lunedì 9 aprile 2018

La finestra sbarrata


 

Il racconto La finestra sbarrata ("TheBoarded Window: An Incident in the Life of an Ohio Pioneer") dello scrittore americano Ambrose 'Bitter' Bierce (1842-1914), fu pubblicato nel 1891, dapprima nel San Francisco Examiner, per entrare a far parte, in quello stesso anno, della raccolta Tales of Soldiers and Civilians.

La storia è ambientata in una località, ai tempi (siamo nel 1830) ancora selvaggia, dell'Ohio, ricoperta da boschi incontaminati, non distante dalla città di Cincinnati e dove lo stesso autore e la sua famiglia avevano vissuto fino al 1846. Sono i tempi della conquista del west, quando la 'frontiera' avanza verso ovest, sospinta da pionieri, cercatori d'oro, gruppi religiosi alla ricerca della loro terra promessa, giovani tanto avventurosi quanto ancora inesperti della vita. 'Bitter' Bierce ci mostra l'altra faccia dell'epopea del west, fatta di povertà, fatica quotidiana, una natura incontaminata ed ostile, territori e panorami sconosciuti, insediamenti isolati dove la morte è sempre in agguato, sotto forma di malattie, epidemie o animali selvatici. Ma è anche una storia di orrore, rimorso ed espiazione che si dipana sul filo della mamoria.



La vicenda ci viene raccontata da un narratore in prima persona, che ci riferisce di fatti appresi nella sua infanzia da suo nonno. Abbiamo, quindi, un doppio punto di vista, quello del narratore da bambino, irrazionale ed emotivo, e quello del narratore da adulto, che basandosi sui pochi dettagli appresi dal nonno, cercherà di ricostruire non tanto la storia, che ormai fa parte del folklore locale, quanto la psicologia dei protagonisti, che è la vera chiave di questo racconto breve, intenso e carico di mistero.

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Su YouTube ci sono diverse versioni del testo, a me è piaciuta questa 

The Ambrose Bierce Project, sito deicato all'autore e alle sue opere, con molti contributi critici e per la didattica

VOAlearningEnglish: PDF contenente una presentazione didattica della storia






 
La finestra sbarrata

di
Ambrose Bierce

 
Home in the Woods, 1847 - Thomas Cole





Nel 1830, a solo poche miglia da quella che oggi è la grande città di Cincinnati, si trova un'immensa e quasi incontaminata foresta.
L'intera regione era scarsamente abitata da gente della frontiera – anime inquiete che non appena riuscivano a strappare case minimamente abitabili alla natura selvaggia e a raggiungere quel grado di prosperità che oggi chiameremmo indigenza, venivano costretti da un misterioso impulso della loro natura ad abbandonare tutto ed erano sospinti ancora più ad ovest andando incontro a nuovi pericoli e privazione nel tentativo di riguadagnare le povere comodità a cui avevano volontariamente rinunciato. Molti di loro avevano già abbandonato la regione per insediamenti più remoti, ma tra coloro che rimanevano ce n'era uno che era stato tra i primi ad arrivare. Viveva da solo in una capanna di tronchi circondata sui quattro lati dalla grande foresta, della cui ombra e silenzio sembrava essere parte, perché nessuno lo aveva mai visto sorridere o udito pronunciare una parola di troppo. I suoi semplici bisogni erano soddisfatti con la vendita o il baratto di pelli di animali selvatici nella città sul fiume, perché non coltivava niente su quella terra che, se necessario, avrebbe potuto reclamare come legittima proprietà. C'erano tracce di 'migliorie' – pochi acri di terreno intorno alla casa erano stati a suo tempo diboscati, e i ceppi sgretolati degli alberi abbattuti erano per metà coperti da quelli nuovi che erano stati risparmiati per rimediare alla rovina causata dall'ascia. Apparentemente lo zelo dell'uomo per l'agricoltura era stato alimentato da una fiamma caduca, spentasi in ceneri penitenziali.


La piccola capanna di tronchi, con il suo comignolo di stecchi, il suo tetto di tavole di legno deformate appesantite da pali trasversali e il suo 'intonaco' di fango, aveva una sola porta e, proprio di fronte, una finestra. Quest'ultima, comunque, era chiusa con assi di legno – nessuno ricordava un tempo in cui non lo fosse stata. E nessuno sapeva perché era chiusa in quel modo; certo non perché al suo inquilino dispiacessero il sole e l'aria, perché in quelle rare occasioni in cui un cacciatore era passato in quel luogo solitario, il recluso era stato generalmente visto prendere il sole fuori dalla porta, nel caso il cielo avesse provveduto ai suoi bisogni con una giornata di bel tempo. Penso che oggi siano in vita poche persone che conoscono il segreto di quella finestra, ma io sono uno di quelli, come potrete constatare. Dicevano che il suo nome fosse Murlock. Apparentemente sembrava avere settanta anni, ma in effetti ne aveva circa cinquanta. Qualcosa, oltre al passare degli anni, aveva messo mano al suo invecchiamento. I capelli e la barba lunga e folta erano bianchi, gli occhi grigi e opachi erano infossati, la sua faccia singolarmente segnata da rughe che sembravano appartenere a due sistemi intersecanti. Fisicamente era alto e magro, con le spalle ingobbite – come chi è abituato a portare pesi. Non l'ho mai visto, questi particolari li ho appresi da mio nonno, insieme alla storia di quest'uomo, quando ero un ragazzo. Lo aveva conosciuto quando viveva nei paraggi ai tempi della sua giovinezza. 

 

Un giorno Murlock fu trovato nella sua capanna, morto. Non era né il tempo né il luogo per medici legali e giornali, e credo che tutti fossero d'accordo che era morto per cause naturali, o altrimenti mi sarebbe stato detto e me ne ricorderei. So soltanto che, in ossequio a quello che probabilmente era un senso di opportunità, il corpo fu seppellito vicino alla capanna, accanto alla tomba della moglie, che lo aveva preceduto di così tanti anni che la tradizione locale a malapena aveva conservato traccia della sua esistenza. Così si conclude l'ultimo capitolo di questa storia vera – eccetto, naturalmente, la circostanza che molti anni dopo, in compagnia di uno spirito altrettanto intrepido, mi inoltrai in quel luogo e mi avventurai abbastanza vicino alla capanna in rovina da gettarvi contro una pietra e fuggire via per evitare il fantasma che ogni ragazzo bene informato dei dintorni sapeva infestare il posto. Ma vi è un capitolo precedente – che mi fu narrato da mio nonno.

Quando Murlock costruì la sua capanna e iniziò energicamente a menare gran colpi in giro con la sua ascia per tirarne fuori una fattoria - il fucile, nel frattempo, era il suo mezzo di sostentamento – era era giovane, forte e pieno di speranze. Nella regione orientale da cui proveniva aveva sposato, secondo l'usanza, una giovane donna degna sotto ogni rispetto della sua onesta devozione, la quale condivideva i pericoli e le privazioni del suo destino con spirito volenteroso e cuor leggero. Non resta alcuna traccia conosciuta del suo nome, la tradizione tace a proposito della sua bellezza spirituale e fisica e lo scettico è libero di nutrire i suoi dubbi; ma Dio non voglia che io li condivida! Del loro amore e felicità c'è abbondante conferma in ogni singolo giorno della vita da vedovo dell'uomo, perché cosa, se non il magnetismo di un lieto ricordo poteva aver incatenato quello spirito avventuroso ad un simile luogo?


Un giorno Murlock tornò a casa dopo essere stato a caccia in una zona remota della foresta e trovò sua moglie prostrata dalla febbre e delirante. Non c'era un medico per miglia e miglia, né un vicino, né tanto meno la donna era in condizione tali da essere lasciata sola per andare in cerca di auto. Così si assunse il compito di accudirla e curarla, ma alla fine del terzo giorno cadde in uno stato di incoscienza e morì, apparentemente, senza essere mai ritornata minimamente in sé. Da ciò che sappiamo di una natura come la sua possiamo avventurarci a descrivere quello che successe usando alcuni dei dettagli del ritratto tracciato da mio nonno. Quando si convinse che la moglie era morta, Murlock fu abbastanza lucido da ricordarsi che i morti devono essere preparati per la sepoltura.

Nel portare a termine questo sacro dovere di tanto in tanto prese qualche cantonata, fece alcune cose nel modo sbagliato, e quelle che fece correttamente erano state ripetute diverse volte. I suoi occasionali fallimenti nel compiere alcuni atti semplici e ordinari lo riempirono di stupore, come un ubriaco che si meravigli della sospensione di alcune comuni leggi di natura. Era sorpreso, inoltre, perché non riusciva a piangere – sorpreso e un po' vergognoso; sicuramente è poco gentile non piangere per i morti. “Domani,” disse ad alta voce, “dovrò costruire la bara e scavare la tomba, allora sentirò la sua mancanza, quando non potrò più vederla, ma ora – è morta, naturalmente, ma va bene – deve andare bene. Le cose non possono essere così male come sembra.”


Continuò a lavorare intorno alla salma in una luce crepuscolare, sistemandole i capelli e dando gli ultimi tocchi a quella semplice toletta, con gesti meccanici e un atteggiamento assente. E tuttavia dentro di sé scorreva l'intima convinzione che tutto andava bene - che l'avrebbe avuta di nuovo con sé come prima e tutto sarebbe andato a posto. Non aveva alcuna esperienza di dolore, la sua competenza non era stata rafforzata dalla pratica. Il suo cuore non poteva contenere tutto ciò, né la sua immaginazione era in grado di elaborarlo nella giusta maniera. Non sapeva quanto duramente fosse stato colpito, quella consapevolezza sarebbe venuta in seguito, e non l'avrebbe più abbandonato. Il dolore è un artista dai poteri tanto diversi quanto gli strumenti su cui suona le sue marce funebri, evocando in alcuni le note più acute e penetranti, in altri accordi bassi e cupi che pulsano con la stessa frequenza del lento battito di un tamburo lontano. Per alcuni giunge come un colpo di freccia, che pungola i sensi rendendoli più acuti, per altri è come una randellata, il cui devastante colpo intontisce. Possiamo immaginare che Murlock ne fosse stato influenzato proprio in questo modo, perché (e qui siamo su un terreno più solido della semplice congettura) non appena ebbe portato a termine il suo pietoso lavoro, sprofondando in una sedia accanto al tavolo su cui giaceva il corpo, che con il suo bianco profilo risaltava nel buio sempre più profondo, appoggiò le braccia sul bordo del tavolo e vi affondò la faccia, ancora non solcata da lacrime ma terribilmente stanca. In quel momento, attraverso la finestra giunse un suono prolungato e lamentoso, simile al pianto di un bambino sperduto nel profondità di quella tenebrosa foresta! Ma l'uomo non si mosse.
Di nuovo, e ancora più vicino di prima, quel suono soprannaturale risuonò sopra i suoi sensi che venivano meno. Forse era una bestia selvatica, forse un sogno. Perché Murlock stava dormendo.

W.H.D. Koerner (1878-1938) - Madonna of the Prairie, 1921

Qualche ora dopo, come apparve in seguito, questo inaffidabile guardiano si svegliò e alzando la testa dalle braccia si mise ad ascoltare attentamente – senza sapere perché. Là, in quelle nere tenebre accanto al corpo della morta, ricordando ogni cosa senza la minima emozione, sforzò gli occhi per vedere – non sapeva cosa. I suoi sensi erano tutti in allerta, il suo respiro sospeso, il suo sangue aveva rallentato il suo flusso come ad aiutare il silenzio. Chi – che cosa lo aveva svegliato, e dove era?

Improvvisamente il tavolo tremò sotto le sue braccia e in quello stesso momento sentì, o gli sembrò di sentire, un leggero passo felpato – un altro – come se qualcuno camminasse a piedi nudi sul pavimento!

Era terrorizzato al punto da non riuscire a gridare o a muoversi. Non poteva fare altro che aspettare – aspettò lì nelle tenebre durante quelli che sembravano secoli della paura più terribile che che si possa provare, riuscendo tuttavia a sopravvivere per raccontarla. Provò invano a pronunciare il nome della morta, invano allungò le braccia sul tavolo per accertarsi che lei fosse ancora lì. La gola era bloccata, le braccia e le mani pesanti come il piombo. Poi accadde qualcosa di ancora più spaventoso. Un corpo pesante si scagliò contro il tavolo con un tale impeto da spingerlo contro il suo petto così violentemente che quasi lo ribaltò, e nello stesso momento sentì e percepì qualcosa cadere sul pavimento con un tonfo così violento che tutta la casa fu scossa per l'impatto. Ne seguì una zuffa e una confusione di suoni impossibile da descrivere. Murlock si era alzato in piedi.
La paura era stata così eccessiva da abbandonare il controllo delle sue facoltà. Allungò le mani sul tavolo. Non c'era niente!

C'è un punto in cui il terrore può trasformarsi in follia; e la follia incita all'azione. Senza uno scopo preciso, senza alcun motivo se non l'imprevedibile impulso di un pazzo, Murlock si slanciò verso la parete, e andando brevemente a tentoni afferrò il fucile già carico e, senza prendere la mira, fece fuoco. Nel bagliore del lampo che illuminò la stana, vide un'enorme pantera trascinare il corpo della morta verso la finestra, con i denti affondati nel collo della donna! Allora sopraggiunsero tenebre ancora più fitte di prima, e silenzio, e quando ritornò in sé il sole era alto e il bosco risuonava del canto degli uccelli.

Il corpo giaceva vicino alla finestra, dove la bestia lo aveva lasciato quando, spaventata dal bagliore e dall'esplosione del fucile, era fuggita via. Gli abiti erano in disordine, i lunghi capelli scarmigliati, le membra scomposte. Dalla gola, terribilmente lacerata, era colata una pozza di sangue non ancora completamente coagulato. Il nastro con cui le aveva legato i polsi era spezzato, le mani erano serrate. Tra i denti c'era un frammento dell'orecchio dell'animale.

FINE


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