giovedì 26 marzo 2015

La casa del fantasma


Non entrare in quella stanza


The Spook House, scritta da Ambrose “Bitter” Bierce nel 1889, narra le vicende di due viaggiatori che, in una notte di tempesta, trovano rifugio in una vecchia casa abbandonata da anni e già oggetto di superstiziose paure che, purtroppo per i protagonisti, alla fine si riveleranno vere. Uno di loro, infatti, resta prigioniero della casa, intrappolato, per sempre, in una stanza che era diventato il cupo sepolcro dei suoi precedenti abitanti e di altri sfortunati viaggiatori, improvvisamente scomparsi, senza lasciar traccia di sé.
Il tema della stanza segreta, e dei suoi orrori, è caro alla letteratura di tutti i tempi, compresa quella per l'infanzia, come nella favola di Barbablù. Ma per Bierce quella stanza non è solo la metafora della parte oscura del nostro subconscio e dei suoi fantasmi, il suo orrore è molto più simile all'orrore cosmico teorizzato da Lovecraft. I viaggiatori, nell'oltrepassare la soglia di quella casa hanno la netta sensazione di aver attraversato il varco che porta ad un'altra dimensione, completamente avulsa dalla realtà esterna: “Non un baluginio dell'incessante bagliore dei fulmini penetrava attraverso le finestre o le crepe dei muri, non un sussurro del terribile tumulto esterno li raggiungeva.” La sua architettura labirintica la rende simile ad un disegno di Escher; quando, infatti, il protagonista cerca di uscire fuori attraverso la porta d'ingresso, scopre che ora questa “Conduceva in un'altra stanza!” Quando alcuni mesi dopo torna in quella casa per recuperare almeno il cadavere del suo compagno, della stanza segreta non si trova più traccia, essa sembra sparita dalla faccia della terra con tutto il suo carico di orrore.
Quasi una premonizione della sua misteriosa fine: “Bitter” Bierce sparì nel 1913 mentre, forse, era al seguito della rivoluzione di Pancho Villa. Ma cosa sia veramente successo di lui, nessuno lo sa. Svanì, per dirlo con le sue parole, in uno spazio “attraverso cui oggetti animati e inanimati possono cadere nel mondo invisibile e non essere più visti né sentiti.”

Su You Tube potete ascoltare una suggestiva drammatizzazione interpretata da Giancarlo Giannini




La casa del fantasma
di
Ambrose Bierce






Lungo la strada che da Manchester, nel Kentucky orientale, conduce a nord, a venti miglia da Boonville, c'era, nel 1862, una casa coloniale in legno la cui qualità era alquanto superiore alla maggioranza delle abitazioni del luogo. L'anno successivo, la casa fu distrutta da un incendio – probabilmente ad opera di alcuni sbandati della colonna in ritirata del generale George W. Morgan, ricacciata dal generale Kirby dal passo di Cumberland verso il fiume Ohio. Quando fu distrutta, la casa era disabitata da quattro o cinque anni. I campi tutto intorno erano infestati di rovi, i recinti scomparsi, e perfino le poche baracche degli schiavi e gli edifici esterni in generale, erano parzialmente in rovina a causa dell'abbandono e dei saccheggi, perché i negri e i bianchi poveri del vicinato trovavano nell'edificio e negli steccati un'abbondante riserva di legna, di cui si approfittavano senza esitazione, apertamente e alla luce del giorno. Solamente alla luce del giorno: al cadere delle tenebre nessun essere umano, eccetto i forestieri di passaggio, osava avvicinarsi a quel luogo. 
 
Era conosciuta come la “casa del fantasma.” Che fosse abitata da spiriti maligni, visibili, udibili e attivi, era un fatto di cui nessuno in quella zona dubitava più di quanto si potesse dubitare di quello che veniva raccontato la domenica dal predicatore itinerante. L'opinione del suo proprietario era sconosciuta, lui e la sua famiglia erano spariti una notte e nessuna traccia di loro era mai stata trovata. Lasciarono ogni cosa – masserizie, abiti, provviste, i cavalli nella stalla, le vacche nei campi, gli schiavi nei loro alloggi – così com'era, non mancava niente – eccetto un uomo, una donna, tre ragazze, un ragazzo e un neonato! Non era affatto sorprendente che una piantagione dove sette esseri umani potevano essere cancellati tutti nello stesso momento senza che nessuno sapesse come, fosse oggetto di qualche sospetto. Una notte di giugno, nel 1859, due cittadini di Frankfort, il colonnello J. C. McArdle, avvocato, e il giudice Myron Veigh, della guardia nazionale, stavano viaggiando da Boonville a Manchester. Gli affari che dovevano sbrigare erano così importanti che decisero di proseguire, a dispetto del buio e dei brontolii di un temporale in arrivo, che alla fine li colse proprio mentre arrivavano di fronte alla “casa del fantasma.” I fulmini erano così frequenti che trovarono facilmente la strada dal cancello fino ad una tettoia, dove legarono i loro cavalli e gli tolsero i finimenti. Si recarono alla casa, sotto la pioggia, e bussarono a tutte le porte senza ottenere risposta. Pensando che fosse colpa del continuo fragore dei tuoni, spinsero una delle porte finché quella cedette. Entrarono senza altri convenevoli e chiusero la porta. In quel preciso momento si trovarono immersi nell'oscurità e nel silenzio. Non un baluginio dell'incessante bagliore dei fulmini penetrava attraverso le finestre o le crepe dei muri, non un sussurro del terribile tumulto esterno li raggiungeva. Era come se fossero improvvisamente diventati ciechi e sordi, e in seguito McArdle disse che per un istante aveva creduto di essere stato ucciso da un fulmine mentre attraversava la soglia. Il resto di questa avventura può essere benissimo raccontata con le sue stesse parole, dal Frankfort Advocate del 6 Agosto 1876:
Quando mi fui un po' ripreso dall'effetto stordente del passaggio dal fracasso al silenzio, il mio primo impulso fu di riaprire la porta che avevo chiuso, dalla cui maniglia non avevo coscienza di aver tolto la mano; infatti la sentivo ancora distintamente nella presa delle mie dita. La mia idea era di uscire di nuovo nella tempesta per capire se fossi stato privato della vista e dell'udito. Girai la maniglia e spalancai la porta. Conduceva in un'altra stanza! Il locale era soffuso da una tenue luce verdastra, di cui non riuscivo a capire la sorgente, che rendeva chiaramente visibile ogni cosa, sebbene niente fosse definito in maniera netta. 


Ambrose Bierce (Right next to woman), San Francisco writer Herman George Scheffauer and a number of unidentified ladies in the Santa Cruz Mountains.

Ho detto “ogni cosa,” ma in verità gli unici oggetti nel perimetro dei muri spogli della stanza erano cadaveri di esseri umani. Ce n'erano all'incirca otto o dieci – si può ben capire che non li ho contati con precisione. Erano di diverse età, o meglio corporature, dall'infanzia in poi, e di entrambi i sessi. Erano tutti distesi sul pavimento, eccetto uno, apparentemente una giovane donna, che sedeva con le spalle appoggiate ad un angolo della parete. Un'altra donna, più anziana, stringeva tra le braccia un neonato. Un ragazzino giaceva con la faccia in giù di traverso le gambe di un uomo barbuto. Uno o due erano quasi nudi, e le mani di una ragazza stringevano il frammento di un vestito che aveva lacerato sul petto. I corpi erano in diversi stadi di decomposizione, tutti estremamente rinsecchiti nel volto e nella figura. Altri erano poco più che scheletri. Mentre rimanevo lì pietrificato dall'orrore di quella visione spettrale e continuavo a tenere ancora aperta la porta, per non so quale sorta di perversità, la mia attenzione venne distratta da quella scena scioccante e fu attratta da dettagli insignificanti. Forse la mia mente, guidata da un istinto di autoconservazione, cercava sollievo in argomenti che potessero calmarne la pericolosa tensione. Fra le altre cose, osservai che la porta che tenevo ancora aperta, era era fatta di pesanti piastre di ferro, rivettate. A eguale distanza l'una dall'altra, e dall'alto in basso, tre robuste barre di ferro sporgevano dai bordi smussati. Girai la maniglia e quelle si ritrassero e si allinearono al bordo, la rilasciai, e quelle rispuntarono fuori. Si trattava di una serratura a molla. All'interno non c'era maniglia, né altre sporgenze, solo una liscia superficie di ferro.
Mentre notavo queste cose con un interesse ed un'attenzione che ancora oggi mi stupisce nel ripensarci, mi sentii spinto da parte e il giudice, che avevo dimenticato a causa dell'intensità e del turbamento dei miei sentimenti, mi passò accanto per entrare nella stanza. “Per amor di Dio,” gridai, “non andate là dentro! Andiamo via da questo posto spaventoso!” Non fece alcun caso ai miei avvertimenti, ma (da gentiluomo coraggioso, come mai ne sono vissuti in tutto il Sud) avanzò svelto fino al centro della stanza, si inginocchiò accanto ad uno dei corpi per esaminarlo da vicino, e sollevò delicatamente nella mano la testa annerita e avvizzita. Un fetore intenso e sgradevole oltrepassò la porta stordendomi completamente. I miei sensi vacillarono, mi sentii cadere e mentre mi afferravo al bordo della porta per sorreggermi, la la spinsi fino a che si chiuse con uno scatto secco!
Non ricordo altro; sei settimane dopo ritornai in me in un albergo di Manchester, dove ero stato portato da alcuni forestieri il giorno dopo. Per tutte quelle settimane ero stato afflitto da una febbre nervosa, accompagnata da un delirio costante. Ero stato trovato disteso sulla strada a diverse miglia dalla casa, ma non ho mai saputo come fossi riuscito a fuggire e ad arrivare fin là. Quando mi ripresi, o appena i miei medici mi permisero di parlare, mi informai sul destino del giudice Veigh, e (per tranquillizzarmi, come ora so) mi fu detto che stava bene e a casa sua. Nessuno credette ad una sola parola della mia storia, e chi potrebbe meravigliarsene? E chi potrebbe immaginare il mio dolore quando, arrivando a casa mia a Frankfort due mesi più tardi, appresi che, da quella notte, non si era saputo più niente del giudice Veigh? Allora rimpiansi amaramente quell'orgoglio che fin dai primi giorni dopo la mia guarigione mi aveva impedito di ripetere la mia discreditata storia e insistere sulla sua veridicità. Tutto quello che accadde dopo – l'ispezione della casa, il mancato ritrovamento di una stanza che corrispondesse a quella che avevo descritta, il tentativo di farmi dichiarare pazzo, e la vittoria sui miei accusatori – è ben noto ai lettori dell'Advocate. Dopo tutti questi anni sono ancora certo che grazie ad opportuni scavi, che non ho né il diritto legale di intraprendere né la ricchezza per portare a compimento, si sarebbe potuto scoprire il segreto della scomparsa del mio sfortunato amico, e forse dei precedenti inquilini e proprietari di quella casa abbandonata e ormai distrutta. Ancora non dispero di poter effettuare una tale ricerca, ed è per me causa di grande dolore che venga ritardata dall'immeritata ostilità e dall'improvvida incredulità della famiglia e degli amici del defunto giudice Veigh.”

Il colonnello McArdle morì a Franckfort il 13 dicembre del 1879.




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