domenica 6 luglio 2025

Schalken il pittore



L’ombra del vampiro


Schalken il pittore ( Schalkenthe Painter) è un racconto breve di Joseph Sheridan Le Fanu pubblicato la prima volta nel 1839 sul Dublin University Magazine. Fu poi pubblicato nel 1894 nella raccolta The Watcher, and other weird stories. Una versione modificata della storia intitolata Strange Event in the Life of Schalken the Painter fu pubblicata nell’antologia The Purcell Papers nel 1880.

Questa volta Le Fanu prende ispirazione dal mondo dell’arte, in particolare dalle opere del pittore olandese Godfried Schalcken o Schalken (1643 – 1706) i cui quadri sono caratterizzati da giochi di luce: era solito dipingere soggetti in ambienti scuri illuminati da candele, tecnica che usò frequentemente con ottima efficacia in molti dei suoi dipinti, e che ben si addice al carattere misterioso e orrifico della storia.

La storia narra del primo amore di Godfried Schalcken per la giovane e innocente Rose Velderkaust, nipote del suo maestro Gerard Douw e di come accadde che egli finì per perderla per sempre in seguito ad una serie di sciagurati eventi frutto di “meschinità, superficialità e mancanza di cuore.” Lo zio, infatti, decise di darla in moglie al sedicente e misterioso Wilken Vanderhausen, uomo tanto repellente quanto ricco e che sarebbe stato la rovina della povera ragazza.

L’unica prova di quell’infelice amore e del triste destino a cui Rose andò incontro è un ritratto di lei che Schalken dipinse una volta diventato famoso.

💥Curiosità  

💢 Nel 1979 la BBC produsse una versione televisiva del racconto
  





Schalken il pittore

di

Joseph Sheridan Le Fanu



Autoritratto Godfried Schalcken


Egli non è un uomo come me per cui dovremmo unirci, né c’è alcuno che possa imporsi su di noi. Pertanto, che egli porti la sua verga lontano da me, e che la paura di lui non mi terrorizzii.”

A tutt'oggi, esiste una pregevole opera di Schalken ottimamente conservata. Il particolare uso della luce costituisce, come sempre nei suoi quadri, il principale merito apparente delle sue opere. Dico apparente, poiché il suo reale valore è determinato dal suo soggetto e non dall’esecuzione, per quanto squisita possa essere.

Il dipinto rappresenta l’interno di quello che potrebbe essere una stanza in un antico edificio religioso e il suo primo piano è occupato da una figura femminile, in una specie di tunica bianca, parte della quale è acconciata in modo da formare un velo. L’abito, comunque, non è quello di alcun ordine religioso. La figura regge in mano una lampada, dal cui alone sono illuminate la sua persona e il suo volto, e i suoi lineamenti mostrano un sorriso malizioso, come quello che s’addice ad una bella donna che sta mettendo in atto qualche tiro birbone; sullo sfondo e totalmente in ombra, eccetto dove la fioca luce rossa di un fuoco morente serve per definirne la forma, c’è la figura di un uomo vestito alla vecchia maniera fiamminga, in un atteggiamento di allarme, essendo la sua mano sull’elsa della sua spada, che egli sembra essere sul punto di sguainare.

Ci sono alcuni dipinti che, non so come, ci inducono a credere che essi rappresentino non mere forme e associazioni astratte che si agitavano nell’immaginazione dell’artista, ma scene, facce e situazioni realmente esistite. In questo particolare dipinto c’è qualcosa che lo caratterizza come la rappresentazione di un fatto reale. E, in verità, lo è, poiché descrive fedelmente un accadimento strano e misterioso e perpetua, nel volto della figura femminile, che occupa il primo piano della composizione, un accurato ritratto di Rose Velderkaust, la nipote di Gerard Douwii, il primo e, credo, l’unico amore di Godfrey Schalken.

Il mio bisnonno conosceva bene il pittore e apprese dallo stesso Schelken la terribile storia del quadro e da lui, infine, ricevette il dipinto come legato testamentario. La storia e il quadro sono diventati cimeli di famiglia e, avendo descritto quest’ultimo, tenterò, se permettete, di narrarvi la tradizione ereditata con il quadro.

 Ci sono poche figure su cui il mantello del romanticismo si drappeggia in maniera più sgraziata che su quella del rozzo Schalken - il grezzo ma abilissimo pittore ad olio, le cui opere dilettano i critici del nostro tempo quasi quanto le sue maniere disgustavano le persone raffinate del suo tempo. Tuttavia, quest’uomo, così rude, così brusco, così trasandato al colmo della sua celebrità, nei suoi giorni oscuri, ma più felici, aveva recitato il ruolo dell’eroe in una folle storia d’amore, di mistero e di passione.

Quando Schalken studiava sotto l’immortale Gerard Douw, era molto giovane e, a dispetto de suo carattere flemmatico, si innamorò subito e perdutamente della bella nipote del suo ricco maestro.

Rose Velderkaust era ancora più giovane di lui, non avendo ancora diciassette anni e, se la tradizione dice il vero, possedeva tutte le dolci e morbide attrattive delle belle e bionde fanciulle fiamminghe. Il giovane pittore l’amava sinceramente e ardentemente. La sua onesta adorazione era ricambiata. Dichiarò il suo amore e ottenne in cambio una balbettante confessione. Era il pittore più felice e più orgoglioso di tuta la cristianità. Ma c’era qualcosa che rovinava il suo entusiasmo: era povero e sconosciuto. Non osava chiedere al vecchio Gerard la mano della sua protetta. Doveva prima conquistarsi una reputazione e una professionalità.

Pertanto, aveva davanti a sé molte terribili incertezze e giorni difficili: doveva farsi strada contro disperate probabilità. Ma aveva conquistato il cuore della cara Rose

Velderkaust, e la sua battaglia era vinta a metà. Non c’è bisogno di dire che raddoppiò i suoi sforzi e la sua durevole celebrità prova come la sua industriosità sia stata ripagata dal successo. I suoi appassionati sforzi e ancora peggio, le speranze che li incrementavano e li stimolavano erano, comunque, destinate a patire un’improvvisa interruzione – di una natura così strana e misteriosa da confondere ogni indagine e da gettare su quegli stessi avvenimenti un’ombra di orrore soprannaturale.

Una sera Schalken si era fermato più a lungo degli altri apprendisti, e continuò a lavorare ancora nella stanza deserta. Siccome la luce del giorno stava declinando, mise da parte i colori e si dedicò a completare un disegno su cui aveva profuso sforzi straordinari. Era una composizione religiosa e rappresentava le tentazioni di un paffuto santo Antonio. Il giovane artista, comunque, sebbene privo di raffinatezza, aveva, tuttavia, sufficiente discernimento per essere insoddisfatto del suo lavoro, e molti erano le cancellature e i miglioramenti che il santo e il diavolo avevano subito, tuttavia invano. La grande e antiquata stanza era silenziosa e, con l’eccezione di lui stesso, quasi priva dei suoi abituali frequentatori. Un’ora era così trascorsa, quasi due, senza alcun miglioramento. Il giorno era ormai tramontato e il crepuscolo stava cedendo alle tenebre della notte. La pazienza del giovane pittore si era esaurita ed egli stava davanti alla sua opera incompiuta, arrabbiato e mortificato, con una mano affondata nelle ciocche dei suoi lunghi capelli e l’altra che reggeva il pezzo di carboncino che aveva così malamente eseguito il suo compito e che ora egli strofinava, senza curarsi troppo delle striature che produceva, con irata pressione sui suoi ampi pantaloni fiamminghi. “Maledetto il soggetto!” esclamò il giovane, “maledetto il quadro, i diavoli, il santo...”

In quel momento, un breve e improvviso tirare su col naso proprio accanto a lui lo fece girare bruscamente ed egli, adesso, per la prima volta, si rese conto che i suoi sforzi erano stati osservati da uno straniero. A circa un metro di distanza, e quasi dietro di lui, c’era la figura di un uomo anziano con un mantello ed un cappello conico ad ampie tese. Nella mano, protetta da uno spesso guanto da schermitore, stringeva un lungo bastone da passeggio di ebano, sormontato da quello che sembrava essere, dal momento che riluceva flebilmente nella penombra, un massiccio pomo d’oro e sul petto, attraverso le pieghe del mantello, luccicavano gli anelli di una ricca catena dello stesso metallo. La stanza era così scura che non si poteva intravvedere molto altro dell’aspetto di quella figura, e il suo cappello proiettava sul volto un’ombra profonda. Non sarebbe stato facile indovinare l’età dell’intruso, ma una massa di capelli scuri che sfuggiva da sotto il suo nero cappello, come pure la sua postura dritta, aiutavano a capire che i suoi anni non potevano ancora essere più di sessanta, o giù di lì.

Nel portamento c’era un’aria di severità e di importanza, mentre la perfetta, marmorea immobilità della figura aveva qualcosa di indescrivibilmente strano, potrei dire pauroso, che bloccò efficacemente il colorito commento che era subito salito alle labbra dell’irritato artista. Questi, pertanto, appena si ebbe sufficientemente ripreso dalla sorpresa, chiese, civilmente, allo straniero di sedersi e di fargli sapere se aveva qualche messaggio per il suo maestro. “Dica a Gerard Douw,” disse lo straniere senza minimamente cambiare atteggiamento, “che, se gli fa piacere, Minheer Vanderhauseniii, di Rotterdam, desidera parlare con lui domani sera a quest’ora, in questa stanza, di argomenti importanti, questo è tutto.”

Lo straniero, avendo concluso il suo messaggio, si voltò di colpo e, con un passo veloce ma silenzioso, lasciò la stanza prima che Schalken avesse il tempo di dire una parola in risposta. Il giovane avvertì la curiosità di vedere in che direzione il cittadino di Rotterdam si sarebbe incamminato dopo aver lasciato lo studio e a tale scopo andò immediatamente alla finestra che controllava la porta. Un atrio di considerevole ampiezza si frapponeva tra la porta interna della stanza del pittore e l’ingresso che dava sulla strada, così Schalken occupò il suo posto di osservazione prima che il vecchio avesse eventualmente potuto raggiungere la strada. Guardò in vano, comunque. Non c’era altra via d’uscita. Forse il vecchio era sparito, oppure si nascondeva nei recessi dell’atrio per qualche sinistro proposito? Quest’ultima suggestione riempì la mente di Schalken con un vago disaggio che era così inspiegabilmente intenso da renderlo timoroso di restare da solo nella stanza e riluttante ad attraversare l’atrio.

Comunque, con uno sforzo che appariva davvero sproporzionato per quella situazione, prese la decisione di lasciare la stanza e, dopo aver chiuso la porta e aver infilato la chiave in tasca, senza guardarsi intorno, attraversò l’atrio che aveva così di recente, e forse ancora, ospitato la persona del suo misterioso visitatore, osando a malapena respirare finché arrivò in strada.

Minheer Vanderhausen!” disse Gerard Douw fra sé e sé, mentre l’ora stabilita si avvicinava. “Minheer Vanderhausen, di Rotterdam! Non ho mai saputo di quest’uomo fino a ieri. Cosa può volere da me? Un dipinto, forse, essere ritratto, o un parente povero da mandarmi come apprendista, o la valutazione di una collezione, oppure – suvvia, non c’è nessuno a Rotterdam che mi lasci un’eredità. Va bene, qualunque faccenda sia, lo sapremo subito.”

Era ormai la fine della giornata e di nuovo ogni cavalletto, eccetto quello di Schalken, era deserto. Gerard Douw andava su e giù per la stanza con i passi irrequieti di un’impaziente attesa, a volte si fermava per dare un’occhiata al lavoro di uno dei suoi apprendisti, ma più spesso si metteva alla finestra per osservare i passanti che transitavano nella viuzza in cui si trovava lo studio.

Non hai detto, Godfrey,“ esclamò Douw, dopo una lunga e fruttuosa sorveglianza dal suo posto di osservazione e voltandosi verso Schalken, “che mi aveva dato appuntamento alle sette secondo l’orologio del municipio?”

L’orologio aveva appena rintoccato le sette quando lo vidi per la prima volta, signore,” rispose l’allievo.

È quasi l’ora, quindi,” disse il maestro, consultando un cipollone grande e tondo come un’arancia.

Minheer Vanderhausen di Rotterdam, se non sbaglio.”

Il nome era questo.”

Un uomo anziano riccamente vestito?” proseguì pensoso Dow.

Per quel che ho potuto vedere,” rispose l’allievo, “non poteva essere giovane, né molto vecchio, e il suo abbigliamento era ricco e severo, come potrebbe essere confacente ad un cittadino agiato ed importante.”

In quel momento i sonori rintocchi dell’orologio del municipio annunciarono, uno dopo l’altro, le sette. Gli occhi del maestro e dell’allievo si diressero alla porta, ma fu solo quando l’ultimo tocco della campana ebbe cessato di vibrare che Douw esclamò:

Quindi, in breve sua signoria si presenterà, cioè, se ha intenzione di essere puntuale, altrimenti potresti aspettarlo tu, Godfrey, se ci tieni a fare la sua conoscenza. Ma se invece, alla fine, si rivelasse niente altro che una mascherata ordita da Vankarp, o un simile burlone? Vorrei che tu avessi corso il rischio e avessi randellato sonoramente il vecchio borgomastro. Scommetterei una dozzina di bottiglie di vino del Reno che, in un batter d’occhio, sua grazia si sarebbe tolta la maschera e invocato pietà in nome di una vecchia amicizia.” 

  autoritratto Gerrit Dou


Eccolo che arriva, signore,” lo ammonì Schalken a bassa voce, e in quello stesso momento Gerard Douw si girò verso la porta e vide la stessa figura che il giorno precedente aveva così inaspettatamente salutato il suo allievo Schalken.

C’era qualcosa nell’aria di quella figura che immediatamente convinse il pittore che non c’era alcuna mascherata in quel caso e che si trovava veramente in presenza di un uomo di valore e così, senza esitazione, si tolse il cappello e salutando cortesemente lo straniero, lo invitò a sedersi. Il visitatore agitò appena la mano, come a ringraziare per la gentilezza, ma rimase in piedi.

Ho l’onore di fare la conoscenza di Minheer Vanderhausen di Rotterdam?” disse Gerard Douw.

Proprio lui,” fu la laconica risposta del visitatore.

Mi è sembrato di capire che sua signoria desidera parlarmi,” continuò Douw, “e sono qui su appuntamento per servirla.”

È un uomo fidato?” disse Vanderhausen, voltandosi verso Schalken, che si trovava appena dietro il suo maestro,

Certamente,” rispose Gerard.

Allora ditegli di prendere questa scatola e di portarla al più vicino gioielliere, o un orafo, per valutare il suo contenuto, e di ritornare qui con un certificato di valutazione.” Contemporaneamente mise un cofanetto largo circa trenta centimetri tra le mani di Gerard Douw, che rimase altrettanto stupito sia del suo peso che della strana repentinità con cui gli era stato consegnato. Conformemente ai desideri dello straniero, lo depositò nelle mani di Schalken e ripetendo le indicazioni ricevute, lo spedì a sbrigare la sua commissione.

Schalken mise il suo prezioso carico al sicuro sotto le pieghe del suo mantello e percorrendo rapidamente due o tre viuzze, si fermò ad una casa all’angolo, il cui piano inferiore era allora occupato dal negozio di un orafo ebreo. Entrò nel negozio e invitando il piccolo ebreo nell’oscurità del suo retrobottega, gli mise davanti il cofanetto di Vanderhausen. Esaminato alla luce di una lampada, apparve completamente ricoperto da un rivestimento di piombo, la cui superficie esterna era graffiata, macchiata e quasi bianca per la vecchiaia. Dopo averlo parzialmente rimosso, sotto di esso apparve una scatola di un legno duro, che fu a sua volta aperta forzandola e dopo aver rimosso due o tre strati di tessuto, scoprirono che il suo contenuto era un mucchio di lingotti d’oro, strettamente allineati e, come dichiarò l’orafo, della più perfetta qualità.

 

Ogni lingotto venne attentamente esaminato dal piccolo ebreo, che sembrava sentire un piacere epicureoiv nel toccare e saggiare questi pezzi del glorioso metallo, e ognuno di essi fu rimesso nella sua nicchia con l’esclamazione: “Mein Gott, che perfezione! Non una briciola di lega… bellissimo, bellissimo!” Alla fine il lavoro fu completato e l’ebreo certificò di suo pugno che il valore dei lingotti sottoposti alla sua valutazione ammontava a molte migliaia di talleri.  

Con il desiderato documento in tasca e la ricca scatola colma di oro accuratamente stretta sotto il braccio e celata dal mantello, Schalken ripercorse la strada fatta ed entrando nello studio, trovò il suo maestro e lo straniero immersi in una fitta conversazione. 




Non appena Schalken aveva lasciato la stanza per eseguire la commissione che gli era stata affidata, Vanderhausen si era rivolto a Gerard Douw nei seguenti termini. “Posso trattenermi con lei questa notte solo per pochi minuti e così le dirò brevemente il motivo per cui sono venuto. Circa quattro mesi fa, lei visitò la città di Rotterdam e fu allora che vidi sua nipote, Rose Velderkaust, nella chiesa di san Lorenzov. Desidero sposarla e se la convincerò che sono più ricco di ogni altro marito che lei possa mai sognare per la giovane, mi aspetto che sostenga la mia causa con la sua autorità. Se lei approva la mia proposta, deve accettarla qui ed ora, perché non non ho tempo per congetture o indugi.”
 
 Gerard Douw rimase enormemente stupito dalla natura della proposta di Minheer Vanderhausen, ma non osò mostrarsi sorpreso, perché oltre ai motivi suggeriti da prudenza ed educazione, il pittore provava un senso di gelo e oppressione come quello che si dice sopraggiungere quando ci si trovi inconsapevolmente vicini all’oggetto di una naturale antipatia – un’indefinita ma opprimente sensazione, che lo rendeva molto riluttante a dire qualcosa che potesse ragionevolmente offenderlo.
 Non ho dubbi,” disse Gerard, dopo due, tre ehm preliminari, “che l’unione che mi propone sarebbe tanto vantaggiosa quanto onorevole per mia nipote, ma deve sapere che lei ha una sua propria volontà e potrebbe non acconsentire a quello che noi possiamo progettare per il suo benessere.” 
 Non cerchi di imbrogliarmi, signor pittore,” disse Vanderhausen; “ È il suo tutore – lei è sotto la sua tutela – sarà mia se vuole che lo sia.”
 
 L’uomo di Rtterdam avanzò di qualche passo mentre parlava e Gerard Douw, a malapena sapeva perché, dentro di sé pregò per un veloce ritorno di Schalken.
 Ho intenzione,” disse il misterioso gentiluomo, “di mettere seduta stante nelle sue mani una prova della mia ricchezza, e una garanzia del mio agire munifico nei riguardi di sua nipote. Il giovanotto ritornerà fra qualche minuto con una somma cinque volte superiore alla ricchezza che sua nipote ha diritto di aspettarsi da un marito. Rimarrà in mano sua, insieme alla dote, e potrà disporre delle due somme come meglio conviene all’interesse della ragazza, che ne sarà proprietaria esclusiva finché vive, non è generoso?”
 
 Douw acconsentì e dentro di sé riconobbe che la fortuna era stata straordinariamente gentile con sua nipote: lo straniero, pensò, doveva essere ricco e generoso e una tale offerta non era da disprezzare, sebbene fatta da uno eccentrico e di non bella presenza. Rose non aveva grosse pretese perché aveva una dote modesta che doveva esclusivamente alla generosità di suo zio, né aveva alcun diritto di sollevare eccezioni in ragione della sua nascita, perché le sue origini erano ben lungi dall’essere splendide e in quanto alle altre obiezioni, Gerard decise di non ascoltarle nemmeno per un attimo, e in effetti, secondo gli usi dell’epoca, era nel suo pieno diritto farlo.
 
 Signore,” disse rivolgendosi allo straniero, “la sua offerta è generosa, e qualunque esitazione io possa avere ad accettarla immediatamente, nasce esclusivamente dal fatto che non ho l’onore di sapere niente riguardo alla sua famiglia o alla sua posizione sociale. Argomenti riguardo ai quali, naturalmente, lei potrà darmi soddisfazione senza alcuna difficoltà.”
 Riguardo alla mia rispettabilità,” disse lo straniero seccamente, “deve darla per scontata al momento, non mi importuni con altre domande, non potrà scoprire niente altro al mio riguardo se non quello che io sceglierò di rendere noto. Avrà sufficiente rassicurazione sulla rispettabilità – la mia parola, se siete uomo d’onore, il mio oro, se siete avido .”
 
 Un vecchio gentiluomo suscettibile,” pensò Douw, “deve averla vinta lui ma, tutto considerato, non ho motivo di declinare la sua offerta. Non darò la mia parola se non sarà necessario, comunque.”
 
 Non darà la sua parola se non sarà necessario,” disse Vanderhausen, pronunciando stranamente le stesse parole che erano appena passate per la mente del suo interlocutore, “ma lo farà se sarà necessario, presumo, e le dimostrerò che lo ritengo indispensabile. Se sarà soddisfatto dell’oro che ho intenzione di lasciare in mano sua e se non vuole che la mia proposta di matrimonio venga ritirata immediatamente, prima che io lasci questa stanza deve sottoscrivere questo contratto.”
 Ciò detto, mise nelle mani del maestro un foglio il cui contenuto dichiarava che Gerard Douw si assumeva l’impegno di dare in moglie Rose Velderkaus a Wilken Vanderhausen di Rotterdam, e così via, entro una settimana dalla data ivi apposta.Mentre il pittore era impegnato a leggere questo contratto, alla luce tremolante di una lampada ad olio sulla parete opposta della stanza, Schalken, come abbiamo detto, entrò nello studio e dopo aver consegnato la scatola e la perizia dell’ebreo nelle mani dello straniero, stava per ritirarsi, quando Vanderhausen gli ordinò di attendere, e consegnati la scatola e il certificato a Gerard Douw, rimase in silenzio finché quest’ultimo, dopo averli esaminati entrambi, non non si persuase del valore del pegno lasciato nelle sue mani. Alla fine disse, 
 
È soddisfatto?”
 Il pittore disse che gli avrebbe fatto piacere avere un altro giorno per decidere.
 Nemmeno un’ora,” disse freddamente il corteggiatore.Bene,” disse Douw, con un sforzo doloroso, “sono soddisfatto, affare fatto.”
 Allora firmi immediatamente,” disse Vanderhausen, “Perché sono stanco.”
 Contemporaneamente, tirò fuori un astuccio con il necessario per scrivere e Gerard firmò l’importante documento.
 Che questo giovane sia testimone del nostro patto,” disse il vecchio e Godfrey Schalken attestò inconsapevolmente lo strumento che lo avrebbe separato per sempre dalla sua cara Rose Velderkaust.
 Essendo stato così perfezionato il contratto, lo sconosciuto visitatore ripiegò il foglio e lo mise al sicuro in una tasca interna.
 Le farò visita domani sera alle nove, a casa sua, Gerard Douw, e incontrerò l’oggetto del nostro contratto,” e così dicendo Wilken Vanderhausen uscì dalla stanza a passi rigidi ma veloci.

 Schalken, desideroso di sciogliere i suoi dubbi, si era piazzato accanto alla finestra allo scopo di controllare l’uscita sulla strada, ma l’esperimento servì solo a rafforzare i suoi sospetti, perché il vecchio non uscì dalla porta. Era un fatto davvero strano, singolare, anzi pauroso. Lui e il maestro tornarono a casa insieme e non parlarono molto lungo la strada, perché ognuno aveva i suoi argomenti di riflessione, ansia e speranza. Schalken, tuttavia, non conosceva la sciagura che minacciava i suoi progetti più cari.
 
 Gerard Douw non sapeva niente dell’affetto che era sbocciato tra il suo allievo e la sua protetta, e anche se l’avesse saputo, non è certo che l’avrebbe considerato un serio ostacolo ai desideri di Minheer Vanderhausen. I matrimoni, lì e allora, erano considerati oggetto di scambio e calcolo, e agli occhi del tutore fare di un affetto reciproco un elemento essenziale in un contratto del genere sarebbe sembrato tanto assurdo quanto lo sarebbe stato redigere le sue stipule e le sue ricevute in termini romantici.Il pittore, tuttavia, non comunicò a sua nipote l’importante passo che aveva fatto in sua vece, un’omissione causata non da una paventata opposizione da parte sua, ma solamente dalla ridicola consapevolezza che se gli avesse chiesto una descrizione del promesso sposo, sarebbe stato costretto a confessare che non aveva visto nemmeno una volta la sua faccia e se convocato, avrebbe trovato assolutamente impossibile identificarlo. Il giorno seguente, Gerard Douw, dopo pranzo, convocò sua nipote e dopo averla osservata da capo a piedi con aria soddisfatta, la prese per mano, e guardando il suo grazioso volto innocente, con un sorriso gentile, disse, “Rose, ragazza mia, quel tuo visino farà la tua fortuna,” Rose arrossì e sorrise. “Un tale volto e un tale carattere raramente vanno insieme e quando succede, il risultato è un incantesimo d’amore, poche teste o cuori possono resistere: credimi, sarai presto sposa, ragazza. Ma queste sono sciocchezze e non ho tempo da perdere, così fai preparare la sala grande per le otto di stasera e dai ordini per cenare alle nove. Aspetto un amico e, ascoltami, vestiti bene. Non voglio che pensi che siamo poveri o sciatti.” Con queste parole la lasciò e si diresse alla stanza in cui lavoravano i suoi allievi.
 
 Quando sopraggiunse la sera, Gerard chiamò Schalken, che stava per avviarsi alla sua buia e squallida dimora e gli chiese di restare a cenare a casa sua con Rose e Vanderhausen. Naturalmente l’invito fu accettato e Gerard Douw e il suo allievo si portarono subito nella bella, e anche allora, antica stanza che era stata preparata per il ricevimento dello straniero. Un allegro fuoco bruciava nel caminetto e un po’ di lato, un tavolo di antica fattura, che brillava alla luce del fuoco come oro brunito, era in attesa della cena, la cui preparazione stava andando avanti, e disposte con esatta regolarità, c’erano delle sedie dall’alto schienale, la cui bruttezza era ampiamente compensata dalla loro comodità. La piccola compagnia, composta da Rose, suo zio e l’artista, aspettava l’arrivo del previsto visitatore con considerevole impazienza.  
Finalmente giunsero le nove e con esse una chiamata alla porta sulla strada, a cui venne data immediata risposta, seguita da un calpestio lento ed energico lungo la scala, i passi si mossero pesantemente attraverso l’atrio, la porta della stanza in cui era riunita la compagnia che abbiamo descritto si aprì lentamente ed ecco entrare una figura che fece sobbalzare, quasi inorridire, quei flemmatici olandesi e fece quasi urlare Rose di paura. Era una sagoma abbigliata nello stile di Minheer Vanderhausen: l’atteggiamento, l’andatura, l’altezza erano le stesse, ma i lineamenti non erano mai stati visti da nessuno di loro prima.
 
 Lo straniero si fermò sulla porta della stanza e mostrò la sua figura e il suo volto nella loro interezza. Indossava un mantello di panno scuro, corto e ampio, che gli arrivava quasi alle ginocchia; le gambe erano coperte da calze di seta rosso scuro, e le scarpe erano adornate da rose dello stesso colore. L’apertura del mantello mostrava un abito di stoffa molto scura, forse nera, e le mani erano infilate in un paio di guanti di pesante cuoio, che arrivavano ben al disopra del polso, secondo la foggia dei guanti da scherma. In una mano teneva il bastone da passeggio e il cappello, che aveva tolto, mentre l’altra pendeva pesantemente lungo il fianco. Una massa di capelli grigi scendeva dalla testa in lunghe trecce e si poggiava sulle pieghe di una gorgiera inamidata, che nascondeva completamente il collo.
 
 Fin qui tutto bene, ma la faccia! La pelle del viso aveva il plumbeo colore bluastro che è talvolta causato da farmaci metallici somministrati in quantità eccessivevi; gli occhi mostravano un’insolita preponderanza di bianco torbido e avevano un’indefinibile aria di follia; il colore delle labbra, accordandosi naturalmente a quello del volto era, pertanto, quasi nero; l’espressione del volto era sensuale, malvagia e perfino diabolica. La cosa sorprendente fu che all’illustre straniero importasse così poco mostrare il suo volto e che durante la sua visita non tolse nemmeno una volta i guanti. Fermatosi un attimo presso la porta, infine Gerard Douw ritrovò il fiato e la calma per dargli il benvenuto e con un silenzioso cenno della testa, lo straniero entrò nella stanza.
 
 C’era qualcosa di indescrivibilmente singolare, perfino orribile, in ogni suo movimento, qualcosa di indefinibile, che era innaturale, disumano: era come se le sue membra fossero guidate e dirette da uno spirito non avvezzo a gestire la macchina del corpo. Lo straniero parlò a malapena durante la sua visita, che non superò la mezz’ora, e lo stesso ospite riuscì a stento a radunare abbastanza coraggio per pronunciare le poche necessarie formule di saluto e cortesia e, infatti, tale era il terrore nervoso che la presenza di Vanderhausen ispirava, che sarebbe bastato pochissimo a far fuggire dalla stanza tutti i suoi intrattenitori. Questi, comunque. non avevano fino ad ora perso il loro autocontrollo al punto da non notare due strane peculiarità del loro visitatore. Mentre era lì, le sue palpebre non si erano chiuse una sola volta e, in verità, nemmeno minimamente mosse; inoltre, c’era un’immobilità mortale in tutta la sua persona, dovuta all’assenza del movimento di espansione del torace, causato dal processo della respirazione. Queste due peculiarità, sebbene quando vengono descritte possono apparire insignificanti, produssero un effetto molto impressionante e spiacevole quando furono viste e osservate. Vanderhausen, alla fine, liberò il pittore di Leida dalla sua infausta presenza e, con non poco senso di sollievo, la piccola comitiva sentì chiudersi la porta d’ingresso dietro di lui.

 Caro zio,” disse Rose, “che uomo spaventoso! Non vorrei rivederlo per tutto l’oro del mondo.”
 Zitta, sciocca ragazza,” disse Douw, che non si sentiva certo a suo agio. “Un uomo può essere brutto come il diavolo, se il suo cuore e le sue azioni sono buone, egli vale tutti i profumati giovincelli dal bel faccino che passeggiano lungo il Mallvii. Rose, ragazza mia, è pur vero che non ha il tuo bel viso, ma lo conosco per essere ricco e generoso, e anche se fosse dieci volte più brutto, queste due virtù sarebbero sufficienti a controbilanciare ogni sua deformità, e anche se non sufficienti a mutare l’aspetto e il colorito dei suoi lineamenti, sarebbero almeno sufficienti a impedire che vengano considerati troppo negativamente.”
 Lo sa, zio,” disse Rose, “quando lo vidi fermo sulla porta, non potei togliermi dalla testa che stavo guardando quella vecchia figura di legno dipinto che mi spaventava tanto nella chiesa di san Lorenzo a Rotterdam.”
 Gerard rise, sebbene non potesse impedirsi di riconoscere dentro di sé la correttezza di quel paragone. Era comunque deciso, per quel che poteva, a contenere la tendenza di sua nipote a dilungarsi sulla bruttezza del suo futuro sposo, sebbene non fosse per niente contento, e altrettanto stupito, di vedere che la ragazza apparisse totalmente esente da quel misterioso terrore dello straniero che, non poteva nasconderselo, spaventava notevolmente sia lui che il suo suo allievo Godfrey Schalken.
 
 Il giorno seguente, di buon mattino, arrivarono per Rose, da diversi quartieri della città, ricchi doni in sete, velluti, gioielli e così via,, insieme ad un plico diretto Gerard Douw, che una volta aperto, si scoprì contenere un contratto di matrimonio, formalmente redatto, tra Wilken Vanderhausen del Boom-quayviii di Rotterdam, e Rose Velderkaust di Leida, nipote di GerardDouw, maestro nell’arte della pittura, anche lui della stessa città, e contenente impegno formale da parte di Vanderhausen di fare un’elargizione a favore della sua sposa, molto più splendida di quella che in precedenza avesse lasciato credere possibile al suo tutore, e la cui rendita doveva essere garantita a suo uso esclusivo nella maniera più ineccepibile possibile – dal momento che il danaro veniva consegnato nelle mani dello stesso Gerard Douw.
 
 Non ho scene sentimentali da descrivere, né crudeltà di tutori, magnanimità di pupille, tormento o passione di amanti. Ciò che sto per narrarvi è una storia fatta di meschinità, superficialità e mancanza di cuore. Meno di una settimana dopo il primo colloquio che vi ho descritto, il contratto di matrimonio fu onorato, e Schalcken vide il premio che avrebbe voluto assicurarsi a rischio della propria vita portato via in pompa magna dal suo ripugnante rivale. Si assentò da scuola per due o tre giorni, poi ritornò e lavorò, se non con meno allegria, con molta più accanita risoluzione di prima: lo stimolo dell’amore aveva ceduto il posto a quello dell’ambizione. I mesi passarono e, contrariamente alle sue aspettative e, di certo, all’esplicita promessa degli sposi, Gerard Douw non ebbe notizia di sua nipote e del suo onorevole marito.
 Gli interessi del danaro, che avrebbero dovuto essere reclamati ogni tre mesi, giacevano non richiesti nelle sue mani. Incominciò a diventare estremamente preoccupato. Era perfettamente a conoscenza dell’indirizzo di Minheer Vanderhausen a Rotterdam: dopo qualche incertezza, finalmente si decise ad intraprendere il viaggio fin là – una impresa semplice e facilmente portata a temine – allo scopo di accertarsi della salute e dell’agiatezza della sua pupilla, per cui nutriva un affetto forte e sincero. Tuttavia, la sua ricerca fu vana: nessuno a Rotterdam aveva mai sentito parlare di Minheer Vanderhausen. Gerard Douw non lasciò nessuna casa intentata, ma tutto in vano. Nessuno poté dargli una qualsiasi informazione riguardante l’oggetto della sua indagine e fu costretto a tornare a Leida più confuso e più ansioso di quando l’aveva lasciata.
Boom Quay Rotterdam
 
 Al suo arrivo corse allo stabilimento in cui Vanderhausen aveva affittato la massiccia sebbene, considerati i tempi, lussuosissima carrozza che il corteo nuziale aveva impiegato per portarli a Rotterdam. Dal cocchiere del veicolo apprese che, avendo proceduto a tappe lente, erano arrivati nei pressi di Rotterdam a tarda sera, ma prima di entrare in città, e mentre erano ormai a meno di un miglio, un piccolo gruppo di uomini, vestiti sobriamente e all’antica, con barbe e baffi a punta, piazzatisi nel mezzo della strada, avevano impedito alla carrozza di proseguire. Il cocchiere tirò le redini ai cavalli, con il terrore, a causa dell’ora tarda e della solitudine del luogo, che le loro intenzioni fossero malvagie. Le sue paure, comunque, furono in qualche modo alleviate quando vide che quegli strani uomini trasportavano una grossa portantina, di antica foggia, che posarono immediatamente a terra, al che lo sposo, dopo aver aperto lo sportello della carrozza dall’interno, scese giù, e aiutata la sposa a fare lo stesso, la condusse, mentre piangeva amaramente e si torceva le mani, alla portantina, dove entrarono tutti e due. La portantina fu allora sollevata dagli uomini che la circondavano e condotta speditamente verso la città, e prima che fosse arrivata molto lontano, l’oscurità la nascose alla vista del cocchiere olandese. Questi, all’interno della carrozza, trovò una borsa il cui contenuto ripagava tre volte il noleggio di veicolo e uomo. Non vide e non poté dire altro di Minheer Vanderhausen e della sua bella signora.
 
 Il mistero era fonte di profonda ansietà e perfino di dolore per Gerard Douw. Evidentemente, Vanderhausen si era comportato in modo fraudolento con lui, sebbene non riuscisse a capire a quale scopo. Si chiedeva seriamente fino a che punto fosse possibile che un uomo con un simile aspetto potesse essere tutto tranne che un furfante, e ogni giorno che passava senza notizie da o di sua nipote, invece di indurlo a dimenticare le sue paure, al contrario tendeva ad aggravarle sempre di più. La perdita della sua lieta compagnia tendeva anche a deprimerlo, e allo scopo di scacciare la malinconia che si insinuava nella sua mente, dopo aver terminato le sue attività quotidiane, era spesso solito chiedere a Schalken di accompagnarlo a casa e di condividere la sua altrimenti solitaria cena.
 
 Una sera, il pittore ed il suo allievo erano seduti accanto al fuoco, dopo aver terminato una piacevole cena, e si erano abbandonati alla silenziosa e deliziosa malinconia della digestione, quando le loro meditazioni furono interrotte da un forte rumore alla porta d’ingresso, simile a quello causato da qualcuno che vi si scagliasse violentemente e ripetutamente contro. Un domestico era corso senza indugio per verificare la causa del trambusto, e lo sentirono interrogare due o tre volte la persona che si era presentata alla loro porta, ma senza ottenere alcuna risposta se non una prolungata reiterazione dei rumori. Lo sentirono aprire la porta d’ingresso e subito dopo ci fu un leggero e un rapido rumore di passi lungo le scale. Schalken si avvicinò alla porta. Questa si aprì prima che potesse arrivarci e Rose fece irruzione nella stanza. Aveva un aspetto selvaggio, stravolto e macilento per la paura e la spossatezza, ma il suo abito li sorprese anche più della sua inattesa apparizione. Si trattava di una specie di vestaglia di lana bianca, chiusa intorno al collo e che scendeva fino al pavimento, estremamente in disordine e sporca per il viaggio. La povera creatura era appena entrata nella camera, quando cadde priva di sensi sul pavimento. Riuscirono a farla rinvenire con una certa difficoltà e nel ritornare in sé, immediatamente gridò, con un tono di terrore più che di mera impazienza:
 Vino! Vino! Presto, o sono perduta!”

 Stupiti e quasi impauriti per la strana agitazione con cui quella richiesta era stata fatta, somministrarono il vino immediatamente secondo i suoi desideri e lei lo bevve con una fretta ed un’avidità che li sorprese. L’aveva appena mandato giù, quando gridò, con la stessa urgenza: “Cibo, per amor di Dio, cibo, subito, o morirò.”
 Sul tavolo c’era un bel pezzo di arrosto e Schalken iniziò subito a tagliarne un po’ ma fu anticipato: non appena lei lo vide, lo afferrò, unimmagine oltremodo orribile della fame, e con le mani, e perfino con i denti, strappò via la carne e la inghiottì.
 Quando il parossismo della fame si fu un poco calmato, improvvisamente la ragazza fu sopraffatta dalla vergogna, o forse era stata turbata e spaventata da pensieri molto più preoccupanti, perché iniziò a piangere amaramente e a torcersi le mani.
 Oh, mandate a chiamare un ministro di Dio,” disse, “non sarò salva finché non arriva, mandatelo a cercare urgentemente.”
 
 Gerard Douw inviò immediatamente un messo e convinse sua nipote a permettergli di cederle la sua camera da letto. Inoltre, la persuase a ritirarcisi immediatamente per riposare: il suo consenso fu ottenuto a patto che non l’avrebbero lasciata sola nemmeno per un momento.
 Oh, se il sant’uomo fosse qui,” disse, “potrebbe liberarmi: i morti e i vivi non potranno mai essere uno: Dio lo ha proibito.” Con queste misteriose parole si arrese alla loro volontà, e tutti insieme si avviarono verso la camera che Gerard Douw le aveva assegnato.
 Non lasciatemi nemmeno per un momento,” disse, “sarò perduta per sempre se lo farete.”
 Alla camera di Gerard Douw si arrivava attraverso uno spazioso appartamento, dove stavano per entrare. Lui e Schalken avevano in mano una candela, pertanto l’ambiente circostante era sufficientemente illuminato. Stavano per entrare nell’ampia camera che, come ho detto, comunicava con l’appartamento di Douw, quando Rose si fermò improvvisamente e, con un sussurro che li fece entrambi tremare di orrore, disse:
 Oh Dio! è qui! è qui! guardate, guardate! Eccolo”
 
 Indicò la porta della camera interna e Schalken credette di vedere una forma scura e indefinita scivolare in quell’appartamento. Sguainò la spada e, alzando la candela in modo da illuminare con maggior chiarezza gli oggetti della stanza, entrò nella camera in cui era scivolata l’ombra. Non c’era nessuno lì – niente se non i mobili che appartenevano alla stanza, e tuttavia non poteva essersi ingannato sul fatto che qualcosa era entrata
Nosferatu
in quella camera
prima di loro. Un terrore ammorbante scese su di lui e grosse gocce di sudore freddo gli ricoprirono la fronte, né servì a calmarlo l’aumentata insistenza e sofferenza della preghiera con cui Rose li implorava di non lasciarla nemmeno per un momento.
 L’ho visto,” disse la ragazza, “è qui, non posso essermi sbagliata, lo conosco, è vicino a me, è qui con me, è nella stanza. Allora, per amor di Dio, se volete salvarmi, non allontanatevi dal mio fianco.”

 Alla lunga, riuscirono a convincerla a stendesi sul letto, dove continuava ad insistere che restassero con lei. Pronunciava spesso frasi incoerenti ripetendo continuamente, “Il morto e il vivo non possono essere uno: Dio lo ha proibito.” E poi di nuovo, “Riposo per chi veglia – sonno per i sonnambuli.” Continuò a pronunciare queste e simili misteriose frasi spezzate finché non arrivò il prete. Gerard Douw iniziò a temere, cosa abbastanza naturale, che il terrore o i maltrattamenti avevano sconvolto la mente della povera ragazza, ed era quasi certo, per la repentinità della sua comparsa, per l’inappropriatezza dell’ora e, soprattutto, a causa dell’irruenza e del terrore insiti nel suo modo di fare, che fosse riuscita a fuggire da un qualche luogo di contenzione per matti, e avesse il pressante terrore di essere inseguita.
 Decise di convocare un consulto medico non appena la mente di sua nipote si fosse in qualche modo calmata grazie all’intervento del prete, la cui presenza lei aveva aveva così ardentemente desiderato. E finché questo obbiettivo non fu raggiunto, non si avventurò a porle alcuna domanda che, ravvivando ricordi orribili e dolorosi, potesse eventualmente aumentare la sua agitazione. 

Il prete arrivò subito – un uomo di aspetto ascetico e di venerabile età – una persona che Gerard Douw rispettava moltissimo, visto che egli era un esperto polemista - sebbene forse più temuto come combattente che amato come cristiano – di immacolata moralità, cervello fine, e cuore di ghiaccio. Entrò nella camera che comunicava con quella in cui giaceva Rose che, non appena arrivò, gli chiese di pregare per lei, come avrebbe fatto per una nelle mani di Satana e che poteva sperare di essere salvata solo dal cielo.

 Affinché possiate capire con chiarezza tutte le circostanze dell’avvenimento che sto per narrarvi, è necessario stabilire le relative posizioni di tutti i soggetti ivi coinvolti. Il vecchio prete e Schalken erano nell’anticamera di cui vi ho appena parlato; Rose giaceva nella camera interna, la cui porta era aperta, e accanto al letto, per sua pressante richiesta, stava il suo tutore; una candela bruciava nella camera da letto e tre erano accese nell’appartamento esterno. A questo punto, l’anziano si schiarì la voce come se stesse per cominciare a parlare, ma prima che avesse il tempo di iniziare, un’improvvisa corrente d’aria spense la candela che serviva ad illuminare la stanza in cui giaceva la povera ragazza e lei, con precipitoso allarme, esclamò:
 Godfrey, porta un’altra candela, l’oscurità è pericolosa.”
 Gerard Douw, dimenticando per un momento le sue ripetute ingiunzioni, seguendo l’impulso del momento, si allontanò dalla camera da letto per procurarle ciò che lei desiderava.
 Oh Dio, non andate, caro zio,” gridò l’infelice fanciulla, e contemporaneamente saltò giù dal letto e gli corse dietro allo scopo di agguantarlo e fermarlo. Ma l’allarme arrivò troppo tardi, perché lo zio aveva appena oltrepassato la soglia e sua nipote aveva avuto a stento il tempo di lanciare quell’urlo di allarme, quando la porta che divideva le due camere si chiuse violentemente dietro di lui, come se fosse stata colpita da una violenta raffica di vento. Lui e Schalken corsero verso la porta, ma i loro disperati sforzi congiunti non riuscirono nemmeno a scuoterla. Dalla camera interna usciva un grido dopo l’altro, con tutta la penetrante intensità di un disperato terrore. Schalken e Douw impiegarono tutto il loro vigore per sfondare la porta, invano. Non c’erano rumori di lotta all’interno, ma le urla sembravano aumentare di intensità e, contemporaneamente, sentirono i chiavistelli della finestra che venivano tirati e la finestra stessa stridere sul davanzale come se venisse spalancata. Un ultimo urlo così lungo, penetrante e agonizzante da sembrare ben poco umano, uscì dalla stanza e improvvisamente seguì un silenzio di morte. Sentirono un passo leggero attraversare la camera, come dal letto alla finestra, e quasi nello stesso istante la porta si aprì cedendo alla pressione esterna dei due uomini, facendoli quasi precipitare nella stanza. Era vuota. La finestra era aperta e Schalken saltò su una sedia e guardò giù nella strada e nel canale sottostanti. Non vide nessuno, ma vide, o pensò di vedere, le acque dell’ampio canale chiudersi, anello dopo anello, in ampi cerchi, come se un momento prima fossero state agitate dall’immersione di un corpo pesante.

 Dopo quella sera, non si trovò traccia di Rose, né fu scoperto o tanto meno ipotizzato niente di certo riguardo al suo misterioso corteggiatore – né si presentò alcun indizio grazie a cui dipanare i grovigli di quel rompicapo e arrivare alla sua soluzione. Ma ci fu un episodio che, sebbene non sarà accolto dai nostri razionali lettori in sostituzione di una prova, tuttavia provocò un’impressione forte e durevole nella mente di Schalken.
 
 Molti anni dopo gli avvenimenti che vi abbiamo descritto, Schalken, che allora risiedeva molto lontano, ricevette notizia formale della morte di suo padre e del suo previsto funerale in un determinato giorno nella chiesa di Rotterdam. Era necessario che il corteo funebre, che come si comprenderà facilmente non era molto numeroso, affrontasse un lungo viaggio. Il giorno in cui il funerale doveva avere luogo, Shalken arrivò a Rotterdam con gran difficoltà e in ritardo. Ma il corteo non era ancora arrivato. Il giorno tramontò e ancora non si faceva vedere.

 Shalken camminò fino alla chiesa; la trovò aperta; era stato dato avviso dell’arrivo del funerale ed era stata aperta la cripta in cui il corpo doveva essere deposto. Il sacrestano, vedendo un gentiluomo ben vestito che aveva intenzione di partecipare alle attese esequie, percorrendo la navata laterale della chiesa, lo invitò con fare ospitale a condividere con lui il conforto di un fuoco scoppiettante che, come era sua abitudine durante l’inverno in simili occasioni, aveva acceso nel caminetto di una camera in cui era solito attendere l’arrivo di tali orribili ospiti e che comunicava, tramite una rampa di scale, con la cripta sottostante. Schalken e il suo ospite si sedettero in questa stanza, e il sacrestano, dopo alcuni infruttuosi tentativi di intavolare una conversazione, fu costretto a dedicarsi al suo tabacco e alla sua pipa per dare sollievo alla sua solitudine. A dispetto del suo dolore e delle sue preoccupazioni, la fatica di un viaggio precipitoso di circa quaranta ore ebbe gradualmente la meglio sulla mente e sul corpo di Godfrey Schalken, che cadde in un sonno profondo da cui fu svegliato da qualcuno che lo scuoteva gentilmente per la spalla. Dapprincipio pensò che lo avesse chiamato il vecchio sacrestano, ma costui non era più nella stanza.
 
 Si alzò, e appena riuscì a vedere con chiarezza quello che era intorno a lui, intravide una forma femminile, vestita con una specie di leggera vestaglia bianca, parte della quale era acconciata in modo da formare un velo, e in mano aveva una lampada. Si stava lentamente allontanando da lui, in direzione della rampa di scale che conduceva alle cripte. Alla vista di quella figura, Schalken provò un vago sgomento e, allo stesso tempo, un irresistibile impulso a seguirla. La seguì verso le cripte, ma quando questa raggiunse la cima delle scale, lui si fermò, anche la figura si fermò e, voltandosi gentilmente, mostrò, alla luce della lampada che aveva in mano, il volto e i lineamenti del suo primo amore, Rose Velderkaust.
Brugghen-Donna con candela e croce

Non c’era niente di orribile, o triste, nel suo aspetto. Al contrario, aveva lo stesso sorriso malizioso che, molto tempo prima, soleva incantare l’artista nei suoi giorni felici. Un sentimento di stupore e curiosità, troppo intenso per resistervi, lo spinse a seguire lo spettro, se di uno spettro si trattava. Lei scese le scale, lui la seguì e lei, girando a destra, attraverso uno stretto passaggio, lo condusse, con sua infinita sorpresa, in quello che sembrava essere un antiquato appartamento olandese, come quelli che i dipinti di Gerard Douw erano serviti ad immortalare.
 
 Intorno alla stanza era disposta una quantità di costoso mobilio antico ed in un angolo c’era un letto a baldacchino, circondato da pesanti tende di tessuto nero; la figura si voltava spesso verso di lui, sempre con lo stesso sorriso malizioso, e quando arrivò accanto al letto, scostò le tende e, alla luce della lampada che indirizzò al suo interno, mostrò al terrorizzato pittore, seduta dritto in mezzo al letto, la figura livida e demoniaca di Vanderhausen. Appena lo vide Schalken cadde privo di sensi sul pavimento, dove rimase finché, il mattino seguente, fu trovato da persone incaricate di chiudere gli accessi alle le cripte. Giaceva in una cella di considerevole ampiezza, che non era stata usata da molto tempo ed era caduto accanto ad una grossa bara supportata da piccoli pilastri, come precauzione contro l’attacco dei vermi.
 
 Fino al giorno della sua morte Schelken rimase convinto della veridicità della visione a cui aveva assistito e ha lasciato dietro di lui una singolare prova dell’impressione che aveva prodotto nella sua immaginazione in un dipinto eseguito poco dopo l’episodio che vi ho narrato e che è prezioso non solo perché possiede le caratteristiche che hanno reso ambiti i quadri di Schalken, ma soprattutto perché presenta un ritratto del suo prima amore, Rose Velderkaust, il cui misterioso fato rimarrà per sempre materia di speculazione.

 

FINE 




i Perifrasi tratta dal libro di Giobbe in cui il patriarca afferma che la fede l'amore e la consacrazione a Dio sono possibili anche quando Egli non ci favorisce e non ci accontenta in tutte le cose.

Giobbe 9:32

Poiché non è uomo come me, al quale io possa replicare:
Presentiamoci alla pari in giudizio".
33Non c'è fra noi due un arbitro
che ponga la mano su di noi.
34Allontani da me la sua verga,
che non mi spaventi il suo terrore”

ii Gerrit Dou (1613 – 1675), fu allievo di Rembrandt e maestro di Schalken. Divenne famoso per i suoi quadri in cui rappresentava scene notturne alla luce di candela, tecnica ripresa con successo dal suo allievo

iii "Minheer" e "mynheer" (che appare nella versione del 1880) sono varianti ortografiche della obsoleta parola olandese "mijnheer", che vuol dire "mio signore". Una parola derivata, "meneer", è usata nell’olandese moderno col significato di "mister" o "sir".

ivEpicureo può avere due significati principali: filosofico e estensivo. In senso filosofico, si riferisce a un seguace di Epicuro, il filosofo greco che predicava che il piacere, inteso come assenza di dolore e turbamento (atarassia), fosse il fine ultimo della vita. In senso estensivo, "epicureo" descrive una persona che ricerca e si dedica principalmente al piacere sensoriale, spesso associato a una vita di lusso e godimento materiale

vLa Chiesa di San Lorenzo (Sint Laurenskerk) è il principale punto di riferimento di Rotterdam e l'unico edificio di epoca medievale rimasto nella città. La struttura tardogotica fu costruita tra il 1449 e il 1525, originariamente consacrata come cattedrale cattolica prima di essere convertita in un luogo di culto protestante dopo la Riforma nel 1572.

viFin dall’antichità, il mercurio, ad esempio, pur essendo una sostanza velenosa, era usata come unguento nelle malattie della pelle e considerata il miglior trattamento per la sifilide. Nel XVI secolo, l’inalazione di mercurio divenne una terapia popolare per la sifilide, nei cosiddetti “Ospedali degli Incurabili” che si erano diffusi in quasi tutte le città, e rimase in uso almeno fino al 1928.

viiIl termine deriva dall’italiano pallamaglio, in inglese pall mall, e sta ad indicare il percorso fatto da una palla spinta da una specie di mazzuolo, mallet, simile a quello del croquet. Per estensione può indicare anche un viale cittadino.

viiiUna viaggiatrice inglese Ann Ward Radcliffe, 1764-1823, descrive il Boom Qay come uno dei luoghi più belli della città, trattandosi di un ampio terrazzamento costeggiante il fiume di Rotterdam e ombreggiato da alti olmi, da cui il termine boom, e che serviva anche da banchina per il carico e scarico delle merci, da cui il termine quay.