Cane
e gatto
John
Silence, Physician Extraordinary di Algernon Blackwood fu
pubblicato nel 1908. La
raccolta conteneva “Un’invasione paranormale” (A
Psychical Invasion), “Antichi sabba” (Ancient Sorceries),
“Culti segreti” (Secret Worship), “Un licantropo in
campeggio” (The Camp of the Dog) e “La nemesi del fuoco”
(The Nemesis of Fire), cui va ad aggiungersi “Una vittima dello
«Spazio superiore»” (A Victim of Higher Space), scritto in
seguito e pubblicato solamente nel 1914. Filo conduttore, il suo
protagonista, John Silence, capostipite di tutta una serie di
detective dell’occulto che arriva fino ai giorni nostri con la
graphic novel di Dylan Dog.
Non
è il primo detective dell’occulto, prima di lui c’erano stati il
dottor Hesselius di Le Fanu e Van Helsing di Stoker. E' però
con John Silence che la figura viene effettivamente sdoganata nel
fantastico e subito presa a modello da William Hope Hodgson, due anni
dopo, col suo Carnacki.
In
particolare, il personaggio di Blackwood deve molto a Sherlock
Holmes sia per il suo essere londinese, sia per le notevoli
capacità di osservazione sia per esser spesso coadiuvato da un
assistente (il suo segretario Mr. Hubbard, che è anche voce
narrante). A differenza di Holmes, però, il Silence è un vero e
proprio occultista dotato di poteri che vanno oltre al comune
poliziotto, in più è laureato in medicina ed è benestante di
famiglia. Un dottore assai singolare, che “non si faceva pagare
perché era un filantropo” e “accettava solo i casi non
remunerativi o quelli che lo interessavano per qualche ragione
particolare.”
Nel
corso delle sue ricerche il Nostro ha a che fare praticamente con
tutti gli elementi dell’immaginario horror moderno: case infestate,
mummie e lupi mannari inclusi, ma soprattutto con le potenze crudeli
e misteriose dell’Altra Realtà, corpi astrali ed ectoplasmi, che
attendono l’occasione buona per irrompere in quella regione umana
maldestramente cinta dalle categorie della ragione.
Nel
racconto lungo Una
invasione psichica, il
dottor Silence affronta il caso di un artista che,
attraverso l’uso di stupefacenti, scatena
le energie malefiche che si erano accumulate nella sua casa, una
volta residenza di “una donna dalla
vita e dal carattere singolarmente atroci che alla fine morì
impiccata.”
Blackwood ci mostra il classico caso di una abitazione infestata da
una presenza malefica: il soggetto è tutt’altro che originale,
però l’autore ci mette la sua magistrale capacità di suscitare
brividi sottili mediante un graduale incupirsi dell’atmosfera, fino
a raggiungere il culmine della tensione, avvalendosi anche delle
singolari conoscenze occultistiche, accumulate quando faceva parte
della tanto discussa società Golden
Dawn.
JOHN
SILENCE: IL MEDICO MIRACOLOSO
Un'invasione
psichica
Algernon
Blackwood
I
“E
cosa le fa pensare che potrei esserle di aiuto in questo particolare
caso?” chiese il dottor John Silence, lanciando uno sguardo
alquanto scettico alla signora svedese seduta di fronte a lui.
“Il
suo cuore sensibile e la sua conoscenza dell’occultismo...”
“Oh,
per favore… quella parola terribile!” la interruppe, sollevando
un dito con un gesto d’impazienza.
“Bene,
allora,” replicò lei ridendo, “il suo meraviglioso dono della
chiaroveggenza e la sua collaudata conoscenza psichica del processo
grazie a cui una personalità può essere disintegrata e distrutta…
questi strani studi che sperimentate da tanti anni...”
“Se
è solo un caso di personalità multipla, allora devo rifiutare,”
si affrettò ad interromperla di nuovo il dottore, con un’espressione
annoiata negli occhi.
“Non
è così, ora, per favore, sia serio, perché voglio il suo aiuto.”
disse la donna; “e se sceglierò le parole in maniera poco
accurata, dovrà essere paziente con la mia ignoranza. Il caso che
conosco la interesserà e nessun altro potrebbe occuparsene
altrettanto bene. In effetti, un normale professionista non potrebbe
occuparsene affatto, perché so che non c’è terapia o medicina che
possa restituire il perduto senso dell’umorismo!”
“Il
suo ‘caso’ comincia ad interessarmi,’” le rispose e si mise
comodo per ascoltare.
Mrs.
Sivendson tirò un sospiro di soddisfazione quando lo vide andare
all’interfono e lo sentì dire al cameriere che non voleva essere
disturbato.
“Credo
che lei mi abbia già letto nel pensiero,” disse; “la sua
conoscenza intuitiva di ciò che succede nella mente delle altre
persone è sicuramente prodigiosa.”
Il
suo amico scosse la testa e sorrise mentre sistemava la sedia in una
posizione comoda e si preparava ad ascoltare attentamente quello che
lei aveva da dire. Il dottore chiuse gli occhi, come faceva sempre
quando voleva cogliere il vero significato di una narrazione che
poteva essere espressa in modo inadeguato, perché, grazie a questo
metodo, trovava più semplice sintonizzarsi con i pensieri autentici
nascosti dietro le parole incerte.
John
Silence era considerato un eccentrico dai suoi amici, perché era
ricco per caso e, per scelta … un dottore. Che un uomo
economicamente indipendente dovesse dedicare il suo tempo alla
professione medica, soprattutto prendendosi cura della gente che non
poteva pagare, oltrepassava completamente la loro comprensione.
L’innata nobiltà di un’anima il cui principale desiderio era
quello di aiutare coloro che da soli non potevano aiutarsi, li
disorientava. Poi, questo li irritò al punto che, con sua somma
soddisfazione, lo abbandonarono ai suoi marchingegni.
Il
dottor Silence, tuttavia, era un libero professionista che non aveva
un suo ambulatorio o un segretario, né tanto meno una metodologia
professionale. Non prendeva parcelle, essendo nel fondo del cuore un
sincero filantropo, e tuttavia, allo stesso tempo, non faceva alcun
danno ai suoi colleghi, perché accettava solo casi dove non c’era
niente da guadagnare e casi che lo interessassero per un qualche
particolare motivo. Sosteneva che i ricchi potevano pagare, le
persone molto povere potevano rivolgersi a organizzazioni
caritatevoli, ma che una numerosa classe di lavoratori mal pagati e
orgogliosi, spesso amanti delle arti, non poteva permettersi il costo
di una settimana di paga solo per sentirsi dire di fare un viaggio.
Ma
c’era un altro aspetto della sua personalità e della sua
professione quello che ora ci interessa più da vicino, perché i
casi che lo attraevano particolarmente non erano di un tipo comune,
ma piuttosto di quella natura intangibile, elusiva e complessa meglio
descritta come turbe psichiche e, sebbene lui fosse l’ultima
persona ad approvare quel titolo, era ormai fuori questione che fosse
conosciuto, più o meno da tutti, come ‘dottore del paranormale.’
Allo
scopo di cimentarsi con casi del genere, si era sottoposto ad un
lungo e severo addestramento, allo stesso tempo fisico, mentale e
spirituale. In cosa consistesse esattamente questo addestramento, o
dove vi si fosse sottoposto, nessuno sembrava saperlo - perché non
ne parlava mai, dal momento che, infatti, egli non tradiva
nessun’altra caratteristica del ciarlatano - ma il fatto che il suo
addestramento avesse comportato la sua totale scomparsa dal mondo per
cinque anni e che, quando era ritornato e aveva iniziato la sua
singolare professione, nessuno si era mai sognato di apostrofarlo con
il facile epiteto di imbonitore, testimoniava a favore della serietà
della sua strana ricerca e anche della genuinità dei risultati
ottenuti.
Per
i moderni investigatori dell’occulto egli provava la calma
tolleranza di colui che sa. C’era una traccia di
compassione nella sua voce – non mostrava mai disprezzo – quando
parlava dei loro metodi.
“Questa
classificazione dei risultati è, nel migliore dei casi, un lavoro
privo di ispirazione,” mi disse una volta, dopo che ero stato suo
assistente di fiducia per alcuni anni. “Non porta da nessuna parte
e anche dopo un centinaio di anni non condurrà da nessuna parte. Si
sta giocando con il lato sbagliato di un giocattolo piuttosto
pericoloso. Molto meglio, sarebbe, esaminare le cause, e poi i
risultati andrebbero a posto molto facilmente e si spiegherebbero da
soli. Perché le fonti sono accessibili e aperte a tutti coloro che
hanno il coraggio di condurre quella vita che sola rende possibile e
sicura ogni investigazione sul campo.”
E
riguardo al problema della chiaroveggenza, inoltre, il suo
atteggiamento era decisamente sensato, perché sapeva quanto fosse
estremamente raro l’autentico potere e che quella che viene
comunemente chiamata chiaroveggenza non è niente più che un forte
potere di visualizzazione.
“Esso
connota una sensibilità leggermente aumentata, niente di più,”
era solito dire. “Il vero chiaroveggente deplora il suo potere,
sapendo che aggiunge nuovo orrore alla vita ed è per sua natura una
sofferenza. E scoprirai che questo è sempre il modo migliore per
smascherarli.”
Così
accadde che John Silence, questo medico con una formazione così
insolita, fosse in grado di selezionare i suoi casi con una chiara
conoscenza della differenza tra una mera suggestione isterica e il
genere di turbe psichiche che reclamavano i suoi poteri speciali. Non
trovò mai necessario ricorrere ai dozzinali misteri della
divinazione perché, come l’ho sentito argomentare, dopo la
soluzione di qualche problema particolarmente complesso, “I sistemi
di divinazione, dalla geomanziai
fin giù alla lettura delle foglie del tè, sono soltanto altrettanti
metodi per oscurare la visione esteriore, affinché si possa
dischiudere la visione interiore. Una volta che si è diventati
padroni del metodo, nessun sistema è più necessario.”
E
queste parole erano rivelatrici dei metodi di questo uomo
eccezionale: la chiave di volta su cui si fondava il suo potere
consisteva, prima di tutto, nella consapevolezza che il pensiero può
agire a distanza e, secondariamente, che il pensiero è dinamico e
può conseguire risultati materiali.
“Impara
a pensare,” avrebbe voluto dire, “e avrai imparato a spillare il
potere alla sua sorgente.”
Riguardo
al suo aspetto – aveva passato la quarantina – era di
costituzione snella, con espressivi occhi marroni in cui brillava la
luce della conoscenza e della fiducia in sé stesso e, allo stesso
tempo, facevano pensare a quella meravigliosa gentilezza che si vede
più spesso negli occhi degli animali. Una fitta barba nascondeva la
bocca senza dissimulare la ferma determinazione delle labbra e della
mascella; il viso comunicava in qualche modo un’impressione di
limpidezza, quasi di luce, tanto delicatamente erano disegnati i suoi
lineamenti.
Sulla
sua bella fronte c’era quell’indefinibile tocco di pace che viene
dall’identificare la mente con ciò che di permanente c’è
nell’anima, lasciando scivolar via ciò che vi è di transitorio
privo del potere di ferire o di arrecar danno; mentre, dal suo modo
di fare, - così gentile, tranquillo e cordiale - pochi avrebbero
saputo indovinare la forza di volontà che gli bruciava dentro come
una grande fiamma.
“Penso
che dovrei descriverlo come un caso psichico,” continuò la signora
svedese, cercando, ovviamente, di esprimersi nel modo più preciso
possibile, “e proprio del genere che preferisce. Voglio dire un
caso dove la causa è profondamente nascosta in un disaggio
spirituale, e...”
“Ma
prima i sintomi, per favore, mia cara svenska,” la
interruppe, con una serietà di modi stranamente autoritaria, “e
poi le sue deduzioni.”
Lei
si girò bruscamente sul bordo della sedia e lo fissò in faccia,
abbassando la voce, per evitare di tradire le proprie emozioni troppo
facilmente.
“Secondo
me, c’è soltanto un sintomo,” disse quasi sussurrando, come se
stesse dicendo qualcosa di sgradevole - “paura… semplicemente
paura.”
“Paura
fisica?”
“Non
credo; tuttavia, come posso escluderlo? Credo che sia un orrore
generatosi nella regione psichica. Non è un’ordinaria
allucinazione, l’uomo è del tutto sano di mente, ma vive nel
terrore mortale di qualcosa...”
“Non
so quello che intende dire con ‘regione psichica’” disse il
dottore con un sorriso, “tuttavia suppongo che voglia suggerirmi
che sono i suoi processi spirituali, e non quelli mentali, ad essere
colpiti. Comunque, cerchi di dirmi concisamente e chiaramente quello
che sa di quest’uomo, i suoi sintomi, il suo bisogno di aiuto, il
mio particolare aiuto, cioè, e tutto ciò che sembra vitale in
questo caso. Prometto di ascoltarvi in religioso silenzio.”
“Ci
sto provando,” continuò seriamente, “ma devo farlo a parole mie
e confidare nella sua intelligenza per districarsi mentre procedo. Si
tratta di un giovane scrittore, e vive in una piccola casa fuori
Putney Heathii.
Scrive racconti umoristici – quasi un genere a parte: Pender –
deve aver sentito il suo nome - Felix Pender. Oh, quell’uomo aveva
un grande talento, e si sposò proprio contando su di esso: il suo
futuro sembrava assicurato. Dico ‘aveva,’ perché, quasi
improvvisamente, il suo talento lo abbandonò completamente. Peggio,
si trasformò nel suo contrario. Non può più scrivere una sola riga
nello stile che gli stava procurando tanto successo...”
Il
dottor Silence aprì gli occhi per un secondo e la fissò.
“Allora
continua a scrivere? Il suo potere non è svanito?” chiese
brevemente e poi chiuse di nuovo gli occhi per ascoltare.
“Lavora
come una furia,” proseguì la donna, “ma non produce niente –
esitò un momento - “niente che possa usare o vendere. Le sue
entrate sono praticamente cessate e conduce una vita molto precaria
scrivendo recensioni o facendo i lavori più disparati – alcuni
veramente strani. Tuttavia, sono convinta che il suo talento non lo
ha veramente abbandonato del tutto, ma è semplicemente...”
Di
nuovo Mrs. Sivendson esitò alla ricerca della parola giusta.
“Sospeso,”
suggerì il dottore, senza aprire gli occhi.
“Rimosso,”
continuò lei, dopo un momento per soppesare la parola,
“semplicemente rimosso da qualcos’altro...”
“Da
qualcun altro?”
“Vorrei
saperlo. Tutto quello che posso dire è che è tormentato e il suo
senso dell’umorismo è temporaneamente appannato – andato –
rimpiazzato da qualcosa di tremendo che scrive ben altro. A meno che
non si intervenga in maniera professionale, morirà semplicemente di
fame. Eppure, ha paura di rivolgersi ad un dottore per timore di
essere dichiarato pazzo e, comunque, non ci si può rivolgere ad un
dottore per chiedergli di restituirci il nostro perduto senso
dell’umorismo in cambio di una ghinea.”
“ Ne
ha mai contattato qualcuno…?
“Niente
dottori, per il momento. Ha tentato con preti e persone religiose, ma
ne sanno così poco e hanno una così scarsa capacità di
comprensione. E la maggior parte di loro è così occupata a stare in
equilibrio sui loro piccoli piedistalli...”
John
Silence fermò la sua filippica con un gesto.
“E
come mai lei sa tante cose su di lui?” chiese gentilmente.
“Conosco
molto bene Mrs.
Pender
– la conoscevo prima che si sposasse.”
“Ed
è forse lei la causa?”
“No
di certo. E’ una persona devota, una donna con un’ottima
istruzione, sebbene senza essere veramente intelligente e con un
senso dell’umorismo così scarso, che ride sempre al momento
sbagliato. Ma non ha niente a che fare con la causa del malessere del
marito e, infatti, se ne è resa conto soprattutto osservandolo,
piuttosto che da quel poco che le ha detto. E lui, deve sapere, è
una persona veramente amabile, un gran lavoratore, paziente… del
tutto meritevole di essere salvato.”
Il
dottor Silence aprì gli occhi e attraversò la stanza per suonare il
campanello per il tè. Riguardo al caso dell’umorista, non ne
sapeva molto più di quando si era seduto ad ascoltare la prima
volta; ma capiva che le parole della sua amica svedese, per quanto si
sforzasse, non sarebbero state di aiuto a svelare la realtà dei
fatti. Soltanto un colloquio personale con lo scrittore avrebbe
potuto farlo.
“Tutti
gli umoristi meritano di essere salvati,” disse con un sorriso,
mentre la signora versava il tè. “Non possiamo permetterci di
perderne nemmeno uno in questi tempi così difficili. Andrò a
trovare il suo amico alla prima occasione.”
La
donna lo ringraziò calorosamente, con una gran profusione di parole
e lui, con molta difficoltà, da quel momento in poi tenne la
conversazione rigorosamente circoscritta alla teiera.
Come
risultato di questa conversazione e di qualche altra informazione che
aveva raccolto con mezzi ben noti a lui e al suo segretario, qualche
giorno più tardi, di pomeriggio, stava sfrecciando nella sua
automobile verso Putney Hill per avere il suo primo colloquio con
Felix Pender, lo scrittore umoristico vittima di qualche misteriosa
affezione nella sua ‘regione psichica,’ che aveva cancellato il
suo senso del comico, minacciato di mandare a pezzi la sua vita e
distruggere il suo talento. E nel dottore, il desiderio di aiutare
era probabilmente forte quanto il suo desiderio di conoscere e
investigare.
Il
motore si fermò con un rumore cupo, come se una grande pantera nera
si nascondesse nel cofano. Il dottore – il ‘dottore del
paranormale,’ come veniva chiamato a volte – uscì nella nebbia
che incominciava a salire e si incamminò attraverso il minuscolo
giardino che conteneva un abete annerito e uno stentato cespuglio di
alloro. La casa era molto piccola e ci volle del tempo prima che
qualcuno rispondesse al campanello. Poi, improvvisamente,
nell’ingresso si accese una luce e sulla soglia di casa apparve una
graziosa donnina che gli fece cenno di entrare.
Era
vestita di grigio e la luce a gas cadde su una massa di capelli
chiari accuratamente spazzolati. Sulla parete dietro di lei erano
appesi polverosi uccelli impagliati e una disordinata esposizione di
lance africane. Una cappelliera, con un piatto di bronzo pieno di
grandi cartine per sigarette, guidò brevemente il suo sguardo fino
alla cupa rampa di scale poco più in là. Mrs. Pender aveva occhi
tondi come quelli di un bambino e lo salutò con un entusiasmo che a
stento nascondeva la sua emozione, tuttavia si sforzava di apparire
cordiale in modo naturale. Evidentemente, era rimasta a guardare in
attesa del suo arrivo e aveva preceduto la cameriera. Era leggermente
affannata.
“Spero
che non abbia atteso a lungo – penso che sia stato estremamente
gentile a venire...” iniziò e poi si fermò di colpo quando vide
la faccia di lui alla luce della lampada. C’era qualcosa nello
sguardo del dottor Silence che non incoraggiava chiacchiere inutili.
In quel momento era serio come nessuno mai.
“Buona
sera, Mrs. Pender,” disse, con un sorriso tranquillo che
conquistava fiducia ma deprecava parole superflue, “La nebbia mi ha
alquanto rallentato. Felice di vederla.”
Entrarono
in un modesto salottino sul retro della casa, ammobiliato con cura ma
deprimente. Sulla mensola del focolare erano allineati alcuni libri.
Il fuoco era stato appena acceso, evidentemente. Riempiva la stanza
di grossi sbuffi di fumo.
“Mrs.
Sivendson mi aveva parlato di una sua probabile visita,” si
avventurò di nuovo la donnina, rivolgendogli uno sguardo amabile e
tradendo ansia e impazienza in ogni gesto. “Ma stentavo a crederci.
Penso che sia davvero gentile da parte sua. Il caso di mio marito è
così particolare che… ebbene, sono certa che un dottore normale
avrebbe immediatamente parlato di manicomio...”
“Non
è dentro, quindi?” chiese gentilmente il dottor Silence.
“In
manicomio?” ansimò la donna. “Oh Dio, no, non ancora!”
“A
casa, intendevo, ” disse ridendo.
Mrs.
Pender diede un grosso sospiro.
“Sarà
qui a momenti,” gli rispose, ovviamente sollevata nel vederlo
ridere; “ma il fatto è, che non vi aspettavamo così presto –
voglio dire, mio marito pensava che non sarebbe venuto affatto.”
“Mi
fa sempre piacere venire… quando sono veramente desiderato e posso
essere di aiuto,” disse prontamente, “e forse, è molto meglio
che suo marito sia fuori, perché adesso che siamo soli può dirmi
qualcosa circa i suoi problemi. Finora, mi creda, ho saputo molto
poco.”
La
voce le tremò mentre lo ringraziava e quando venne a sedersi al suo
fianco, ebbe difficoltà a trovare le parole per iniziare.
“In
primo luogo,” iniziò timidamente e poi continuando con uno
scroscio nervoso di parole incoerenti, “sarà semplicemente
entusiasta della sua venuta, perché ha detto che lei è l’unica
persona che avrebbe accettato di vedere – l’unico dottore, voglio
dire. Ma, naturalmente, non sa quanto io sia spaventata, o quello che
ho notato. Con me, finge che sia solo un esaurimento nervoso e sono
sicura che non si rende conto di tutte le strane cose che gli ho
visto fare. Ma la cosa principale, suppongo...”
“Sì,
la cosa principale, Mrs. Pender,” disse per incoraggiarla, notando
la sua esitazione.
“...è
che pensa che non siamo soli in casa. Questa è la cosa principale.”
“Mi
riferisca più fatti – solo i fatti.”
“Iniziò
tutto la scorsa estate, quando ritornai dall’Irlanda; era rimasto
qui da solo per sei settimane e pensai che avesse un aspetto stanco e
malato – il viso era sfinito e confuso, se sa quello che voglio
dire, e nel complesso sembrava senza forze. Disse che aveva lavorato
sodo, ma che l’ispirazione l’aveva in qualche modo abbandonato e
che non era soddisfatto di quello che aveva scritto. Disse che il suo
senso dell’umorismo lo stava abbandonando, o si stava trasformando
in qualcos’altro. C’era qualcosa nella casa – dichiarò –
che” - enfatizzò le parole - “gli impediva di sentirsi
allegro.”
“Qualcosa
in casa che gli impediva di sentirsi allegro,” ripeté il dottore.
“Ah, incominciamo ad avvicinarci al cuore del problema!”
“Sì,”
continuò Mrs. Pender in modo incerto, “questo è quello che
continuava a ripetere.”
“Piccole
cose, ma mi sembravano significative. Cambiò la stanza di lavoro
dalla biblioteca, come la chiamiamo, al salotto. Disse che tutti i
personaggi diventavano cattivi e terribili in biblioteca; mutavano,
così gli sembrava di scrivere tragedie – tragedie abbiette e
corrotte, le tragedie di anime malvagie. Ma ora dice lo stesso del
salotto, ed è tornato in biblioteca.”
“Ah!”
“Purtroppo,
c’è così poco che possa dirle,” continuò, parlando sempre più
in fretta e gesticolando senza sosta. “Voglio dire, sono solo
piccole cose, che fa e dice, ad essere strane. Quello che mi spaventa
è che pensa che ci sia qualcun altro nella casa – qualcuno che io
non ho mai visto. In realtà, non ne parla mai, ma l’ho visto farsi
da parte sulle scale per lasciar passare qualcuno, l’ho visto
aprire le porte per lasciare entrare o uscire qualcuno. Spesso, nella
nostra camera da letto, sistema le sedie nella stanza come se ci si
dovesse sedere qualcun altro. Oh… oh, sì, un paio di volte,”
gridò, “un paio di volte...”
Si
fermò e si guardò intorno con aria allarmata.
“Sì?”
“Un
paio di volte,” ricominciò frettolosamente, come se sentisse un
rumore che la preoccupava, “L’ho sentito correre – entrare e
uscire dalle stanze senza fiato, come se qualcuno lo inseguisse...”
La
porta si aprì mentre stava ancora parlando, troncando le sue parole
a metà, e un uomo entrò nella stanza. Era bruno e ben sbarbato,
giallognolo per meglio dire, con occhi sognanti e capelli scuri che
crescevano radi alle tempie. Indossava un dimesso abito di tweed e
uno sgualcito colletto di flanella. L’espressione dominante del
volto era sbigottita – tormentata, un’espressione che in ogni
momento poteva trasformarsi in uno sguardo di terrore e manifestare
una totale perdita di autocontrollo.
Nel
momento in cui vide il suo visitatore, sul suo volto stanco apparì
un sorriso e si fece avanti per stringergli la mano.
“Speravo
in una sua visita; Mrs. Sivendson disse che avrebbe trovato il
tempo,” disse semplicemente. La sua voce era flebile e lamentosa.
“Sono felice di vederla, dottor Silence. ‘Dottore,’ se non
sbaglio.”
“Ebbene,
ho diritto a questo titolo,” rise l’altro, “ma lo uso
raramente. Non esercito in maniera regolare, cioè, Mi occupo
solamente di casi che mi interessano particolarmente, oppure...”
Non
finì la frase, perché i due uomini si scambiarono uno sguardo di
intelligenza che lo rese inutile.
“Ho
sentito parlare della sua grande gentilezza.”
“E’
il mio passatempo,” disse l’altro brevemente, “e il mio
privilegio.”
“Confido
che la penserà allo stesso modo quando avrà ascoltato quello che ho
da dirle,” continuò lo scrittore, con una certa stanchezza. Fece
strada dall’ingresso fino ad una saletta per fumatori, dove poter
parlare liberamente e indisturbati.
Nella
saletta, con la porta chiusa e in completa privacy, l’atteggiamento
di Pender cambiò e diventò molto serio. Il dottore gli si sedette
di fronte, in modo da poterlo guardare in faccia. Si accorse che
sembrava già più abbattuto. Evidentemente gli costava molto fare
riferimento ai suoi tormenti.
“Quello
che ho, secondo me, è una profonda sofferenza spirituale,” iniziò
senza tanti giri di parole, guardando il suo interlocutore dritto
negli occhi.
“Me
ne sono accorto subito,” disse il dottor Silence.
“Sì,
se ne è accorto, naturalmente; la mia sfera psichica deve suggerire
questo a chiunque abbia percezioni paranormali. Inoltre, sono sicuro,
in base a quello che ho sentito dire, che lei è realmente un dottore
dello spirito, più che un semplice guaritore del corpo.”
“Lei
ha un’opinione troppo alta di me,” rispose l’altro, “vero è,
che preferisco casi, come sa, in cui è prima di tutto lo spirito a
soffrire, poi il corpo.”
“Capisco,
sì. Ebbene, ho provato uno strano disturbo nel… non esattamente
nella mia sfera fisica. Voglio dire che i miei nervi stanno bene e il
mio corpo sta bene. Non ho delle vere e proprie allucinazioni, ma il
mio spirito è torturato da una calamitosa paura, che la prima volta
mi assalì in una strana maniera.”
John
Silence si chinò in avanti per un momento, prese la mano del suo
interlocutore e la tenne fra le sue per pochi brevi secondi,
chiudendo gli occhi nel frattempo. Non stava ascoltando il suo
battito, né stava facendo le cose che i dottori fanno di solito,
stava semplicemente assimilando dentro di sé il tratto principale
della condizione mentale dell’uomo, così da fare proprio il suo
punto di vista ed essere in grado di trattare il suo caso entrando
all’unisono con lui. Osservandolo da vicino, forse si sarebbe
potuto notare che il suo corpo era attraversato da un lieve tremore
dopo aver tenuto stretta la mano per qualche secondo.
“Mi
parli francamente, Mr. Pender,” disse dolcemente, lasciandogli la
mano, e con un modo di fare estremamente calmo. “Mi descriva tutti
i passi che hanno condotto all’inizio di questa invasione. Voglio
dire, mi racconti di quale particolare droga si tratta, perché l’ha
presa e come l’ha influenzata...”
“Quindi
sa che tutto è incominciato con una droga!” gridò lo scrittore,
con palese stupore.
“Me
ne sono accorto dal ciò che osservo in lei e dai suoi effetti su me
stesso. Lei è in una sorprendente condizione psichica. Alcune parti
della sua sfera psicologica stanno vibrando ad una velocità molto
maggiore delle altre. Questo è l’effetto di un droga. Mi permetta
di finire, prego. Se la velocità più rapida di questa vibrazione si
sparge per tutto l’organismo, lei diventerà, ovviamente,
permanentemente conscio di un mondo molto più vasto di quello che
conosce normalmente. Se, invece, la parte rapida ritorna alla
velocità normale, lei perderà le occasionali percezioni amplificate
che ha adesso.”
“Lei
mi stupisce!” esclamò lo scrittore, “perché le sue parole
descrivono fedelmente quello che ho provato...”
“Ne
faccio menzione solo incidentalmente e per infonderle fiducia prima
che affronti il resoconto del suo reale malessere,” continuò il
dottore. “Ogni percezione, come sa, è il risultato di vibrazioni.
La chiaroveggenza significa semplicemente che si diventa sensibili ad
una più ampia scala di vibrazioni. Il risveglio dei sensi interiori,
di cui sentiamo tanto parlare, non è altro che questo. La sua
parziale chiaroveggenza è facilmente spiegata.
L’unica
cosa che mi stupisce è come sia riuscito a procurarsi la droga,
perché non è facile ottenerla in forma pura, nessuna tintura
adulterata avrebbe potuto darle il tremendo impulso che, come vedo,
lei ha acquisito. Ma, ora, continui a raccontarmi la sua storia a
modo suo.”
“La
Cannabis indica,” continuò l’autore, “venne in mio
possesso lo scorso autunno mentre mia moglie era via. Non è
necessario che spieghi come l’ho avuta, perché non ha alcuna
importanza, ma era il genuino estratto in forma liquida e non potei
resistere alla tentazione di fare un esperimento. Uno dei suoi
effetti, come sa, è di stimolare un riso torrenziale...”
“Sì,
a volte.”
“...sono
uno scrittore di racconti umoristici e volevo accrescere il mio senso
del ridicolo… vedere la comicità da un punto di vista inconsueto.
Volevo studiarla un po’, se possibile, e…”
“Mi
dica!”
“Presi
una dose sperimentale. Mi astenni dal cibo per sei ore, al fine di
affrettarne l’effetto, chiuso nella mia stanza, e diedi ordine di
non essere disturbato. Poi ingoiai la sostanza e aspettai.”
“E
l’effetto?”
“Aspettai
un’ora, due, tre, quattro cinque ore. Non successe niente. Non ci
furono risate, ma solo una grande stanchezza. Non arrivò niente
nella stanza o nei miei pensieri che avesse, anche solo lontanamente,
un aspetto umoristico.
“E’
sempre stata una droga estremamente inaffidabile,” lo interruppe il
dottore. “Proprio per questo, ne facciamo un uso molto limitato.”
“Alle
due del mattino mi sentivo così affamato e stanco che decisi di
interrompere l’esperimento e di non aspettare oltre. Bevvi un po’
di latte e me ne andai di sopra a dormire. Mi sentivo a terra e
deluso. Mi addormentai subito e devo aver dormito per circa un’ora,
quando mi svegliai all’improvviso con un gran rumore nelle
orecchie. Era il frastuono delle mie risate! Stavo semplicemente
tremando dal gran ridere.
All’inizio
rimasi disorientato e pensai di aver riso in sogno, ma un attimo dopo
mi ricordai della droga e fui contento di pensare che, dopo tutto,
almeno un effetto lo avevo ottenuto. Aveva funzionato regolarmente,
solo avevo calcolato male il tempo. L’unica cosa spiacevole allora,
fu la strana sensazione di non essermi svegliato spontaneamente, ma
che fossi stato svegliato da qualcun altro – deliberatamente.
Questo mi venne in mente come una certezza nel mezzo delle mie
fragorose risate e mi angosciò.”
“Ha
qualche sentore di chi possa essere stato?” chiese il dottore,
estremamente in allerta, che ora stava ascoltando ogni parola con
accresciuta attenzione.
Pender
esitò e tentò di sorridere. Si scostò i capelli dalla fronte con
un gesto nervoso.
“Deve
riferirmi ogni sua impressione, perfino le sue fantasie, sono
importanti quanto le sue certezze.”
“Ebbi
la vaga idea che fosse qualcuno collegato al mio sogno dimenticato,
qualcuno che era venuto da me durante il sonno, qualcuno con una
grande forza e una grande abilità – estremamente forte – una
personalità insolita e, ne ero certo, una donna.”
“Una
brava donna?” chiese con calma John Silence.
Pender
ebbe un lieve sussulto a quella domanda e il suo volto pallido
arrossì, come se ne fosse sorpreso. Ma scosse la testa
immediatamente, con un indefinibile sguardo di orrore.
“Malvagia,”
rispose seccamente, “spaventosamente malvagia, e poi, mescolata a
quella assoluta malvagità, c’era anche una certa perversione –
la perversione di una mente squilibrata.”
Esitò
un attimo e fissò il suo interlocutore con determinazione. Un’ombra
di sospetto apparve nei suoi occhi.
“No,”
rise il dottore, “non deve temere che io la stia prendendo in giro
o che pensi che lei sia pazzo. Tutt’altro. La sua storia mi
interessa incredibilmente e senza saperlo, mi sta fornendo un gran
numero di indizi col suo racconto. Deve sapere che io possiedo già
una certa conoscenza in campo psichico.”
“Tremavo
così tanto a causa di quella violente risate,” continuò il
narratore dopo un attimo, “sebbene non avessi un’idea chiara
sulle cause della mia ilarità, che ebbi molta difficoltà ad alzarmi
per prendere i fiammiferi, e avevo paura di spaventare la servitù al
piano superiore con i miei scoppi di risate. Quando accesi il gas,
scoprii che la stanza era vuota, naturalmente, e che la porta era
chiusa come al solito. Quindi, mi vestii alla meglio e uscii sul
pianerottolo, con la mia ilarità un po’ più sotto controllo, e mi
avviai giù per le scale. Volevo prendere nota delle mie sensazioni.
Mi tappai la bocca con un fazzoletto, per evitare di gridare forte e
di far partecipe tutta la casa dei miei isterismi.”
“E
la presenza di questa...questa..?”
“Aveva
aleggiato intorno a me per tutto il tempo,” disse Pender, “ma
sembrava essersi momentaneamente ritirata. Probabilmente, le mie
risate avevano ucciso ogni altra emozione.”
“E
quanto le ci volle per scendere le scale?”
“Stavo
proprio arrivando a questo punto. Vedo che conosce tutti i miei
‘sintomi’ in anticipo, per così dire; perché, naturalmente,
pensai che non sarei mai arrivato giù. Per ogni scalino, sembravano
volerci cinque minuti e per attraversare il piccolo ingresso in fondo
alle scale – ebbene, avrei potuto giurare che c’era voluto un
viaggio di mezz’ora, se il mio orologio non avesse certificato che
si trattava solo di pochi secondi. Tuttavia camminai velocemente e
tentai di spingermi avanti. Non servì a nulla. Apparentemente,
camminavo senza avanzare e a quel ritmo mi ci sarebbe voluto una
settimana per arrivare in fondo a Putney Hill.”
“A
volte, una dose sperimentale altera radicalmente la percezione del
tempo e dello spazio...”
“Ma
quando alla fine arrivai nel mio studio e accesi la lampada a gas, ci
fu un cambiamento orribile e improvviso, come il lampo di un fulmine.
Fu come una doccia gelata, e proprio nel mezzo di quella tempesta di
risate...”
“Sì,
cosa?” chiese il dottore, piegandosi in avanti e scrutando nei suoi
occhi.
“… fui
sopraffatto dal terrore,” disse Pender, abbassando la sua voce
stridula al solo ricordo di quel momento.
Si
fermò un attimo e si asciugò la fronte, l’espressione
terrorizzata e spiritata dei suoi occhi ora dominava tutta la
faccia. Eppure, per tutto il tempo, gli angoli della bocca
suggerirono una possibile risata, come se il ricordo della passata
ilarità continuasse a divertirlo. La combinazione di paura e di riso
sul suo volto era davvero particolare e dava una grande veridicità
alla sua storia, allo stesso tempo, dava una bizzarra aria orrifica a
tutti i suoi gesti.
“Terrore,
non è così?” ripeté il dottore con calma.
“Sì,
terrore, perché, anche se la cosa che mi aveva svegliato sembrava
che se ne fosse andata, il suo ricordo mi spaventava ancora e mi
accasciai su una sedia. Poi, chiusi la porta e cercai di ragionare
fra me e me, ma la droga rendeva i miei movimenti così lenti, che mi
ci vollero cinque minuti per raggiungere la porta, e altri cinque per
ritornare alla sedia. Le
risate, poi, continuavano a ribollire dentro di me – grandi e
grasse risate che mi scuotevano come raffiche di vento – così che
anche il mio terrore mi faceva quasi ridere. Oh, ma posso
assicurarle, dottor Silence, che quella mescolanza di paura e riso
era del tutto abbietta."
Si
appoggiò di nuovo allo schienale della sedia, ridendo fra sé e sé
e agitando le mani in aria nel ricordare e, a quella vista, anche il
dottor Silence si mise a ridere.
“Prosegua,
la prego,” disse, “capisco bene. Anche io so qualcosa delle
risate provocate dall’hashish.”
Lo
scrittore si ricompose e ricominciò, mentre il suo volto ridiventava
velocemente serio.
“Così,
vede, fianco a fianco con questa assurda ilarità, apparentemente
senza motivo, c’era anche un assurdo terrore, apparentemente senza
motivo. La droga aveva causato le risate, lo sapevo, ma cosa avesse
indotto il terrore, non riuscivo ad immaginarlo.
“Poi,
improvvisamente, gli oggetti nella stanza mi presentarono di nuovo il
loro aspetto buffo e mi fecero riprendere a ridere in maniera ancora
più furiosa di prima. La libreria era ridicola, la poltrona un
perfetto clown, il modo in cui l’orologio mi fissava dalla mensola
sul focolare era troppo comico per esprimerlo a parole; la
disposizione dei fogli e del calamaio sulla scrivania mi
solleticarono finché non iniziai a ridere fragorosamente, a tremare
e a reggermi i fianchi mentre le lacrime mi bagnavano la faccia. E
quel poggiapiedi! Ah, quell’assurdo poggiapiedi! Dovunque,
dietro il divertimento si nascondeva la paura. Era terrore col
berretto a sonagli, così divenni il campo di gioco per due
contrastanti emozioni, armate e pronte a combattersi fino alla morte.
Gradualmente, poi, crebbe in me l’impressione che questa paura
fosse causata dall’invasione – così l’ha chiamata lei proprio
ora – della ‘persona’ che mi aveva svegliato: era
incredibilmente malvagia, nemica della mia anima o, perlomeno, di
tutto ciò che in me aspirava al bene. Rimasi lì, a tremare e a
sudare, ridendo di ogni oggetto nella stanza, ma sempre con questo
terrore bianco che dominava il mio cuore. E questa creatura
continuava...continuava a insinuare...”
Esitò
di nuovo, facendo abbondante uso del suo fazzoletto.
“Insinuare
cosa?”
“...idee
nella mia mente,” continuò guardando nervosamente in giro per la
stanza. “Controllando, di fatto, il corso dei miei pensieri, così
da escludere il flusso consueto per iniettarvi il proprio. Sembra
tutto una follia! Lo so, ma è vero. E’ il solo modo in cui posso
spiegarlo. Per di più, se da un canto questa operazione mi
terrorizzava, l’abilità con cui veniva portata avanti mi faceva
ridere di nuovo se la paragonavo alla goffaggine umana. Fui
sopraffatto dalle risate quando compresi la superiorità di questo
metodo diabolico, rispetto ai nostri metodi limitati e pasticcioni
usati per educare le menti altrui, per inculcare idee e così via.
Eppure, le mie risate sembravano cupe e spaventose e pensieri tragici
e malvagi procedevano alle calcagne di quelli comici. Oh, dottore,
glielo ripeto, era snervante!”
John
Silence sedeva silenzioso con la testa in avanti per afferrare ogni
parola della storia che l’altro continuava a raccontare tutto d’un
fiato, con frasi nervose e spezzate e a bassa voce.
“Nel
frattempo, non vide niente… nessuno?” chiese.
“Non
con i miei occhi. Non ci furono allucinazioni visive. Ma nella mia
mente iniziò a nascere la vivida immagine di una donna –
imponente, dalla pelle nera, con denti bianchi e lineamenti mascolini
e un occhio, il sinistro così cascante, da sembrare quasi chiuso.
Oh, che volto terribile…!”
“Un
volto che riconoscerebbe?”
Pender
rise in modo spaventoso.
“Vorrei
poterlo dimenticare,” sussurrò, “vorrei soltanto poterlo
dimenticare!” Allora, si sporse improvvisamente in avanti e afferrò
la mano del dottore con un gesto commovente.
“Devo
dirle quanto le sono grato per la sua pazienza e comprensione,”
gridò, con un tremito nella voce, “e… per il fatto che non crede
che io sia matto. Non ho raccontato a nessuno nemmeno un quarto di
questa storia, e la semplice libertà di parola – il sollievo di
condividere la mia sofferenza con qualcun altro – mi ha già
aiutato più di quanto possa dire.”
Il
dottor Silence gli strinse leggermente la mano e lo guardò fisso
negli occhi spaventati. La sua voce era molto gentile quando gli
rispose.
“Il
suo caso, sappia, è davvero singolare, ma di avvincente interesse
per me,” disse, “perché minaccia, non la sua esistenza fisica,
ma il tempio della sua esistenza psichica – la vita interiore. La
sua mente non ne sarebbe permanentemente influenzata qui ed ora, in
questo mondo, ma nell’esistenza successiva, quando il corpo viene
abbandonato, potrebbe svegliarsi con lo spirito così contorto, così
distorto, così corrotto, da diventare spiritualmente folle –
una condizione molto più radicale rispetto ad essere semplicemente
pazzo qui.”
Sulla
stanza, e fra i due uomini che sedevano l’uno di fronte all’altro,
sopraggiunse una strana quiete.
“Lei
davvero crede… buon Dio!” balbettò lo scrittore, appena recuperò
l’uso della parola.
“Rimandiamo
i dettagli a più tardi, per il momento devo solo dirle che non le
avrei parlato in questo modo, a meno che non fossi assolutamente
sicuro di poterla aiutare. Oh, riguardo a questo non c’è alcun
dubbio, mi creda. In primo luogo, i meccanismi di questa
straordinaria droga mi sono estremamente familiari, droga che ha
avuto l’effetto fortuito di metterla in comunicazione con forze di
un’altra dimensione e, secondariamente, ho un’incrollabile
certezza nell’esistenza di eventi soprannaturali, così come ho
acquisito una notevole conoscenza dei processi psichici attraverso
lunghi ed estenuanti esperimenti. Il
resto è, o dovrebbe essere, semplice trattamento simpatetico e
applicazione pratica. L’hashish le ha parzialmente aperto un altro
mondo, aumentando la velocità della sua vibrazione psichica e
rendendola, così, insolitamente sensibile. Lei è stato assalito da
antiche forze collegate a questa casa. Per il momento, sono perplesso
solamente per quel che riguarda la loro esatta natura, perché se
fossero di natura ordinaria, dovrei essere io stesso sufficientemente
sensibile da sentirli. Ma mi rendo conto di non aver percepito ancora
niente. Ma ora, la prego continui, Mr. Pender, e mi racconti il resto
della sua incredibile storia e, quando avrà finito, le parlerò dei
metodi di cura.”
Pender
fece scivolare la sua sedia un po’ più vicino al gentile dottore e
poi continuò il suo racconto con la stessa voce ansiosa.
“Dopo
che ebbi preso alcuni appunti sulle mie impressioni, tornai
finalmente su e andai a letto. Erano le quattro del mattino. Mentre
salivo, continuai a ridere – del grottesco corrimano, della buffa
fisionomia della finestra delle scale, della comica sistemazione dei
mobili e del ricordo di quello sfacciato poggiapiedi nella stanza di
sotto; ma non accadde più niente che mi disturbasse o mi allarmasse,
e la mattina successiva mi svegliai tardi, dopo un sonno senza sogni,
senza altre conseguenze per il mio esperimento se non un leggero mal
di testa e le estremità gelate a causa della circolazione
rallentata.”
“Sparita
anche la paura?” chiese il dottore.
“Sembrava
che me ne fossi dimenticato o, perlomeno, che la attribuissi a
semplice nervosismo. Per il momento, in qualche modo, sembrava
sparita, e per tutto il giorno non feci altro che scrivere, scrivere,
scrivere. Il mio senso del comico sembrava essere aumentato a
dismisura e i miei personaggi agivano senza sforzo, alimentati da un
genuino umorismo. Ero infinitamente compiaciuto di questo risultato
del mio esperimento. Ma quando la stenografa se ne fu andata e andai
a rileggere le pagine che aveva trascritto a macchina, mi ricordai
dei suoi improvvisi sguardi pieni di sorpresa e dello strano modo che
aveva di guardarmi mentre dettavo. Rimasi stupefatto di quello che
lessi e riuscii a stento a credere che fosse opera mia.
“E
perché?”
“Era
così contorto. Le parole, in effetti, erano le mie, per quel che
potevo ricordare, ma il loro significato sembrava strano. Mi
spaventò. Il senso era così alterato. Proprio dove i miei
personaggi avrebbero dovuto far ridere a crepapelle, ne risultavano
soltanto emozioni di un sinistro umorismo. Spaventose allusioni erano
riuscite ad insinuarsi nelle frasi. C’era un umorismo di una
qualche specie, ma era bizzarro, orribile, avvilente, e ogni
tentativo di analizzarlo accresceva soltanto il mio sgomento. La
storia, come recitava allora, mi diede i brividi, perché grazie a
questi lievi cambiamenti era giunta in qualche modo a contenere
l’essenza stessa dell’orrore, un orrore travestito da
divertimento.
“Può
mostrarmi questo scritto?”
Lo
scrittore scosse la testa.
“L’ho
distrutto,” sussurrò. “Ma, alla fine, anche se, naturalmente, ne
ero estremamente turbato, mi persuasi che ciò era dovuto ai postumi
della droga, una sorta di reazione secondaria che aveva distorto la
mia mente e mi faceva vedere interpretazioni macabre in parole e
situazioni che probabilmente non ne contenevano per davvero.”
“E,
nel frattempo, la presenza di quella persona la abbandonò?”
“No,
quella rimase, più o meno. Quando la mia mente era impegnata
attivamente, me ne dimenticavo, ma quando oziava o sognava o non
faceva niente di particolare, eccola accanto a me, con la sua
influenza nefasta sulla mia mente...”
“In
che modo, precisamente?”
“Mi
venivano pensieri malvagi, intriganti, visioni di crimini, odiose
immagini di cattiverie, e quel genere di immaginazione perversa che
fino a quel momento era stata estranea, addirittura impossibile, alla
mia normale natura...”
“La
pressione del potere oscuro sulla personalità,” mormorò il
dottore, prendendo velocemente nota.
“Cosa?
Non riesco a capire precisamente...”
“Prego,
continui. Sto semplicemente prendendo nota; ne capirà a pieno lo
scopo più tardi.”
“Perfino
quando mia moglie ritornò ero ancora consapevole di questa presenza
nella casa; era collegata alla mia essenza psichica nel modo più
intimo possibile; ed esternamente mi sentivo stranamente costretto ad
essere educato e rispettoso nei suoi confronti – aprire la porta,
porgerle la sedia e comportarmi in modo estremamente deferente quando
mi era vicina. Alla fine, divenne molto esigente e, se sbagliavo
qualche piccolo particolare, in qualche modo sapevo che mi avrebbe
perseguitato per tutta la casa, da una stanza all’altra, inseguendo
la mia stessa anima fino alla sua più intima dimora. Per quanto
riguardava le mie attenzioni, veniva certamente prima di mia moglie.
“Ma
lasci che finisca la storia della mia dose sperimentale, perché
tre notti dopo la ripresi, e patii un’esperienza molto simile:
dapprincipio l’effetto tardò a venire, e poi, quando finalmente
arrivò, con uno scroscio di quelle false risate demoniache, ne fui
completamente travolto. Questa volta, comunque, ci fu un
capovolgimento della mutata scala dello spazio e del tempo: si
accorciò invece di allungarsi; così mi vestii e scesi giù in circa
venti secondi e il paio d’ore che rimasi a lavorare nello studio
trascorsero letteralmente in dieci minuti.”
“Questo
è spesso vero per una dose eccessiva,” intervenne il dottore, “e
si può percorrere un miglio in pochi minuti, o pochi metri in un
quarto d’ora. E’ quasi incomprensibile per quelli che non ne
hanno mai fatto esperienza ed è una strana prova del fatto che
spazio e tempo sono solamente categorie del pensiero.”
“Questa
volta,” proseguì Pender, parlando sempre più velocemente a causa
dell’eccitazione, “ci fu un altro straordinario effetto, e
sperimentai uno strano cambiamento dei sensi, così che percepii il
mondo esterno attraverso un unico canale sensoriale amplificato
invece che attraverso le cinque divisioni conosciute come vista,
odorato, olfatto, tatto, e così via. So che mi capirà quando le
dirò che sentivo le immagini e vedevo i suoni. Non c’è
lingua che possa rendere comprensibile tutto questo, naturalmente, e
posso solo dire, per esempio, che lo scoccare dell’orologio mi si
presentò davanti come un’immagine sospesa nell’aria.
“Vedevo
il trillo del campanello. Ed esattamente allo stesso modo, udivo i
colori nella stanza, specialmente i colori di quei libri sulla
mensola dietro di lei. Quelle rilegature rosse le percepivo come
suoni profondi, e le copertine gialle di quelle rilegature alla
francese al loro fianco producevano una nota acuta e penetrante, non
dissimile dal cinguettio degli stormi. Quella libreria marrone
borbottava, mentre le tendine verdi di fronte continuavano ad
emettere una sorta di mormorio costante, simile alle note più basse
di un grammofono. Ma mi accorgevo di questi suoni solamente quando
fissavo attentamente i diversi oggetti e li prendevo in
considerazione. La stanza, capisce, non risuonava di un coro di note,
ma quando mi concentravo su di un colore, lo sentivo, oltre a
vederlo.”
|
Vasilij Vasil’evič Kandinskij. Composizione 8, 1923
|
“Questo
è un effetto noto, anche se raro, della Cannabis indica,”
osservò il dottore. E provocò nuove ristate, non è vero?”
“Soltanto
il borbottio della libreria mi fece ridere. Era così simile ad un
grosso animale che cerca di farsi notare, e mi fece pensare ad un
orso da circo – pieno di una sorta di patetico umorismo, secondo
me. Ma questa mescolanza dei sensi non produsse alcuna confusione nel
mio cervello. Al contrario, ero insolitamente lucido e sperimentai
un’intensificazione della coscienza e mi sentii meravigliosamente
vivo e mentalmente sveglio.
“Inoltre,
quando presi un matita per assecondare un improvviso impulso a
disegnare - un talento che normalmente non possiedo – scoprii che
non potevo disegnare altro che teste, niente altro, in effetti, che
una testa – sempre la stessa – la testa di una donna dalla pelle
scura, con lineamenti grossolani e terribili e un occhio sinistro
estremamente cascante, ed era così ben disegnata, inoltre, che ne
rimasi stupito, come può immaginare...”
“E
l’espressione del volto…?”
Pender
esitò un attimo cercando le parole, mentre si guardava intorno con
le mani in aria e le spalle curve. Un tremito visibile gli percorreva
il corpo.
“Quella
posso soltanto descriverla come… oscurità,” rispose a
bassa voce, “la faccia di un’anima oscura e malvagia.”
“Ha
distrutto anche i disegni?” chiese il dottore bruscamente.
“No,
li ho tenuti.” disse ridendo, e si alzò per prenderli da un
cassetto dietro di lui.
“Ecco
tutto quello che rimane dei ritratti, guardi,” aggiunse, spingendo
un fascio di fogli sotto gli occhi del dottore, “niente se non
qualche scarabocchio. Questo è tutto quello che trovai il mattino
dopo. Non avevo disegnato nessuna testa, in realtà – niente se non
queste linee, macchie e ghirigori. I ritratti erano del tutto
soggettivi ed esistevano solo nella mia mente che li aveva ricavati
da quei pochi tratti disordinati di penna. Era soltanto un’illusione,
come l’alterata scala dello spazio e del tempo. Tutto sparì con lo
sparire degli effetti della droga. Ma non quell’altra cosa. Voglio
dire, la presenza di quell’anima nera rimase con me. E’ ancora
qui. E’ reale. E non so come sfuggirle.”
“E’
collegata alla casa, non alla sua personalità. Deve lasciare questa
casa.”
“Sì.
Soltanto, non posso permettermi di lasciare questa casa, perché il
mio lavoro è il mio unico mezzo di sostentamento, e – ebbene, a
causa di questo cambiamento non posso nemmeno più scrivere. Sono
orribili, questi racconti senza gioia che scrivo adesso, con la loro
finta allegria, la loro diabolica suggestione. Orribili? Diventerò
pazzo se continua così.”
Alzò
lo sguardo e guardò in giro per la stanza come se si aspettasse di
vedere qualche forma spettrale.
“Questa
influenza indotta nella mia casa dal mio esperimento, ha ucciso in un
lampo, in un sol colpo, le sorgenti del mio umorismo e, anche se
continuo a scrivere racconti umoristici, – ho un certo nome, deve
sapere – la mia ispirazione si è inaridita, e sono costretto a
bruciare molti dei miei scritti – sì, dottore, bruciare, prima che
qualcuno li veda.”
“Perché
completamente alieni alla sua mente e alla sua personalità?”
“Completamente!
Come se qualcun altro li avesse scritti...”
“Ah!”
“E
scioccanti!” Si passò velocemente la mano sugli occhi ed espirò
lentamente. “Eppure dannatamente intelligenti se si considera il
consumato metodo con cui i turpi suggerimenti venivano insinuati
sotto le mentite spoglie di un genere di alta comicità. La mia
stenografa mi abbandonò, naturalmente, e io ho avuto paura di
prenderne un’altra...”
John
Silence si alzò e iniziò a camminare per la stanza con calma, senza
parlare; sembrava che stesse esaminando i ritratti alle pareti e che
stesse leggendo i nomi dei libri sparsi in giro. Si fermò di colpo
sul tappetino del caminetto, con la schiena rivolta al fuoco e girato
in modo da poter guardare il suo paziente negli occhi. Il volto di
Pender era grigio e tirato, dominato dalla solita espressione di
terrore: il lungo racconto lo aveva logorato.
“Grazie,
Mr. Pender,” disse, mentre una strana luce gli illuminava il volto
delicato e tranquillo; “grazie per la sincerità e la franchezza
del suo racconto. Ma, a questo punto, penso che non ci sia niente
altro da chiederle.” Si soffermò ad analizzare a lungo i
lineamenti emaciati dello scrittore, e attirò di proposito gli occhi
dell’uomo verso i suoi, incrociandoli con uno sguardo pieno di
forza e di fiducia, calcolato per ispirare coraggio anche alla più
debole delle anime. “E, per cominciare,” aggiunse, con un sorriso
accattivante, “Mi permetta di rassicurarla, senza ulteriore
indugio, che non ha nessun motivo di allarmarsi, perché lei non è
pazzo o preda di illusioni più di quanto lo sia io stesso...”
Pender
emise un sospiro profondo e cercò di ricambiare il sorriso.
“...e
questo è semplicemente un caso, per quel che posso giudicare al
momento, di invasione psichica, una molto particolare e davvero
sinistra, se forse capisce quello che voglio dire...”
“E’
una strana espressione, l’avete già usata in precedenza,” disse
lo scrittore stancamente, tuttavia ascoltando avidamente ogni parola
della diagnosi e profondamente commosso dall’intelligente
sensibilità che non una volta aveva consigliato il manicomio.
“Possibile,”
replicò l’altro, “e una strana afflizione, mi concederà,
tuttavia non sconosciuta ai popoli antichi, né a quelli moderni,
forse, che ammettono la possibilità di interazione, sotto
l’influenza di determinati patogeni, tra questo mondo e un altro.”
“E
lei pensa,” chiese Pender precipitosamente, “che tutto questo sia
dovuto principalmente alla Cannabis? Non c’è niente di
radicalmente sbagliato in me… niente di incurabile, o…?”
“Dovuto
interamente all’overdose,” replicò con enfasi il dottor Silence,
“all’azione diretta della droga sulla sua sfera psichica. L’ha
resa ultra sensibile facendola reagire ad un aumentato ritmo della
vibrazione. E, lasci che glielo dica, Mr. Pender, il suo esperimento
avrebbe potuto avere risultati molto più terribili. L’ha portata
in contatto con una categoria dell’invisibile alquanto singolare
ma, penso, di carattere fondamentalmente umano. Avrebbe potuto
altrettanto facilmente essere completamente spinto fuori dall’ambito
umano, e i risultati di una tale evenienza sarebbero stati veramente
terribili. Non ho bisogno di allarmarla su questo punto, ma devo
menzionarlo per darle un avvertimento che lei non vorrà fraintendere
o sottostimare dopo tutto quello che ha passato.
“Mi
sembra sconcertato. Lei non afferra completamente dove voglio
arrivare e non c’era che da aspettarselo, perché lei, suppongo, è
il tipico cristiano nominaleiii
con l’elevato livello etico del cristiano nominale e un’assoluta
ignoranza delle potenzialità dello spirito. Oltre ad una qualche
infantile cognizione di ‘malvagità spirituale nei luoghi
ultraterreni,’ lei probabilmente non ha alcuna idea di cosa possa
accadere una volta superato lo stretto abisso che è stato
misericordiosamente stabilito tra lei e l’Altro Mondo. Ma i miei
studi e il mio apprendistato mi hanno condotto molto al di là dei
percorsi ortodossi, e ho fatto esperimenti di cui a stento potrei
parlarle in un linguaggio a lei comprensibile.”
Si
fermò un attimo per notare l’attonito interesse nel volto e
nell’atteggiamento di Pender. Ogni parola da lui pronunciata era
calcolata attentamente, conosceva esattamente il valore e l’effetto
delle emozioni che desiderava suscitare nel cuore dell’essere
afflitto davanti a lui.
“E
grazie ad una qualche conoscenza che mi sono guadagnata attraverso
svariate esperienze,” continuò con calma, “posso diagnosticare
che il suo caso è quello di un’invasione psichica, come ho detto
poc’anzi.”
“E
la natura di questa… ehm… invasione?” balbettò lo stupefatto
scrittore di racconti umoristici.
“Non
c’è motivo per cui non dovrei immediatamente dire che ancora non
lo so di sicuro,” rispose il dottor Silence. “Potrei dover fare
qualche esperimento, prima...”
“Su
di me?” ansimò Pender, trattenendo il respiro.
“Non
esattamente,” disse il dottor, con un austero sorriso, “ma col
suo aiuto, forse. Ho intenzione di testare le condizioni della casa –
per accertare, strano ma vero, la natura di queste forze, di questa
strana personalità che la sta perseguitando...”
“Al
momento attuale lei non ha nessuna precisa idea di chi… cosa…
perché...” chiese l’altro in una raffica incontrollata di
interesse, terrore e stupore.
“Ho
un’idea molto precisa, ma nessuna prova, invece,” rispose il
dottore. “Gli effetti della droga sull’alterata scala dello
spazio e del tempo e la fusione dei sensi non hanno niente a che fare
con l’invasione. Questo succede a chiunque sia abbastanza pazzo da
prendere una dose sperimentale. Sono gli altri aspetti del suo caso
ad essere insoliti.
“Ecco,
lei ora è in contatto con emozioni, desideri e propositi violenti,
ancora attivi nella casa, che furono concepiti in passato da una
qualche potente e malvagia personalità che abitò qui. Quanto tempo
fa, o perché ancora persistano in maniera così forte, non posso
dirlo con sicurezza. Ma direi che sono soltanto forze che agiscono in
maniera automatica con tutta la potenza del loro terrificante impeto
iniziale.
“Non
guidati da un essere vivente, una volontà senziente, intende?”
“Probabilmente
no – ma non di meno pericolosi proprio per questo e più difficili
da affrontare. Non posso spiegarle in pochi minuti la natura di tali
fenomeni, perché non ha fatto gli studi che la metterebbero in grado
di seguirmi, ma ho motivo di credere che nonostante l’annientamento
che segue alla morte di un essere umano, i suoi poteri possono
ancora persistere e continuare ad agire in una maniera cieca e
inconsapevole. Di regola, si dissipano velocemente, ma nel caso di
una personalità molto forte, possono durare a lungo. E,
in alcuni casi – e sono incline a credere che questo sia uno di
quelli – queste forze possono fondersi con alcune entità non umane
che così continuano la loro vita indefinitamente e aumentano la loro
forza ad un livello incredibile. Se la personalità originale era
malvagia, gli esseri attratti dalle forze superstiti saranno
anch’essi malvagi. Nel nostro caso, penso che ci sia stato un
incremento insolito e spaventoso dei pensieri e dei propositi
lasciati dietro di sé, tanto tempo fa, da una donna di consumata
cattiveria e grande forza di carattere e d’intelletto. Ora, inizia
a capire, almeno in parte, dove voglio arrivare?”
Pender
guardava fisso il suo compagno, mentre i suoi occhi erano pieni di
puro orrore. Ma non trovò niente da dire, e il dottore continuò.
“Nel
suo caso, predisposto dall’azione della droga, lei ha sperimentato
l’assalto di queste forze in tutta la loro potenza. Sono queste che
cancellano completamente il suo senso dell’umorismo, la fantasia e
l’immaginazione – tutto ciò che genera allegria e speranza.
Cercano, forse in modo del tutto automatico, di scacciare i suoi
pensieri per prenderne il posto. Lei è la vittima di un’invasione
psichica. Allo stesso tempo, lei è diventato un chiaroveggente nel
vero senso della parola. Lei è un chiaroveggente e una vittima."
Pender
si asciugò la faccia e sospirò. Si alzò dalla sedia e andò al
caminetto per riscaldarsi.
“Lei
penserà che io sia un ciarlatano per parlare in questo modo, o un
pazzo,” rise il dottor Silence. “Ma non si preoccupi di questo.
Sono venuto per aiutarla, e potrò aiutarla se lei farà quello che
le dico: deve lasciare questa casa immediatamente. Oh, non si
preoccupi delle difficoltà, le affronteremo insieme. Posso mettere
un’altra casa a sua disposizione, oppure potrei subentrare nella
proprietà, per poi farla abbattere. Il suo caso mi interessa
moltissimo, e ho intenzione di assisterla, in modo che lei non sia
più in apprensione e domani possa riprendere il suo vecchio tran
tran lavorativo! La droga ha fornito a lei, e quindi a me, una
scorciatoia per un’esperienza molto interessante. Gliene sono
grato.”
Lo
scrittore attizzò il fuoco energicamente, mentre veniva sopraffatto
da un’ondata di emozione. Lanciò un’occhiata nervosa verso la
porta.
“Non
c’è alcun bisogno di allarmare sua moglie o di raccontarle i
dettagli della nostra conversazione,” proseguì l’altro con
calma. “Le faccia sapere che lei ritornerà presto in possesso del
suo senso dell’umorismo e della sua salute, e le spieghi che le
presterò un’altra casa per sei mesi. Nel frattempo, avrò il
diritto di usare questa casa per un paio di notti per condurre il mio
esperimento. Siamo d’accordo?”
“Posso
solo ringraziarla dal profondo del cuore,” balbettò Pender,
incapace di trovare le parole per esprimere la sua gratitudine. Poi
esitò un attimo, scrutando ansiosamente il volto del dottore.
“E
l’esperimento in questa casa?” disse alla fine.
“Di
natura semplicissima, mio caro Pender. Sebbene io stesso sia un
sensitivo addestrato ad arte, e di conseguenza consapevole della
presenza di entità disincarnate come regola, finora, qui dentro, non
ho sentito niente del genere. Questo mi rende sicuro del fatto che le
forze che agiscono qui sono del tutto insolite. Quello che propongo è
di eseguire un esperimento allo scopo di far venire allo scoperto
questa entità maligna, di persuaderla ad uscire fuori dalla sua
tana, per così dire, così che possa esaurirsi attraverso me e
dissiparsi per sempre. Io sono già stato vaccinato,” aggiunse, “mi
considero immune.”
“Santi
del Paradiso!” ansimò lo scrittore, lasciandosi cadere sulla
sedia.
“Diavoli
dell’inferno! Potrebbe essere un’esclamazione più appropriata,”
rise il dottore. “Ma, seriamente, Mr. Pender, questo è quello che
suggerisco di fare, col suo permesso.”
“Naturalmente,
naturalmente,” gridò l’altro, “ha il mio permesso e i miei
migliori auguri di successo. Non riesco a vedere nessuna obbiezione
plausibile, ma...”
“Ma
cosa?”
“Prego
il cielo che lei non intraprenda questo esperimento da solo.”
“Oh
Dio, no, non da solo.”
“Mi
prometta che porterà un compagno dai nervi saldi e affidabile in
caso di necessità.”
“Porterò
due compagni,” disse il dottore.
“Ah,
molto meglio, mi sento sollevato. Sono sicuro che fra le sue
conoscenze deve avere uomini che...”
“Non
sto pensando di portare degli uomini, Mr. Pender.”
L’altro
lo fissò bruscamente.
“Non
capisco, chi vuole portare, allora?”
“Animali,”
spiegò il dottore, incapace di reprimere un sorriso all’espressione
sorpresa del suo interlocutore. “Due animali, un gatto e un cane.”
Pender
lo fissò con gli occhi fuori dalle orbite poi, senza pronunciare
parola, lo condusse nella camera attigua, dove sua moglie li
aspettava per il tè.
II
Pochi
giorni dopo, lo scrittore e sua moglie, con loro grande sollievo, si
trasferirono in una piccola casa ammobiliata messa gratuitamente a
loro disposizione in un’altra parte di Londra. John Silence, tutto
preso dal suo imminente esperimento, si preparò a trascorrere una
notte nella casa vuota in cima a Putney Hill. Furono approntate solo
due camere: lo studio al piano terra e la camera da letto
soprastante; tutte le altre furono chiuse e nessun servitore fu
lasciato nella casa. La macchina ebbe ordine di passarlo a prendere
il mattino seguente alle nove.
E,
nel frattempo, il suo segretario ebbe istruzioni di verificare la
storia passata della casa e gli eventi ad essa collegati e scoprire
tutto quel che poteva riguardo alla personalità degli inquilini
precedenti, recenti o remoti.
Il
dottor Silence selezionò con cura e discernimento gli animali
attraverso la cui sensibilità intendeva verificare ogni minima
anomalia nell’atmosfera dell’edificio. Era convinto (e aveva già
fatto singolari esperimenti per provarlo) che gli animali fossero più
spesso, e più sinceramente, chiaroveggenti degli esseri umani.
Molti
di loro, ne era convinto, possedevano capacità percettive di gran
lunga superiori alla semplice acutezza dei sensi comune a tutti gli
abitanti dei territori selvaggi, dove i sensi diventano
particolarmente vigili; essi hanno quello che definiva
‘chiaroveggenza animale,’ e in base ai suoi esperimenti con
cavalli, cani, gatti e perfino uccelli, aveva tratto determinate
conclusioni che, comunque, non è necessario riferire qui in modo
dettagliato.
Il
gatto che scelse, ormai cresciuto, aveva vissuto con lui da quando
era un gattino, un gattino di sconcertante dolcezza e audace malizia.
Era imprevedibile e bizzarro, sempre intento ai suoi misteriosi
giochi negli angoli della stanza, balzando alla vista di invisibili
nullità, saltando in aria di lato e cadendo con le sue morbide
zampine in un’altra parte del tappeto, sempre con un’aria di
dignitosa serietà, a dimostrazione che l’esibizione era necessaria
al proprio benessere e non era stata fatta solamente per
impressionare uno sciocco pubblico umano.
Ne
bel mezzo di un’elaborata toilette era solito alzare lo sguardo e
sorpreso, come se stesse fissando l’avvicinarsi di una qualche
entità invisibile, piegava la testolina di lato e alzava una morbida
zampina per una cauta ispezione. Poi si estraniava e guardava con
eguale intensità in un’altra direzione (giusto per confondere gli
spettatori) e, improvvisamente, riprendeva furiosamente a leccarsi il
corpo, ma in un posto completamente differente. Ad eccezione di una
macchia bianca sul petto, era completamente nero. E il suo nome era –
Smoke.
‘Smoke’
descriveva altrettanto bene il suo temperamento e la sua apparenza. I
suoi movimenti, il suo individualismo, il suo atteggiamento da
piccola massa pelosa piena di misteri nascosti, la sua elusività
elfica, tutto contribuiva a giustificare il suo nome, e un pittore
raffinato avrebbe potuto dipingerlo come un fil di fumo fluttuante,
con il fuoco sottostante che si tradiva in due soli punti: gli occhi
scintillanti.
Tutte
le sue energie erano animate da intelligenza: l’intelligenza
segreta, la muta incredibile intuizione del gatto. Era, di fatto, il
gatto per la questione in corso.
La
scelta del cane non fu così semplice, perché il dottore ne aveva
diversi ma, dopo molto pensare, scelse un collie di nome Flame, a
causa del suo mantello giallo. In verità, era un tantino vecchio,
con le giunture irrigidite e stava anche incominciando a diventare
sordo ma, d’altro canto, era un amico molto speciale di Smoke e gli
aveva fatto da padre fin da quando era un gattino, così che tra di
loro c’era un’intima comprensione. Era questo che aveva fatto
pendere la bilancia in suo favore, questo e il suo coraggio. In più,
sebbene fosse di buon carattere, era un temibile lottatore e quando
la sua rabbia veniva provocata da una giusta causa, diventava fuoco e
furia e irresistibile.
Lo
aveva preso da un pastore quando era abbastanza giovane, con l’aria
delle colline ancora nelle narici ed era poco più che pelle e ossa e
denti. Per un collie, era di corporatura massiccia, il naso
schiacciato più del solito, il pelo giallo stopposo, più che
setoso, e aveva occhi tondi, diversamente dagli occhi obliqui della
sua razza. Si faceva toccare solo dal suo padrone, perché ignorava
gli estranei e disprezzava i loro saluti – quando qualcuno di loro
osava dargli una pacca. C’era qualcosa di patriarcale in quel
vecchio cane. Era leale e attraversava la vita con una tremenda
energia e grandi progetti per il futuro, come se dovesse tenere alta
la reputazione della sua razza. E vederlo combattere in situazioni
disperate significava capire perché fosse temibile.
Nei
riguardi di Smoke era sempre gentile in modo assurdo, e anche paterno
ma, allo stesso tempo, tradiva una certa diffidenza o timidezza. Era
consapevole che Smoke doveva essere trattato con decisione e
rispetto. I metodi ambigui del gatto lo disorientavano e le sue
elaborate messinscene forse urtavano la preferenza del cane per un
modo d’agire diretto e manifesto. Tuttavia, mentre non riusciva a
capire questi complicati misteri felini, non era mai sprezzante o
accondiscendente e vegliava sulla sicurezza del suo nero amico peloso
un po’ come un padre, amorevole ma vigile, potrebbe tenere sotto
controllo le bizzarrie di un figlio capriccioso e talentuoso. E, in
cambio, Smoke lo ricompensava con le sue esibizioni di affascinanti e
audaci birichinate.
E
questa breve descrizione del loro carattere è necessaria per una
corretta comprensione di quello che accadrà in seguito.
Con
Smoke che dormiva tra le pieghe della sua pelliccia, e il collie che
vegliava sul sedile di fronte, John Silence, dopo cena, andò via con
la sua macchina la notte del quindici novembre.
Erano
le dieci quando mandò via la macchina ed entrò nella tetra casetta
con la chiave che gli aveva dato Pender. Trovò la lampada a gas
dell’ingresso regolata al minimo e il fuoco acceso nello studio.
Libri e cibo erano stati approntati dalla servitù secondo le
istruzioni ricevute. Spirali di nebbia irruppero in casa dietro di
lui attraverso la porta aperta e riempirono l’ingresso e il
corridoio con la loro gelida afflizione.
La
prima cosa che il dottor Silence fece fu di chiudere Smoke nello
studio, con un piattino di latte vicino al fuoco e poi ispezionare la
casa con Flame. Il cane gli corse allegramente dietro per tutto il
tempo, mentre lui si assicurava che le porte delle altre stanze
fossero chiuse. Flame annusò tutto intorno e fece delle brevi
escursioni per conto suo. Il suo era un atteggiamento di attesa.
Sapeva che ci doveva essere qualcosa di insolito in questo modo di
fare, perché, contrariamente alle consuetudini di un’intera vita,
non era ancora andato a dormire sul tappetino davanti al focolare.
Continuò
a scrutare il volto del suo padrone, mentre controllava una porta
dopo l’altra, con un’espressione di intelligente simpatia, ma
anche con una certa aria di disapprovazione. Tuttavia, quello che
faceva il suo padrone era ben fatto, e tradì meno impazienza
possibile riguardo a quell’inutile andirivieni. Se il dottore era
contento di fare questa specie di gioco a quell’ora della notte,
non stava certo a lui obbiettare. Così giocò anche lui e, per di
più, fu molto serio e coscienzioso al riguardo.
Dopo
un’infruttuosa ispezione, ritornarono giù nello studio e qui il
dottor Silence trovò Smoke che si lavava il muso con calma di fronte
al fuoco. Il piattino del latte era stato completamente ripulito;
evidentemente, l’esame preliminare che i gatti fanno in un nuovo
ambiente, si era concluso in modo soddisfacente. Avvicinò una
poltrona al fuoco, attizzò i carboni, organizzò il tavolo e la
lampada per poter leggere comodamente e poi si preparò ad osservare
di nascosto gli animali. Desiderava osservarli attentamente, senza
che se ne accorgessero.
Ora,
a dispetto della differente età, era abitudine di quei due giocare
regolarmente insieme ogni notte prima di dormire. Smoke prendeva
sempre l’iniziativa, incominciando a dare colpetti alla coda del
cane con una solenne faccia tosta, e Flame giocava con un certo
impaccio e con condiscendenza. Era suo dovere, piuttosto che piacere,
era felice quando tutto finiva ma, a volte, era molto ostinato e si
rifiutava assolutamente di giocare.
E
quella notte fu una di quelle in cui era irremovibile.
Il
dottore, sbirciando con cautela al di sopra del libro, vide il gatto
dare inizio alla sua esibizione. Incominciò fissando con espressione
innocente il cane che se ne stava disteso in mezzo alla stanza con
il naso fra le zampe e gli occhi ben aperti. Poi si alzò e finse di
voler andare verso la porta, camminando lentamente e a passi felpati.
Flame lo seguì con lo sguardo finché non non uscì dalla sua
visuale. Il gatto, allora, si girò di scatto e prese a dare colpetti
alla coda del cane con la zampina. Per tutta risposta, la coda si
mosse appena, così Smoke cambiò zampa e la colpì di nuovo. Il
cane, comunque, non si alzò a giocare come desiderato e il gatto
cominciò ad attaccarla energicamente con tutte e due le zampe. Flame
continuò a restare immobile.
Questo
disorientò e annoiò il gatto che prese a girargli intorno
osservando con sguardo severo la faccia del suo amico per capire
quale fosse il problema. Forse qualche muto messaggio lampeggiò
dagli occhi del cane fino al suo piccolo cervello, facendogli capire
che era meglio che il programma per la serata non iniziasse con i
soliti giochi. Forse capì soltanto che il suo amico era
irremovibile. Ma, qualunque fosse il motivo, da quel momento in poi
la sua solita insistenza lo abbandonò e non fece ulteriori tentativi
per convincere il suo compagno. Improvvisamente, Smoke si adeguò
all’umore del cane: si sedette lì dove si trovava e iniziò la sua
toilette.
Ma
la toilette, notò il dottore, non era assolutamente il suo vero
scopo, la usò soltanto per mascherare qualcos’altro: nei momenti
di più furiosa attività, si fermava e incominciava a guardare in
giro per la stanza. I suoi pensieri vagavano in modo assurdo. Fissava
con intensità le tende, gli angoli bui, gli spazi vuoti soprastanti,
mentre il suo corpo restava fermo in posizioni stranamente complicate
per diversi minuti.
Poi,
all’improvviso si rigirava e fissava il cane con un improvviso
segnale di intesa, e Flame, d’un tratto, si metteva in piedi con
movimenti rigidi e iniziava a vagare senza meta e senza tregua avanti
e indietro per la stanza. Smoke lo seguiva, zampettando
silenziosamente dietro di lui. Fra di loro, facevano quello che
sembrava essere un’intenzionale ispezione della stanza.
Intanto,
il dottore li seguiva con lo sguardo da sopra il libro, annotando
attentamente ogni dettaglio del loro comportamento, senza tuttavia
fare alcuno sforzo per interferire e, ad un certo punto, gli sembrò
che incominciassero a manifestarsi i primi sintomi di un lieve
disagio nel collie e nel gatto i rimescolii di una vaga eccitazione.
Li
osservò attentamente. Nell’aria c’era una densa nebbia,
incrementata dal fumo che usciva dalla sua pipa; i mobili
all’estremità della stanza si vedevano con difficoltà e là dove
le ombre si adunavano in nubi sospese sotto il soffitto, si vedeva
ancora meno; la luce della lampada illuminava solo fino ad un metro e
mezzo dal pavimento, al di sopra c’erano altrettanti strati di
tenebre, così che la stanza sembrava alta il doppio di quello che
era in realtà. Grazie alla lampada e al fuoco, comunque, il tappeto
era chiaramente visibile da ogni lato.
Gli
animali fecero il loro silenzioso giro del pavimento, a volte
conduceva il cane, a volte il gatto; di tanto in tanto si guardavano
come per scambiasi dei segnali e un paio di volte, a dispetto dello
spazio limitato, perse di vista ora l’uno ora l’altro tra la
nebbia e le ombre. La loro curiosità, gli sembrava, era molto più
della semplice eccitazione che si cela nello sconosciuto territorio
di una oscura stanza, tuttavia, fino ad allora, era stato impossibile
accertarsene e, a tal proposito, tenne la mente in uno stato di calma
ricettività per evitare che la minima eccitazione da parte sua
potesse trasmettersi agli animali e così annullare l’utilità del
loro comportamento indipendente.
Fecero
un giro molto accurato e non trascurarono di esaminare o annusare
alcun pezzo di mobilio. Flame apriva la strada, camminando lentamente
e a testa bassa e Smoke lo seguiva umilmente, facendo sembrare di non
essere interessato, ma senza tralasciare niente. E, alla fine,
tornarono indietro, il vecchio collie per primo, e andarono a
riposare sul tappetino di fronte al fuoco. Flame appoggiò il muso
sul ginocchio del padrone, sorridendo beato mentre l’altro gli
accarezzava la testa e lo chiamava per nome; Smoke, arrivando un po’
più tardi e facendo finta di essere lì per caso, guardò prima il
piattino vuoto e poi il volto del dottor Silence, e leccò fino
all’ultima goccia il latte che gli fu dato, poi si piegò sulle
ginocchia e si acciambellò per prepararsi al sonno che aveva
pienamente meritato e che intendeva godersi.
Il
silenzio scese sulla stanza. Soltanto il respiro del cane sul
tappetino attraversava quella calma profonda, simile al pulsare del
tempo che segna i minuti, mentre, all’esterno, il costante
gocciolio della nebbia sui davanzali delle finestre testimoniava
cupamente l’inclemenza della notte. E il dolce crepitio dei carboni
diventava sempre più fioco a mano a mano che il fuoco si abbassava e
alle fiamme veniva a mancare la loro intensità.
Era
ormai passata la mezzanotte e il dottor Silence si dedicò di nuovo
al suo libro. Leggeva le parole stampate sulla pagina e capiva il
loro significato superficialmente, senza tuttavia dare vita a quella
correlazione di pensieri e suggestioni che dovrebbe accompagnare una
lettura interessante. Sotto sotto, nel frattempo, le sue energie
mentali erano intente ad osservare e ascoltare, in attesa di quello
che poteva succedere. Pur non essendo molto ottimista, non voleva
essere colto di sorpresa. Ad ogni modo, gli animali, i suoi barometri
del paranormale, si erano inesorabilmente addormentati.
Dopo
aver letto una dozzina di pagine, comunque, si rese conto che la sua
mente, in realtà, era occupata a riesaminare la straordinaria storia
di Pender e che non era più necessario tenere a freno la sua
immaginazione studiando i noiosi paragrafi dettagliati sulla pagina
di fronte a lui. Di conseguenza, mise giù il libro e permise ai suoi
pensieri di concentrarsi sui vari aspetti del caso. Tuttavia, si
proibì rigorosamente ogni speculazione sul loro significato, sapendo
che simili pensieri avrebbero agito sulla sua immaginazione come
vento sulla brace ardente di un fuoco.
Con
l’avanzare della notte, il silenzio diventava sempre più profondo,
e solo di rado sentiva il rumore delle ruote sulla strada principale
pochi metri più in là, dove i cavalli avanzavano a passo lento a
causa della fitta nebbia. Non sentiva più l’eco di passi umani, e
dalla strada laterale non giungeva più il clamore di voci
occasionali. La notte, soffocata dalla nebbia, avvolta dai veli di un
supremo mistero, circondava la villa come un funesto presagio. Nella
casa non si muoveva niente. La calma più assoluta, sotto una pesante
coperta, dormiva ai piani superiori. Solo la nebbia nella stanza
diventava sempre più densa, pensò, e la fredda umidità più
penetrante. Di sicuro, di tanto in tanto, rabbrividiva.
Il
collie, ora assopito, ogni tanto si muoveva, - grugniva, sospirava o
contraeva le zampe sognando. Smoke dormiva acciambellato, una pozza
di caldo pelo nero, e solo un’attenta osservazione poteva rilevare
il movimento dei suoi lucidi fianchi. Era difficile distinguere con
esattezza dove la testa e il corpo si univano in quel cerchio di pelo
scintillante; solamente un setoso naso nero e la sottile punta rosa
della lingua tradivano il segreto.
Il
dottor Silence lo guardò e si sentì rassicurato. Il respiro del
collie era confortante. Il fuoco era stato caricato a dovere e
sarebbe durato per un altro paio d’ore senza particolari
attenzioni. Non rilevava il minimo segno di nervosismo. In
particolare, desiderava restare nel suo normale e ordinario stato
mentale e non voleva forzare niente. Se il sonno fosse arrivato
naturalmente, lo avrebbe lasciato arrivare – e sarebbe stato
perfino benvenuto. Quando più tardi il fuoco si sarebbe esaurito, il
freddo della stanza lo avrebbe sicuramente risvegliato e allora ci
sarebbe stato tempo sufficiente per portare sopra i suoi barometri
dormienti e metterli a letto.
In
seguito ad alcune premonizioni psichiche, sapeva bene che la notte
non sarebbe trascorsa senza avventure, ma non desiderava forzarne
l’arrivo e voleva restare normale e lasciare che gli animali
restassero normali, così che, quando sarebbe arrivato il momento,
non ci sarebbe stata alcuna eccitazione o affaticamento
dell’attenzione. Era stato reso edotto da numerosi esperimenti. E,
per il resto, non aveva paura.
Come
previsto, dopo un po,’ si addormentò e l’ultima cosa che
ricordò, dopo che l’oblio era calato sui suoi occhi come morbida
lana, fu l’immagine di Flame che di colpo allungava tutte e quattro
le zampe e sospirava rumorosamente come se stesse cercando, sopra il
tappetino, una posizione più comoda per le sue zampe e il suo muso.
Parecchio
tempo dopo, divenne cosciente di avere un peso sul petto e che c’era
qualcosa che gli si strusciava sulla faccia e sulla bocca. Fu
svegliato da un leggero tocco sulla guancia. Qualcuno gli stava dando
dei colpetti.
Si
alzò a sedere di scatto e si trovò a guardare dritto in un paio di
occhi brillanti, metà grigi, metà neri. La faccia di Smoke era
all’altezza della sua: il gatto era salito con le zampe anteriori
sul suo petto.
La
la fiammella della lampada era stata regolata al minimo e il fuoco
era quasi spento, tuttavia il dottor Silence si accorse
immediatamente che il gatto era in uno stato di eccitazione.
Affondava le zampe anteriori nel suo petto, passando dall’una
all’altra. Le sentiva spingere contro di lui. Il gatto alzò
delicatamente una zampa e gli toccò il viso con cautela. Si accorse
che il pelo della bestia era ritto sulla schiena e le orecchie erano
come schiacciate sulla testa, la coda oscillava violentemente.
Il
gatto, naturalmente, lo aveva svegliato con uno scopo e nel momento
in cui se ne rese conto, lo sistemò sul bracciolo della poltrona e
balzò su con una veloce giravolta per trovarsi di fronte alla stanza
vuota dietro di lui. Grazie ad un misterioso istinto, le braccia
assunsero autonomamente una posizione di difesa, come a respingere
qualcosa che minacciava la sua incolumità. Eppure non si vedeva
niente. Solamente delle sagome di nebbia che si aggiravano
faticosamente per l’aria, muovendosi appena avanti e indietro.
Adesso,
la sua mente era in piena allerta e le ultime tracce di sonno erano
sparite. Alzò la fiamma della lampada e si guardò intorno. Si rese
immediatamente conto di due cose: una, che Smoke, sebbene eccitato,
era piacevolmente eccitato; l’altra, che il collie non si
vedeva più sul tappetino ai suoi piedi. Era scivolato via
nell’angolo della parete più lontana dalla finestra e se ne stava
lì a guardare la stanza con occhi ben aperti, in cui era chiaramente
visibile un certo allarme.
Qualcosa
d’insolito nel comportamento del cane colpì all’istante il
dottor Silence e, chiamandolo per nome, attraversò la stanza per
accarezzarlo. Flame si alzò, agitò la coda e si avvicinò
lentamente al tappetino emettendo un suono basso, fra il lamento e il
grugnito. Era evidentemente turbato per qualcosa e il suo padrone si
accingeva a dargli conforto, quando la sua attenzione fu
improvvisamente attirata dalle buffonate del suo compagno a quattro
zampe, il gatto.
E
quello che vide lo riempì di qualcosa simile allo stupore.
Smoke
era saltato giù dalla spalliera della poltrona e ora occupava il
centro del tappeto dove, con la coda dritta e le gambe rigide come
bacchette, continuava ad andare avanti e indietro in uno spazio molto
limitato, emettendo, nel frattempo, quei curiosi piccoli suoni
gutturali che solo un animale di razza felina sa come rendere
espressivi della suprema felicità. Le sue gambe rigide e la schiena
inarcata lo facevano sembrare più grande del normale, mentre il viso
nero sfoggiava un sorriso di beata gioia. I suoi occhi scintillavano
magnificamente, era in estasi.
Appena
fatti pochi passi, si girava di scatto e riprendeva a camminare lungo
la stessa linea, zampettando silenziosamente e facendo le fusa come
un piccolo tamburo con la sordina. Si comportava proprio come se si
stesse strofinando contro le caviglie di qualcuno che restava
invisibile. Lungo la schiena del dottore corse un brivido, mentre
rimaneva a guardare. Finalmente, il suo esperimento diventava
interessante.
Richiamò
l’attenzione del collie al comportamento del suo amico per veder se
notava qualcosa stando lì sul tappeto, e il comportamento del cane
fu significativo e stimolante. Arrivò fino alla ginocchia del
padrone e poi si bloccò, rifiutandosi di investigare da vicino. Il
dottor Silence lo sollecitò invano, ma quello agitò la coda, mugolò
un po’ e, mezzo accucciato, si mise a guardare ora il gatto, ora
la faccia del padrone. Apparentemente, era sia stupito che allarmato,
e il mugolio nella sua gola divenne sempre più profondo finché si
trasformò in un cupo ghigno di crescente rabbia.
Allora
il dottore lo chiamò con un tono di comando che non aveva mai
conosciuto disubbidienza, ma di nuovo il cane, pur alzandosi per
tutta risposta, rifiutò di avvicinarsi. Tentò anche di fare qualche
passo, saltellò un po’ come un cane che sta per avere a che fare
con l’acqua, finse di abbaiare e corse avanti e indietro sul
tappeto. Per il momento, non c’era vera paura nel suo
comportamento, ma era certamente a disagio e nervoso, e niente
avrebbe potuto indurlo ad andare a una distanza ravvicinata dal gatto
che passeggiava. Una volta completò il circuito, ma tenendosi sempre
attentamente a distanza e alla fine ritornò vicino alle gambe del
padrone e vi si strofinò contro vigorosamente. A Flame
quell’esibizione non piaceva, quello era chiaro.
Per
alcuni minuti, il dottor Silence rimase a guardare l’esibizione del
gatto con profonda attenzione e senza interferire. Poi lo chiamò per
nome.
“Smoke,
tu misterioso animale, cosa starai mai combinando?” disse, con tono
accattivante.
Il
gatto lo fissò per un momento, sorridendo nella sua estasi, battendo
gli occhi, ma troppo felice per fermarsi. Gli parlò di nuovo. Lo
chiamò diverse volte e ogni volte il gatto lo fissava con i suoi
occhi luminosi, ubriaco della sua felicità interiore, aprendo e
chiudendo le labbra, il corpo gonfio e rigido per l’eccitazione.
Tuttavia, non si fermò nemmeno per un istante nei sui brevi
andirivieni.
Il
dottore annotò con precisione il comportamento dell’animale: vide
che faceva ogni volta lo stesso numero di passi, poi si rigirava di
scatto e riprendeva. Lo misurava grazie al motivo a grandi rose del
tappeto. Manteneva la stessa direzione per lo stesso tratto. Si
comportava esattamente come se si stesse strofinando contro qualcosa
di solido. Senza dubbio, c’era qualcosa lì su quel pezzo del
tappeto, qualcosa invisibile per il dottore, qualcosa che allarmava
il cane, ma che procurava al gatto un indicibile piacere.
“Smokie!”
chiamò di nuovo, “Smokie, tu nero mistero, cos’è che ti eccita
tanto?”
Di
nuovo, il Gatto lo fissò per un istante e poi continuò la sua
ronda, beatamente felice, intensamente assorto. E, per un momento,
mentre lo guardava, il dottore si rese conto che una leggera
inquietudine si agitava nella profondità del proprio essere e si
focalizzava, per ora, sul curioso comportamento della misteriosa
creatura di fronte a lui.
A
questo punto, nacque dentro di lui una nuova percezione del mistero
connesso all’intera tribù dei felini – le loro vite segrete, il
loro strano distacco, la loro incommensurabile sottigliezza – e, in
particolare, al suo membro più comune, il gatto domestico. Quanto
incredibilmente remote da tutto ciò che gli esseri umani conoscevano
erano le fonti delle loro sfuggenti attività. Mentre osservava
l’incredibile incedere della piccola creatura che camminava a
passettini lungo la striscia di tappeto sotto i suoi occhi,
civettando con le potenze delle tenebre, dando il benvenuto, forse, a
qualche terribile visitatore, ecco farsi strada nel suo cuore un
sentimento stranamente simile alla soggezione.
L’indifferenza
per il genere umano e la serena superiorità verso l’ovvio, lo
colpirono con la forza di un nuovo significato, tanto remoti e
inaccessibili sembravano i segreti propositi della vita reale del
gatto, così alieni alla caotica onestà degli altri animali.
Quell’assoluta padronanza di sé gli richiamò alla mente le parole
del mangiatore d’oppio “nessuna dignità è perfetta se, ad un
certo punto, non si allea con il misterioso” e si rese
immediatamente conto che la presenza del cane era particolarmente
gradita in quella stanza nebbiosa e infestata in cima a Putney
Hill. Quel gatto in marcia lo faceva sentire a disagio.
Resosi
conto che Smoke non prestava ulteriore attenzione alle sue parole, il
dottore decise di passare all’azione. Si sarebbe strofinato anche
contro le sue gambe? Lo avrebbe colto di sorpresa e sarebbe stato a
vedere.
Si
portò velocemente proprio su quella parte di tappeto dove camminava
la bestiola.
Ma
non c’è gatto che possa essere colto di sorpresa! Nel momento in
cui occupò lo spazio dell’Intruso, mettendo i piedi sulle rose
intessute che si trovavano a metà del percorso, Smoke
improvvisamente si fermò, facendo le fusa e mettendosi a sedere.
Alzò la faccia e lo fissò con il più innocente sguardo
immaginabile dei suoi occhi verdi. Il dottore avrebbe potuto giurare
che stava ridendo.
Era
di nuovo un perfetto bambino. Nel giro di un secondo, aveva ripreso i
suoi semplici modi domestici e lo guardò in una tale maniera che gli
sembrò che Smoke fosse quello normale e che il comportamento
eccentrico da tenere d’occhio fosse il suo. Era provetto, il modo
in cui operò questo cambiamento così facilmente e velocemente.
“Che
superbo piccolo attore!” rise, a dispetto di sé, e si chinò per
accarezzare la lucida schiena nera. Ma, in un lampo, appena gli toccò
il pelo, il gatto si voltò e gli sputò addosso con malevolenza,
colpendogli la mano con la zampa. Poi, con un rapido scatto delle
zampe, schizzò come un’ombra attraverso il pavimento e un attimo
dopo era tranquillamente seduto vicino alle tende della finestra,
lavandosi la faccia come se al mondo non lo interessasse niente altro
che la pulizia delle sue guance e dei suoi baffi.
John
Silence si raddrizzò e respirò a fondo. Si rese conto che, per il
momento, l’esibizione era finita. Nel frattempo, il collie, che
aveva osservato tutta la scena con evidente disapprovazione, si era
steso di nuovo sul tappetino davanti al fuoco, smettendo di
ringhiare. Al dottore sembrò proprio come se qualcosa entrata nella
stanza mentre lui dormiva, allarmando il cane ma portando felicità
al gatto, ora se ne fosse andata di nuovo, lasciando tutto com’era
prima. Qualunque cosa fosse ad aver suscitato la gioiosa attenzione
di Smoke, per ora, si era ritirata.
Era
giunto a questa conclusione grazie alla sua intuizione. Anche il
gatto, evidentemente, lo aveva capito perché, poco dopo, si degnò
di ritornare al focolare e saltare sulle ginocchia del padrone. Il
dottor Silence, paziente e determinato, si concentrò di nuovo sul
suo libro. Gli animali si addormentarono immediatamente mentre il
fuoco bruciava allegramente e la fredda nebbia all’esterno filtrava
nella stanza attraverso ogni possibile crepa e fessura.
Per
lungo tempo il silenzio e la pace regnarono nella stanza e il dottor
Silence si avvantaggiò di quella quiete per prendere accurate note
sull’accaduto. Egli redasse, a futura memoria in casi simili,
un’analisi esaustiva di quanto aveva osservato, con speciale
riguardo agli effetti sui due animali. E’ impossibile dettagliare
qui queste osservazioni, né sarebbero comprensibili per un lettore
inesperto che non avesse le conoscenze di uno specialista del
paranormale scientificamente addestrato come il dottor Silence.
Ma
per lui, la situazione, fino ad un certo punto, era chiara – per
il resto doveva aspettare e stare a vedere. Quel che aveva capito era
che mentre dormiva nella poltrona – meglio, mentre la sua volontà
era dormiente – la stanza aveva patito l’intrusione da parte di
quella che riconobbe come una Forza intensamente attiva e, in
seguito, avrebbe potuto essere costretto a considerarla più di una
semplice forza cieca, vale a dire, una personalità ben definita.
Fino
ad ora lo aveva scarsamente influenzato, ma aveva agito direttamente
sugli organismi più semplici degli animali. Aveva stimolato in
profondità i centri dell’essenza psichica del gatto, inducendo uno
stato di immediata felicità (probabilmente intensificando la sua
coscienza allo stesso modo in cui una droga o uno stimolante
intensifica quella di un essere umano), mentre aveva allarmato il
cane meno sensibile, facendogli provare una vaga apprensione e uno
strano malessere.
La
sua azione improvvisa e la sua esibizione di energia erano servite a
disperderla temporaneamente, tuttavia era convinto – gli indizi non
mancavano perfino mentre era seduto a prendere nota – che la sua
influenza, se non la sua presenza, rimaneva ancora accanto a lui, e
stava, per così dire, raccogliendo le forze per un secondo attacco.
Inoltre,
intuì che le relazioni tra i due animali avevano subito un sottile
cambiamento: che il gatto era diventato incommensurabilmente più
forte, fiducioso e sicuro di sé nel suo particolare ambito, mentre
Flame era stato indebolito da un attacco che non riusciva a
comprendere e che non sapeva come affrontare. Sebbene non fosse
ancora spaventato, aveva un atteggiamento di sfida – pronto ad
agire contro una paura che sentiva avvicinarsi. Non era più paterno
e protettivo verso il gatto. Smoke possedeva la chiave della
situazione, e sia lui che il gatto lo sapevano.
Così,
mentre i minuti passavano, John Silence restava seduto ad aspettare,
in estrema allerta, chiedendosi quando sarebbe stato ripetuto
l’attacco e a che punto si sarebbe spostato dagli animali per
dirigersi su di lui. Il libro era posato sul pavimento accanto a lui,
gli appunti erano stati completati. Con una mano sul pelo del gatto e
le zampe anteriori del cane contro i suoi piedi, tutti e tre
dormivano tranquillamente al calduccio davanti al focolare mentre la
notte procedeva verso la mezzanotte e il silenzio diventava più
profondo.
Era
passata l’una del mattino quando il dottor Silence spense la
lampada e accese la candela prima di andare a letto. Poi, Smoke si
svegliò improvvisamente con un acuto miagolio e si mise seduto. Non
si stiracchiò, né si lavò o si rotolò: rimase in ascolto. E il
dottore, osservandolo, capì che nella stanza era appena avvenuto un
ineffabile cambiamento. C’era stato un veloce riadattamento delle
forze dentro quelle quattro mura – una nuova disposizione delle
loro personali situazioni. L’equilibrio era distrutto, la
precedente armonia sparita. Smoke, il più sensibile dei barometri,
era stato il primo a percepirlo, ma il cane non ci mise molto a
seguirlo: guardando giù, notò che Flame non dormiva più. Era
disteso con gli occhi spalancati e proprio in quel momento si mise a
sedere sulle sue robuste zampe posteriore e iniziò a ringhiare.
Il
dottor Silence era sul punto di prendere i fiammiferi per riaccendere
la lampada, quando un movimento appena percepibile, proprio dietro di
sé, lo fece fermare. Smoke saltò giù dalle sue ginocchia e fece
qualche passo sul tappeto. Poi si fermò a guardare con gli occhi
sbarrati. Il dottore si spostò sul tappetino per osservarlo.
Mentre
si alzava, il rumore si ripeté e scoprì che non era nella stanza,
come aveva pensato in un primo momento, ma proveniva dall’esterno e
da più direzioni. C’era un fruscio e uno strofinio contro i vetri
della finestra e, contemporaneamente, il suono di qualcosa che
sfregava contro la porta – fuori, nell’ingresso. Smoke avanzò
prudentemente attraverso il tappeto, agitando la coda, e si mise a
sedere ad un palmo dalla porta. L’influenza che aveva distrutto le
armoniose condizioni della stanza, si era apparentemente mossa per
sostenere la sua causa. Chiaramente, qualcosa stava per accadere.
Per
la prima volta quella notte, John Silence esitò, il pensiero di
quell’ingresso angusto e buio, soffocato dalla nebbia e privo di
ogni conforto umano, era spiacevole. Si accorse di un leggero brivido
lungo la pelle. Naturalmente, sapeva che non era necessario che la
porta si aprisse per permettere l’imminente invasione della stanza,
dal momento che né le porte, né le finestre, né ogni altra
barriera fisica potevano essere d’ostacolo a ciò che stava
cercando di entrare. Tuttavia, l’apertura della porta sarebbe stato
significativo e simbolico e se ne allontanò decisamente.
Ma
solo per un momento. Smoke, rigirandosi con un moto d’impazienza,
lo richiamò al suo compito e lui passò oltre la piccola sentinella
e, di proposito, aprì completamente la porta.
Quello
che accadde in seguito, accadde alla flebile e incerta luce della
solitaria candela sul focolare.
Attraverso
la porta aperta vide l’ingresso, debolmente illuminato e invaso da
una densa nebbia. Naturalmente, non si vedeva niente se non la
cappelliera, le linee scure delle lance africane sulla parete e
sotto, in un grottesco contrasto, la sedia di legno dall’alto
schienale sistemata sul pavimento di linoleum. Per un istante, la
nebbia sembrò muoversi e infittirsi sorprendentemente, ma egli lo
attribuì all’azione dell’immaginazione. La porta era stata
aperta sul nulla.
Ma
Smoke, apparentemente, la pensava diversamente, e il cupo ghigno del
collie dal tappetino sul fondo della stanza sembrava confermare il
suo giudizio.
Perché,
orgoglioso e padrone di sé, il gatto si era di nuovo messo in piedi
e, essendo arrivato alla porta, adesso stava lentamente scortando
qualcuno nella stanza. Niente poteva essere più evidente. Andava da
un lato all’altro dell’intruso, chinando la sua testolina con
grande entusiasmo e mantenendo alta la coda, rigida come un’asta di
bandiera. Girava in un senso e nell’altro, andando avanti e
indietro a piccoli passi, dando segni di estrema soddisfazione. Era
nel suo elemento. Diede il suo benvenuto all’invasione e,
apparentemente, supponeva che i suoi compagni, il dottore e il cane,
avrebbero fatto altrettanto.
L’Intruso
era ritornato per un secondo attacco.
Il
dottor Silence si mosse lentamente all’indietro e prese posizione
sul tappetino del focolare, radunando tutte le sue energie fino ad
una condizione di concentrata attenzione.
Notò
che Flame era accanto a lui, rivolto verso la stanza, con il corpo
immobile, la testa che si muoveva velocemente da un lato all’altro
con un curioso movimento oscillatorio. Gli occhi erano spalancati, il
dorso rigido, il collo e le fauci spinte in avanti, le gambe tese e
pronta a saltare. Selvaggio, pronto all’attacco o alla difesa,
tuttavia terribilmente disorientato e forse già un po’ intimidito,
restava immobile a guardare, il pelo sul dorso e sui fianchi irto
come se il vento vi passasse attraverso. Alla pallida luce del
focolare, sembrava un grosso lupo dal pelo giallo, silenzioso, con
gli occhi che sprizzavano nere scintille, davvero formidabile. Era
Flame, il terribile.
Smoke,
nel frattempo, avanzò dalla porta verso il centro della stanza,
adottando il lento incedere del suo invisibile compagno. Dopo pochi
passi si fermò e iniziò a sorridere e a socchiudere gli occhi.
C’era qualcosa di volutamente accattivante nel suo atteggiamento
mentre se ne stava lì, sul tappeto, esitante, chiaramente desideroso
di fare una specie di presentazione tra l’Intruso e il suo amico e
alleato canino. Assunse i suoi modi più seducenti, facendo le fusa,
sorridendo, lanciando occhiate persuasive dall’uno all’altro e
compiendo veloci passettini titubanti, prima in una direzione e poi
nell’altra. A questo punto, sicuramente Flame avrebbe apprezzato le
intenzioni di Smoke e avrebbe acconsentito.
V
Ma
il vecchio collie non si mosse. Sfoderò i denti, sollevando le
labbra fino a mostrare le gengive, e rimase immobile, ansante e con
gli occhi fissi. Il dottore indietreggiò ancora un po,’
osservando attentamente il più piccolo movimento, e fu proprio in
quel momento che, improvvisamente, intuì dal comportamento e
dall’atteggiamento del gatto che l’Intruso era qualcosa di più
di una forza che agiva ciecamente, impersonale sebbene distruttiva.
Era una Personalità e, per di più, una grande personalità. Ed era
accompagnata, allo scopo di darle assistenza, da una schiera di altre
personalità, di grado inferiore, ma dello stesso genere.
Il
dottore si infilò nell’angolo accanto al focolare e aspettò, con
tutto il suo essere sulla difensiva, perché adesso era perfettamente
consapevole che l’attacco era stato esteso per includere lui oltre
che gli animali, doveva quindi restare in allerta. Guardò attraverso
quell’atmosfera nebbiosa, sforzando gli occhi nel vano tentativo di
vedere quello che vedevano il gatto e il cane, ma la candela emanava
una luce incerta e baluginante e i suoi occhi non discernevano
alcunché. Sul pavimento davanti a lui, Smoke si muoveva
silenziosamente, come un’ombra oscura, con gli occhi scintillanti
quando alzava la testa, tentando ancora, con molti gesti accattivanti
e tante fusa, di realizzare le agognate presentazioni.
Ma
fu tutto inutile. Flame rimase inchiodato dove si trovava, immobile
come una figura scolpita nella pietra.
Passarono
alcuni minuti, durante i quali si mosse soltanto il gatto, poi
intervenne un brusco cambiamento. Flame iniziò ad indietreggiare
verso la parete. Muoveva la testa da un lato all’altro mentre
camminava, a volte si rigirava come per avventarsi su qualcosa
proprio dietro di lui. Avanzavano verso di lui, provando a
circondarlo. Da quel momento in poi, la sua angoscia divenne sempre
più marcata e al dottore sembrò che la sua rabbia si trasformasse
in genuino terrore e che ne fosse sopraffatto. Il ringhio selvaggio
rassomigliava pericolosamente ad un gemito, e più di una volta tentò
di tuffarsi dietro le gambe del padrone, come a cercare una via di
fuga. Stava tentando di evitare qualcosa che gli bloccava la strada
da ogni parte.
Il
terrore di quell’indomabile combattente impressionò enormemente il
dottore, ma anche dolorosamente, suscitando la sua ansia perché,
fino a quel momento, non aveva mai visto il cane mostrare segni di
resa e questo spettacolo lo sconfortava. Sapeva, tuttavia, che non si
stava arrendendo con facilità e capì che era davvero impossibile
per lui valutare correttamente le sensazioni dell’animale. Ciò che
Flame provava, e vedeva, doveva essere veramente terribile per
trasformarlo improvvisamente in un codardo. Stava affrontando
qualcosa che gli faceva temere per molto più che la sua vita
soltanto. Il dottore gli rivolse alcune veloci parole di
incoraggiamento e gli accarezzò il pelo irto. Ma con scarso
successo. Il collie sembrava essere già oltre la portata di una
consolazione di quel tipo e, in effetti, subito dopo seguì molto
velocemente il collasso del vecchio cane.
E,
nel frattempo, Smoke rimase indietro, ad osservare l’avanzata, ma
senza prendervi parte; sedeva, compiaciuto e in attesa, convinto che
stava andando tutto bene e come desiderava. Prese a pestare il
tappeto con le zampe anteriori – lentamente, faticosamente, come se
affondassero nella melassa. Il suono prodotto dai suoi artigli quando
restavano impigliati nei fili, si udiva distintamente. Stava ancora
sorridendo, ammiccando e facendo le fusa.
Improvvisamente
il collie emise un cupo e breve guaito e saltò pesantemente di lato.
I suoi denti sguainati formavano una riga di biancore attraverso
quella cupa atmosfera. L’istante successivo sbucò di corsa da
dietro le gambe del suo padrone, facendogli quasi perdere
l’equilibrio, e schizzò nella stanza, dove procedette
selvaggiamente a tentoni contro le pareti e i mobili. Ma quel guaito
era significativo, il dottore lo aveva già sentito e sapeva cosa
significava: perché era il grido di chi combatte disperatamente e
voleva dire che la vecchia bestia aveva ritrovato il suo coraggio.
Forse era solo il coraggio della disperazione ma, in ogni modo, la
lotta sarebbe stata terrificante. E il dottor Silence comprese anche
che non avrebbe osato interferire. Flame doveva combattere i suoi
nemici alla sua maniera.
Ma
anche il gatto aveva sentito quel terribile abbaiare e anche lui
aveva capito. Questo era molto più di quanto si aspettasse.
Attraverso le deboli ombre di quella stanza infestata doveva essere
passato qualche segreto segnale di angoscia tra i due animali. Smoke
si alzò e si guardò rapidamente intorno. Emise un pietoso miagolio
e trotterellò a passo svelto verso l’ombra più scura presso le
finestre. Quale fosse il suo scopo, avrebbero potuto saperlo solo
coloro dotati di un’intelligenza di natura psichica come quella dei
gatti. Ma, ad ogni modo, alla fine si era schierato dalla parte del
suo amico. E il piccolo animale faceva sul serio.
In
quello stesso momento il collie riuscì a guadagnare la porta. Il
dottore lo vide correre nell’ingresso come un fulmine di luce
gialla. Fuggì lungo il pavimento di linoleum e sfrecciò su per le
scale, ma un secondo dopo riapparve, volando giù per i gradini e
atterrando sul pavimento con un ruzzolone, dolorante, umiliato e
terrorizzato. Lo vide indietreggiare furtivamente nella stanza e
strisciare intorno alle pareti fino al gatto. Quindi, anche le scale
erano invase? Loro erano anche nell’ingresso? Forse l’intera
casa, dal pavimento al soffitto, ne era piena?
Quel
pensiero venne ad aggiungersi alla profonda angoscia che provò alla
vista della disfatta del cane. E, infatti, la sua personale angoscia
era aumentata notevolmente durante gli ultimi minuti, e continuò ad
aumentare costantemente fino a raggiungere l’apice. Si rese conto
che la sua vitalità veniva prosciugata sempre di più e che
l’attacco adesso era diretto contro di lui più che contro il cane
sconfitto e il gatto fin troppo ingannato.
Dopo,
tutto sembrò così rapido e improvviso – gli eventi che ebbero
luogo in quella stanzetta moderna in cima a Putney Hill tra la
mezzanotte e l’alba – che il dottor Silence fu a malapena in
grado di seguire e ricordare ogni cosa. Tutto accadde con una tale
portentosa rapidità e un tale terrore, la luce era così incerta, i
movimenti del gatto nero così difficili da seguire sul tappeto scuro
e il dottore stesso così stanco e colto di sorpresa – che trovò
quasi impossibile osservare accuratamente o, in seguito, ricordare
con precisione quello che aveva visto o in che ordine gli eventi
avevano avuto luogo.
Non
riuscì mai a capire a causa di quale problema visivo aveva avuto
l’impressione che il gatto si fosse dapprima sdoppiato e poi
suddiviso all’infinito, così che ce ne erano almeno una dozzina
che scorrazzavano silenziosamente sul pavimento, saltando agilmente
sulle sedie e sui tavoli, passando come ombre attraverso la porta
aperta fino in fondo alla stanza, tutti neri come il peccato, con
brillanti occhi verdi che lampeggiavano fuoco in ogni direzione.
Sembravano i riflessi di un dozzina di specchi posti intorno alle
pareti con differenti angolazioni. Né al momento comprese perché la
dimensione della stanza sembrava alterata, diventata molto più
grande, e perché si allungava dietro di lui dove normalmente
avrebbero dovuto esserci le pareti. Il ringhiare del cane, infuriato
e terrorizzato, a volte risuonava tanto distante; Il soffitto
sembrava molto più alto di prima e la maggior parte dei mobili aveva
mutato aspetto e si era miracolosamente spostata.
Era
tutto così confuso e sconcertante, come se la piccola stanza che
egli conosceva si fosse dissolta e acquisito le dimensione di
un’altra camera che era arrivata fino a lui, con la sua schiera di
gatti e le sue strane proporzioni, in una specie di visione.
Ma
questi cambiamenti intervennero un po’ più tardi e in un momento
in cui la sua attenzione era così concentrata sulle manovre di Smoke
e del Collie che li realizzò, per così dire, inconsciamente.
Inoltre, la tensione, l’incerta luce della candela, l’ansia che
provava per il collie e l’ingannevole atmosfera creata dalla nebbia
erano i peggiori alleati possibili di un’attenta osservazione.
Dapprincipio,
era consapevole solo del fatto che il cane stava ripetendo, di tanto
in tanto, i suoi brevi allarmanti guaiti, scattando su
selvaggiamente, ad un palmo dal pavimento, per mordere l’aria
vuota. Una volta, infatti, balzò in avanti, lavorando furiosamente
con i denti e le zampe, e con un suono simile ad un combattimento di
lupi, ma solo per indietreggiare di corsa, un momento dopo, contro la
parete dietro di lui. Poi, dopo essere rimasto disteso e immobile per
un po,’ si accucciò come per saltare di nuovo, ghignando
orribilmente e facendo dei brevi semicerchi con la testa abbassata.
Ne frattempo, Smoke miagolava pietosamente cercando di attirare
l’attacco su di sé.
Poi
successe che la furia di tutta quella terribile faccenda si
allontanasse dal cane per dirigersi sulla sua persona. Il collie
aveva fatto un altro salto ed era ricaduto con un tonfo nell’angolo,
dove fece abbastanza chiasso, nella sua rabbia selvaggia, da
risvegliare i morti, prima di riprendere a lamentarsi e poi,
finalmente, giacere immobile. E immediatamente dopo la sofferenza del
dottore divenne intollerabilmente acuta. Aveva fatto un mezzo
movimento in avanti per portare soccorso, quando un velo più denso
della semplice nebbia sembrò cadere sulla scena, ricoprendo la
stanza, le pareti, gli animali e il fuoco in una nuvola di tenebre e
avvolgendosi anche intorno alla sua mente.
Altre
forme si mossero silenziosamente nel suo campo visivo, forme che
riconobbe da precedenti esperimenti e che non erano benvenute.
Pensieri blasfemi iniziarono ad affollarsi nella sua mente, le più
sinistre suggestioni del male si presentarono in maniera seducente.
Il suo cuore sembrava stretto in una morsa di ghiaccio e la sua mente
vacillò. Iniziò a perdere la memoria – la memoria della sua
identità, di dove fosse o di cosa avrebbe dovuto fare. La sua forza
sembrava scossa fin dalle fondamenta. La sua volontà sembrava
paralizzata.
E
fu allora che la stanza si riempì di quell’orda di gatti, tutti
neri come la notte, tutti silenziosi, tutti con gli occhi che
emettevano lampi di fuoco verde. Le dimensioni del posto mutarono e
si dilatarono. Si trovò in uno spazio molto più ampio. Il lamento
del cane risuonava remoto e, intorno a lui, i gatti schizzavano
incessantemente avanti e indietro, giocando silenziosamente il loro
straziante e violento gioco del male, tracciando sul pavimento il
disegno del loro oscuro proposito. Lottò duramente per riprendesi e
ricordare le parole di potereiv
di cui si era già servito in simili situazioni terrificanti dove la
sua pericolosa professione lo aveva talvolta condotto; ma non riuscì
a ricordare niente in modo coerente. Una nebbia si era posata sulla
sua mente e sulla sua memoria, si sentiva stordito e le sue forze
dissipate. Gli abissi della sua mente erano troppo turbati perché ne
scaturisse il potere di guarire.
Era
un incantesimo, naturalmente, lo capì più tardi, il potente
incantesimo lanciato sulla sua immaginazione da qualche forte
personalità dietro il velo, ma al momento non ne era
sufficientemente consapevole e, come in ogni vero incantesimo, era
incapace di discernere dove finisse il vero e iniziasse il falso. Era
momentaneamente preso nello stesso vortice che aveva cercato di
sedurre il gatto per annientarlo con il piacere e minacciato il cane
per sopraffarlo con la paura.
Dal
caminetto dietro di lui giunse un suono simile al vento quando scende
giù rimbombando e ruggendo. Le finestre tremarono. La candela
vacillò e si spense. Quell’atmosfera glaciale si chiuse intorno a
lui col freddo della morte e il suono di un cupo fruscio passò
rapidamente sulla sua testa come se il soffitto si fosse rialzato
vertiginosamente. Sentì la porta chiudersi. Risuonò remota. Nel
profondo della sua anima si sentì perso e indifeso. Tuttavia,
continuò a tenere duro e a resistere, mentre il culmine della
battaglia si avvicinava sempre di più… Era entrato nel flusso
delle forze risvegliate da Pender e sapeva che doveva resistergli
fino alla fine o giungere ad una conclusione a cui non era bene che
un essere umano giungesse. Qualcosa proveniente dalla regione del
freddo estremo era su di lui.
E
poi, quasi improvvisamente, attraverso le confuse nebbie intorno a
lui, ecco sorgere lentamente la Personalità che aveva diretto la
battaglia per tutto il tempo. Il suo essere fu penetrato da alcune
forze che lo scossero come la tempesta scuote le foglie, e proprio
davanti ai suoi occhi, esattamente allo stesso livello del suo viso,
si trovò a fissare il relitto di una vasta faccia oscura, una faccia
che era terribile anche nella sua rovina.
Perché
era in rovina, e terribile, e il segno del male era impresso
dappertutto sulle sue guaste sembianze. Gli occhi, la faccia e i
capelli si sollevarono all’altezza dei suoi, e per un breve spazio
di tempo, che non riuscì mai a misurare correttamente o a
delimitare, questi due, l’uomo e la donna, si guardarono dritti in
faccia e l’uno nel cuore dell’altro.
E
John Silence, l’anima con le giuste e generose motivazioni, schierò
il suo contro la nera donna disincarnata la cui motivazione era la
pura malvagità e la cui anima era dalla parte dei poteri oscuri.
Quello
fu il momento in cui le sue energie interiori toccarono il fondo per
poi risalire gradualmente. Era cosciente, naturalmente, dello forzo,
eppure non gli sembrò super umano, perché aveva riconosciuto la
natura del potere del suo avversario. E fece appello al buono dentro
di sé per affrontarlo e sconfiggerlo. Le forze interiori si
agitarono e tremarono in risposta al suo appello.
Dapprincipio,
non accorsero prontamente come era loro abitudine, perché, sotto
l’influsso dell’incantesimo, erano ormai state diabolicamente
ridotte all’inattività, ma alla fine accorsero, sorgendo fuori
dalla sua intima natura spirituale che aveva imparato, con il tempo e
tanto dolore, a riportare in vita. E insieme a loro vennero la forza
e la fiducia. Iniziò a respirare profondamente e regolarmente e,
contemporaneamente, ad assorbire dentro di sé le forze che lo
contrastavano e a portarle dalla sua parte. Smettendo di
resistere e permettendo a quel flusso mortale di riversarsi dentro di
lui senza opposizione, usò lo stesso potere fornitogli dal suo
avversario per incrementare enormemente il suo.
Perché
era questa l’alchimia spirituale che aveva imparato. Aveva capito
che l’energia è sempre e comunque una e la stessa, questo è la
ragione per cui può essere buona o cattiva, e la sue ragioni erano
del tutto altruiste. Sapeva – purché non gli venisse sottratto da
subito il suo autocontrollo – come assorbire passivamente queste
radiazioni maligne e mutarle magicamente nei suoi buoni propositi. E,
dal momento che le sue ragioni erano pure e la sua anima coraggiosa,
non potevano fargli alcun male.
Quindi,
se ne stette nel flusso principale del male inavvedutamente
richiamato da Pender, deviandone il corso su sé stesso e, dopo
essere passate attraverso il filtro purificatore del suo altruismo,
queste energie potevano solo aggiungersi alla sua scorta di
esperienze, di conoscenza e, pertanto di potenza. E, mentre
recuperava il suo autocontrollo, raggiunse gradualmente il suo scopo,
anche se tremando per tutto il tempo.
Fu
una dura lotta e, a dispetto dell’aria gelida, il sudore gli colava
giù per la faccia. Poi, un po’ alla volta, quel nero volto
spaventoso sparì, l’incantesimo abbandonò la sua anima, pareti e
soffitto ritornarono alle loro normali dimensioni, le forme si
dispersero di nuovo nella nebbia e il turbinio dei gatti ombra sparì
da dove erano venuti.
E
con il ritorno della consapevolezza della propria identità, John
Silence riacquistò il pieno controllo della sua forza di volontà.
Con voce profonda e modulata, iniziò a pronunciare certi suoni
ritmici che, man mano che il loro tono aumentava, si sparsero
lentamente nell’aria come un mare che avanza, riempendo la stanza
di possenti vibrazioni che sommersero tutte le irregolarità delle
vibrazioni minori. Contemporaneamente, eseguì alcuni sigilli, gesti
e movimentiv.
Continuò
a pronunciare queste parole per diversi minuti finché, alla lunga,
il volume crescente dominò l’intera stanza e controllò la
manifestazione di tutto ciò che gli si opponeva. Perché proprio
come capiva l’alchimia spirituale che può trasmutare le forze del
male indirizzandole in canali più nobili, così conosceva, grazie ai
lunghi studi, l’uso occulto del suono e i suoi diretti effetti su
quella plasmabile regione in cui le forze del male realizzano i loro
crudeli propositi.
E,
dopo di lui, il primo a rendersene conto fu il vecchio cane disteso
nel suo angolo. Improvvisamente, Flame iniziò ad emettere suoni di
piacere, quel ‘qualcosa’ a metà tra un guaito e un brontolio che
i cani fanno quando ritornano nelle grazie del loro padrone. Il
dottor Silence sentì il cane battere la coda sul pavimento. E quei
suoni toccarono profondamente il cuore dell’uomo e gli diedero una
pallida idea delle pene sofferte da quella muta creatura.
Poi,
dalle ombre intorno alla finestra, le acute fusa del gatto ne
annunciarono il ritorno al suo stato di normalità. Smoke stava
avanzando sul tappeto. Sembrava molto compiaciuto di sé e sorrideva
con un’espressione di estrema innocenza. Non era un gatto-ombra, ma
reale e pieno del suo solito e perfetto autocontrollo, con una
solenne dignità che suggeriva la sua dicendenza dalla stirpe reale
d’Egitto. I suoi occhi non mandavano più bagliori, ma emettevano
una luce uniforme, non irradiavano eccitazione, ma consapevolezza.
Chiaramente, era ansioso di fare ammenda per le cattiverie a cui si
era involontariamente prestato a causa della sua costituzione
sensibile ed elettrica.
Sempre
emettendo le sue acute fusa, marciò fino al suo padrone e si
strofinò energicamente contro le sue gambe. Poi, stando sulle zampe
posteriori, si appoggiò con quelle anteriori contro le sue ginocchia
e lo fissò con sguardo supplichevole. Girò la testa verso l’angolo
dove giaceva il collie, che batteva la coda debolmente e
pateticamente. John Silence capì. Si inchinò e gli accarezzò il
pelo animato, notando la linea di brillanti scintille blu che seguiva
il movimento della sua mano lungo la schiena della creatura. E poi,
si diressero insieme verso l’angolo dove si trovava il collie.
Smoke
arrivò per primo e mise gentilmente il naso contro il muso del suo
amico e vi si strofinò mentre faceva le fusa, modulando in gola
piccoli suoni delicati di affetto. Il dottore accese la candela e la
sollevò. Vide il collie disteso su di un fianco contro la parete,
era sfinito e le fauci erano ancora ricoperte di schiuma. La coda e
gli occhi rispondevano al richiamo del suo nome, ma era chiaramente
stanco e sopraffatto. Smoke continuò a strofinarsi contro le sue
guance, i suoi occhi e il suo naso, a volte standogli anche addosso e
spingendo le zampine nel suo folto pelo giallo. Di tanto in tanto,
Flame rispondeva con delle leccatine, molte delle quali stranamente
mal dirette.
Ma
il dottor Silence intuì che qualcosa di disastroso era accaduto, ed
ebbe una stretta al cuore. Accarezzò la povera bestia, tastandolo
alla ricerca di escoriazioni o ossa rotte, ma non trovò niente. Gli
diede da mangiare quello che restava dei sandwich e del latte, ma
l’animale rovesciò goffamente il piattino e fece cadere i sandwich
fra le zampe, così il dottore dovette dagli da mangiare con le sue
mani. E nel mentre, Smoke miagolò penosamente.
Allora
John Silence iniziò a capire. Andò dall’altra parte della stanza
e lo chiamò ad alta voce.
“Flame,
vecchio mio, vieni!”
In
qualunque altro momento, il cane lo avrebbe raggiunto in un istante,
abbaiando e saltandogli addosso. E perfino ora si alzò in piedi,
anche se pesantemente e goffamente. Iniziò a correre, agitando la
coda più vivacemente. Prima inciampò in una sedia e poi corse
dritto contro un tavolo. Smoke gli trotterellava accanto, cercando di
fare del suo meglio per guidarlo. Ma senza esito. Il dottor Silence
dovette prenderlo in braccio come un bambino. Perché era cieco.
III
Era
trascorsa una settimana quando John Silence andò a far visita allo
scrittore nella sua nuova casa, e lo trovò a buon punto sulla via
della guarigione e di nuovo impegnato a scrivere. Lo sguardo
spiritato aveva lasciato i suoi occhi e sembrava allegro e ottimista.
“Il
senso dell’umorismo è ritornato?” rise il dottore, appena si
furono comodamente sistemati nella stanza con vista sul parco.
“Non
ho avuto problemi da quando ho lasciato quel posto tremendo,”
rispose Pender con gratitudine, “e grazie a lei...”
Il
dottore lo fermò con un gesto.
“Non
si preoccupi di questo,” disse, “discuteremo dei suoi nuovi
progetti più tardi, insieme al mio piano per liberarvi di quella
casa e aiutarvi a trovare una nuova sistemazione. Naturalmente, deve
essere buttata giù, perché non è adatta ad ospitare persone
sensibili e altri inquilini potrebbero essere tormentati allo stesso
modo in cui lo è stato lei. Anche se, personalmente, penso che ormai
il male si sia esaurito.”
Raccontò
allo stupefatto scrittore qualche dettaglio delle sue esperienze lì
dentro con i suoi animali.
“Non
pretendo di capire,” disse Pender, quando il resoconto fu
terminato, “ma io e mia moglie siamo veramente sollevati di essere
liberi da tutto questo. Solamente, devo dire che mi piacerebbe sapere
qualcosa riguardo alla storia passata della casa. Quando l’affittammo
sei mesi fa, non avevo sentito una sola parola negativa.”
Il
dottor Silence tirò fuori dalla tasca un foglio dattiloscritto.
“Posso
soddisfare la sua curiosità fino ad un certo punto,” disse, dando
un’occhiata al foglio e poi rimettendoselo in tasca, “perché
grazie alle ricerche del mio segretario ho potuto verificare alcune
informazioni ottenute durante una trance ipnotica da un
sensitivo che mi aiuta in questi casi. Il precedente inquilino,
quello da cui è stato perseguitato, sembra sia stata una donna
dalla vita e dal carattere singolarmente atroci che alla fine morì
impiccata, dopo una serie di terribili crimini che fecero inorridire
l’intera Inghilterra e che vennero alla luce solo per puro caso.
Giunse alla fine della sua vita nel 1798, infatti lei non visse in
questa casa, ma in una molto più grande che allora sorgeva su questo
sito e che allora, naturalmente, non si trovava a Londra ma in
campagna.
Aveva
una mente brillante, una volontà forte e implacabile ed era dotata
di consumata abilità. Inoltre, sono convinto che si avvalesse delle
risorse della magia naturalevi
per raggiungere i suoi scopi. Questo basta a spiegare la virulenza
dell’attacco contro di lei e perché sia ancora in grado, dopo la
morte, di portare avanti le cattive pratiche che costituivano il suo
principale proposito durante la vita.
“Lei
crede che anche dopo la morte un’anima può ancora agire
consciamente...” balbettò lo scrittore.
“Penso,
come le ho già detto, che le energie di una potente personalità
possano continuare ad esistere dopo la morte in linea con il loro
impulso originale,” rispose il dottore, “e che pensieri e
propositi forti possano ancora avere effetto su una mente
opportunamente predisposta molto tempo dopo la dipartita di coloro
che le hanno generate.
“Se
lei conoscesse un po’ di magia,” proseguì, “saprebbe che il
pensiero è dinamico e che può richiamare in vita forme e immagini
che possono esistere anche per centinaia di anni. Perché, non del
tutto separata dalla regione della nostra vita umana, c’è un’altra
regione dove galleggiano le scorie e i relitti di tutti i secoli, il
limbo dei gusci dei morti, una regione densamente popolata, stipata
di orrori e abomini di ogni genere che a volte è di nuovo richiamata
ad una vita attiva dalla volontà di un esperto manipolatore, una
mente versata nelle pratiche della magia naturale. Quella donna
comprese questo vile commercio, ne sono persuaso, e le forze che
aveva messo in moto durante la sua vita hanno semplicemente
continuato ad accumularsi e avrebbero continuato a farlo se non
fossero state attirate da lei e poi scaricate ed esaurite attraverso
la mia persona.
“Qualsiasi
cosa avrebbe potuto scatenare l’attacco perché, oltre alle droghe,
ci sono certe emozioni violente, certi stati d’animo, certe febbri
spirituali, se posso chiamarle così, che mettono in diretto contatto
la nostra essenza interiore con la regione astrale che le ho
descritto. Nel suo caso è accaduto grazie all’azione di una droga
particolarmente potente.
“Ma
ora, mi dica,” aggiunse, dopo una pausa, porgendo allo stupefatto
scrittore un disegno a matita di quella nera fisionomia che gli era
apparsa durante la notte trascorsa a Putney Hill, “mi dica se
riconosce questa faccia.”
Pender
osservò attentamente il disegno, estremamente meravigliato. Mentre
guardava, fu percorso da un leggero tremito.
“Senza
dubbio,” disse, “è la faccia che ho ripetutamente cercato di
disegnare – nera, con bocca e mascella grandi, e la palpebra
cadente. E’ proprio lei.” |
Aubrey Beardsley,1894 | |
Il
dottor Silence tirò fuori dal portafoglio una vecchia stampa della
stessa persona che il suo segretario aveva scovato negli archivi del
Newgate Calendarvii.
La stampa e il disegno a matita ritraevano due differenti aspetti
dello stesso terribile viso. In silenzio, i due uomini li
confrontarono per qualche momento.
“Questo
mi fa ringraziare Dio per i limiti dei nostri sensi,” Sussurrò
Pender con un sospiro, “una chiaroveggenza permanente deve essere
una terribile sofferenza.”
“E
lo è,” replicò John Silence con enfasi, “e se oggigiorno tutte
le persone che affermano di essere chiaroveggenti lo fossero davvero,
le statistiche dei suicidi e della follia sarebbero considerevolmente
più alte. C’è poco da meravigliarsi,” aggiunse, “se il suo
senso dello humour era offuscato, con le forze mentali di quel mostro
che cercavano di usare il suo cervello per diffondersi. Lei ha avuto
un’interessante avventura, Mr. Felix Pender, e, me lo lasci dire,
una fortunata via d’uscita.”
Lo
scrittore era sul punto di rinnovare i suoi ringraziamenti, quando
sentirono graffiare alla porta e il dottore balzò in piedi.
“E’
tempo che io vada. Ho lasciato il mio cane sulla soglia, ma credo...”
Prima
che avesse il tempo di aprire la porta, quella, cedendo alla
pressione esercitata dall’esterno, si spalancò facendo entrare un
grande collie dal pelo giallo. Il cane, agitando la coda e
contorcendosi per la gioia, galoppò attraverso la stanza e cercò di
saltare al petto del suo padrone. E nei suoi vecchi occhi c’erano
gioia e felicità, perché erano di nuovo chiari come il giorno.
FINE
i
La geomanzia è una tecnica divinatoria. La parola deriva dal
greco geōmanteía (geō “terra” e manteía
“divinazione”) e significa “divinazione per mezzo della
terra”. Nella forma più antica si prendeva fra le mani una
manciata di terriccio, la si gettava al suolo con garbo, quindi
l'indovino interpretava le forme createsi.
ii
Putney (/ˈpʌtni/)
è un distretto nel sud ovest di Londra, England, nel distretto di
Wandsworth,ad otto cilometri da Charing Cross.
iii
La definizione è piuttosto
sfuggente: il movimento evangelico di Losanna definisce
un
cristiano nominale
come una persona che non
riconosce Gesù
come suo salvatore e signore, anche se può essere un membro attivo
della sua comunità religiosa.
v
Un sigillo è un tipo di simbolo usato nella magia. Il termine si è
solitamente riferito a un tipo di firma pittorica di una divinità o
spirito. Nell'uso moderno, specialmente nel contesto della magia del
caos, il sigillo si riferisce a una rappresentazione simbolica del
risultato desiderato dal praticante.
vi
Magia naturale o
magia minore. Prevede
l’uso di semplici strumenti come erbe, pietre o radici. Trae il
suo potere dalla terra, dal mago o dalla strega che officia il rito,
piuttosto che da Dio o dagli angeli come nella magia maggiore.
vii
The Newgate Calendar,
o The
Malefactors' Bloody Register,
fu un genere di
letteratura popolare molto famoso nel XVIII
e XIX
secolo.
Insieme
alla Bibbi e al and's The Pilgrim's Progress
di John Bunyan,
il Calendar
era una delle tre opere che più comunemente si poteva trovare nella
biblioteca del lettore medio.
Un’edizione
economica, o penny dreadful, del New Newgate Calendar apparve tra
1863 e il 1866.
Si
trattava di un resoconto di crimini efferati, testimonianze ed
esecuzioni. L’opera è uno strano mix di fatti truculenti e
fiction sensazionale. Grossolane incisioni accompagnavano ogni
capitolo , ad illustrare il crimine o le esecuzioni.