Il
racconto La
finestra sbarrata
("TheBoarded Window: An Incident in the Life of an Ohio Pioneer")
dello
scrittore americano
Ambrose 'Bitter' Bierce (1842-1914),
fu pubblicato nel 1891, dapprima nel San
Francisco Examiner,
per entrare a far parte, in quello stesso anno, della raccolta Tales
of Soldiers and Civilians.
La
storia è ambientata in una località, ai tempi (siamo nel 1830)
ancora selvaggia, dell'Ohio, ricoperta da boschi incontaminati, non
distante dalla città di Cincinnati e dove lo stesso autore e la sua
famiglia avevano vissuto fino al 1846. Sono i tempi della conquista
del west, quando la 'frontiera' avanza verso ovest, sospinta da
pionieri, cercatori d'oro, gruppi religiosi alla ricerca della loro
terra promessa, giovani tanto avventurosi quanto ancora inesperti
della vita. 'Bitter' Bierce ci mostra l'altra faccia dell'epopea del
west, fatta di povertà, fatica quotidiana, una natura incontaminata ed
ostile, territori e panorami sconosciuti, insediamenti isolati dove
la morte è sempre in agguato, sotto forma di malattie, epidemie o
animali selvatici. Ma è anche una storia di orrore, rimorso ed
espiazione che si dipana sul filo della mamoria.
La
vicenda ci viene raccontata da un narratore in prima persona, che ci
riferisce di fatti appresi nella sua infanzia da suo nonno. Abbiamo,
quindi, un doppio punto di vista, quello del narratore da bambino,
irrazionale ed emotivo, e quello del narratore da adulto, che
basandosi sui pochi dettagli appresi dal nonno, cercherà di
ricostruire non tanto la storia, che ormai fa parte del folklore
locale, quanto la psicologia dei protagonisti, che è la vera chiave
di questo racconto breve, intenso e carico di mistero.
Links:
Su YouTube ci sono diverse versioni del testo, a me è piaciuta questa
The Ambrose Bierce Project, sito deicato all'autore e alle sue opere, con molti contributi critici e per la didattica
VOAlearningEnglish: PDF contenente una presentazione didattica della storia
La
finestra sbarrata
di
Ambrose
Bierce
Home in the Woods, 1847 - Thomas Cole |
Nel 1830, a solo poche miglia da quella che oggi è la grande città di Cincinnati, si trova un'immensa e quasi incontaminata foresta.
L'intera
regione era scarsamente abitata da gente della frontiera – anime
inquiete che non appena riuscivano a strappare case minimamente abitabili alla natura selvaggia e a raggiungere quel grado di
prosperità che oggi chiameremmo indigenza, venivano costretti da un
misterioso impulso della loro natura ad abbandonare tutto ed erano
sospinti ancora più ad ovest andando incontro a nuovi pericoli e
privazione nel tentativo di riguadagnare le povere comodità a cui
avevano volontariamente rinunciato. Molti di loro avevano già
abbandonato la regione per insediamenti più remoti, ma tra coloro
che rimanevano ce n'era uno che era stato tra i primi ad arrivare.
Viveva da solo in una capanna di tronchi circondata sui quattro lati
dalla grande foresta, della cui ombra e silenzio sembrava essere
parte, perché nessuno lo aveva mai visto sorridere o udito
pronunciare una parola di troppo. I suoi semplici bisogni erano
soddisfatti con la vendita o il baratto di pelli di animali selvatici
nella città sul fiume, perché non coltivava niente su quella terra
che, se necessario, avrebbe potuto reclamare come legittima
proprietà. C'erano tracce di 'migliorie' – pochi acri di terreno
intorno alla casa erano stati a suo tempo diboscati, e i ceppi
sgretolati degli alberi abbattuti erano per metà coperti da quelli
nuovi che erano stati risparmiati per rimediare alla rovina causata
dall'ascia. Apparentemente lo zelo dell'uomo per l'agricoltura era
stato alimentato da una fiamma caduca, spentasi in ceneri
penitenziali.
La piccola
capanna di tronchi, con il suo comignolo di stecchi, il suo tetto di
tavole di legno deformate appesantite da pali trasversali e il suo
'intonaco' di fango, aveva una sola porta e, proprio di fronte, una
finestra. Quest'ultima, comunque, era chiusa con assi di legno –
nessuno ricordava un tempo in cui non lo fosse stata. E nessuno
sapeva perché era chiusa in quel modo; certo non perché al suo
inquilino dispiacessero il sole e l'aria, perché in quelle rare
occasioni in cui un cacciatore era passato in quel luogo solitario,
il recluso era stato generalmente visto prendere il sole fuori dalla
porta, nel caso il cielo avesse provveduto ai suoi bisogni con una
giornata di bel tempo. Penso che oggi siano in vita poche persone che
conoscono il segreto di quella finestra, ma io sono uno di quelli,
come potrete constatare. Dicevano che il suo nome fosse Murlock.
Apparentemente sembrava avere settanta anni, ma in effetti ne aveva
circa cinquanta. Qualcosa, oltre al passare degli anni, aveva messo
mano al suo invecchiamento. I capelli e la barba lunga e folta erano
bianchi, gli occhi grigi e opachi erano infossati, la sua faccia
singolarmente segnata da rughe che sembravano appartenere a due
sistemi intersecanti. Fisicamente era alto e magro, con le spalle
ingobbite – come chi è abituato a portare pesi. Non l'ho mai
visto, questi particolari li ho appresi da mio nonno, insieme alla
storia di quest'uomo, quando ero un ragazzo. Lo aveva conosciuto
quando viveva nei paraggi ai tempi della sua giovinezza.
Un giorno
Murlock fu trovato nella sua capanna, morto. Non era né il tempo né
il luogo per medici legali e giornali, e credo che tutti fossero
d'accordo che era morto per cause naturali, o altrimenti mi sarebbe
stato detto e me ne ricorderei. So soltanto che, in ossequio a quello
che probabilmente era un senso di opportunità, il corpo fu
seppellito vicino alla capanna, accanto alla tomba della moglie, che
lo aveva preceduto di così tanti anni che la tradizione locale a
malapena aveva conservato traccia della sua esistenza. Così si
conclude l'ultimo capitolo di questa storia vera – eccetto,
naturalmente, la circostanza che molti anni dopo, in compagnia di uno
spirito altrettanto intrepido, mi inoltrai in quel luogo e mi
avventurai abbastanza vicino alla capanna in rovina da gettarvi
contro una pietra e fuggire via per evitare il fantasma che ogni
ragazzo bene informato dei dintorni sapeva infestare il posto. Ma vi
è un capitolo precedente – che mi fu narrato da mio nonno.
Quando
Murlock costruì la sua capanna e iniziò energicamente a menare
gran colpi in giro con la sua ascia per tirarne fuori una fattoria -
il fucile, nel frattempo, era il suo mezzo di sostentamento – era
era giovane, forte e pieno di speranze. Nella regione orientale da
cui proveniva aveva sposato, secondo l'usanza, una giovane donna
degna sotto ogni rispetto della sua onesta devozione, la quale
condivideva i pericoli e le privazioni del suo destino con spirito
volenteroso e cuor leggero. Non resta alcuna traccia conosciuta del
suo nome, la tradizione tace a proposito della sua bellezza
spirituale e fisica e lo scettico è libero di nutrire i suoi dubbi;
ma Dio non voglia che io li condivida! Del loro amore e felicità c'è
abbondante conferma in ogni singolo giorno della vita da vedovo
dell'uomo, perché cosa, se non il magnetismo di un lieto ricordo
poteva aver incatenato quello spirito avventuroso ad un simile
luogo?
Un giorno
Murlock tornò a casa dopo essere stato a caccia in una zona remota
della foresta e trovò sua moglie prostrata dalla febbre e delirante.
Non c'era un medico per miglia e miglia, né un vicino, né tanto
meno la donna era in condizione tali da essere lasciata sola per
andare in cerca di auto. Così si assunse il compito di accudirla e
curarla, ma alla fine del terzo giorno cadde in uno stato di
incoscienza e morì, apparentemente, senza essere mai ritornata
minimamente in sé. Da ciò che sappiamo di una natura come la sua
possiamo avventurarci a descrivere quello che successe usando alcuni
dei dettagli del ritratto tracciato da mio nonno. Quando si convinse
che la moglie era morta, Murlock fu abbastanza lucido da ricordarsi
che i morti devono essere preparati per la sepoltura.
Nel portare
a termine questo sacro dovere di tanto in tanto prese qualche
cantonata, fece alcune cose nel modo sbagliato, e quelle che fece
correttamente erano state ripetute diverse volte. I suoi occasionali
fallimenti nel compiere alcuni atti semplici e ordinari lo riempirono
di stupore, come un ubriaco che si meravigli della sospensione di
alcune comuni leggi di natura. Era sorpreso, inoltre, perché non
riusciva a piangere – sorpreso e un po' vergognoso; sicuramente è
poco gentile non piangere per i morti. “Domani,” disse ad alta
voce, “dovrò costruire la bara e scavare la tomba, allora sentirò
la sua mancanza, quando non potrò più vederla, ma ora – è morta,
naturalmente, ma va bene – deve andare bene. Le cose non
possono essere così male come sembra.”
Continuò a
lavorare intorno alla salma in una luce crepuscolare, sistemandole i
capelli e dando gli ultimi tocchi a quella semplice toletta, con
gesti meccanici e un atteggiamento assente. E tuttavia dentro di sé
scorreva l'intima convinzione che tutto andava bene - che l'avrebbe
avuta di nuovo con sé come prima e tutto sarebbe andato a posto. Non
aveva alcuna esperienza di dolore, la sua competenza non era stata
rafforzata dalla pratica. Il suo cuore non poteva contenere tutto
ciò, né la sua immaginazione era in grado di elaborarlo nella
giusta maniera. Non sapeva quanto duramente fosse stato colpito,
quella consapevolezza sarebbe venuta in seguito, e non l'avrebbe più
abbandonato. Il dolore è un artista dai poteri tanto diversi quanto
gli strumenti su cui suona le sue marce funebri, evocando in alcuni
le note più acute e penetranti, in altri accordi bassi e cupi che
pulsano con la stessa frequenza del lento battito di un tamburo
lontano. Per alcuni giunge come un colpo di freccia, che pungola i
sensi rendendoli più acuti, per altri è come una randellata, il cui
devastante colpo intontisce. Possiamo immaginare che Murlock ne fosse
stato influenzato proprio in questo modo, perché (e qui siamo su un
terreno più solido della semplice congettura) non appena ebbe
portato a termine il suo pietoso lavoro, sprofondando in una sedia
accanto al tavolo su cui giaceva il corpo, che con il suo bianco
profilo risaltava nel buio sempre più profondo, appoggiò le braccia
sul bordo del tavolo e vi affondò la faccia, ancora non solcata da
lacrime ma terribilmente stanca. In quel momento, attraverso la
finestra giunse un suono prolungato e lamentoso, simile al pianto di
un bambino sperduto nel profondità di quella tenebrosa foresta! Ma
l'uomo non si mosse.
Di nuovo, e
ancora più vicino di prima, quel suono soprannaturale risuonò sopra
i suoi sensi che venivano meno. Forse era una bestia selvatica, forse
un sogno. Perché Murlock stava dormendo.
W.H.D. Koerner (1878-1938) - Madonna of the Prairie, 1921 |
Qualche ora
dopo, come apparve in seguito, questo inaffidabile guardiano si
svegliò e alzando la testa dalle braccia si mise ad ascoltare
attentamente – senza sapere perché. Là, in quelle nere tenebre
accanto al corpo della morta, ricordando ogni cosa senza la minima
emozione, sforzò gli occhi per vedere – non sapeva cosa. I suoi
sensi erano tutti in allerta, il suo respiro sospeso, il suo sangue
aveva rallentato il suo flusso come ad aiutare il silenzio. Chi –
che cosa lo aveva svegliato, e dove era?
Improvvisamente
il tavolo tremò sotto le sue braccia e in quello stesso momento
sentì, o gli sembrò di sentire, un leggero passo felpato – un
altro – come se qualcuno camminasse a piedi nudi sul pavimento!
Era
terrorizzato al punto da non riuscire a gridare o a muoversi. Non
poteva fare altro che aspettare – aspettò lì nelle tenebre
durante quelli che sembravano secoli della paura più terribile che
che si possa provare, riuscendo tuttavia a sopravvivere per
raccontarla. Provò invano a pronunciare il nome della morta, invano
allungò le braccia sul tavolo per accertarsi che lei fosse ancora
lì. La gola era bloccata, le braccia e le mani pesanti come il
piombo. Poi accadde qualcosa di ancora più spaventoso. Un corpo
pesante si scagliò contro il tavolo con un tale impeto da spingerlo
contro il suo petto così violentemente che quasi lo ribaltò, e
nello stesso momento sentì e percepì qualcosa cadere sul pavimento
con un tonfo così violento che tutta la casa fu scossa per
l'impatto. Ne seguì una zuffa e una confusione di suoni impossibile
da descrivere. Murlock si era alzato in piedi.
La paura
era stata così eccessiva da abbandonare il controllo delle sue
facoltà. Allungò le mani sul tavolo. Non c'era niente!
C'è un
punto in cui il terrore può trasformarsi in follia; e la follia
incita all'azione. Senza uno scopo preciso, senza alcun motivo se non
l'imprevedibile impulso di un pazzo, Murlock si slanciò verso la
parete, e andando brevemente a tentoni afferrò il fucile già carico
e, senza prendere la mira, fece fuoco. Nel bagliore del lampo che
illuminò la stana, vide un'enorme pantera trascinare il corpo della
morta verso la finestra, con i denti affondati nel collo della donna!
Allora sopraggiunsero tenebre ancora più fitte di prima, e silenzio,
e quando ritornò in sé il sole era alto e il bosco risuonava del
canto degli uccelli.
Il corpo
giaceva vicino alla finestra, dove la bestia lo aveva lasciato
quando, spaventata dal bagliore e dall'esplosione del fucile, era
fuggita via. Gli abiti erano in disordine, i lunghi capelli
scarmigliati, le membra scomposte. Dalla gola, terribilmente
lacerata, era colata una pozza di sangue non ancora completamente
coagulato. Il nastro con cui le aveva legato i polsi era spezzato, le
mani erano serrate. Tra i denti c'era un frammento dell'orecchio
dell'animale.
FINE
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