Cresciuta nell’epoca di transizione tra mercantilismo e industrialismo, ne descrisse con limpida immediatezza il declino, imponendosi come una delle voci più incisive della letteratura regionale. Nei suoi racconti (Deephaven, 1877; L’airone bianco, A White Heron, 1877) e romanzi (Il paese degli abeti aguzzi, The Country of the Pointed Firs, 1896) i porti deserti ridotti a luoghi di villeggiatura, le campagne abbandonate, i costumi in mutamento, le rare sopravvivenze del passato, sono descritti con empatia e delicata malinconia.
Ma è l’amore per la natura a caratterizzare i suoi scritti, al punto da essere considerata una delle prime scrittrici ecologiste. Ne ‘L’airone bianco’ riesce a creare sorprendenti corrispondenze tra vita vegetale, animale e esseri umani e tra le diverse sensibilità che caratterizzano questi ultimi, dando vita al dilemma che è alla base al racconto.
Così, nella speranza di scoprire dove si trova il nido di quell’uccello raro ed elusivo, decide di arrampicarsi sul maestoso pino che delimita il confine del bosco, e da cui si può guardare intorno per miglia, fino al mare. L’impresa non è facile e ha il sapore di un vero e proprio rito iniziatico. Quando alla fine, lacera e ferita, arriva in cima, la bellezza della natura all’alba la incanta, e da lassù finalmente vede venire verso di lei l’airone bianco. Una volta scesa da quell’albero, che non è solo un confine fisico, ma psicologico, quale sarà la sua decisione? Cederà alle lusinghe del mondo esterno, oppure serberà per sé il segreto dell’airone bianco con cui, per un momento, ha condiviso la bellezza del creato?
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Una parabola sul rapporto uomo-natura, una storia esemplare che racconta «come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre la distruzione.»
Ernest Hemingway - Il vecchio e il mare
Un romanzo sulla natura e la resilienza dell’essere umano. Un modo per imparare ad affrontare la vita.Filelfo - L’assemblea degli animali - Una favola selvaggia
Piena di meravigliose invenzioni, L’assemblea degli animali è una favola che racconta la storia più urgente del nostro tempo: come salvare la Terra dall’uomo e l’uomo da sé stesso.
L’airone bianco
Sarah Orne Jewett
Sunset in the woodlands - Tricia Reichert |
I.
Una sera di giugno, poco prima delle otto, i boschi si erano già riempiti di ombre, sebbene un infuocato tramonto continuasse a brillare debolmente tra i tronchi degli alberi. Una ragazzina stava riportando a casa la sua vacca, una creatura dal comportamento lento, pigro e irritante, ma proprio per questo un apprezzato compagno. Si stavano allontanando dalla luce dell’occidente per immergersi nel cuore del bosco, ma il sentiero era familiare ai loro piedi, e non importava se i loro occhi non potessero vederlo o no.
Non c’era notte d’estate in cui si potesse trovare la vecchia mucca aspettare allo steccato del pascolo, al contrario, il suo più grande piacere era andare a nascondersi tra i cespugli di bacche e sebbene indossasse un rumoroso campanaccio, aveva scoperto che rimanendo perfettamente immobile non suonava. Così Sylvia doveva darle la caccia fin quando non la trovava e gridare Mu! Mu! senza mai ricevere un Muu di risposta, finché la sua pazienza di bambina non si esauriva del tutto. Se l’animale non avesse prodotto del buon latte e in abbondanza, la situazione sarebbe sembrata molto diversa ai suoi proprietari. Inoltre, Sylvia aveva tutto il tempo che voleva e poco da fare. A volte, quando il tempo era buono, era una consolazione considerare le marachelle della mucca come un intelligente tentativo di giocare a nascondino e dal momento che la bambina non aveva compagni della sua età, si dedicava a questo gioco con tutto lo zelo.
Sebbene la caccia si fosse protratta così a lungo che il cauto animale aveva dato un insolito segnale del suo nascondiglio, Sylvia aveva semplicemente riso quando scovò madama Moolly vicino alla palude e la spinse affettuosamente verso casa con un ramoscello di foglie di betulla. La vecchia mucca non aveva voglia di girovagare oltre e, per una volta, svoltò perfino nella giusta direzione quando lasciarono il pascolo e camminò lungo la strada di buon passo. Adesso era pronta per essere munta e si fermò di rado a brucare l’erba. Sylvia si chiese cosa avrebbe detto la nonna per il fatto che era così in ritardo. Era trascorso un bel po’ di tempo da quando avevano lasciato casa alle cinque e mezzo, ma tutti sapevano quanto fosse difficile sbrigare quella faccenda in poco tempo.
La signora Tilley aveva lei stessa dato la caccia a quel tormento con le corna per così tante sere d’estate che non avrebbe biasimato nessuno per essersi attardato, e mentre aspettava era semplicemente grata che, adesso, ci fosse Sylvia a dare un così valido aiuto. La buona donna sospettava che occasionalmente Sylvia vagabondasse per conto proprio; da quando il mondo era stato creato non c’era mai stato un bambino che amasse tanto gironzolare all’aria aperta! Tutti dicevano che era stato un buon cambiamento per una ragazzina che aveva cercato di crescere per otto anni in un’affollata città industriale ma, per quanto la riguardava, a Sylvia sembrava di non essere mai stata viva prima di venire a stare alla fattoria. Spesso pensava con nostalgica compassione ad un misero geranio che apparteneva ad un suo vicino in città.
“ ‘Ha paura della gente’ ” disse fra sé la vecchia signora Tilley, sorridendo, di ritorno alla fattoria dopo aver fatto l’improbabile scelta di Sylvia dalla casa piena di bambini di sua figlia. “ ‘Ha paura della gente’ ” hanno detto! Scommetto che non se ne preoccuperà più molto su nella vecchia casa!” Quando raggiunsero la porta della vecchia abitazione e si fermarono ad aprirla e il gatto venne a fare delle sonore fusa e a strofinarglisi contro, un gattino abbandonato, di fatto, ma grasso a forza di mangiare giovani pettirossi, Sylvia sussurrò che questo era un bellissimo posto in cui vivere e che non avrebbe mai più voluto tornare a casa.
Le due compagne seguirono l’oscuro sentiero fra i boschi, la mucca lentamente e la bambina a passi molto svelti. La mucca si fermò a bere lungo il ruscello, come se il pascolo non fosse una mezza palude, e Sylvia stette immobile e aspettò, lasciando che i suoi piedi nudi si rinfrescassero nell’acqua bassa, mentre le grandi falene del tramonto le sbattevano dolcemente contro. Guadò il ruscello mentre la mucca riprendeva il cammino e ascoltò i tordi con il cuore che le batteva forte di piacere. C’era un gran tramestio tra i grandi rami sopra di lei. Erano pieni di uccellini e animaletti che sembravano essere ben svegli mentre andavano in giro per il loro mondo o si auguravano la buona notte con sonnolenti cinguettii. Anche Sylvia sentiva una certa sonnolenza mentre continuava a camminare, non mancava molto alla casa e l’aria era dolce e mite. Non le capitava spesso di fare così tardi nei boschi e questo la fece sentire come se fosse parte delle grige ombre e delle foglie in movimento. Stava proprio pensando a quanto le sembrasse lungo il tempo trascorso da quando era venuta per la prima volta alla fattoria un anno prima, e si chiedeva se nella sua rumorosa città tutto andasse avanti come quando ci viveva, il pensiero del ragazzone dalla faccia rossa che era solito inseguirla per spaventarla la fece correre lungo il sentiero per sfuggire alle ombre degli alberi.
Improvvisamente questa piccola ragazza dei boschi è presa dalla paura nel sentire un nitido fischio non molto lontano. Non il fischio di un uccello, che sarebbe stato in qualche modo amichevole, ma il fischio di un ragazzo, ostinato e alquanto aggressivo. Sylvia abbandonò la mucca a qualsiasi triste fato potesse essere in agguato e si infilò discretamente nei cespugli al lato del sentiero, ma troppo tardi. Il nemico l’aveva scoperta e la chiamò con fare allegro e persuasivo, “Ehilà, ragazzina, quanto è lontana la strada?” e tutta tremante Sylvia rispose con un filo di voce, “Un bel po’.” Non osò guardare apertamente in faccia quel giovanotto alto che portava un fucile in spalla, ma uscì fuori dal suo cespuglio e riprese a seguire la mucca, mentre lui le camminava a fianco.“Sono stato a caccia di uccelli,” disse gentilmente lo straniero, “e ho smarrito la strada e ho tanto bisogno di un amico. Non aver paura,” aggiunse con galanteria. “Parla tranquillamente e dimmi come ti chiami e se pensi che possa trascorrere la notte a casa tua e andare a caccia domattina sul presto” Sylvia era ancora più allarmata di prima. La nonna non l’avrebbe giudicata meritevole di essere sgridata? Ma chi avrebbe potuto prevedere un simile incidente? Non sembrava che fosse colpa sua e piegò la testa come se lo stelo che la reggeva si fosse rotto, ma riuscì a rispondere “Silvy,” con grande sforzo quando il suo compagno le chiese di nuovo il nome.
La signora Tilley era ferma sulla soglia della porta quando il trio giunse in vista. La mucca emise un sonoro muggito a mo’ di spiegazione. “Sì, faresti meglio a parlare per te, vecchio tormento! Dove si era cacciata questa volta, Sylvia?” ma Sylvia mantenne un intimorito silenzio, istintivamente sapeva che la nonna non capiva la gravità della situazione. Doveva aver scambiato lo straniero per uno dei ragazzi della campagna circostante.
Il giovane appoggiò il fucile accanto alla porta e lì vicino fece cadere un pesante carniere, quindi diede la bona sera alla signora Tilley, ripeté la sua storia di viandante e chiese se potesse essere alloggiato per una notte. “Sistematemi dove vi pare,” disse. “Devo andare via domattina presto, prima di giorno, ma sono anche molto affamato. Potete darmi del latte, comunque, è chiaro.” “Santo cielo, sì,” rispose la padrona di casa, il cui senso dell’ospitalità a lungo dormiente sembrava essersi facilmente risvegliato. “Potreste cenare meglio lungo la strada maestra, a circa un miglio da qui, ma condivideremo volentieri quello che abbiamo. Vado a mungere la vacca, e voi fate come se foste a casa vostra. Potete dormire sulla paglia o sulle piume,” propose gentilmente. “Le ho allevate tutte io. C’è una buona pastura per le oche proprio qui sotto, verso la palude. Ora fila dentro e metti un piatto per questo gentiluomo, Sylvy!” E Sylvia ubbidì prontamente. Era felice di avere qualcosa da fare, e aveva fame anche lei.
Fu una sorpresa trovare una piccola dimora così pulita e confortevole in quell’angolo selvaggio del New England. Il giovanotto aveva conosciuto gli orrori delle sue più primitive abitazioni e il tetro squallore di quella parte di società che non si ribella alla compagnia delle galline. Questo era il miglior esempio di frugalità di una fattoria vecchio stile, anche se su una scala così piccola da sembrare un eremo. Ascoltò volentieri i discorsi all’antica della vecchia signora, osservò il volto pallido di Sylvia e i suoi brillanti occhi grigi con crescente entusiasmo e insisté a dire che questa era la miglior cena che avesse mangiato da un mese a quella parte e poi i novelli amici sedettero insieme sulla soglia di casa mentre la luna sorgeva.
Presto sarebbe stata la stagione delle bacche, e Sylvia era di grande aiuto nella raccolta. La mucca dava abbondante latte, anche se era un tormento starle dietro, la padrona di casa chiacchierava in modo schietto, aggiungendo subito che aveva seppellito quattro figli, così la madre di Sylvia e un figlio in California (che poteva essere morto) erano tutti i figli che le erano rimasti. “Dan, il mio ragazzo, era un gran cacciatore,” spiegò malinconica. “Non mi sono mai mancati pernici o scoiattoli grigi quando era a casa. E’ sempre stato un gran giramondo, credo, e non è bravo a scrivere lettere. Ecco, non lo rimprovero, avrei girato il mondo io stessa se solo avessi potuto. “Sylvy gli rassomiglia,” continuò la nonna affettuosamente, dopo una breve pausa. “Non c’è un palmo di terra qui intorno che non conosca alla perfezione e gli animali selvatici la considerano una di loro. Ha addomesticato scoiattoli e ogni sorta di uccelli a prendere il cibo dalle sue mani. Lo scorso inverno fece venire le ghiandaie a gironzolare qui intorno, e credo che si sarebbe privata di parte del suo cibo per avere abbastanza da dare a loro, se non fossi stata attenta. Sono disposta ad aiutare tutti ma non i corvi – glielo dico sempre – anche se Dan ne aveva addomesticato uno che sembrava ragionare come una persona. Dan e suo padre non legavano – ma lui non si riprese più dopo che Dan lo sfidò e andò via.”
L’ospite non fece caso a quell’accenno ai dispiaceri di famiglia nel suo pressante interesse per qualcos’altro. “Così Sylvy sa tutto sugli uccelli, vero?” esclamò, guardando verso la ragazzina che sedeva al chiaro di luna, molto sulle sue e sempre più assonnata. “Anche io sto mettendo insieme una collezione di uccelli. Ci sto lavorando da quando ero un ragazzo.” (La signora Tilley sorrise.) “Ci sono due o tre specie molto rare a cui sto dando la caccia in questi ultimi cinque anni. Ho intenzione di catturarle per la mia attività se riesco a trovarli.” “Li tenete in gabbia?” chiese la signora Tilley perplessa, in risposta a questo entusiastico annunzio. “Oh no, vengono imbalsamati e conservati, a dozzine,” disse l’ornitologo, “e li ho presi tutti io, con il fucile o con le trappole. Ho intravisto un airone biancoi a poche miglia da qui, sabato scorso e l’ho seguito in questa direzione. Non sono mai stati trovati in questo distretto. Il piccolo airone bianco, cioè,” e si voltò di nuovo a guardare Sylvia nella speranza di scoprire che quel raro uccello fosse uno dei suoi amici. Ma Sylvia stava guardando un rospo che saltellava sul viottolo.
Il cuore di Sylvia ebbe un sussulto, conosceva quello strano uccello bianco e una volta si era avvicinata furtivamente là dove si era fermato, sull’erba verde brillante della palude, lontano, dall’altra parte del bosco. C’era uno spazio aperto dove stranamente la luce del sole sembrava sempre gialla e calda, dove crescevano alti giunchi penduli e la nonna l’aveva avvertita che avrebbe potuto affondare nel fango nero e morbido sottostante e non avrebbero più sentito parlare di lei. Poco più in là c’erano gli acquitrini salmastri, e proprio da quella parte c’era il mare, su cui Sylvia aveva fantasticato e sognato a lungo, ma che non aveva mai visto, la cui voce cupa si poteva a volte sentire sopra il rumore dei boschi nelle notti di tempesta.
“Non riesco a pensare a niente che potrebbe piacermi quanto trovare quel nido di airone,” disse il bello sconosciuto. “Darei dieci dollari a chiunque potesse mostrarmelo,” aggiunse con disperazione, “e sono intenzionato a trascorrere le mie vacanze dandogli la caccia, se necessario. Forse stava solo migrando, o era stato scacciato dal suo territorio da qualche uccello predatore.”
La signora Tilley prestava una stupefatta attenzione a tutto ciò, ma Sylvia rimaneva a guardare il rospo, senza immaginare, come avrebbe potuto fare in una situazione più tranquilla, che la creatura desiderava entrare nel suo buco sotto la soglia di casa e che ne era impedita da quegli insoliti spettatori a quell’ora della sera. Per quanto si sforzasse di pensarci, quella sera, non riuscì a decidere quanti tesori a lungo desiderati avrebbe potuto comprare con quei dieci dollari, promessi con tanta facilità.
Il giorno dopo il giovane cacciatore gironzolò per i boschi e Sylvia gli tenne compagnia, avendo perso la sua iniziale paura per quel giovanotto amichevole, che si rivelò estremamente gentile e affabile. Le raccontò tante cose sugli uccelli e quello che sapevano e dove vivevano e cosa facevano. E le diede un coltello a serramanico, che a lei sembrò un grande tesoro, come se fosse stata il naufrago di un’isola deserta. Per tutta la giornata non una volta la turbò o la spaventò, eccetto quando tirò giù dal suo ramo un’ignara creatura canterina. A Sylvia sarebbe piaciuto immensamente di più senza il suo fucile, non riusciva a capire perché uccidesse proprio quegli uccelli che sembrava amare tanto. Ma mentre il giorno svaniva, Sylvia continuò a guardare il giovanotto con devota ammirazione. Non aveva mai visto nessuno così affascinante e incantevole, il cuore di donna, che dormiva nella bambina, era vagamente eccitato da un sogno d’amore. Una confusa premonizione di quel grande potere scosse e turbò queste giovani creature che attraversavano i boschi solenni con la silenziosa attenzione dei loro passi felpati. Si fermarono ad ascoltare il canto di un uccello, ripresero il cammino con impazienza, scansando i rami, rivolgendosi raramente la parola e a bassa voce, il giovane avanti e Sylvia dietro, affascinata, a pochi passi di distanza, con i suoi occhi grigi scuri per l’eccitazione.
Scena di caccia - Brett James Smith |
Era triste perché il tanto desiderato airone bianco non si faceva vedere, ma non guidò l’ospite, si limitò a seguirlo, e non una volta che parlasse per prima. Il suono non richiesto della sua voce l’avrebbe terrorizzata – era già abbastanza arduo rispondere sì o no quando era necessario. Finalmente arrivò la sera e insieme riportarono la mucca a casa, e Sylvia sorrise di piacere quando arrivarono dove aveva sentito il fischio e si era spaventata solo la sera prima.
II.
A mezzo miglio da casa, sul confine più remoto dei boschi, dove il terreno era più alto, si trovava un grande pino, l’ultimo della sua generazione. Non si sapeva se fosse stato lasciato lì per segnare un confine o per qualche altra ragione, i boscaioli che avevano abbattuto i suoi compagni erano morti da lungo tempo e un’intera foresta di robusti alberi, pini e querce, era cresciuta di nuovo. Ma l’imponente cima di questo vecchio pino torreggiava su di loro ed era un punto di riferimento dal mare e dalla costa per miglia e miglia. Sylvia lo sapeva bene. Aveva sempre creduto che chiunque fosse salito sulla sua cima avrebbe potuto vedere l’oceano, e la ragazzina aveva spesso appoggiato la mano sul grande tronco rugoso e aveva guardato in alto con ansia verso quei grandi rami scuri che il vento agitava in continuazione, non importa quanto potesse essere calda e ferma l’aria al di sotto. Ora pensò al grande albero con una nuova eccitazione, perché, se uno si ci arrampicava sul far del giorno, non avrebbe forse potuto vedere il mondo intero e scoprire facilmente dove volava l’airone bianco, segnarsi il posto e trovare il suo nido nascosto?
Quale spirito di avventura, quale sfrenata ambizione! Quale agognato trionfo e delizia e gloria nella tarda mattinata, quando avrebbe potuto rivelare il suo segreto! Era quasi troppo vero e troppo grande da sopportare per quel cuore di bambina.
La porta della casetta rimase aperta tutta la notte e il povero frustino venne a cantare proprio sull’uscio. Il giovane cacciatore e la sua anziana ospite dormivano profondamente, ma il grandioso progetto di Silva la tenne del tutto sveglia e vigile. Dimenticò di pensare a dormire. La breve notte estiva sembrò lunga come l’oscurità invernale e alla fine il povero frustino la smise e lei ebbe paura che il mattino, dopo tutto, sarebbe arrivato troppo presto. Uscì in silenzio dalla casa e seguì il sentiero del pascolo attraverso il bosco, affrettandosi verso la radura più in là, ascoltando con un senso di conforto e compagnia il cinguettio sonnolento di un uccello mezzo addormentato, il cui rifugio aveva urtato nel passare. Che peccato se la grande ondata dell’interesse per un essere umano, che per la prima volta aveva agitato questa piccola vita tranquilla, dovesse spazzare via le soddisfazioni di un’esistenza cuore a cuore con la natura e la muta vita della foresta!
Ed ecco il grande albero, ancora addormentato alla pallida luce lunare, e la piccola e ingenua Sylvia iniziò con estremo coraggio a salire verso la sua cima, mentre il sangue le scorreva dentro eccitato e fremente, con i piedi nudi e le dita che si stringevano e si aggrappavano come artigli di uccello a quella gigantesca scala che arrivava su, su, fin quasi al cielo. Prima dovette salire sulla quercia bianca che vi cresceva accanto, dove quasi si perse tra i rami scuri e le verdi foglie pesanti e umide di brina; un uccello volò via dal suo nido e uno scoiattolo rosso corse avanti e indietro e rimproverò stizzito l’innocua intrusa. Sylvia riuscì a trovare facilmente la strada. Si era spesso arrampicata lì, e sapeva che ancora più in alto uno dei rami superiori della quercia sfregava contro il tronco del pino, proprio dove i suoi rami più bassi crescevano fitti. Era lì che la grande impresa sarebbe veramente iniziata, una volta fatto il pericoloso passaggio da un albero all’altro. Infine, scivolò lungo il ramo oscillante della quercia e compì il temerario passaggio sul vecchio pino. Il percorso fu più arduo di quanto avesse immaginato, dovette allungarsi molto e aggrapparsi saldamente, gli affilati rametti secchi l’afferravano e la trattenevano e la graffiavano come artigli rabbiosi, la resina rese impacciate e rigide le sue piccole dita mentre girava tutto intorno al grande tronco dell’albero, sempre più verso l’alto. I passeri e i pettirossi nei boschi sottostanti stavano iniziando a risvegliarsi e a cinguettare al sorgere del sole, tuttavia sembrava molto più luminoso lì sopra il pino, e la bambina sapeva che doveva affrettarsi perché il suo progetto servisse a qualcosa.
Mentre si arrampicava, l’albero sembrava allungarsi e arrivare sempre più in alto. Rassomigliava ad un grande albero maestro sulla terra in viaggio; quella mattina doveva essersi veramente stupito, in ogni parte della sua ponderosa struttura, quando sentì quell’ostinata scintilla di spirito umano farsi strada da un ramo più alto all’altro. Chi poteva sapere con quanta forza gli ultimi ramoscelli si erano tenuti saldi per favorire il cammino di questa leggera e debole creatura? Il vecchio pino doveva aver amato il suo nuovo ospite. Molto più di tutti i falchi e pipistrelli e falene, perfino dei melodiosi tordi, era il cuore intrepido e palpitante di questa solitaria bambina dagli occhi grigi. E quella mattina di giugno l’albero restò immobile e cacciò via i venti, mentre ad est l’alba diventava sempre più luminosa.
A vederlo da terra, il volto di Sylvia sembrava una pallida stella, quando, superato l’ultimo ramo spinoso, rimase tremante e sfinita, ma assolutamente trionfante, alta sulla cima dell’albero.
Sì, ecco il mare, con il sole che sorgeva e vi rifletteva sopra un bagliore dorato e verso quel luminoso oriente volavano due falchi con un lento movimento d’ali. Come sembravano bassi nell’aria da quell’altezza, mentre prima li aveva visti soltanto in alto, scuri contro il cielo blu. Le loro penne grige erano soffici come falene, sembravano solo ad un passo dall’albero e Sylvia sentiva di poter volare anche lei tra le nuvole.
Verso occidente, i boschi e le fattorie si stendevano per miglia e miglia in lontananza, qui e là c’erano campanili di chiesa e bianchi villaggi, era davvero un mondo vasto e maestoso. Gli uccelli cantavano sempre più forte. Infine, il sole sorse incredibilmente luminoso. Sylvia poteva vedere le bianche vele delle navi sul mare, e le nuvole che prima erano colorate di viola, rosa e giallo, incominciavano a svanire. Dov’era il nido dell’airone bianco in quel mare di rami verdi, e questa meravigliosa veduta e lo spettacolo del mondo era l’unica ricompensa per essersi arrampicata ad una così vertiginosa altezza? Ora, Sylvia, guarda di nuovo giù, dove la verde palude è incastonata tra le betulle scintillanti e gli scuri abeti, là dove una volta hai visto l’airone bianco, lì lo vedrai di nuovo; guarda, guarda! La sua macchia bianca simile ad una singola penna fluttuante si alza da quell’abete morto e diventa sempre più grande e va su e finalmente si avvicina e passa accanto al pino che segna il confine, con un ritmico battito di ali e lo snello collo allungato e la testa crestata.
Ma aspetta! aspetta! Non muovere un piede o un dito, ragazzina, non mandare una frecciata di luce e consapevolezza dai tuoi occhi ansiosi, perché l’airone si è posato sul ramo di un pino non lontano dal tuo e risponde al richiamo della sua compagna nel nido e strofina le penne col becco per il nuovo giorno! La bambina fa un profondo sospiro quando un minuto dopo arriva sull’albero anche una banda di urlanti uccelli gatto e, disturbato dal loro svolazzare e dal loro disordine, il solenne airone se ne vola via. Ora conosce il suo segreto, quel solitario, leggero, snello uccello che fluttua e ondeggia e come una freccia ritorna alla sua casa nel verde mondo sottostante. Allora Sylvia, finalmente soddisfatta, riprende il suo pericoloso cammino verso il basso, non osando guardare troppo al di sotto del ramo su cui si trova, sul punto di piangere, a volte, perché le dita le fanno male e i piedi indolenziti scivolano. Continuando a chiedersi che cosa le avrebbe detto lo straniero e cosa avrebbe pensato di lei quando gli avrebbe rivelato come trovare la strada per il nido dell’airone.
“Sylvy, Sylvy!” continuava a chiamare preoccupata la vecchia nonna, ma nessuno rispondeva, e il piccolo pagliericcio era vuoto e Sylvia era sparita.
L’ospite si era svegliato da un sogno e ricordando l’importanza di quella giornata corse a vestirsi perché potesse iniziare il prima possibile. Era sicuro, dall’espressione che la timida ragazzina aveva avuto un paio di volte, che avesse almeno visto l’airone bianco e ora bisognava farla finalmente parlare. Eccola che arrivava, più pallida che mai, e il suo vecchio grembiule sdrucito è malconcio e lacero e imbrattato dalla resina del pino. La nonna e il cacciatore stanno insieme sulla porta di casa e le fanno domande, ed è arrivato lo splendido momento di parlare del pino morto presso la verde palude.
Ma, alla fine, Sylvia non parla, sebbene la vecchia nonna la rimproveri nervosamente e gli occhi gentili e supplichevoli di quel giovanotto guardino dritto nei suoi. Le può riempire di soldi, lo ha promesso, e adesso loro sono povere. Lui merita davvero di essere reso felice, e sta aspettando di sentire la storia che ora lei può raccontargli.
No, deve rimanere in silenzio! Che cos’è che improvvisamente la trattiene e la rende muta’ E’ cresciuta per nove anni e ora, quando il grande mondo per la prima volta le porge la mano, la deve respingere per amore di un uccello? Nelle sue orecchie c’è il mormorio dei verdi rami del pino, ricorda come l’airone bianco è arrivato volando attraverso l’aria dorata e come hanno guardato insieme il mare e il mattino, e Sylvia non può parlare, non può rivelare il segreto dell’airone e gettare via la sua vita.
Cara lealtà, soffristi un acuto dolore quando, più tardi, l’ospite andò via deluso, invece avresti potuto servirlo e seguirlo e amarlo come ama un cane! Per molte notti Sylvia udì l’eco del suo fischio risuonare lungo il sentiero del pascolo mentre tornava a casa con la sua mucca girandolona. Dimenticò perfino il dolore provato all’assordante sparo del suo fucile e alla vista di tordi e passeri che cadevano giù in silenzio, i loro canti zittiti e le loro graziose penne macchiate e umide di sangue. Quegli uccelli erano stati amici migliori di quanto avrebbe potuto esserlo il loro cacciatore? Chi può dirlo.
Qualunque tesoro lei avesse perso, voi boschi e tempo d’estate, ricordatevene! Portate i vostri doni e le vostre delizie e raccontate i vostri segreti a questa solitaria bambina di campagna!
FINE
i Little white heron – chiamato anche snowy egret, questo uccello all'epoca veniva cacciato per le sue lunghe penne, usate come ornamento nei cappelli da donna. Dato che questo particolare tipo di penne si sviluppa esclusivamente nel periodo di nidificazione, l'uccisione degli adulti condannava a morte anche i piccoli appena nati.
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