venerdì 27 febbraio 2015

La messa degli spettri


Amor Vincit Omnia


La messa degli spettri (La messe des ombres) di Anatole France, fa parte di una collezione di racconti raccolti sotto il titolo di L'etui de nacre (L'astuccio di madreperla, 1892) che comprende 17 racconti brevi, di cui i primi sei sono ambientati nell'antichità o nel Medio Evo e si focalizzano su figure religiose (sulla scia del primo racconto Il procuratore della Giudea). Gli altri testi sono ambientati in tempi più recenti e i personaggi non sono direttamente collegati alla religione, anche se alcuni di loro conservano un'aura di santità, proprio come Catherine Fontaine, la protagonista della nostra storia.

Molte di questi racconti hanno in comune l'interesse di France per il soprannaturale, in particolare La messe des ombres sembra influenzata dall'interesse per lo spiritualismo, tipico dell'ottocento. Ma ciò che unifica tutte le storie, comunque, è l'evocazione dell'irrazionale. L'astuccio di France custodisce gelosamente ricordi ed emozioni da rievocare solo in momenti di nostalgia per l'irrazionalità. I colori cangianti della madreperla, invece, suggeriscono la varietà dei contenuti, che possono assumere diversi significati, a seconda del punto di vista da cui li si osserva. Proprio come i colori dell'astuccio cambiano con il movimento.

Ne La messa degli spettri, in particolare, France ha dato risalto al più dolce dei peccati: l'amore. La protagonista, infatti, è una vecchia merlettaia che in gioventù ha amato un nobile cavaliere. Alla sua morte, è rimasta sola con i suoi ricordi e il peso del suo peccato, essendo una donna profondamente religiosa. Ma “l'amore è più forte della morte,” com'è scritto sui muri della sua diroccata dimora, e in una notte di magia, la donna incontra il suo antico amante durante una messa che Dio, impietosito dalle loro sofferenze per l'assenza dell'amato, ha concesso alle anime del purgatorio che hanno peccato “per amore carnale... ma senza malizia” proprio come loro due. L'indomani Catherine è trovata morta. E noi lettori siamo sicuri che il suo peccato è stato perdonato. L'amore carnale è un peccato imperdonabile per la chiesa, ma non per il Cristo misericordioso di France, che ha perdonato l'adultera e benedetto la prostituta pentita.


Libri consigliati:
La rosticceria della regina Pie' d'Oca
France Anatole, cur. Giuliana M., Novecento
Le sette mogli di Barbablù. E altri racconti meravigliosi
France Anatole, 2004, Donzelli
La rivolta degli angeli
France Anatole, cur. Saviano R., 2010, Meridiano Zero
L'isola dei pinguini
France Anatole, 2012, Isbn Edizioni
Il procuratore della Giudea
France Anatole, 1984, Sellerio Editore Palermo
trad. L. Sciascia









La messa degli spettri
di

ANATOLE FRANCE

 

Il bacio- Francesco Hayez, 1859


Questa è la storia che il sacrestano della chiesa di Sainte-Eulalie, a Neuville-d’Aumont, mi ha raccontato sotto il pergolato dell'osteria del Cavallo Bianco, durante una bella sera d'estate, bevendo una bottiglia di vino vecchio alla salute di un morto molto facoltoso, che quella stessa mattina aveva condotto al cimitero con tutti gli onori, sotto un drappo disseminato di belle lacrime d'argento.

La buonanima del mio povero padre (è il sacrestano che parla) da vivo faceva il becchino. Aveva un carattere allegro, ed era senza dubbio una conseguenza del suo mestiere, perché è stato notato che le persone che lavorano nei cimiteri sono di umore gioviale. Non sono per niente spaventati dalla morte: non ci pensano mai. Io stesso, signore, posso entrare in un cimitero, la notte, tranquillamente come se mi trovassi sotto il pergolato del Cavallo Bianco. E se, per caso, incontro un fantasma, non ne sono affatto spavento, perché penso che quello stia badando ai suoi affari come io ai miei. Conosco le abitudini dei morti e il loro carattere. Al riguardo conosco delle cose che gli stessi preti ignorano. E se raccontassi tutto quello che ho visto, ne restereste sbalordito. Ma ci sono delle verità che è meglio non dire, e mio padre, per quanto amasse raccontare storie, non ha rivelato che la ventesima parte di quello che sapeva. In compenso, ripeteva spesso lo stesso racconto, e, per quanto ne so, avrà raccontato almeno cento volte l'avventura di Catherine Fontaine.”
Catherine Fontaine era una vecchia zitella che si ricordava di aver visto quando era bambino. “Non sarei per niente stupito se in paese ci fossero ancora addirittura tre vecchi che hanno sentito parlare di lei, perché era molto conosciuta e rispettata, ancorché povera. Abitava all'angolo della Rue aux Nonnes, nella torretta che si può ancora vedere e che fa parte di una vecchia dimora semi diroccata che si affaccia sul giardino delle Orsoline. Su quella torretta ci sono delle immagini e delle scritte ormai sbiadite. Il defunto curato di Sainte-Eulalie, M. Levasseur, assicurava che vi era scritto in latino che l'amore è più forte della morte. Naturalmente, aggiungeva, si riferisce all'amore divino.


Lace maker,1846 - Josephus Laurentius Dyckmans (1811-1888)

Catherine Fontaine viveva tutta sola in quel piccolo alloggio. Era una merlettaia. Sapete che i merletti delle nostre parti una volta erano molto famosi. Nessuno sapeva niente dei suoi parenti o dei suoi amici. Si diceva che a diciotto anni avesse amato il cavaliere di Aumont-Cléry, con cui era stata segretamente fidanzata. Ma le persone dabbene non volevano crederci e dicevano che la storia era stata inventata perché Catherine Fontaine aveva l'aria di una dama piuttosto che di un'operaia, che sotto i sui capelli bianchi conservava i resti di una grande bellezza, che aveva un aspetto triste, e che al dito portava una di quelle fedi sulle quali gli orefici mettevano due mani unite, e che ai tempi antichi venivano scambiate per la festa di fidanzamento. Adesso saprete cosa ne è stato.
Catherine Fontaine viveva santamente. Frequentava la chiesa, e ogni mattina, con qualunque tempo, andava alla messa delle sei a Sainte-Eulalie. Bene, una notte di dicembre, mentre dormiva nella sua cameretta, fu svegliata dal suono delle campane; credendo che annunciassero la prima messa, la pia donna si vestì e scese in strada, dove la notte era così buia che le case non si vedevano e non un raggio di luce illuminava cielo nero. C'era un tale silenzio in quelle tenebre che non si udiva abbaiare nemmeno un cane in lontananza, e ci si sentiva separati da tutte le creature viventi. Ma Catherine Fontaine, che conosceva ogni pietra su cui posava i piedi e che avrebbe potuto raggiungere la chiesa ad occhi chiusi, arrivò facilmente all'angolo tra Rue des Nonnes e Rue de la Paroisse, là dove si erge la casa di legno che ha un albero di Jesse scolpito su uno delle sue travi1. Arrivata là, vide che le porte della chiesa erano aperte, e che ne usciva una grande luce di candele. Continuò a camminare e, dopo ave attraversato il porticato, si trovò in una vasta assemblea di gente che riempiva tutta la chiesa. 

Albero di Jesse
 
Ma non riconobbe nessuno dei presenti, ed era sorpresa di vedere tutta quelle persone vestite di broccato e velluto, con cappelli ornati di piume e armati di spada come ai tempi antichi. C'erano poi dei signori che tenevano in mano dei lunghi bastoni con il pomo in oro e alcune dame con una cuffietta di merletto fissata da un pettine a forma di diadema. Alcuni cavalieri di San Luigi davano la mano a dame che nascondevano sotto il ventaglio un viso truccato, di cui non si vedeva che la tempia incipriata e un neo all'angolo dell'occhio! E tutti andavano al loro posto senza nessun rumore e, mentre camminavano, non si sentiva né il rumore dei passi sul pavimento, né il fruscio delle stoffe. Le navate laterali si riempirono di una folla di giovani artigiani, con giacca marrone, pantaloni di fustagno e calze blu, che abbracciavano per la vita delle giovinette molto graziose, con le guance rosee e gli occhi bassi.
E, vicino alle acquasantiere, alcune contadine con le sottane rosse, il corsetto allacciato, sedevano a terra con la tranquillità di animali domestici, mentre dei giovanotti, in piedi alle loro spalle, spalancavano gli occhi rigirandosi tra le dita i loro cappelli. E tutti quei volti silenziosi sembravano immersi nello stesso pensiero, dolce e triste. Inginocchiata al suo solito posto, Catherine Fontaine vide il prete avanzare verso l'altare, preceduto da due assistenti. Non riconobbe né il prete né i chierici. La messa iniziò. Era una messa silenziosa, non si sentiva nessun suono uscire dalle labbra che mormoravano, né il tintinnio della campanella vanamente agitata. Catherine Fontaine si sentiva sotto lo sguardo e l'influenza del suo misterioso vicino e, dopo averlo guardato senza quasi girare la testa, riconobbe il giovane cavaliere di Aumont-Cléry, che aveva amato e che era morto da quarantacinque anni. Lo riconobbe da una piccola cicatrice che aveva sotto l'orecchio sinistro e soprattutto dall'ombra che le sue lunghe ciglia nere facevano sulle sue guance. Indossava l'abito da caccia, rosso, con galloni d'oro, che portava il giorno in cui, avendola incontrata nel bosco di Saint-Léonard, le aveva chiesto da bere e rubato un bacio. Aveva conservato la sua giovinezza e la sua bellezza. Il suo sorriso mostrava ancora dei denti da giovane lupo. Catherine gli disse a bassa voce:
-Monsignore, che foste mio amico e a cui donai quello che una ragazza ha di più caro, che Dio vi abbia nella sua grazia! Possa egli ispirarmi infine il rimpianto del peccato che ho commesso con voi, perché, in verità, anche se ho i capelli bianchi e sono vicina alla morte, non sono ancora pentita di avervi amato. Ma, mio defunto amico, mio bel signore, ditemi chi sono queste persone vestite alla moda dei tempi antichi che partecipano a questa messa silenziosa.
Il cavaliere di Aumont-Cléry rispose con una voce più flebile di un soffio eppure più chiara di un cristallo:
- Catherine, questi uomini e queste donne sono anime del purgatorio che hanno offeso Dio peccando come noi per amore carnale, ma che non sono state scacciate da Dio perché, il loro peccato, come il nostro, fu senza malizia.

 
Fragonard - Gli amanti felici, 1765
Mentre si purificano nel fuoco lustrale del purgatorio, separati da coloro che hanno amato sulla terra, essi soffrono il dolore dall'assenza, e questa sofferenza è per loro la più crudele. Sono così infelici, che anche gli angeli del cielo hanno pietà delle loro pene d'amore. Con il permesso di Dio, si riuniscono ogni anno, durante un'ora della notte, l'amico all'amica, nella loro chiesa parrocchiale, dove è loro permesso di assistere alla messa delle ombre tenendosi per mano. Questa è la verità. Se mi è stato concesso di vederti prima della tua morte, Catherine, è una cosa che non può accadere senza il permesso di Dio.
E Catherine Fontaine gli rispose:
-Sarei felice di morire pur di ridiventare bella come quando, mio signore, ti ho dato da bere nella foresta.
Mentre parlavano così a bassa voce, un vecchissimo canonico faceva la questua porgendo un piatto di rame ai fedeli che vi facevano cadere di volta in volta delle antiche monete che non hanno più corso da tanto tempo: scudi da sei lire, fiorini, ducati e ducatoni, jacobus, rose-noble, e le monete cadevano in silenzio. Quando gli fu presentato il piatto di rame, il cavaliere vi mise un luigi che non fece più rumore degli altri pezzi d'oro e d'argento. Poi il vecchio canonico si fermò davanti a Catherine Fontaine, che si frugò nelle tasche senza trovarci una lira. Allora, non volendo rinunciare a fare la sua offerta, si tolse dal dito l'anello che il cavaliere le aveva donato alla vigilia della sua morte, e lo buttò nella ciotola di rame. L'anello d'oro, cadendovi dentro, risuonò come il pesante rintocco di una campana e, a quel fragore, il cavaliere, il canonico, i chierici, le dame, i cavalieri, l'intera assemblea svanì; le candele si spensero e Catherine Fontaine rimase sola nelle tenebre.”
Avendo così terminato il suo racconto, il sacrestano bevve un lungo sorso di vino, restò un momento pensoso e poi riprese in questi termini: 


Jean-Francois Raffaelli, I bevitori di assenzio, 1881
 
Vi ho raccontato questa storia come me l'ha raccontata mio padre tante e tante volte, e credo che sia vero perché è conforme a tutto quello che ho osservato sugli usi e i costumi dei morti. Ho frequentato molto i morti fin dalla mia infanzia e so che è loro abitudine ritornare ai loro amori. E' così che gli avari da morti vagano, di notte, vicino ai tesori che hanno nascosto da vivi. Fanno buona guardia al loro oro, ma le pene che si prendono, lungi dall'essergli utili, tornano a loro danno, e non è raro scoprire del danaro nascosto sotto terra scavando nel posto infestato da un fantasma. Allo stesso modo i mariti defunti vengono a tormentare, di notte, le mogli che si sono rimaritate, e potrei nominarne molti che, da morti, hanno vegliato sulle loro spose meglio di quando erano in vita.
Queste cose sono da biasimare, perché, per essere giusti, i defunti non dovrebbero assolutamente essere gelosi. Ma vi riferisco quello che ho osservato. E' a questo che bisogna stare attenti quando si sposa una vedova. E poi, eccovi la prova che la storia che vi ho raccontato è vera:
Il mattino dopo quella notte straordinaria, Catherine Fontaine fu trovata morta nella sua cameretta. E il sacrestano di Sainte-Eulalie trovò nel piatto di rame che serviva per la questua un anello d'oro con due mani unite. E poi, non sono il tipo d'uomo che racconta barzellette. Se ordinassimo un'altra bottiglia di vino!...

FINE





1L'albero di Jesse (o Iesse) è un motivo frequente nell'arte cristiana tra l'XI e il XV secolo: rappresenta una schematizzazione dell'albero genealogico di Gesù a partire da Jesse, padre del re Davide, il quale è di particolare importanza nelle tre religioni abramitiche: l'ebraismo, il cristianesimo e l'islam.

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