Uno,
nessuno, centomila…
Tutti
voi zombie
(...All You Zombies...)
è
un racconto di fantascienza del 1959 dello
scrittore americano
Robert A. Heinlein (1907
- 1988 )
sul
tema dei paradossi temporali.
Scritto
da Heinlein in un solo giorno, l'11 luglio 1958, il racconto fu
pubblicato per la prima volta nel numero di marzo 1959 della rivista
Fantasy
and Science Fiction,
dopo essere stato rifiutato da Playboy.
🌌Dal
racconto è stato tratto il film Predestination
del 2014, diretto da Michael e Peter Spieri.
Il
cinema si era già interessato alle storie di Heilein quando nel 1997
il regista Paul Verhoeven ha diretto Starship
Troopers - Fanteria dello spazio
(Starship
Troopers)
liberamente tratto dal romanzo Fanteria
dello spazio
del 1959 .
...All
You Zombies...è
considerato
come
uno dei migliori racconti sui paradossi temporali, insieme a By
his Bootstraps,
del
1941
(Un
gran bel futuro)
sempre
dello stesso autore.
Volendo
semplificare, potremmo dire che è la storia di un Narciso
intersessuale che, grazie alla sua
ambiguità biologica e alla
possibilità di viaggiare nel tempo, riesce finalmente a sedursi,
diventando allo stesso tempo padre e madre sé stesso/a.
Ma
in All
You Zombies,
Heinlein va
oltre e ci presenta una linea narrativa che si dipana in un
struttura circolare, un eterno ritorno di eventi ben
simboleggiato dall’uroboro, l’anello del protagonista a forma di
serpente che si morde la coda all’infinito.
E
gli zombi che il protagonista evoca nella solitudine della sua stanza
esistono davvero, o solo nella sua coscienza? Forse
il misterioso incidente del 1972, più volte evocato nel corso del
racconto, si è risolto in un olocausto del genere umano e l’unico
sopravvissuto continua a rivivere all’infinito le stesse vicende,
in
un universo popolato ormai solo dai
tanti
sé stesso e dalle ombre del passato.
🎯Altri titoli:
Tutti
i miei fantasmi
(Lerici Editori nell'antologia Fantascienza
della crudeltà, 1965)
O
tempora, o sexus!
(Feltrinelli Editore nell'antologia curata da Alex Vairo
Fantasesso,
1967)
Riflessione: I 5 classici paradossi temporali della sci-fi … e come evitarli
Tutti
voi zombi
Robert
A. Heinlein
22,17
- V Zona Temporale (EST) 7
novembre, 1970 -
New York City -
"Pop's
Place":
stavo
tirando a lucido un bicchiere da brandy quando la Ragazza Madre
entrò. Presi nota dell’ora - 10: 17 P. M, zona cinque, o zona
temporale occidentale,7 novembre, 1970. Gli agenti temporali
prendono sempre nota dell’ora e della data, è nostro dovere.
La
Ragazza
Madre era
un giovanotto sui venticinque anni, non più alto di me, dai
lineamenti infantili e un carattere irritabile. Non mi piaceva il suo
aspetto – non mi era mai piaciuto – ma era il ragazzo che ero
venuto a reclutare, era il mio uomo.
Gli rivolsi il mio miglior sorriso di barman.
Forse
sono un tantino ipercritico. Non
era uno strano, il suo soprannome derivava da quello che rispondeva
ogni volta che qualche ficcanaso gli chiedeva quale fosse il suo
mestiere: “Sono una ragazza madre...” Se era di umore meno
micidiale era solito aggiungere: “...per quattro centesimi a
parole. Scrivo per una rivista femminile.”
Se
era di cattivo umore, aspettava che qualcuno trovasse da obbiettare.
Aveva uno stile di lotta letale, come quello di una poliziotta –
ragion per cui volevo arruolarlo. Non solo per questo.
Aveva
bevuto molto, e la sua faccia rivelava che disprezzava la gente più
del solito. Senza parlare, gli versai una doppia dose di ‘Old
Underwear’ e gli lasciai la bottiglia. Lo bevve e se ne versò
un’altra. Ripulii il bancone. “Come va la faccenda della Ragazza
Madre?”
Le
sue dita si strinsero intorno al bicchiere e sembrava che stesse per
tirarmelo addosso, con la mano cercai il manganello sotto il bancone.
Nella manipolazione temporale si cerca di prevedere ogni situazione,
ma ci sono talmente tanti fattori che è preferibile non correre
rischi inutili.
Vidi
che si rilassava quel tanto che ti insegnano a riconoscere nel corso
di addestramento del Bureau. “Scusa,
ho detto - tanto per chiedere - ‘come va il lavoro?’ fai finta
che ti ho chiesto com’è il tempo.”
Sembrava
amareggiato, “Il lavoro va bene. Io scrivo, loro pubblicano quello
che scrivo, e così mangio.”
Mi
versai del whisky, sporgendomi verso di lui. “In effetti,” dissi,
“scrivi delle belle cose. Ne ho letto alcune. Hai un tocco
incredibilmente sicuro con il punto di vista femminile.”
Era
un passo
azzardato ma necessario,
lui non aveva mai dichiarato quali pseudonimi usava. Ma era
abbastanza cotto da afferrare solo l’ultima frase: “Punto
di vista femminile!” ripeté con un grugnito. “Siii,
conosco il punto di vista femminile. Almeno dovrei.”
“Davvero?”
chiesi dubbioso. “Sorelle?...”
“No.
Non mi crederesti se te lo dicessi….”
“Ma
va,” risposi con calma, “i baristi e gli psichiatri sanno che
niente è più strano della verità. Perché, figliolo, se tu potessi
ascoltare le storie che ascolto io... Diventeresti ricco.
Incredibili...”
“Tu
non sai che cosa vuol dire incredibile!”
“Davvero?
Niente può stupirmi. Ho sempre sentito qualcosa di peggio.”
Grugnì
di nuovo. “Vuoi scommettere il resto della bottiglia?”
“Ci
scommetto una bottiglia intera.” Ne piazzai una sul bancone.
“Bene...”
Feci segno all’altro barman di prendere il mio posto. Eravamo
all’estremità del bancone, uno spazio isolato che mantenevo
riservato ammucchiandoci sopra barattoli di uova in salamoia e altri
oggetti ingombranti. Dall’altro capo del bar c’erano alcuni
avventori che guardavano gli incontri di lotta mentre qualcun altro
stava suonando il juke box – eravamo tranquilli come in una camera
da letto.
"Okay,
" esordì, “per cominciare, sono un bastardo.”
“Lo
sono anch’io,” dissi.
“Dico
sul serio,” scattò. “I miei genitori non erano sposati.”
“Ancora
nessuna differenza,” insistei. “Non lo erano nemmeno i miei.”
“Quando...”
si interruppe, e mi diede la prima occhiata amichevole che gli avessi
mai visto. “Davvero?”
“Naturalmente.
Bastardo al cento per cento. Di fatto,” aggiunsi, “nella mia
famiglia non si sposa mai nessuno. Tutti bastardi.”
“Non
mi freghi… sei sposato.” E indicò il mio anello.
“Oh,
quello.” Glielo mostrai. Sembra proprio un anello nuziale, lo
indosso per tenere alla larga le donne. E’ un pezzo di antiquariato
che comprai nel 1985 da un mio collega in servizio attivo - lo
aveva portato dall’isola di Creta di
età pre-cristiana – Il verme Uroboroi…
Il serpente del mondo che
si morde la coda, per sempre, senza fine. Un
simbolo del Grande Paradosso.
Lo
guardò a mala pena. “Se sei veramente un bastardo, lo sai come ci
si sente. Quando ero una ragazzina...”
“Un
attimo!” dissi. “Ho sentito bene?”
“Chi
la sta raccontando questa storia? Quando ero una ragazzina –
Allora, non hai mai sentito parlare di Christine Jorgensonii?
O Roberta Cowelliii?”
“Uh,
casi di cambiamento di sesso? Stai cercando di dirmi---”
“Se
non la smetti di interrompermi o di anticiparmi, non dico più
niente. Sono una trovatella, abbandonata sulla porta di un
orfanotrofio a Cleveland nel 1945 quando avevo solo un mese. Da
ragazzina, invidiavo i bambini con i genitori. Poi, quando imparai le
cose del sesso – credimi, Pop, si impara presto in un
orfanotrofio.”
“Lo
so.”
“...giurai
solennemente che i miei figli avrebbero avuto un padre e una madre.
Mi conservai ‘pura,’ quasi un’impresa da quelle parti. Dovetti
imparare a combattere per riuscirci. Poi diventai grande e capii che
avevo dannatamente poche possibilità di sposarmi – era lo stesso
motivo per cui non ero stata adottata.” Il suo sguardo si incupì.
“Avevo una faccia equina, denti sporgenti, un seno piatto e capelli
dritti.”
“Il
tuo aspetto non è peggiore del mio.”
“A
chi importa dell’aspetto di un barista? O di uno scrittore? Ma le
persone che vogliono adottare un bambino scelgono un piccolo idiota
dagli occhi blu e i riccioli biondi. Crescendo, i ragazzi vogliono
tette sporgenti, un volto grazioso e un atteggiamento del tipo ‘Oh,
tu meraviglioso maschio.’” Rabbrividì. “Non potevo competere
così decisi di arruolarmi nelle P.U.T.T.A.N.E.”
“Eh?”
“Purché
gli Uomini Trovino Tanto Amore nel Nulla Esterno. Il corpo ora viene
chiamato ‘Angeli Spaziali’ - Ausiliarie del Nostro Godimento
Esclusivo - Legioni Interstellari.”
Conoscevo
entrambi i termini, a suo tempo li avevo studiati. Noi usiamo ancora
un terzo nome, riservato a corpi militari di elite:
T.
R. O. I. E.: Trattenimenti Rigeneranti per Operatori Interstellari
Esclusivamente.
I
mutamenti lessicali sono l’ostacolo maggiore nei salti temporali –
sapevate che ‘stazione di servizio’ in passato significava
‘distributore di benzina’? Una volta, mentre ero in missione
nell’era di Churchill, una donna mi disse, “Incontriamoci alla
stazione di servizio vicino casa mia...” che non significa quello
che pensate; una ‘stazione di servizio,’ allora, non aveva un
letto dentro. L’altro continuò: “Fu quando si riconobbe per la
prima volta che non è possibile mandare uomini nello spazio per mesi
ed anni senza dare sollievo alla loro tensione.
“Ricordi
come strillavano i bacchettoni? - Questo non fece altro che aumentare
le mie possibilità, dal momento che le volontarie erano scarse. Una
ragazza doveva essere rispettabile, assolutamente vergine
(preferivano istruirle partendo da zero), di intelligenza superiore
alla media ed emotivamente stabile. Ma la maggior parte delle
volontarie erano vecchie battone o nevrasteniche che avrebbero ceduto
nel giro di dieci giorni fuori dalla Terra. Pertanto, non mi serviva
essere bella, se mi avessero accettata avrebbero sistemato i miei
denti sporgenti, avrebbero messo in piega i miei capelli, mi
avrebbero insegnato a camminare e ballare e ad ascoltare un uomo con
aria estasiata, e tutto il resto – oltre al lavoro più importante.
Se necessario, avrebbero usato anche la chirurgia plastica – niente
era troppo per i nostri ragazzi.
“Soprattutto,
si assicuravano che tu non restassi incinta durante il servizio –
ed eri quasi certa di sposarti alla fine del viaggio. La stessa cosa
oggi, gli A. N. G. E. L. I. sposano gli spaziali – parlano la
stessa lingua.
Quando
compii i diciotto anni fui mandata a servizio come ragazza alla pari.
La famiglia voleva semplicemente una cameriera a poco prezzo, ma non
me ne importava, dal momento che non potevo arruolarmi prima dei
ventuno anni. Sbrigavo le faccende e frequentavo la scuola serale –
fingevo
di continuare a studiare dattilografia e stenografia come al liceo, e
invece me ne andavo ad una scuola di seduzione, per migliorare le mie
probabilità
di essere arruolata.
“Poi
incontrai quel damerino di città con i suoi bigliettoni da cento.”
Il suo sguardo si incupì. “Quel buono a nulla aveva un rotolo di
biglietti da cento. Me lo mostrò una notte, dicendomi di servirmi.
Ma non lo feci. Mi piaceva. Era il primo uomo che avessi mai
incontrato ad essere gentile con me senza cercare di farmi dei
giochini.
Lasciai perdere la scuola serale per incontrarlo più
spesso. E’ stato il periodo più felice della mia vita.
“Poi,
una notte, i giochini iniziarono.” Si fermò. Lo incalzai, “E
poi?”
“E
poi niente! Non lo rividi più. Mi accompagnò a casa e mi disse che
mi amava; mi diede il bacio della buona notte e non ritornò più.”
Il suo sguardo si incupì. “Se riuscissi trovarlo, lo ucciderei!”
“Beh,”
dissi con tono comprensivo, “So come ci si sente. Ma addirittura
ucciderlo – solo perché ha fatto una cosa tanto naturale –
forse… hai fatto resistenza?”
“Huh?
E questo che c’entra?”
“Insomma.
Forse si merita un paio di braccia rotte per averti abbandonata,
ma...”
“In
qualche modo riuscii a schivare ogni sospetto e decisi che tutto
andava per il meglio. Non ne ero stata veramente innamorata e
probabilmente non avrei mai amato nessuno – ed ero più che mai
ansiosa di arruolarmi nelle P.U.T.T.A.N.E. Non avevo perso punti, non
insistevano più di tanto sulla faccenda della verginità. Mi
tranquillizzai. Solo quando le mie gonne incominciarono ad andarmi
strette capii cosa era successo.
“Incinta?”
“Mi
aveva sistemato per le feste! Quei pidocchiosi con cui vivevo fecero
finta di niente finché fui in grado di lavorare – poi mi
cacciarono via a calci - nemmeno all’orfanotrofio vollero
riprendermi. Approdai in un ospedale per poveri circondata da altri
pancioni e pitali puzzolenti finché giunsi a termine.
“Una
notte mi trovai sul tavolo operatorio, con un’infermiera che mi
diceva, “Rilassati, fai dei bei respiri.”
“Mi
risvegliai a letto, paralizzata dal petto in giù. Entrò il
chirurgo. “Come si sente?” mi chiese scherzosamente.
“Come
una mummia.”
“E’
naturale. E’ tutta fasciata e piena di anestetico per tenere a bada
il dolore. Si rimetterà, ma un parto cesareo non è come togliere
una pellicina.”
“Un
cesareo!” esclamai. “Dottore… ho perso il bambino?”
“Oh,
no. Il suo bambino sta bene.”
“Oh.
Maschio o femmina?”
“Una
bimba sanissima. Due chili e mezzo.”
“Ero
sollevata. E’ una gran cosa, avere un bambino. Dissi a me stessa
che me ne sarei andata altrove e avrei avrei appiccicato ‘Mrs’ al
mio nome e avrei lasciato credere alla mia bambina che il suo papà
era morto – niente orfanotrofio per la mia bambina!
“Ma
il chirurgo stava continuando a parlare. “Mi dica, ehm...” evitò
di chiamarmi per nome, “ha mai pensato che il suo sistema
ghiandolare fosse strano?”
“Dissi,
“Come? Certo che no. Cosa sta cercando di dirmi?”
Esitò.
“Preferisco dirglielo tutto in una volta, poi le farò un’iniezione
per farla dormire e calmare l’agitazione. Perché si agiterà.”
“Per
quale motivo?” chiesi.
“Ha
mai sentito parlare di quella dottoressa scozzese che era stata donna
fino ai trentacinque anni? Poi fu operata e divenne legalmente e
clinicamente uomo? Si sposò, perfino. Tutto regolare.”
“E
cosa ha a che fare con me?”
“E’
quello che sto cercando di dirle. Lei è un uomo.”
“Provai
a sedermi. Cosa?”
“Si
calmi. Quando ho operato, ho trovato un gran casino. Ho mandato a
chiamare il primario mentre tiravo fuori la bambina, poi ci siamo
consultati con lei sul tavolo – e abbiamo lavorato per ore per
salvare il salvabile. Lei aveva due apparati riproduttivi completi,
entrambi immaturi, ma quello femminile era abbastanza sviluppato per
permetterle di avere un bambino. Ma non avrebbe potuto esserle più
utile, così lo abbiamo asportato e riorganizzato le cose in modo che
lei potesse correttamente svilupparsi come maschio.” Mi mise una
mano sulla spalla. “Non si preoccupi, lei è giovane, le sue ossa
torneranno a posto, terremo d’occhio il suo apparato ghiandolare –
e faremo di lei un bel giovanotto.”
“Iniziai
a piangere. “Che ne sarà della mia bambina?”
“Beh,
non può allattarla, non ha abbastanza latte nemmeno per un gattino.
Se fossi in lei, eviterei di vederla e la farei adottare.”
“No!”
“Scrollò
le spalle. “La scelta è sua, la madre è lei – voglio dire, il
genitore. Ma non se ne preoccupi per il momento, prima dobbiamo
rimetterla in sesto.”
“Il
giorno dopo mi lasciarono vedere la bambina e poi andai a vederla
ogni giorno – sforzandomi di abituarmi a lei. Non avevo mai visto
un bimbo nuovo di zecca, e non avevo idea di come fosse orribile il
loro aspetto – mia figlia sembrava una scimmietta arancione. I miei
sentimenti mutarono nella fredda determinazione di fare la cosa
giusta per lei. Ma quattro settimane più tardi questo non aveva più
alcun senso.”
"Eh?”
“L’avevano
portata via.”
“Portata
via?”
La
ragazza madre quasi rovesciò con un pugno la bottiglia che avevamo
scommesso. “Rapita – rubata dalla nursery dell’ospedale!” Il
suo respiro si fece affannoso. “Come si può portare via ad un uomo
l’ultima cosa per cui vivere?”
“Un
brutto affare,” convenni. “Lascia che te ne versi un altro.
Nessun indizio?”
“Niente
che fosse utile alla polizia. Qualcuno era venuto a vederla,
affermando di essere lo zio. Mentre l’infermiera gli girava le
spalle, se ne era andato via con la bambina,”
“Nessuna
descrizione.”
“Solo
che era un uomo, con una faccia qualunque, come la tua o la mia.”
Divenne cupo. “Penso che fosse il padre del bambino. L’infermiera
giurò che era più vecchio, ma probabilmente si era truccato. Chi
altro avrebbe potuto prendersi la mia bimba? Le donne senza figli
fanno certe pazzie. Ma chi ha mai sentito parlare di un uomo?”
“Poi
cosa ti è successo?”
“Ancora
undici mesi in quel posto deprimente e altre tre operazioni. Dopo
quattro mesi iniziò a crescermi la barba e prima che uscissi di là
mi radevo ormai regolarmente… e nessuno più dubitava che fossi un
uomo.” Sogghignò ironicamente. “Incominciavo a guardare la
scollatura delle infermiere.”
“Beh,”
dissi, “sembra che ne sei venuto fuori bene. Eccoti qui, un uomo
normale, che guadagna bene, senza grossi problemi. E la vita di una
donna non è così semplice...”
Mi
fissò. “Ne sai proprio proprio tanto!”
“Perché?”
“Hai
mai sentito l’espressione ‘una donna rovinata’?”
“Mah,
anni fa. Oggi non significa granché.”
“Io
ero una donna rovinata che più rovinata non si può; quel vigliacco
mi aveva letteralmente distrutta. Non ero più una donna… e non
sapevo come essere un uomo.”
“Questione
di abitudine, immagino.”
“Tu
non hai idea. Non mi riferisco a come imparare a vestirsi, o evitare
di entrare nella toilette sbagliata, quelle cose le avevo già
imparate in ospedale. Ma come avrei potuto mantenermi? Che lavoro
potevo fare? Diavolo, non sapevo nemmeno guidare una macchina. Non
avevo un mestiere, non potevo fare lavori manuali, troppo tessuto
cicatriziale, troppo fragile.
“Lo
odiavo anche perché aveva distrutto le mie possibilità di
arruolarmi nelle P.U.T.T.A.N.E., ma non sapevo bene quanto lo odiassi
finché cercai di arruolarmi nei Corpi Spaziali. Bastò un’occhiata
alla mia pancia e fui dichiarato inabile al servizio militare.
L’ufficiale medico perse tempo con me solo per curiosità, aveva
letto del mio caso.
“Così
cambiai nome e venni a New York. Per un po' lavorai come cuoco in una
friggitoria, poi noleggiai una macchina da scrivere e mi e mi misi in
proprio come pubblico stenografo – roba da ridere! In quattro mesi
battei a macchina quattro lettere e un manoscritto. Il manoscritto
era per Racconti
di vita vissuta ed
era tutta carta sprecata, ma il fessacchiotto che l’aveva scritto
riuscì a venderlo. Cosa che mi diede un’idea, comprai un bel po’
di riviste femminili e mi misi a studiarle.” Il suo sguardo si fece
cinico. “Adesso sai come ho fatto a conquistarmi l’autentico
punto di vista femminile necessario a scrivere una storia su una
ragazza madre… grazie all’unica versione che non avevo venduto –
quella vera. Ho vinto la bottiglia?”
La
spinsi verso di lui. Ero sconvolto anche io, ma c’era del lavoro da
fare. “Figliolo, vuoi ancora mettere le mani su quel tale?”
I
suoi occhi si illuminarono – era una luce ferina.”Un momento!”
dissi. “Non vorrai ucciderlo?”
Ridacchiò
in maniera sinistra. “Mettimi alla prova.”
“Vacci
piano. Ne so molto più di quanto credi. Posso aiutarti. So dove si
trova.”
Si
sporse sul bancone. “Dov’è?”
“Lascia
andare la mia camicia, ragazzo, o ti ritroverai steso nel vicolo e
racconteremo ai poliziotti che sei svenuto.” Gli dissi a bassa
voce, mostrandogli il manganello.
Lasciò
la presa. “Scusa. Ma dove si trova?” Mi guardò. “E come mai
sai tante cose?”
“Tutto
a tempo debito. Esistono i documenti. Gli archivi dell’ospedale, i
registri dell’orfanotrofio, le cartelle mediche. La direttrice del
tuo orfanotrofio era Mrs. Fetherage – giusto? Dopo c’è stata
Mrs. Gruenstein – giusto? Il tuo nome da ragazza era Jane, giusto?
E tu non mi hai detto niente di tutto questo, giusto?”
Era
senza fiato e un anche
po’
spaventato. “Che storia è questa? Stai cercando di mettermi
nei pasticci?”
“Assolutamente
no. La tua sorte mi sta a cuore. Posso mettere quel tipo nelle tue
mani. Fai di lui quello che ti pare – e ti garantisco che non ci
saranno conseguenze. Ma non credo che tu voglia ucciderlo. Saresti
matto a farlo – e tu non sei matto. Non proprio.”
Ignorò
le mie parole. “Taglia corto. Dove si trova?”
Gli
versai un bicchierino; era
ubriaco, ma la rabbia stava facendo prendere una piega sbagliata alle
cose. “Non così in fretta. Io faccio qualcosa per te, tu fai
qualcosa per me.”
“Uh…
cosa?”
“A
te non piace il tuo lavoro. Che ne diresti di un buono stipendio,
lavoro fisso, conto spese illimitato, dipendere solo da te stesso,
niente monotonia e tanta avventura?”
Mi
fissò. “Direi ‘Togliete quella dannata renna dal mio tetto!’
Vai a quel paese, Pop – un lavoro del genere non esiste.”
“Va
bene, mettiamola così: lo metto nelle tue mani, tu fai i conti con
lui, poi provi il mio lavoro. Se non è come dico, allora non ti
tratterrò.”
Stava
tremando, effetto dell’ultimo bicchierino. “Quando me lo
consegni?” chiese con voce impastata.
“Se
è affare fatto, subito!”
Mi
porse la mano. “Affare fatto!”
Feci
cenno al mio assistente di occuparsi di tutto il bancone, presi nota
dell’ora - 23,00 – e incominciai ad infilarmi attraverso il
cancelletto del bancone quando il juke box iniziò a strombazzare:
‘Sono il mio nonninoiv!’
Il tecnico aveva ordine di caricarlo con brani tradizionali e
classici, perché non mandavo proprio giù la musica degli anni ‘70,
ma non sapevo che fosse stato caricato quel nastro. Gridai: “Spegni
quel coso! Restituisci i soldi al cliente.” Poi aggiunsi, “Vado
nel magazzino e torno subito,” e mi diressi lì seguito dalla
Ragazza Madre.
Si
trovava in fondo ad uno stretto corridoio di fronte alle toilette,
una porta d’acciaio di cui solo io e il responsabile del turno
diurno avevamo la chiave; all’interno c’era una porta che
conduceva ad un’altra stanza di cui solo io avevo la chiave. Fu lì
che andammo.
Il
ragazzo si guardò intorno, osservando con sconcerto le pareti senza
finestre. “Dov’è?”
“Un
momento.” Aprii una cassa, l’unica cosa che ci fosse in quella
stanza. Era un trasformatore
di coordinate ultra compatto, serie 1992, Mod. II – una bellezza,
niente parti mobili, ventitré chili a pieno carico, e assemblato in
modo da passare per una valigia. Lo
avevo regolato alla precisione durante
il giorno,
ora
non
mi restava che lanciare la rete metallica che limita il campo di
trasformazione. Cosa
che feci.
“Cos’è
questo?” mi chiese.
“Una
macchina del tempo,” dissi e lanciai la rete su di noi.
“Ehi!”
gridò andando indietro. Questa operazione richiede una tecnica
specifica: la rete deve essere lanciata in modo che il soggetto
retroceda istintivamente finendoci dentro, poi la rete viene chiusa
con tutti e due completamente dentro – altrimenti puoi lasciare
fuori le suole delle scarpe o un pezzo di piede, o puoi tirarti
dietro una fetta di pavimento. Ma questa è tutta l’abilita che ci
vuole. Alcuni agenti spingono il soggetto nella rete con l’inganno,
io gli dico la verità e uso quel momento di assoluta incredulità
per girare l’interruttore. E così feci.
10,30
-VI-3 Aprile 1963 - Cleveland, Ohio-Apex Building:
“Ehi!”
ripeté. “Metti via questo accidenti!”
“Spiacente!”
mi scusai, rimossi la rete, la infilai nella scatola e richiusi. “Mi
avevi detto che volevi trovarlo.”
“Ma…
tu mi avevi detto che questa era una macchina del tempo!”
Lo
invitai a guardare fuori da una finestra. “Questo ti sembra
novembre? Oppure New York?” Mentre lui guardava a bocca aperta le
gemme dei fiore e il tempo primaverile, io riaprii la cassa, tirai
fuori una mazzetta di banconote da cento, controllai che i numeri di
serie e le firme fossero compatibili con il1963. A quelli
dell’ufficio temporale non importa come spendi i soldi (non costano
niente), ma non approvano inutili anacronismi. Troppi errori e una
corte marziale al completo può mandarti in esilio per un anno in un
periodo particolarmente odioso, per esempio il 1974 con i suoi rigidi
razionamenti e lavoro forzato. Non faccio mai certi errori: il denaro
era OK.
Si
girò e disse, “Cosa è successo?”
“Il
tuo uomo è qui. Esci e vallo a prendere. Eccoti i soldi per le tue
spese.” Glieli allungai e aggiunsi, “Risolvi con lui, poi vengo a
prenderti.”
Le
banconote da cento dollari hanno un effetto ipnotico su una persona
che non c’è abituata. Li stava sfogliando con incredulità mentre
lo accompagnavo all’uscita e chiudevo la porta - Il salto
successivo fu facile, solo un piccolo spostamento nella stessa era.
17,00
-VI-10 Marzo
1964 - Cleveland-Apex Building.
C’era
un avviso sotto la porta che diceva che il mio affitto sarebbe
scaduto la settimana successiva, altrimenti la stanza sarebbe stata
esattamente come l’avevo lasciata un attimo prima. Fuori, gli
alberi erano spogli e minacciava di nevicare; agii in tutta fretta,
fermandomi giusto il tempo per prendere il denaro dell’epoca, una
giacca, un cappello e un cappotto che avevo lasciato lì quando avevo
affittato la stanza. Noleggiai un’auto e andai all’ospedale. Mi
ci vollero venti minuti per distrarre l’infermiera quel tanto
necessario a portare via la bambina senza essere notato. Ritornammo
allo Apex Building. Questa volta il salto temporale fu più
complicato, dal momento che quell’edificio non esisteva nel 1945.
Ma lo avevo già calcolato.
1,00
-VI-20 Settembre.
1945 – Cleveland - Skyview Motel: il
trasferitore, la bambina ed io arrivammo in un motel fuori città. In
precedenza mi ero registrato come ‘Gregory Johnson, Warren, Ohio,’
così arrivammo in una stanza con le tende chiuse, le finestre
bloccate, le porte serrate e il pavimento sgombro per dare spazio ad
eventuali oscillazioni della macchina. Puoi procurarti un brutto
livido se una sedia si trova dove non dovrebbe essere – non per la
sedia, naturalmente, ma per il contraccolpo del campo del
trasferitore.
Nessun
problema. Jane era profondamente addormentata; la portai fuori, la
misi in una scatola di cartone sistemata sul sedile della macchina
che mi ero procurato in precedenza, guidai fino all’orfanotrofio,
la misi sui gradini, guidai
per altri due isolati fino ad una ‘stazione di servizio’ (di
quelle che distribuiscono carburanti) e telefonai all’orfanotrofio,
tornai indietro giusto in tempo per vedere che stavano portando
dentro la scatola, continuai a guidare e abbandonai l’auto vicino
al motel – entrai e saltai in avanti nell’Apex Building
nel
1963.
22,00
-VI-24 aprile 1963 - Cleveland-Apex Building. Avevo calcolato il
tempo con precisione – l’accuratezza temporale è questione di
attimi, eccetto quando si ritorna a zero. Se i miei calcoli erano
corretti, Jane stava scoprendo nel parco, durante questa tiepida
notte primaverile, che dopo tutto non era la ragazza perbene che
credeva di essere. Acchiappai al volo un taxi fino alla casa di quei
pidocchiosi dei suoi padroni, dissi all’autista di aspettarmi
dietro l’angolo mentre mi nascondevo nell’ombra. Poco dopo li
vidi arrivare in fondo alla strada, tutti abbracciati. L’accompagnò
fino alla veranda e si diede da fare con un lungo bacio della bona
notte, più lungo di quanto credessi. Poi lei entrò in casa e lui si
avviò lungo la strada. Gli scivolai accanto e infilai il mio braccio
sotto il suo. “E’ fatta, figliolo,” gli annunciai pacatamente.
“Sono tornato a prenderti.”
“Tu!”
ansimò e trattenne il respiro.
“Io.
Ora sai chi è lui – e dopo che ci avrai riflettuto, saprai chi sei
tu… e se spremi bene le meningi, capirai chi è la bambina… e chi
sono io.”
Non
mi rispose, stava tremando da capo a piedi. E’ un duro colpo
scoprire che non puoi resistere alla tentazione di sedurti.
23,00
-VIII - 12 agosto, 1985 - Base sotterranea delle Montagne Rocciose.
Svegliai
il sergente di guardia, gli mostrai il mio tesserino e gli dissi di
mettere a letto il mio accompagnatore con un sonnifero e di
arruolarlo il mattino successivo.
Il
sergente sembrava contrariato, ma il grado è grado, in qualunque
periodo; fece ciò che gli avevo chiesto – pensando, senza dubbio,
che la prossima volta che ci saremmo incontrati lui avrebbe potuto
essere il colonnello ed io il sergente. Cosa che può accadere a noi
agenti temporali. “Il nome?” chiese. Lo scrissi. Alzò le
sopracciglia. “Ah, è così? Mm…”
“Si
limiti a fare il suo lavoro, sergente.” Mi voltai verso il mio
compagno.
“Figliolo,
i tuoi guai sono finiti. Stai per iniziare il miglior lavoro che un
uomo abbia mai avuto – e lo farai bene. Lo so.”
“Ma…”
“Niente
ma. Fatti una buna notte di sonno, poi dai un’occhiata a tutta la
faccenda. Ti piacerà.”
“Proprio
così!” concordò il sergente. “Guardami, nato nel 1917, eppure
sono ancora qui, ancora giovane e ancora capace di godermi la vita!”
Ritornai nella stanza del salto, sistemai ogni cosa e preselezionai
zero.
23,01-V-7
Nov. 1970-NYC -"Pop's Place": uscii dal magazzino con una
bottiglia di Drambuie per giustificare il minuto durante il quale mi
ero allontanato. Il mio assistente stava discutendo con il cliente
che aveva selezionato ‘Sono il mio nonnino!’ Gli dissi, “Oh,
lascia perdere, quando la canzone finisce, stacca la spina.” Ero
molto stanco. E’ un duro lavoro, ma qualcuno deve farlo, e negli
ultimi anni è diventato molto difficile arruolare qualcuno, dopo
l’Errore del 1972. Perciò, cosa può esserci di meglio che andare
a pescare gente con una vita completamente incasinata là dove sono e
offrirgli un lavoro ben pagato e interessante (anche se pericoloso)
per una causa necessaria? Ora tutti sanno perché la Guerra Fiasco
del 1963 fu un fiasco. La bomba con il numero di New York sopra non
esplose, un centinaio di altre cose non andarono come progettato –
tutto sistemato da quelli come me.
Eccetto
l’errore del’72, quello non è stato un nostro errore – e non
può essere cancellato: non c’è nessun paradosso da risolvere. Una
cosa è oppure non è, ora e per sempre, amen. Ma non ce ne sarà un
altro del genere, un ordine datato 1992 ha la precedenza in qualunque
anno.
Chiusi
cinque minuti prima e lasciai una lettera nel registratore di cassa
in cui dicevo al mio socio del turno diurno che accettavo la sua
proposta di rilevare la mia quota e di rivolgersi al mio avvocato dal
momento che stavo per partire per una lunga vacanza. Il dipartimento
poteva decidere se incassare o meno il pagamento, ma vogliono che le
cose siano fatte perbene. Andai nella stanza sul retro del magazzino
e saltai avanti nel 1993.
22,00
-VII- 12 gennaio 1993 – Alloggi della base sotterranea delle
Montagne Rocciose - Quartier generale temporale: mi registrai con
l’ufficiale di turno e andai nel mio alloggio, con l’intenzione
di dormire per una settimana. Avevo portato con me la bottiglia che
avevo scommesso (dopo tutto, l’avevo vinta) e ne bevvi un
bicchierino prima di andare a dormire. Aveva un saporaccio e mi
chiesi perché mai mi fosse sempre piaciuto l’Old Underwear. Ma era
meglio di niente, non mi piace essere perfettamente sobrio, penso
troppo. Ma nemmeno mi piace scolarmi la bottiglia, gli altri vedono i
serpenti, io vedo le persone. Dettai il mio rapporto: quaranta
arruolamenti tutti approvati dal dipartimento psichico – incluso il
mio, e sapevo già che sarebbe stato approvato. Ero qui, o no? Poi
registrai la richiesta di essere assegnato al servizio operativo, non
ne potevo più di fare il reclutatore. Li inserii entrambi
nell’apposita buca e mi diressi verso il letto.
Gli
occhi caddero su “Le leggi del tempo,” appese sopra il mio letto:
Non
fare ieri quello che dovresti fare domani.
Se
finalmente ci riesci, non provarci un’altra volta.
Un
punto dato in tempo ne salva nove miliardi.
Un
paradosso può essere deparadossato.
E’
prima di quanto tu creda.
Gli
antenati sono solo persone.
Perfino
Giove a volte sonnecchiav.
Non
mi ispiravano più come quando ero una recluta, trenta anni
soggettivi di salti temporali ti consumano. Mi spogliai e quando mi
misi giù mi osservai la pancia. Un cesareo lascia una grossa
cicatrice, ma ora sono così peloso che non la noto, a meno che non
la cerco.
Poi
guardai l’anello sul mio dito.
Il
serpente che si mangia la coda, all’infinito. Io so da dove vengo –
ma tutti voi zombi da dove venite?
Sentivo
che stava per venirmi il mal di testa, ma una polvere per l’emicrania
è una cosa che non prendo. Una volta l’ho fatto – e tutti voi
siete spariti. Così strisciai nel letto e spensi la luce. Voi non
siete veramente là. Non c’è nessun altro eccetto me – Jane –
qui sola nel buio.
Mi
mancate terribilmente.
FINE
i
L'uroboro, o uroburo, o uroboros o ouroboros,
è un simbolo molto antico, presente in molti popoli e in diverse
epoche. Rappresenta un serpente o un drago che si morde la coda,
formando un cerchio senza inizio né fine. Apparentemente immobile,
ma in eterno movimento, rappresenta il potere che divora e rigenera
se stesso, l'energia universale che si consuma e si rinnova di
continuo, la natura ciclica delle cose, che ricominciano dall'inizio
dopo aver raggiunto la propria fine. Simboleggia quindi l'unità, la
totalità del tutto, l'infinito, l'eternità, il tempo ciclico,
l'eterno ritorno, l'immortalità e la perfezione.
ii
Christine
Jorgensen,
nata George William Jorgensen Jr. (New York, 30 maggio 1926 – San
Clemente, 3 maggio 1989), è divenuta famosa per essere stata una
delle prime persone al mondo ad essersi sottoposte al cambio di
sesso: nel suo caso, da uomo a donna.
iii
Roberta Elizabeth Marshall Cowell, nata Robert Marshall
Cowell (Croydon, 8 aprile 1918 – Hampton, 11 ottobre 2011), è
da uomo stata un aviatore britannico, sposato e padre di due figli,
conosciuto per essersi sottoposto, il 15 maggio 1951, a
vaginoplastica, un metodo chirurgico inventato e messo in pratica
dal dottor Harold Gillies. È, insieme a Coccinelle e Christine
Jorgenssen, una delle più note transessuali del dopoguerra.
iv
"I'm My Own Grandpa" è una canzone comica del
1947, che parla di un uomo che, grazie ad una serie di improbabili
(ma legali) matrimoni diviene il nonno di sé stesso. L’idea fu
suggerita agli autori da un aneddoto di Mark Twain ("Very
Closely Related" appare a pagina 87 di Wit and Humor of the
Age, del 1883.)
Very
Closely Related.
"Well,
Sam, I'll tell you how it is. You see, I married a widow, and this
widow had a daughter. Then my father, being a widower, niarried our
daughter, so you see my father is my own son-in-law." "
Yes, I see." " Then again my step-daughter is my
step-mother, ain't she? Well, then, her mother is my grandmother,
ain't she ? I am married to her, ain't I ? So that makes me
my own grandfather,
doesn't it ?
v Variazione
di: ‘Perfino Omero a volte sonnecchia’ per rafforzare il
concetto che anche i grandi possono sbagliare.
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