dosi di umorismo. Tutte queste disparate influenze si fondono fino a creare quello che l'autore stesso ama definire "lo stile Lansdale". L’ultimo suo romanzo, La setta delle ciambelle (The Donut Legion, 2023), è stato pubblicato in Italia da Einaudi.
Il racconto che vi propongo, La notte dei pesci (Fish Night, 1982), è stato pubblicato in Italia nel 1989 nella collana Horror Story (Garden Editoriale) di Aa. Vv., e poi nel 2002 in un’antologia dell’autore (Maneggiare con cura, Fanucci editore).
La storia, se vogliamo, potrebbe essere una storia di fantasmi, ma non del genere che vi aspettereste. Tutto inizia in un torrido pomeriggio estivo, quando la vecchia auto su cui viaggiano due commessi viaggiatori esala l’ultimo respiro in un punto indefinito del deserto dell’Arizona. Il più anziano racconta al più giovane (i loro nomi non vengono mai fatti) che venti anni prima era già stato in quella parte del deserto. Quando finalmente cala la notte, alla magica luce della luna e delle stelle, il vecchio trova il coraggio di raccontare al giovane quello che gli era successo venti anni prima: quel deserto, milioni di anni fa era stato il fondo di un oceano, abitato da milioni di pesci ormai estinti, ma venti anni prima, in una notte altrettanto magica, il mare fantasma era riemerso con gli spettri di tutti i multicolori pesci che lo avevano abitato. E, nonostante l’incredulità del giovane, il miracolo si ripete anche quella notte, ed ecco riapparire il mare con tutti, ma proprio tutti, i suoi spettrali abitanti.
🐠Curiosità:
La notte dei pesci
di
Joe R. Lansdale
Era un pomeriggio arroventato, senza una nuvola in cielo ed un sole implacabile. L’aria tremava come una massa di ectoplasma gelatinoso.
Non c’era un alito di vento.
Attraverso l’afa avanzava una sfinita Plymouth nera, che tossiva e ruttava fumo bianco da sotto il cofano. Rantolò un paio di volte, ebbe un rumoroso ritorno di fiamma e morì sul ciglio della strada.
L’autista uscì e girò intorno al cofano. Era un uomo ormai nel triste inverno della vita, con radi capelli castani e una pancia prominente gli correva lungo i fianchi. Aveva la camicia aperta fino all’ombelico, le maniche arrotolate sopra il gomito. I peli del petto e delle braccia erano grigi.
Un uomo più giovane scese dalla parte del passeggero, anche lui andò verso il cofano. Gialle esplosioni di sudore macchiavano le ascelle della sua camicia bianca. Una cravatta a strisce, non annodata, gli stava appesa al collo come un serpente domestico che fosse morto nel sonno.
“Allora?” chiese il giovane.
Il vecchio non disse niente. Aprì il cofano. Come la nota di un organo a vapore, dal radiatore uscì fuori uno sbuffo bianco, che salì verso il cielo e scomparve.
“Dannazione,” disse l’uomo, e diede un calcio al paraurti come se stesse prendendo a calci sui denti un nemico. Trasse poca soddisfazione da questo gesto, solo un brutto graffio sulle sue scarpe marroni a coda di rondine, e un contraccolpo alla caviglia che gli faceva un male del diavolo.
“Allora?” ripeté il giovane.
“Allora cosa? Che ne dici? Morto come l’affare degli apriscatole questa settimana. Anche più morto. Il radiatore è butterato di buchi.”
“Forse qualcuno passerà e ci darà una mano.”
“Sicuro.”
“Un passaggio.”
“Continua a sperare, ragazzino.”
“Qualcuno prima o poi deve passare,” disse il giovane.
“Forse, forse no. Chi altro prende queste scorciatoie? La strada principale, ecco dove sono tutti. Non questa insignificante scorciatoia secondaria.” disse fissando rabbiosamente il giovane.
“Non ti ho costretto,” sbottò il giovane. “Era sulla cartina. Te l’ho segnalata, questo è tutto. È stata una tua scelta. Sei tu quello che ha deciso di prenderla. Non è colpa mia. E poi, chi si aspettava che la macchina sarebbe morta?”
“Non ti avevo detto di controllare l’acqua del radiatore? Non è stato quando eravamo ancora ad El Pasoi?”
“Ho controllato l’acqua. L’acqua c’era allora. Ripeto, non è colpa mia. Sei tu quello che ha guidato per tutta l’Arizonaii.”
“Sì, sì,” disse il vecchio, come e questo fosse qualcosa che non voleva sentire. Si girò per guardare verso l’autostrada.
Non una macchina, non un camion. Solo ondate di calore e miglia di asfalto vuoto a perdita d’occhio.
Si sedettero sul terreno bollente con la schiena rivolta alla macchina, che così gli fece un po’ di ombra – ma non molta. Sorseggiarono da un barattolo di acqua tiepida preso dalla Plymouth e parlarono un po’ fino al tramonto. Ormai si erano alquanto calmati. Il calore aveva abbandonato la sabbia ed era stato sostituito dal freddo del deserto. Là dove il caldo li aveva resi aggressivi, il freddo li aveva riconciliati.
Il vecchio si abbottonò la camicia e srotolò le maniche mentre il giovane tirò fuori un maglioncino dal sedile posteriore. Indossò il maglioncino e si rimise a sedere.
"Sono spiacente per tutto questo,” disse tutto d’un fiato.
“Non è stata colpa tua, non è stata colpa di nessuno. Solo che ogni tanto mi metto ad inveire dando la colpa dell’affare degli apriscatole a tutto meno che agli apriscatole e a me stesso. I giorni dei venditori porta-a-porta sono finiti, figliolo.”
“E io che speravo di fare un lavoretto estivo,” disse il giovane.
Il vecchio rise. “Mi sa che ci sei cascato. Sono bravi a raccontarla, non è vero?”
"Direi!”
“Lo fanno sembrare denaro trovato per terra, ma non c’è denaro trovato per terra, ragazzo. Non c’è niente di facile in questo mondo. La ditta è l’unica che ci abbia mai fatto dei soldi. Noi diventiamo soltanto più stanchi e più vecchi, con più buchi nelle scarpe. Se avessi avuto un po’ di buon senso, avrei lasciato anni fa. Tutto quello che devi lavorare tu è questa estate...”
“Forse
nemmeno anche meno.”
“Bene, questo è tutto quello che so. Solo città dopo città, motel dopo motel, casa dopo casa, guardando le persone attraverso la rete della porta esterna, mentre scuotono la testa. No. Perfino gli scarafaggi degli squallidi motel iniziano a sembrarti dei piccoli amici già visti prima, forse una specie di venditori porta-a-porta che sono lì perché anche loro hanno bisogno di affittare una stanza.”
Il ragazzo si mise a ridere. “Potresti anche avere ragione.”
Per un momento sedettero senza parlare, tutt’uno col silenzio. Adesso la notte si era completamente impadronita del deserto. Una pachidermica luna dorata e miliardi di stelle spargevano una luce biancastra da distanze siderali.
Si levò il vento. La sabbia si mosse, trovò nuovi posti dove posarsi. Le sue ondulazioni, lente e dolci, erano reminiscenti del maestoso mare. Questo fu quello che disse il giovane, che una volta aveva attraversato l’Atlantico in nave.
“Il mare?” replicò il vecchio.
“Sì, sì, proprio così. Stavo pensando la stessa cosa. Questo, in parte, è il motivo che mi rende nervoso. Parte del perché ero agitato questo pomeriggio. Non era solo per il caldo. Ci sono ricordi miei qui intorno,” annuì verso il deserto, “e mi stanno ritornando in mente.”
Il ragazzo fece una faccia stupita. “Non capisco.”
“Non potresti. Non potresti. Penseresti che sono pazzo.”
“Già penso che sei pazzo. Allora dimmelo.”
Il vecchio sorrise. “Va bene, ma non ridere.”
“Non lo farò.”
Un momento di silenzio si fece strada tra di loro. Alla fine il vecchio disse, “è la notte dei pesci, ragazzo. Questa è una notte di luna piena e questa è la parte giusta del deserto, se la memoria mi aiuta, e la sensazione è quella giusta – voglio dire, non sembra che la notte sia fatta di un tessuto soffice, che sia differente dalle altre notti, che è come essere dentro una grande borsa scura, i cui lati siano cosparsi di glitter, con un faretto in alto, sull’apertura, che serve da luna?”
“Non ti seguo.”
Il vecchio sospirò. “Ma è una strana atmosfera. Giusto? Puoi sentirlo anche tu, non è così?”
“Credo. Pensavo che fosse solo l’aria del deserto. Non ho mai campeggiato all’aperto in un deserto, prima, e credo che sia strano.”
“Strano, esatto. Vedi, questa è la strada su cui mi sono arenato circa venti anni fa. All’inizio non me ne resi conto, almeno non consciamente. Ma dentro di me, nel profondo, devo averlo saputo mentre prendevo questa strada, tentando il fato, offrendogli, come dicono quelli del calcio, una instant replay, una verifica immediata.”
“Ancora non capisco cos’è la notte dei pesci. Che vuoi dire? Sei già stato qui?”
“Non in questo preciso posto, da qualche parte qui intorno. Questa era anche qualcosa meno di una strada allora, rispetto ad oggi. I Navajo erano quasi gli unici che la percorressero. La mia auto morì qui, come è successo oggi, e iniziai a camminare invece di mettermi ad aspettare. Mentre camminavo i pesci sbucarono fuori. Nuotando magnificamente nel chiarore degli astri. Ce ne erano tanti. Di tutti i colori dell’arcobaleno. Piccoli, grandi, grassi, magri. Nuotavano proprio verso di me, proprio attraverso me! Pesci fin dove arrivava lo sguardo. Al di sopra e sulla sabbia.
“Aspetta, ragazzo. Non metterti a guardarmi in quel modo. Senti: tu vai all’università, e ne sai di queste cose. Voglio dire, di quello che c’era qui prima di noi, prima che strisciassimo fuori dal mare e cambiassimo abbastanza da chiamarci uomini. Una volta non eravamo soltanto delle cose gelatinose, parenti delle cose che nuotavano?”
“Penso, ma...”
“Milioni e milioni di anni fa questo deserto era un fondo marino. Forse anche il luogo di nascita dell’uomo. Chi lo sa? L’ho letto in qualche libro di scienza. E allora ho pensato così: se i fantasmi di persone possono infestare le case che hanno abitato, perché i fantasmi di creature morte da tanto tempo non potrebbero infestare i luoghi dove hanno vissuto un tempo, nuotare in un mare fantasma?”
“Pesci con un’anima?”
“Non fare il gretto con me, ragazzo. Ascolta: alcuni indiani con cui ho parlato su al nord, mi hanno parlato di una cosa che chiamano manitu. È uno spirito. Credono che tutte le cose ne abbiano uno. Rocce, alberi, ogni cosa. Anche se la roccia diventa polvere o l’albero viene abbattuto, il suo manitu continua ad esistere.”
“Allora perché questi pesci non si vedono sempre?”
“Perché i fantasmi non possiamo vederli sempre? E perché c’è chi non può vederli mai? Non è il momento giusto, ecco perché. È una situazione rara e immagino che sia come un’immaginaria combinazione a tempo – come quelle che usano le banche. La combinazione della cassaforte scatta e si apre, ed ecco i soldi. Qui la combinazione scatta ed arrivano i pesci di un mondo morto tanto tempo fa.”
“Beh, è una cosa su cui riflettere.” abbozzò il ragazzo.
Il vecchio fece un ghigno. “Non ti rimprovero per quello che stai pensando. Ma questo mi è successo venti anni fa e non l’ho mai dimenticato. Vidi quei pesci per una buona ora prima che sparissero. Un navajo arrivò in un vecchio pickup poco dopo e gli scroccai un passaggio in città. Gli dissi quello che avevo visto. Si limitò a guardarmi e a grugnire. Ma potrei giurare che sapeva di cosa stessi parlando. L’aveva visto anche lui, e forse non era la prima volta.
“Ho sentito che i navajo, per qualche ragione, non mangiano pesce e ci scommetto che sono i pesci del deserto la causa. Forse li considerano sacri. E perché no? Sembrava di essere alla presenza del Creatore, era come ritornare nel grembo materno e ridiventare un feto, intento solo a scalciare nel liquido amniotico senza un pensiero al mondo.”
“Non saprei. Direi che..”
“Puzza?” Il vecchio rise. “Proprio così, proprio così. Allora, questo navajo mi diede un passaggio fino in città. Il giorno dopo feci riparare la mia auto e me ne andai. Non ho più preso quella scorciatoia, fino ad oggi, e penso che sia stato più di un incidente. Il mio subconscio mi stava guidando. Quella notte mi riempì di paura, ragazzo, e non ho problemi ad ammetterlo. Ma fu anche bellissimo, e non sono mai riuscito a togliermelo dalla mente.”
![]() |
Natura morta con pesci |
Il ragazzo non sapeva che dire.
Il vecchio lo guardò e sorrise. “Non ti biasimo,” disse. “Nemmeno un po’. Forse sono pazzo.”
Sedettero ancora un poco in compagnia della notte e del deserto, e il vecchio si tolse i denti falsi e vi versò sopra un po’ di acqua tiepida per ripulirli dai residui di caffè e sigarette.
“Spero che quest’acqua non ci servirà,” disse il giovane.
“Hai ragione. Che stupido! Dormiamo un pochino, e mettiamoci in cammino prima che faccia giorno. La prossima città non è molto lontana. Al massimo dieci miglia.” Si rimise i denti.
“Ce la caveremo.”
Il ragazzo annuì.
I pesci non arrivarono. Non ne parlarono. Strisciarono nella macchina, il giovane sul sedile anteriore, il vecchio su quello posteriore. Usarono gli abiti di ricambio per avvolgercisi dentro, e per bloccare le fredde dita della notte.
Verso la mezzanotte il vecchio si svegliò improvvisamente e rimase disteso con le mani dietro la testa a guardare fuori dal finestrino di fronte e a studiare il freddo cielo del deserto.
E un pesce gli nuotò accanto.
Lungo e snello e risplendente di tutti i colori del mondo, agitando la coda quasi in segno di addio. Poi sparì.
Il vecchio si mise a sedere. Fuori, tutto intorno, c’erano i pesci – di tutte le misure, colori e forme.
“Ehi, ragazzo, svegliati!”
Il ragazzo, che stava riposando con la faccia sulle braccia, si girò. “Che succede? È ora di andare?”
“I pesci.”
“No, ancora?”
“Guarda!”
Il giovane si sedette. La bocca spalancata. Gli occhi fuori dalle orbite. Tutto intorno alla macchina, sempre più veloci, in vortici tenebrosi, nuotavano pesci di ogni specie.
"Mah, che io sia… Come?”
"Te l’avevo detto. Te l’avevo detto.”
Il vecchio allungò la mano verso la maniglia della porta, ma prima che potesse aprirla un pesce nuotò pigramente attraverso il lunotto posteriore, fece il giro della macchina una, due volte, passò attraverso il torace del vecchio, e con un colpo di coda uscì attraverso il tettuccio.
Il vecchio ridacchiò, e con una spinta aprì la porta. Si mise a saltellare lungo la strada. Si slanciava verso l’alto per affondare le mani in quei pesci spettrali. “Come bolle di sapone,” disse. “No, come fumo!”
Il giovane, con la bocca ancora spalancata, aprì la portiera e uscì. Poteva vedere i pesci perfino su in alto. Strani pesci, che non rassomigliavano a niente che avesse già visto nei quadri o avesse mai immaginato. Fluttuavano e giravano intorno come lampi di luce.
Mentre guardava in su, vide una grande nuvola nera che si stava avvicinando alla luna. L’unica nuvola nel cielo. Di colpo, quella nuvola lo riportò alla realtà e ringraziò Dio per questo. Cose normali accadevano ancora. Il mondo non era completamente impazzito.
![]() |
Pesci e stelle - Matisse |
Dopo un po’, il vecchio smise di saltellare tra i pesci e andò ad appoggiarsi alla macchina, con la mano sul petto ansimante.
“La senti, ragazzo? Senti la presenza del mare? Non sembra il battito del cuore di tua madre mentre galleggiavi nel suo grembo?”
E il più giovane dovette ammettere di sentirlo, quel rimbombante ritmo interiore che è la marea della vita e il cuore pulsante del mare.
"Come?” disse il giovane, “e perché?”
“Il meccanismo a tempo, ragazzo. Il meccanismo è scattato e i pesci sono liberi. Pesci di un tempo prima che l’uomo fosse uomo. Prima che la civiltà iniziasse ad opprimerci. So che è vero. Questa verità è stata sempre dentro di me. È dentro tutti noi.”
“È come un viaggio nel tempo,” disse il giovane. “Dal passato al futuro, hanno percorso tutta questa strada.”
“Sì, sì… è così. Perché, se loro possono venire nel nostro mondo, perché noi non possiamo andare nel loro? Liberare questo spirito dentro di noi, sintonizzarci con il loro tempo?”
“Ehi, aspetta un attimo...”
"Mio Dio, ecco il perché. Sono puri, ragazzo, puri. Completamente liberi dalle trappole della civiltà. Deve essere così! Loro sono puri, noi no. Noi siamo appesantiti dalla tecnologia. Questi abiti, quella macchina.”
Il vecchio iniziò a togliersi gli abiti.
"Ehi!” disse il giovane. “Gelerai.”
"Se si puro, se sei completamente puro,” borbottava il vecchio, “Ecco, sì, questa è la chiave.”
“Sei impazzito.”
“Non mi importa della macchina,” gridò il vecchio, correndo sulla sabbia, trascinandosi dietro quel che restava dei suoi abiti. Saltellava per il deserto come una lepre.
“Dio, Dio, non succede niente, niente,” gemette. “Questo non è il mio mondo. Sono di quel mondo. Voglio fluttuare libero nel ventre marino, lontano da apriscatole, macchine e…”
Il giovane chiamò il vecchio per nome. Il vecchio sembrava non sentirlo.
“Voglio restare qui!” gridò il vecchio. Di colpo riprese a saltare. “I denti!” gridò.
“Dentisti, scienza, via!” Si ficcò una mano in bocca, tirò via i denti finti e li gettò dietro le spalle. Nell’istante in cui i denti caddero, il vecchio si sollevò in aria. Iniziò a dare bracciate. A nuotare su, su e su, muovendosi tra i pesci come una pallida foca rosea.
“Dentisti, scienza, via!” Si ficcò una mano in bocca, tirò via i denti finti e li gettò dietro le spalle. Nell’istante in cui i denti caddero, il vecchio si sollevò in aria. Iniziò a dare bracciate. A nuotare su, su e su, muovendosi tra i pesci come una pallida foca rosea.
Alla luce della luna il giovane poté vedere le guance gonfie del vecchio che trattenevano l’ultima boccata dell’aria del futuro. Il vecchio andava su, su, su, nuotando energicamente nelle acque ormai scomparse di un tempo passato.
Il giovane iniziò a strapparsi di dosso i vestiti. Forse poteva ancora acchiapparlo, tirarlo giù, rivestirlo. Fare qualcosa, Dio, qualcosa… Ma, e se non fosse riuscito a tornare indietro? E poi c’erano otturazioni nei suoi denti, e una protesi metallica nella schiena, a causa di un incidente di motocicletta. No, a differenza del vecchio, questo era il suo mondo e lui era legato ad esso. Non c’era niente che potesse fare.
Una grande ombra ondeggiò davanti alla luna, formò una guizzante striscia di oscurità che indusse il giovane a lasciar perdere i bottoni delle sua camicia e a guardare in alto.
La forma di un nero siluro si mosse in quel mare invisibile: uno squalo, l’antenato di tutti gli squaliiii, il seme di tutte le paure dell’uomo per gli abissi.
![]() |
Love Death & Robots |
E afferrò il vecchio nella sua bocca, incominciò a nuotare verso l’alto, verso la luce dorata della luna. Il vecchio dondolava dalla bocca della creatura come come un topo straziato dalle fauci di un gatto di casa. Dal suo corpo rosseggiò del sangue che si avvolse in un’oscura spirale in quel mare invisibile.
Il giovane tremò. “Oh Dio,” disse solamente.
Poi, quella densa nuvola nera procedette, passando davanti alla faccia della luna.
Momentanea oscurità.
E poi, quando la nuvola passò oltre, ci fu ancora una volta la luce, e un cielo vuoto.
Niente pesci.
Nessuno squalo.
E nessun vecchio.
Solo la notte, la luna e le stelle.
FINE
i El Paso è una città e il capoluogo della contea omonima, situati all'estremità occidentale del Texas, negli Stati Uniti.
ii L’Arizona, stato nel Sudovest degli Stati Uniti d’America, è conosciuto in particolare per il Grand Canyon, capitale Phoenix. Sul suo territorio si trova il deserto di Sonora. È uno dei deserti più estesi e più caldi del Nord America, con un'area di circa 311.000 km², che comprende parti degli Stati dell'Arizona, della California e degli stati messicani di Sonora, Baja California e Baja California Sur.
iii Otodus megalodon (il cui nome della specie, megalodon, deriva dal greco e significa "grande dente"), comunemente noto come megalodon o megalodonte, è una specie estinta[3] di squalo gigante vissuto dal Miocene inferiore al Pliocene inferiore, circa 23-3,6 milioni di anni fa
Nessun commento:
Posta un commento