giovedì 23 giugno 2022

La preda più pericolosa

Canone inverso



La preda più pericolosa” ("TheMost Dangerous Game"), pubblicato anche come "The Hounds of Zaroff" (‘I segugi di Zaroff’), è un racconto breve dello scrittore e giornalista americano Richard Connell (1893–1949), pubblicato nel 1924 nel numero di gennaio della rivista Collier, con le illustrazioni di Wilmot Emerton Heitland.

La storia prende spunto dai safari in Africa e Sud America, così in voga tra i ricchi americani negli anni ‘20.

Il protagonista, Sanger Rainsford, è un famoso cacciatore della buona società newyorchese che, con il suo yacht, è in viaggio verso il Brasile, per andare a caccia di giaguari in Amazzonia. Durante la notte, mentre sono nel nel mar dei Caraibi, proprio davanti ad una misteriosa isola, tanto temuta dai marinai da chiamarla ‘Trappola-per-navi,’ in seguito ad un banale incidente, cade giù dalla barca. L’unica via di salvezza è proprio quella di nuotare verso la misteriosa isola che è proprietà del generale Zaroff, un aristocratico russo, anche lui grande cacciatore che, ormai annoiato dei soliti safari, ha inventato una nuova preda a cui dare la caccia sulla sua isola. Rainsford, inizialmente affascinato dai modi raffinati del generale, scoprirà, a sue spese, la differenza che c’è fra predare ed essere predato.

Il racconto ebbe immediato successo, non solo per la tematica affrontata, la crudeltà dei safari, ma anche per l’originalità della trama, basata sul ribaltamento del punto di vista.

Oggi il pubblico sembra piuttosto attratto dall’ambiguità morale della storia, che scava nel lato più oscuro e istintivo dell’animo umano. La rivincita di Zaroff?

 

Cinema e letteratura

L’industria cinematografica ne capì le potenzialità spettacolari e nel 1932 la RKO Pictures ne trasse il film Pericolosa partita (The Most Dangerous Game) e il remake A Game of Death nel 1945. Da allora i film direttamente e indirettamente ispirati da questo racconto sono stati innumerevoli, tra gli altri, La preda umana (1956), Bloodlust! (1961), The Woman Hunt (1973), Turkey Shoot (1982), Sopravvivere al gioco (1994) e The Hunt (2020).

Adattamenti radiofonici

Ne sono stati tratti tra il 1943 e il 1947 tre drammi radiofonici: il primo vede Orson Welles cimentarsi nel ruolo del Generale Zaroff, il secondo vede Joseph Cotten nei panni di Rainsford.

Cartoni animati

Il racconto ha ispirato anche il sedicesimo speciale di Halloween dei Simpson, La Paura fa Novanta XVI. Nell'episodio Sopravviverà il più forte di taglia (Survival of the Fattest) Homer Simpson e tutti gli altri uomini di Springfield vengono invitati a una battuta di caccia nella tenuta del signor Burns, senza sapere che le prede saranno proprio loro.


Serie televisive

Most Dangerous Game è una serie americana che ha debuttato su Quibi nel 2020, ispirata al racconto di Richard Connell. Nel 2022, Amazon Prime Video ha fatto una versione streaming degli episodi, condensati in un film di 2 ore e 7 minuti.







La preda piu’ pericolosa





Là fuori, sulla destra... da qualche parte, c’è una grande isola,” disse Whitney. “E’ alquanto misteriosa...”

Di che isola si tratta?” chiese Rainsford.

Le vecchie carte geografiche la chiamano ‘Isola trappola-per- navi,’ rispose Whitney. “Un nome suggestivo, non trovi? I marinai hanno uno strano timore di quel posto. Non so il perché. Superstizioni...” “Non riesco a vederla,” replicò Rainsford, sforzandosi di guardare attraverso l’umida notte tropicale diventata palpabile mentre spingeva la sua densa e calda oscurità sullo yacht.

Tu ha dei buoni occhi,” disse Whitney, con una risata. “E ti ho visto colpire un alce in movimento nel bruno sottobosco autunnale a circa quattrocento metri, ma nemmeno tu riesci a vedere a cinque chilometri di distanza attraverso un notte caraibica senza luna.”

Nemmeno a tre metri,” ammise Rainsford. “Uh! E’ come un umido velluto nero.” “Ci sarà abbastanza luce a Rio,” promise Whitney. “Dovremmo esserci tra pochi giorni. Spero che i fucili per giaguaro siano arrivati da Purdeyi. Dovremmo fare una bella battuta di caccia in Amazzonia. Grande sport, la caccia.”

Il miglior sport del mondo,” concordò Rainsford.

Per il cacciatore,” lo corresse Whitney. “Non per il giaguaro.”

Non dire sciocchezze, Whitney,” disse Rainsford. “Tu sei un cacciatore di safari, non un filosofo. A chi importa cosa prova il giaguaro?”

Forse al giaguaro,” osservò Whitney.

Bah, non sono così sensibili!”

Ciononostante, penso invece che una cosa la capiscano, la paura. La paura del dolore e la paura della morte.”

Stupidaggini,” rise Rainsford. “Questo caldo torrido ti sta rammollendo, Whitney. Sii realista. Al mondo ci sono due categorie – i cacciatori e le prede. Per fortuna, tu ed io siamo cacciatori. Pensi che abbiamo già passato l’isola?”

Non saprei dire, in questa oscurità. Lo spero.”

Perché?” chiese Rainsford.

Il posto ha una certa reputazione… una cattiva reputazione.”

Cannibali?” suggerì Rainsford.

Difficilmente. Neanche i cannibali vorrebbero vivere in quel posto dimenticato da Dio. Ma è entrato a far parte delle leggende dei marinai, in qualche modo. Non hai notato che i nervi della ciurma sembravano alquanto tesi, oggi?”

Erano un po’ strani, ora che me lo dici. Perfino il capitano Nielsen...”

Sì, perfino quel testardo di un vecchio svedese, che andrebbe dal diavolo in persona a chiedergli da accendere. Quei suoi vitrei occhi blu avevano uno guardo che non avevo mai visto prima. Tutto quello che sono riuscito a cavargli è stato ‘Questo posto ha una cattiva fama tra la gente di mare, signore.” Poi ha aggiunto, con molta serietà, ‘Non sente niente?’ Come se l’aria intorno a noi fosse in realtà velenosa. Adesso, non devi ridere quando ti dirò questo… ho sentito qualcosa come un improvviso gelo.

Non c’era un alito di vento. Il mare era piatto come una lastra di vetro. In quel momento ci stavamo avvicinando all’isola. Quello che avvertii fu un… un brivido nella mente; una sorta di improvviso timore.”

Pura immaginazione,” disse Rainsford. “Un solo marinaio superstizioso può infettare tutta la ciurma di una nave con la sua paura.”

Forse. Ma a volte penso che i marinai abbiano un sesto senso che gli dice quando sono in pericolo. A volte mi viene da pensare che il male sia una cosa tangibile, con una sua lunghezza d’onda, proprio come il suono e la luce. Un luogo maligno può, per così dire, trasmettere le vibrazioni del male. Comunque, sono contento che stiamo uscendo da questa zona. Bene, penso di ritirarmi adesso, Rainsford.”

Non ho sonno,” disse Rainsford. “Fumerò un’altra pipa sul ponte di poppa.”

Buona notte, allora, Rainsford. Ci vediamo a colazione.”

Va bene. Buona notte, Whitney.”

Quando Rainsford si sedette lì, la notte non era attraversata da nessun altro suono se non il battito del motore che spingeva velocemente lo yacht attraverso l’oscurità e il fruscio e il gorgoglio della scia dell’elica.

Rainsford, accomodandosi su di una sedia a sdraio, fumava con indolenza la sua pipa di radica. La sensuale sonnolenza della notte lo circondava. “E’ così buio,” pensò, “che potrei dormire senza chiudere gli occhi, la notte sarebbe le mie palpebre...”

Un rumore improvviso lo fece trasalire. Lo sentì venire da lontano, sulla destra, e le sue orecchie, esperte in quella materia, non potevano sbagliarsi. Sentì quel rumore ancora e poi ancora. Da qualche parte, lontano nell’oscurità, qualcuno aveva esploso una pistola tre volte. Rainsford balzò in piedi e si diresse velocemente al parapetto, perplesso. Si sforzò di guardare nella direzione da cui erano venuti gli spari, ma fu come cercare di guardare attraverso una coperta. Per ottenere una maggiore elevazione, saltò sul corrimano e vi si tenne in equilibrio; la sua pipa, avendo colpito una fune, gli fu strappata di bocca. Si allungò verso di essa, un breve grido soffocato gli uscì dalla bocca quando capì che si era sporto troppo e aveva perso l’equilibrio. L’urlo si spezzò quando le calde acque dei Caraibi si chiusero sopra la sua testa.

Lottando, arrivò alla superficie e cercò di gridare, ma lo sciabordio dello yacht che avanzava velocemente lo colpì in faccia e l’acqua salata nella bocca lo soffocò e lo strangolò. Con disperazione, si slanciò a forti bracciate dietro le luci sempre più lontane dello yacht, ma si fermò prima di aver nuotato per quindici metri. Recuperò un certo sangue freddo, non era la prima volta che si trovava in una posizione difficile. C’era una possibilità che le sue urla potessero essere udite da qualcuno sullo yacht, ma quella possibilità era esile e diventava sempre più esile man mano che lo yacht continuava la sua corsa. Si divincolò per liberarsi degli abiti e gridò con tutto il fiato. Le luci dello yacht divennero flebili lucciole che si affievolivano sempre più, finché furono completamente inghiottite dalla notte.

Rainsford ricordò gli spari. Erano arrivati da destra e nuotò in quella direzione con determinazione, avanzando a bracciate lente e misurate, per conservare le forze. Lottò con il mare per un tempo apparentemente eterno. Iniziò a contare le bracciate: forse avrebbe potuto farne ancora un centinaio e poi…

Rainsford udì un suono. Sbucò dall’oscurità, il suono acuto di un urlo, il verso di un animale in un eccesso di angoscia e terrore.

Non riconobbe l’animale che aveva emesso quel suono, nemmeno ci provò; con rinnovata vitalità nuotò nella sua direzione. Lo sentì di nuovo, poi fu interrotto da un altro suono, secco, isolato.

Colpo di pistola,” mormorò Rainsford, continuando a nuotare.

Dieci minuti di sforzi ostinati recarono un altro suono alle sue orecchie… il più desiderabile che avesse mai udito… il mormorio e il gorgoglio del mare che che si infrangeva contro una riva rocciosa. Fu quasi sulle rocce prima che le vedesse, in una notte meno calma vi si sarebbe schiantato contro. Con le forze che gli restavano, si trascinò fuori da quelle acque vorticose. Rocce frastagliate sembravano fendere quella densa oscurità; a fatica si spinse verso l’alto, palmo a palmo. Ansimando, le mai insanguinate, raggiunse una superficie piana sulla cima.

Una fitta giungla scendeva giù fino al bordo roccioso. Quali pericoli potesse tenere in serbo per lui quell’intrigo di alberi e sottobosco, per il momento non se ne preoccupava. Tutto ciò che sapeva era che si trovava al sicuro dal suo nemico, il mare, e che era stato preso da un’estrema stanchezza. Si gettò giù sul limitare della giungla e cadde a capofitto nel più profondo sonno della sua vita. Quando aprì gli occhi, seppe dalla posizione del sole che era pomeriggio inoltrato. Il sonno gli aveva dato nuovo vigore, una fame pungente iniziava a tormentarlo. Si guardò intorno, con estrema attenzione.

Dove ci sono colpi di pistola, ci sono uomini. Dove ci sono uomini, c’è cibo,” pensò. Ma che razza di uomini, si chiese, in un posto così proibitivo. Un fronte ininterrotto di giungla intricata e frastagliata orlava i margini della spiaggia.

Non c’era nessun segno di sentieri nel fitto reticolo di erbacce e alberi; era più semplice camminare lungo la spiaggia, e Rainsford si avviò arrancando lungo la riva. Non lontano da dove era approdato, si fermò.

A giudicare dalle tracce, qualcosa come un grosso animale ferito si era trascinata nel sottobosco: le erbacce della giungla erano schiacciate e il muschio strappato, una chiazza di erbacce era macchiata di rosso. Non lontano, un piccolo oggetto luccicante catturò lo guardo di Rainsford e lui lo raccolse. Era una cartuccia vuota.

Una calibro ventidue,” notò. “E’ strano. Deve essere stato un animale piuttosto grosso, per giunta. Il cacciatore ha avuto coraggio ad affrontarlo con un’arma leggera. E’ chiaro che la bestia ha ingaggiato una lotta. Suppongo che i primi tre colpi che ho sentito sono stati esplosi quando il cacciatore ha stanato la sua preda e l’ha ferita. L’ultimo colpo è stato quando l’ha inseguita fin qui e l’ha finita.”

Esaminò attentamente il terreno e trovò quello che aveva sperato di trovare: le impronte di stivali da caccia. Puntavano lungo la scogliera nella direzione che aveva preso. Si affrettò col cuore in gola, scivolando a volte su un ramo marcio o una pietra levigata, ma continuando ad avanzare; la notte iniziava a scendere sull’isola.

Una lugubre tenebra stava oscurando il mare e la giungla quando Rainsford avvistò le luci. Vi si imbatté alla fine di una stretta curva nella linea costiera e il suo primo pensiero fu di essere arrivato ad un villaggio, perché c’erano tante luci. Ma, mentre avanzava in quella direzione vide, con suo grande stupore, che tutte quelle luci si trovavano in un edificio enorme – una struttura alta con torri puntute che si immergevano nell’oscurità. I suoi occhi realizzarono il profilo di un castello sontuoso, posto su di un alto promontorio e, su tre lati, c’erano dirupi che si tuffavano giù fin dove il mare le lambiva con labbra avide nell’oscurità.

Un miraggio,” pensò Rainsford. Ma non era un miraggio, scoprì, quando aprì l’alto cancello di ferro ornato da punte aguzze. I gradini di pietra erano sufficientemente reali, la massiccia porta con un malevolo gargoyle come battente era sufficientemente reale, tuttavia su ogni cosa gravava un’aria di irrealtà.

Sollevò il battente e quello scricchiolò, rigido come se non fosse stato mai usato prima. Lo lasciò cadere, e quello lo fece trasalire con il suo cupo rimbombo. Gli sembrò di sentire dei passi all’interno, la porta rimase chiusa. Rainsford sollevò di nuovo il pesante battente e lo lasciò cadere. Allora la porta si aprì – si aprì con uno scatto improvviso come se fosse su una molla – e Rainsford rimase con gli occhi socchiusi nel fiume abbagliante di luce dorata che ne scaturì.

La prima cosa che gli occhi di Rainsford distinsero fu l’uomo più grosso che Rainsford avesse mai visto – una creatura gigantesca, solidamente costruita e con una barba nera fino alla vita. L’uomo stringeva in mano un revolver a canna lunga, e lo stava puntando dritto la cuore di Rainsford.

Fuori dal groviglio della barba, due occhietti osservavano Rainsford.

Non si allarmi,” disse Rainsford, con un sorriso che sperava fosse disarmante. “Non sono un ladro. Son caduto da uno yacht. Il mio nome è Sanger Rainsford di New York City.”

Lo sguardo minaccioso in quegli occhi non cambiò. Il revolvelr rimase puntato saldamente, come se il gigante fosse una statua. Non diede segno di aver capito le parole di Rainsford o che le avesse mai sentite. Indossava un’uniforme – un’uniforme nera orlata di astrakan grigio.

Sono Sanger Rainsford, di New York,” ricominciò Rainsford. “Sono caduto da uno yacht. Ho fame.”

Per tutta risposta, l’uomo sollevò il cane del revolver con il pollice. Poi Rainsford vide la mano libera dell’uomo andare alla fronte in un saluto militare e lo vide battere i tacchi insieme e mettersi sull’attenti. Un altro uomo stava scendendo giù dall’ampia scala di marmo. Un uomo dritto, snello, in abiti da sera. Avanzò verso Rainsford e gli porse la mano.

Con una voce colta, segnata da un leggero accento che le donava ulteriore precisione e ponderatezza, disse, “E’ un grande piacere e un onore accogliere Mr. Sanger Rainsford, il famoso cacciatore, a casa mia.”

Con un gesto automatico, Rainsford strinse la mano dell’uomo.

Ho letto il suo libro sulla caccia ai leopardi delle nevi in Tibet, vede,” spiegò l’uomo. “Sono il generale Zroff.”

La prima impressione di Rainsford fu che l’uomo era singolarmente affascinante, la seconda che la faccia del generale aveva delle caratteristiche originali, quasi bizzarre. Era un uomo alto, passata la mezza età, perché i suoi capelli erano di un bianco luminoso, ma le sue folte sopracciglia e gli appuntiti baffi militareschi erano neri come la notte da cui Rainsford era arrivato.

Anche i suoi occhi erano neri e luminosissimi. Aveva zigomi alti, un naso affilato, un volto scuro e asciutto – il volto di un uomo abituato a dare ordini, il volto di un aristocratico. Voltandosi verso il gigante in uniforme, il generale gli fece un cenno. Il gigante ripose la pistola, salutò e si ritirò.

Ivan è un individuo incredibilmente forte,” osservò il generale. “Ma ha la sfortuna di essere sordomuto. Una persona semplice ma, temo, come tutti quelli della sua gente, un po’ selvaggio.”

E’ russo?”

E’ un cosacco,” disse il generale e il suo sorriso svelò labbra rosse e denti aguzzi. “Come me.”

Venga,” disse, “non dovremmo stare qui a conversare. Possiamo parlare più tardi. Adesso lei ha bisogno di abiti, cibo e riposo. Avrà ogni cosa. Questo è un luogo estremamente riposante.”

Ivan era riapparso e il generale gli parlò con labbra che si muovevano ma non emettevano alcun suono.

Segua Ivan, la prego, Mr. Rainsford,” disse il generale. “Stavo per cenare quando lei è arrivato. La aspetterò. Vedrà che i miei abiti le andranno bene, come credo.”

Fu in una camera da letto enorme, con un soffitto a travi e un letto a baldacchino grande abbastanza per sei uomini che Rainsford seguì quel gigante silenzioso. Ivan dispose sul letto un abito da sera e Rainsford, mentre lo indossava, notò che veniva da un sarto di Londra che solitamente non tagliava e cuciva per nessuno al di sotto del rango di duca.

La sala da pranzo in cui Ivan lo condusse era notevole sotto molti punti di vista. Vi aleggiava una magnificenza medievale, ricordava una sala baronale dei tempi feudali con i suoi pannelli di quercia, il suo soffitto alto, i suoi vasti tavoli da refettorio dove una quarantina di uomini potevano sedersi a mangiare. Intorno alla sala erano appese le teste di molti animali: tigri, elefanti, alci, orsi; gli esemplari più grandi e più perfetti che Rainsford avesse mai visto. Il generale sedeva al grande tavolo, da solo.

Gradisca un cocktail, Mr. Rainsford,” suggerì. Il cocktail era incredibilmente buono e, notò Rainsford, le apparecchiature della tavola erano delle più fini – la biancheria, la cristalleria, l’argenteria e la porcellana.

Stavano mangiando borsch, la ricca zuppa rossa con panna acidaii così cara ai palati russi. Quasi a scusarsi, il generale Zaroff disse, “Facciamo del nostro meglio per conservare qui le piacevolezze della civiltà. La prego di perdonare eventuali mancanze. Siamo ben al di fuori dei sentieri battuti, come sa. Pensa che lo champagne abbia sofferto per la lunga traversata oceanica?”

Per niente,” esclamò Rainsford. Incominciava a pensare che il generale fosse il più premuroso e affabile degli ospiti, un vero cosmopolita. Ma c’era un piccolo particolare nel comportamento del generale che metteva Rainsford a disaggio. Ogni volta che alzava gli occhi dal piatto, si accorgeva che il generale lo stava studiando, valutandolo accuratamente.

Forse,” disse il generale Zaroff, “lei si è sorpreso che abbia riconosciuto il suo nome. Veda, leggo tutti i libri di caccia pubblicati in inglese, francese e russo. Non ho che una passione nella vita, Mr. Rainsford, ed è la caccia.”

Ha degli splendidi trofei qui,” disse Rainsford, mentre mangiava un filet mignon particolarmente ben cotto. “Quel bufalo del Capo è il più grosso che abbia mai visto.”

Oh, quell’esemplare. Sì, era un mostro.”

La caricò?”

Mi scagliò contro un albero,” disse il generale. “Mi fratturò il cranio. Ma presi la bestia.”

Ho sempre pensato,” disse Rainsford, “che il bufalo del Capo è la caccia grossa più pericolosa di tutte.”

Per un attimo il generale non rispose, stava abbozzando il suo strano sorriso dalle labbra rosse. Poi disse lentamente, “No. Lei ha torto, signore. Il bufalo del Capo non è la caccia grossa più pericolosa.” Sorseggiò il suo vino. “Qui, nella mia riserva sull’isola,” disse sempre con lo stesso tono misurato, “Do la caccia a prede più pericolose.”

Rainsford manifestò la sua sorpresa, “C’è caccia grossa su quest’isola?”

Il generale annuì. “La più grossa.”

Davvero?”

Oh, non è del posto. Devo rifornirne l’isola.”

Che cosa importa, generale?” chiese Rainsford. “Tigri?”

Il generale sorrise. “No,” disse. “Cacciare tigri ha smesso di interessarmi alcuni anni fa. Ho esaurito tutte le loro potenzialità, capisce. Nelle tigri non resta più alcuna eccitazione, nessun pericolo reale. Io vivo per il pericolo, Mr. Rainsford.”

Il generale prese dalla tasca un portasigarette d’oro e offrì al suo ospite una lunga sigaretta nera con la punta d’argento, era profumata ed emanava un odore simile all’incenso.

Lei ed io faremo una caccia eccezionale,” disse il generale. “Sarò felicissimo di avere la sua compagnia.”

Ma quale preda...” iniziò a dire Rainsford.

Glielo dirò” disse il generale. “Si divertirà, ne sono certo. Penso di poter dire, in tutta modestia, di aver aver fatto qualcosa di eccezionale. Ho inventato una nuova sensazione. Posso versarle un altro bicchiere di porto?”

Grazie, generale.”

Il generale riempì tutti e due bicchieri e disse, “Dio fa di alcuni uomini dei poeti. Altri li fa re, altri mendicanti. Per quanto mi riguarda, mi fece cacciatore. La mia mano è stata fatta per il grilletto, diceva mio padre. Era un uomo molto ricco con un quarto di milioni di acri in Crimea, ed era un accanito cacciatore. Quando avevo solo cinque anni, mi diede un piccolo fucile, fatto esclusivamente per me a Mosca, per sparare ai passeri. Quando sparai ad alcuni dei suoi tacchini da competizione, non mi punì, si complimentò con me per la precisione della mia mira. A dieci anni uccisi il mio primo orso nel Caucaso. Tutta la mia vita è stata una lunga caccia. Entrai nell’esercito – era quello che ci si aspettava dal figlio di un nobile – e per un certo tempo comandai una divisione di cavalleria cosacca, ma il mio vero interesse rimaneva sempre la caccia. Ho cacciato ogni specie di preda in ogni parte del mondo. Mi sarebbe impossibile dirle quanti animali ho ucciso.”

Il generale diede un tiro alla sua sigaretta.

Dopo lo sfacelo in Russiaiii lasciai il paese, perché era imprudente per un ufficiale dello zar rimanere lì. Tanti nobili russi persero tutto. Io, fortunatamente, avevo investito massicciamente in titoli americani, così non dovrò aprire una sala da tè a Monte Carlo o guidare un taxi a Parigi. Naturalmente, continuai a cacciare - orsi grizzly nelle vostre montagne Rocciose, coccodrilli nel Gange, rinoceronti in Africa orientale. Fu in Africa che il bufalo del Capo mi colpì e mi costrinse a letto per sei mesi. Appena mi ripresi, partii per l’Amazzonia, a caccia di giaguari, perché avevo sentito che fossero incredibilmente astuti. Non lo erano.”

Il cosacco sospirò. “Non erano assolutamente all’altezza di un cacciatore con presenza di spirito e un fucile di grosso calibro. Ne rimasi amaramente deluso. Una notte, ero disteso nella mia tenda con un terribile mal di testa quando un pensiero tremendo si fece strada nella mia mente. La caccia cominciava ad annoiarmi! E la caccia, ricordi, era stata la mia vita. Avevo sentito dire che in America gli uomini d’affari crollano quando lasciano l’attività che è stata la loro ragione di vita.”

Sì, è così,” disse Rainsford.

Il generale sorrise. “Non avevo alcuna intenzione di crollare,” disse. “Dovevo fare qualcosa. Ora, la mia è una mente analitica, Mr. Rainsford. Questo è, senza dubbio, il motivo per cui amo i problemi della caccia.”

Senza dubbio, generale Zaroff.”

Così,” continuò il generale, “Mi chiesi come mai la caccia non mi affascinasse più. Lei è molto più giovane di me, Mr. Rainsford, e non ha cacciato quanto me ma, forse, può intuire la risposta.”

Quale fu?”

Semplicemente questa: cacciare aveva cessato di essere quello che voi chiamate ‘una competizione sportiva.’ Era diventato troppo facile. Uccidevo sempre la mia preda. Sempre. Non c’è noia più grande della perfezione.”

Il generale si accese un’altra sigaretta.

Ormai, nessun animale aveva più una possibilità con me. Non è una millanteria, è una certezza matematica. L’animale non aveva altro che le sue gambe e il suo istinto. L’istinto non è paragonabile alla ragione. Quando realizzai questo, glielo confesso, fu un momento tragico per me.”

Rainsford si protese verso di lui, completamente preso dal quello che il suo ospite stava dicendo.

Quello che dovevo fare mi giunse come un’ispirazione,” proseguì il generale.

E cos’era?”

Il generale accennò il sorriso tranquillo di chi ha affrontato un ostacolo e lo ha superato con successo. “Ho dovuto inventare un nuovo animale da cacciare,” disse.

Un nuovo animale? Sta scherzando.” “Per niente,” disse il generale. “Non scherzo mai quando si tratta di caccia. Avevo bisogno di un nuovo animale. Ne trovai uno. Così, comprai quest’isola, costruii questa casa ed è qui che vado a caccia. L’isola è perfetta per i miei scopi – ci sono giungle con dentro un labirinto di piste, colline, paludi...”

Ma l’animale, General Zaroff?”

Oh,” disse il generale, “mi procura la caccia più eccitante del mondo. Nessun altro tipo di caccia può stargli alla pari, nemmeno per un istante. Vado a caccia tutti i giorni e adesso non mi annoio mai, perché ho una preda con cui posso misurare la mia intelligenza.”

Lo stupore di Rainsfords si manifestò sul suo viso.

Volevo l’animale ideale da cacciare,” spiegò il generale. “Così dissi, ‘Quali sono gli attributi della preda ideale?’ e la risposta fu, naturalmente, ‘Deve avere coraggio, astuzia e, soprattutto, deve essere in grado di ragionare.’”

Ma nessun animale può ragionare,” obbiettò Rainsford.

Mio caro amico,” disse il generale, “uno ce n’è.”

Ma lei non può voler dire...” ansimò Rainsford.

E perché no?”

Non poso credere che lei sia serio, generale Zaroff. Questo è un macabro scherzo.”

Perché non dovrei essere serio? Sto parlando di caccia.”

Caccia? Mi venisse un colpo, generale Zaroff, quello di cui parla è omicidio.”

Il generale rise di gran gusto. Guardò Rainsford con scetticismo. “Mi rifiuto di credere che un giovanotto così moderno e raffinato come lei coltivi dentro di sé certe idee romantiche sul valore della vita umana. Sicuramente le esperienze fatte in guerra…”

Non mi hanno indotto a tollerare l’omicidio a sangue freddo,” finì Rainsford seccamente.

Le risate scossero il generale. “Che tipo straordinariamente buffo è lei!” disse. “Oggigiorno, non ci si aspetterebbe di trovare un giovanotto della classe colta, perfino in America, con un punto di vista così ingenuo e, se mi è concesso, così vittoriano. E’ come trovare una scatola di tabacco da naso in una limousine. Ah, certo, senza dubbio lei ha degli antenati Puritani. Tanti americani sembrano averne avuti. Scommetto che dimenticherà i suoi principi quando verrà a caccia con me. C’è in serbo per lei un’emozione completamente nuova, Mr. Rainsford.”

Grazie, sono un cacciatore, non un assassino.”

Povero me,” disse il generale, del tutto calmo, “di nuovo quella parola spiacevole. Ma penso che potrò dimostrale che i suoi scrupoli sono del tutto infondati.”

Sì?”

La vita è fatta per le persone forti, per essere vissuta dalle persone forti e, se necessario, per essere tolta dalle persone forti. I deboli del mondo sono stati messi qui per dare piacere ai forti. Io sono forte. Perché non dovrei usare il mio dono? Se voglio cacciare, perché non dovrei? Do la caccia alla feccia della terra: marinai di navi mercantili… marinai delle indie orientali, neri, cinesi, bianchi, meticci… un purosangue o un segugio vale più di una ventina di loro.”

Ma sono uomini,” disse Rainsford con enfasi.

Precisamente,” disse il generale. “Questo è il motivo per cui me ne servo. Mi da piacere. Possono ragionare, a modo loro. Così sono pericolosi.”

Ma dove se li procura?”

La palpebra sinistra del generale batté rapidamente. “Quest’isola è chiamata Trappola-per-navi,” rispose. “A volte me li manda un irato dio delle distese marine. A volte, quando la provvidenza non è così gentile, aiuto un po’ la provvidenza. Venga alla finestra con me.”

Rainsford andò alla finestra e guardò verso il mare.

Guardi! Lì fuori!” esclamò il generale puntando il dito nell’oscurità della notte. Gli occhi di Rainsford videro solo tenebre e poi, quando il generale premette un pulsante, in lontananza sul mare vide lampeggiare delle luci.

Il generale ridacchiò. “Indicano un canale,” disse, “dove non ce n’è nessuno; rocce gigantesche, dai bordi affilati come rasoi, sono in agguato come mostri marini dalle fauci spalancate. Possono mandare in frantumi una nave con la stessa facilità con cui mando in frantumi questa noce.” Lasciò cadere una noce sul pavimento di legno massiccio e la schiacciò con il pesante tacco della scarpa. “Oh, sì,” disse, con noncuranza, come se stesse rispondendo ad una domanda, “Ho l’elettricità. Cerchiamo di essere civilizzati, qui.”

Civilizzati? E sparate agli uomini?”

Negli occhi neri del generale apparve una traccia di rabbia, ma non vi rimase che per un secondo e poi disse, con il suo modo di fare più affabile, “Povero me, che giovanotto virtuoso è lei! Le assicuro che non faccio quello che lei insinua. Sarebbe una cosa barbara. Tratto questi visitatori con ogni riguardo. Ricevono buon cibo a sufficienza e fanno esercizio. Raggiungono una splendida forma fisica. Domani lo vedrà con i suoi occhi.”

Cosa vuol dire?”

Visiteremo la mia scuola di addestramento,” sorrise il generale. “E’ nella cantina. Lì sotto ho circa una dozzina di allievi. Vengono dal veliero spagnolo San Lucar, che ha avuto la sfortuna di andare a sbattere contro gli scogli là fuori. Un lotto di qualità inferiore, mi dispiace dirlo. Esemplari scadenti e più abituati al ponte di una nave che alla giungla.” Sollevò la mano e Ivan, che fungeva da cameriere, portò un denso caffè alla turca. Rainsford, a fatica, tenne a freno la lingua.

Vede, è un gioco,” proseguì placidamente il generale. “Propongo ad uno di loro di andare a caccia con me. Gli fornisco una scorta di cibo e un eccellente coltello da caccia. Gli do tre ore di vantaggio. Io lo seguirò, armato soltanto di una pistola del calibro e della portata più piccoli. Se la mia preda mi sfugge per tre interi giorni, vince il gioco. Se lo trovo,” il generale sorrise, “perde.”

Supponga che si rifiuti di essere cacciato.”

Oh,” disse il generale, “Gli do la possibilità di scegliere, naturalmente. Non deve partecipare al gioco se non vuole. Se non vuole andare a caccia, lo consegno a Ivan. Ivan un tempo aveva l’onore di servire come staffilatoreiv ufficiale del grande zar biancov, ed ha le sue idee riguardo allo sport. Invariabilmente, Mr. Rainsford, invariabilmente, scelgono la caccia.”

E se vincono?”

Il sorriso sulla faccia del generale si fece più largo. “Fino ad oggi non ho perso,” disse. Poi aggiunse, con un certo calore: “Non voglio che lei pensi che io sia uno spaccone, Mr. Rainsford. Molti di loro procurano soltanto problemi della specie più elementare. Raramente mi capita un soggetto difficile. Uno quasi vinse. Alla fine, dovetti usare i cani.”

I cani?”

Da questa parte, prego. Le faccio vedere.”

Il generale condusse Rainsford ad una finestra. Le luci della finestra proiettavano un bagliore intermittente che creava disegni grotteschi nel cortile sottostante e Rainsford vide muoversi lì dentro una dozzina di grosse ombre nere, quando quelle si girarono verso di lui, i loro occhi emisero un verde scintillio.

Una muta piuttosto buona, credo,” osservò il generale. “Sono lasciati liberi ogni sera alle sette. Se qualcuno dovesse tentare di entrare a casa mia – o uscirne – gli succederebbe qualcosa di estremamente spiacevole.” Mormorò un brano di una canzone delle Folies Bergere.

Ed ora,” disse il generale. “voglio mostrarle la mia nuova collezione di trofei. Vuol venire con me in biblioteca?”

Spero,” disse Rainsford, “che lei voglia scusarmi per questa sera, generale Zaroff. In realtà, non mi sento molto bene.”

Ah, davvero?” chiese con sollecitudine il generale. “Suppongo che sia soltanto naturale, dopo la sua lunga nuotata. Lei ha bisogno di una buona nottata di sonno ristoratore. Domani si sentirà rinato, ci scommetto. Poi andremo a caccia, eh? Ho delle aspettative piuttosto promettenti...” Rainsford si stava affrettando ad uscire dalla stanza.

Spiacente che non possa venire con me questa notte,” gridò il generale. “Credo che sarà una partita piuttosto interessante – un nero grosso, forte. Sembra pieno di risorse. Bene, Mr. Rainsford; le auguro buon riposo.”

Il letto era confortevole, il pigiama era della seta più morbida e si sentiva stanco in ogni fibra del suo essere, ma ciò nonostante, Rainsford non riuscì a dare pace al suo cervello con l’oppio del sonno. Giaceva a letto con gli occhi spalancati. Una volta gli sembrò di sentire dei passi furtivi nel corridoio davanti alla sua porta. Cercò di aprire la porta, ma non ci riuscì. Andò alla finestra e guardò fuori. La sua stanza si trovava in alto, in una delle torri.

Adesso, le luci del castello erano spente e tutto era buio e silenzioso, ma c’era un frammento di luna giallastra e alla sua debole luce riuscì a vedere, a fatica, il cortile. Lì, muovendosi a zig zag dentro e fuori il gioco delle ombre, c’erano sagome nere e silenziose, i cani lo sentirono affacciarsi alla finestra e guardarono su, in attesa, con i loro verdi occhi. Rainsford tornò a letto e si coricò. Provò vari metodi per farsi venire sonno. Era riuscito ad assopirsi quando, proprio mentre cominciava a sorgere il giorno, udì, lontano nella giungla, la debole eco di un colpo di pistola.

Il generale Zaroff non apparve fino all’ora di pranzo. Era vestito impeccabilmente con un completo in tweed, tipico dei signorotti di campagna. Fu molto premuroso riguardo allo stato di salute di Rainsford.

Per quanto mi riguarda,” sospirò il generale, “non mi sento molto bene. Sono preoccupato, Mr. Rainsford. La notte corsa ho rilevato alcuni indizi del mio vecchio malessere.”

In risposta allo sguardo interrogativo di Rainsford, disse, “Ennui. Noia.”

Poi, prendendo una seconda porzione di crepes Suzette, il generale spiegò: “Ieri notte la caccia non è stata buona. Quel tipo ha perso la testa. Ha fatto un percorso rettilineo che non presentava alcuna difficoltà. Questo è il guaio con i marinai: per cominciare, hanno dei cervelli ottusi e poi, non sanno come muoversi nei boschi. Fanno cose incredibilmente stupide e ovvie. E’ estremamente seccante. Gradisce un altro bicchiere di Chablis, Mr. Rainsford?”

Generale,” disse Rainsford con fermezza, “desidero lasciare immediatamente l’isola.”

Il generale inarcò il boschetto delle sue sopracciglia, sembrava offeso. “Ma, mio caro amico,” protestò il generale, “lei è appena arrivato. Non è ancora andato a caccia...”

Voglio andarmene oggi,” disse Rainsford. Vide i gelidi occhi neri del generale su di lui che lo studiavano. La faccia del generale Zaroff improvvisamente si illuminò.

Riempì il bicchiere di Rainsford con del venerabile Chablis, versandolo da una bottiglia polverosa.

Questa notte,” disse il generale, “andremo a caccia, lei ed io.”

Rainsford scosse la testa. “No generale,” disse. “Non verrò.”

Il generale fece spallucce e piluccò delicatamente un acino di uva tardiva. “Come desidera, amico mio,” disse. “La scelta spetta interamente a lei. Ma, potrei azzardarmi a suggerire che troverà la mia idea di sport più divertente di quella di Ivan?”

Fece cenno con la testa verso l’angolo dove il gigante, accigliato, se ne stava con le sue robuste braccia incrociate su un torace grosso come un barile.

Non vorrà forse dire...” gridò Rainsford.

Mio caro amico,” disse il generale, “Non le ho sempre detto che quando si tratta di caccia intendo esattamente ciò che dico? Questa è una vera ispirazione. Brindo ad un avversario degno del mio acciaio… finalmente.” Il generale sollevò il bicchiere, ma Rainsford rimase seduto a fissarlo.

Troverà questo gioco degno di essere giocato,” disse il generale con entusiasmo. “Il suo cervello contro il mio. La sua padronanza dei boschi contro la mia. La sua forza e la sua resistenza contro le mie. Una partita a scacchi all’aperto! E la posta in gioco non è priva di valore, eh?”

E se vincerò io...” iniziò a dire Rainsford con voce roca.

Ammetterò la mia sconfitta di buon grado se non la troverò per la mezzanotte del terzo giorno,” disse il generale Zaroff. “La mia goletta la porterà sulla terra ferma, vicino ad una città.! Il generale intuì quello che stava pensando Rainsford.

Oh, può fidarsi di me,” disse il cosacco. “Le do la mia parola di gentiluomo e sportivo. Naturalmente lei, in cambio, dovrà acconsentire a non rivelare niente della sua visita qui.”

Non acconsentirò a niente del genere,” disse Rainsford.

Oh,” disse il generale, “Nel qual caso… Ma perché discuterne adesso? Fra tre giorni potremo discuterne intorno ad una bottiglia di Veuve Cliquot, a meno che...”

Il generale sorseggiò il suo vino.

Poi, uno spirito pragmatico lo animò. “Ivan,” disse a Rainsford, “le fornirà abiti da caccia, cibo, un coltello. Le suggerisco di calzare dei mocassini, lasciano tracce meno evidenti. Le suggerisco, inoltre, di evitare la grande palude nell’angolo a sud-est dell’isola. La chiamiamo palude della morte.

Lì ci sono le sabbie mobili. Uno sciocco ci provò. La parte deplorabile di questa storia fu che Lazarus lo seguì. Può immaginare i miei sentimenti, Mr. Rainsford. Amavo Lazarus, era il migliore della mia muta. Bene, devo pregarla di scusarmi adesso. Faccio sempre una siesta dopo pranzo. Lei avrà appena il tempo per un pisolino, temo. Senza dubbio, si vorrà incamminare. Io non la seguirò che all’imbrunire. Cacciare di notte è tanto più eccitante che di giorno, non crede? Au revoir, Mr. Rainsford, au revoir.” Il generale Zaroff, dopo un profondo inchino elegante, uscì dalla stanza a passo lento.

Da un’altra porta entrò Ivan. Sotto un braccio portava degli abiti da caccia color cachi, uno zaino pieno di cibo, un fodero di cuoio contenente un coltello da caccia dalla lunga lama; la mano destra era appoggiata su di un revolver armato infilato nella fusciacca color cremisi intorno alla sua vita.

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Per due ore, Rainsford si era fatto strada a fatica attraverso il sottobosco. “Devo mantenere i nervi saldi. Devo mantenere i nervi saldi,” si disse stringendo i denti.

Non era stato completamente lucido, dopo che i cancelli del castello si erano chiusi di scatto dietro di lui. Dapprincipio, la sua unica idea fu di mettere della distanza fra lui e il generale Zaroff e, a questo scopo, si era buttato avanti a capofitto, sotto l’implacabile spinta di qualcosa molto simile al panico. Adesso era tornato in sé, si era fermato, e stava analizzando sé stesso e la situazione. Capì che una fuga in linea retta era inutile, lo avrebbe inevitabilmente condotto faccia a faccia con il mare. Era in un quadro con una cornice di acqua e le sue azioni, naturalmente, dovevano aver luogo all’interno di quella cornice.

Gli darò una pista da seguire,” mormorò Rainsford, e balzò via dal rozzo sentiero che aveva seguito per addentrarsi nell’intrigo della foresta. Eseguì una serie di complicate spirali, passando e ripassando sui suoi passi, richiamando alla mente tutti i trucchi della caccia alla volpe e tutti i sotterfugi della volpe. La notte lo sorprese su di un crinale fittamente alberato, con le gambe che gli dolevano, le mani e la faccia graffiate dai rami. Sapeva che sarebbe stato folle avanzare brancolando nel buio, anche se ne avesse avuto la forza. Il suo bisogno di riposo era inderogabile e pensò, “Ho fatto la parte della volpe, adesso devo fare la parte del gatto della favola.”

Nelle vicinanze c’era un albero alto con un grosso tronco da cui partivano lunghi rami distesi e, avendo cura di non lasciare la minima traccia, si arrampicò fino alla chioma poi, stendendosi su uno dei rami più robusti, in qualche modo, riposò. Il riposo gli arrecò una rinnovata fiducia e quasi un sentimento di sicurezza. Nemmeno un cacciatore così zelante come il generale Zaroff avrebbe potuto rintracciarlo lì, si disse, solo il diavolo in persona poteva seguire quella complicata pista attraverso la giungla, dopo il tramonto. Ma forse il generale era il diavolo...

Una notte di apprensioni gli scivolò addosso con la lentezza di un serpente ferito e il sonno non visitò Rainsford, sebbene il silenzio di un mondo addormentato fosse calato sulla giungla. Verso il mattino, quando un grigio cupo stava colorando il cielo, l’urlo di qualche uccello spaventato focalizzò l’attenzione di Rainsford in quella direzione. Qualcosa stava avanzando attraverso la boscaglia, lentamente, cautamente, venendo dallo stesso sentiero tortuoso da cui era arrivato Rainsford. Si appiattì sul ramo e, attraverso uno schermo di foglie fitto quasi come una tappezzeria, si mise ad osservare… Quello che si stava avvicinando era un uomo.

Era il generale Zaroff. Procedeva con uno sguardo estremamente concentrato a fissare il terreno davanti a lui. Si fermò, quasi sotto l’albero, si mise in ginocchio e studiò il terreno. L’impulso di Rainsford fu di lanciarsi giù come una pantera, ma vide che la mano destra del generale stringeva qualcosa di metallico… una piccola pistola automatica.

Il cacciatore scosse la testa diverse volte, come se fosse perplesso. Poi si rialzò e dall’astuccio prese una delle sue sigarette nere; il suo pungente fumo dall’odore di incenso fluttuò su fino alle narici di Rainsford.

Rainsford trattenne il respiro. Gli occhi del generale avevano lasciato il terreno e stavano viaggiando, centimetro dopo centimetro, lungo l’albero. Rainsford si irrigidì, con i muscoli tesi per un balzo. Ma gli occhi acuti del cacciatore si fermarono prima di raggiungere il ramo dove era disteso Rainsford; un sorriso illuminò la sua faccia abbronzata. Con molta calma, soffiò in aria un anello di fumo, poi voltò la schiena all’albero e con indifferenza se ne andò via, riprendendo il sentiero da cui era venuto. Il fruscio dei cespugli contro i suoi stivali da caccia diventò sempre più flebile.

Il respiro trattenuto uscì con veemenza dai polmoni di Rainsford. Il suo primo pensiero lo fece sentire stanco e confuso. Il generale poteva seguire una traccia attraverso i boschi di notte, poteva seguire una pista estremamente difficile, doveva avere dei poteri misteriosi, solo per puro caso il cosacco non aveva visto la sua preda. Il secondo pensiero di Rainsford fu ancora più terribile. Gli procurò un brivido di gelido orrore in tutto il suo essere. Perché il generale aveva sorriso? Perché era tornato indietro?

Rainsford non voleva credere a quello che la sua ragione gli diceva fosse la verità, ma la verità era evidente come il sole che ormai si era fatto strada attraverso le nebbie del mattino. Il generale stava giocando con lui! Il generale lo stava risparmiando per un’altra giornata di divertimento! Il cosacco era il gatto, lui era il topo. Fu allora che Rainsford capì a pieno il significato del terrore.

Non perderò la calma. Non voglio.”

Scivolò giù dall’albero e si inoltrò nei boschi. Il suo volto aveva un’espressione determinata e costrinse gli ingranaggi del suo cervello a funzionare. A trecento metri dal suo nascondiglio, si fermò nel punto in cui un enorme albero morto si appoggiava precariamente su uno più piccolo e vivo. Dopo essersi liberato dello zaino con il cibo, Rainsford estrasse il coltello dal fodero e iniziò a lavorare con quanta energia aveva in corpo. Quando finalmente il lavoro fu completato si buttò giù, una quarantina di metri più in la, al riparo di un tronco caduto.

Il generale Zaroff arrivò seguendo la pista con la sicurezza di un segugio. Nulla sfuggiva a quei neri occhi indagatori, non un filo d’erba calpestato, non un rametto piegato, non una traccia, per quanto insignificante, nel muschio. Il cosacco era così intento nella sua ricerca che si imbatté in quello che Rainsford aveva predisposto ancor prima che lo vedesse. Il suo piede toccò il ramo sporgente che funzionava da grilletto. Nello stesso momento in cui lo toccò, il generale avvertì il pericolo e saltò indietro con l’agilità di una scimmia.

Ma non fu abbastanza veloce, l’albero morto, accortamente sistemato per rimanere appoggiato a quello vivo che era stato tagliato, precipitò in basso e colpì il generale di striscio sulla spalla mentre cadeva ma, non fosse stato per la sua prontezza, avrebbe dovuto rimanere schiacciato sotto di esso. Barcollò ma non cadde, né lasciò cadere il revolver. Rimase in piedi, a massaggiarsi la spalla dolorante e Rainsford, con la paura che gli attanagliava di nuovo il cuore, sentì la risata di scherno del generale risuonare attraverso la giungla.

Rainsford,” gridò il generale, “se lei può sentire la mia voce, come credo, lasci che mi congratuli con lei. Non molti uomini sanno come fare un trappola malese per uomo. Fortunatamente per me, anche io ho cacciato in Malesia. Lei si sta rivelando interessante, Mr. Rainsford. Adesso mi farò fasciare la feria, è solo una piccolezza. Ma ritornerò, ritornerò.”

Dopo che il generale, per riguardo della sua spalla contusa, se ne fu andato, Rainsford riprese la sua fuga. Adesso era una fuga, disperata e senza speranza, che proseguì per alcune ore. Arrivò il crepuscolo, poi la notte, e la sua fuga continuava ancora. Il terreno sotto i suoi mocassini divenne più soffice, la vegetazione più marcia e densa; gli insetti lo mordevano ferocemente.

Poi, mentre proseguiva, il piede affondò nella melma. Provò a strapparlo via, ma la fanghiglia risucchiò voracemente il suo piede, come se fosse una gigantesca sanguisuga. Con uno sforzo violento, tirò via il piede. Adesso sapeva dove si trovava. La palude della morte e le sue sabbie mobili. Le sue mani erano serrate come se il suo coraggio fosse qualcosa di tangibile che qualcuno nell’oscurità stava cercando di strappare dalla sua presa. La mollezza del terreno gli aveva dato un’idea. Si allontanò dalle sabbie mobili di circa tre metri e, come un enorme castoro preistorico, iniziò a scavare.

Dopo che il generale, per riguardo della sua spalla contusa, se ne fu andato, Rainsford riprese la sua fuga. Adesso era una fuga, disperata e senza speranza, che proseguì per alcune ore. Arrivò il crepuscolo, poi la notte, e la sua fuga continuava ancora. Il terreno sotto i suoi mocassini divenne più soffice, la vegetazione più marcia e densa; gli insetti lo mordevano ferocemente.

Poi, mentre proseguiva, il piede affondò nella melma. Provò a strapparlo via, ma la fanghiglia risucchiò voracemente il suo piede, come se fosse una gigantesca sanguisuga. Con uno sforzo violento, tirò via il piede. Adesso sapeva dove si trovava. La palude della morte e le sue sabbie mobili. Le sue mani erano serrate come se il suo coraggio fosse qualcosa di tangibile che qualcuno nell’oscurità stava cercando di strappare dalla sua presa. La mollezza del terreno gli aveva dato un’idea. Si allontanò dalle sabbie mobili di circa tre metri e, come un enorme castoro preistorico, iniziò a scavare.

In Francia, Rainsford aveva scavato trincee dove ripararsi, quando un secondo di ritardo poteva significare la morte. Quello era stato un tranquillo passatempo, paragonato allo scavare di adesso. Il pozzo diventava sempre più profondo, quando fu più alto delle sue spalle, si arrampicò fuori e, da alcuni arboscelli robusti, tagliò via dei paletti e li affilò fino ad ottenere delle punte aguzze. Piantò questi paletti sul fondo del pozzo con le punte rivolte in alto. Con le dita che volavano, intessé un rozzo tappeto di erbacce e rametti con cui coprì la bocca del pozzo. Poi, madido di sudore e dolorante per la stanchezza, si accovacciò dietro il ceppo di un albero bruciato dai fulmini.

Sapeva che il suo inseguitore stava arrivando, sentiva il tonfo dei suoi stivali sul terreno soffice e la brezza notturna gli portava il profumo delle sigarette del generale. A Rainsford sembrò che il generale stesse procedendo con insolita sveltezza: non stava saggiando il terreno passo dopo passo. Rainsford, accovacciato lì dietro, non poteva vedere il generale, né poteva vedere la buca. Visse un anno in un minuto. Poi sentì l’impulso di gridare di gioia, perché sentì il secco crepitio dei rami mentre la copertura del pozzo cedeva; sentì un acuto grido di dolore quando i paletti appuntiti colpirono il segno. Saltò fuori dal suo nascondiglio.

Poi si accucciò di nuovo. Un uomo era in piedi a tre metri dal pozzo, con una torcia elettrica in mano.

Ben fatto, Rainsford,” gridò la voce del generale. “Il suo pozzo birmano per tigri si è preso uno dei miei cani migliori. Un altro punto per lei. Credo, Mr. Rainsford, che vedrò quello che sa fare contro tutta la mia muta di cani. Ora me ne vado a casa a riposare. Grazie per questa divertente serata.

Allo spuntar del giorno, Rainsford, disteso accanto alla palude, fu svegliato da un suono che gli fece pensare che aveva ancora molto da imparare riguardo alla paura. Era un suono distante, debole e intermittente, ma lo riconobbe. Era l’abbaiare di una muta di segugi.

Rainsford, sapeva che di due cose poteva farne una. Poteva restare dov’era e aspettare. Significava suicidarsi. Poteva fuggire. Significava rimandare l’inevitabile. Per un momento rimase lì, a pensare. Gli venne un’idea che gli offriva un’alternativa temeraria e, allacciandosi la cintura, si allontanò di corsa dalla palude.

I guaiti dei cani si facevano più vicini, poi ancora più vicini, più vicini, sempre più vicini. In cima ad un’altura Rainsford si arrampicò su di un albero. Lungo un corso d’acqua, lontano non più di quattrocento metri, poté vedere i cespugli muoversi. Aguzzando la vista, scorse la snella figura del generale Zaroff e proprio davanti a lui, Rainsford intravide un’altra figura le cui ampie spalle emergevano dalle alte erbacce della giungla: era il gigante Ivan e sembrava spinto in avanti da una forza invisibile; Rainsford intuì che Ivan stava tenendo la muta al guinzaglio.

Gli sarebbero stati addosso da un momento all’altro. La sua mente lavorava freneticamente. Gli venne in mente un trucco indigeno che aveva imparato in Uganda. Scivolò giù dall’albero. Afferrò un giovane arbusto flessibile e vi legò il suo coltello da caccia, la lama puntata verso il sentiero, con un tralcio di vite selvatica legò l’arbusto all’indietro. Poi fuggì a gambe levate. I segugi abbaiarono più forte quando annusarono le tracce fresche. In quel momento Rainsford capì come si sente un animale braccato.

Dovette fermarsi a riprendere fiato. I guaiti dei cani si fermarono di colpo. E anche il cuore di Rainsford si fermò. Dovevano essere arrivati al coltello.

Si arrampicò concitatamente su di un albero e guardò indietro. I suoi inseguitori si erano fermati. Ma la speranza, che Rainsford covava dentro di sé quando si era arrampicato, si spense, perché vide che il generale Zaroff era ancora in piedi nella valletta. Ma non Ivan. Il coltello, spinto dal contraccolpo di quel flessibile arbusto, non aveva fallito del tutto.

Rainsford non era ancora rotolato a terra che i segugi ripresero ad abbaiare.

Coraggio, coraggio, coraggio!” ansimò, continuando la sua fuga. Un squarcio blu apparve tra gli alberi, proprio davanti a lui. I cani erano sempre più vicini. Rainsford si costrinse a correre verso quel blu. Lo raggiunse. Era la riva del mare. Dall’altra parte di una baia si vedeva la scura pietra grigia del castello. Una decina di metri sotto di lui, il mare rombava e ululava. Rainsford esitò. Sentì i segugi. Poi, si tuffò tra le onde, il più lontano possibile…

Quando il generale e la sua muta raggiunsero quel posto in riva al mare, il cosacco si fermò. Rimase fermo per alcuni minuti ad osservare la distesa verde-blu del mare. Si strinse nelle spalle. Poi, si mise a sedere, prese una sorsata di brandy da una fiaschetta d’argento, si accese una sigaretta e canticchiò un brano dalla Madame Butterfly.

Quella sera, il generale Zaroff fece un’eccellente cena nella sua grande sala da pranzo rivestita da pannelli di legno. La innaffiò con una bottiglia di Pol Roger e mezza bottiglia di Chambertin. Due piccole seccature gli impedivano di goderne appieno. Una era il pensiero che sarebbe stato difficile rimpiazzare Ivan; l’altra era il fatto che la sua preda gli era sfuggita, l’americano non era stato al gioco – così pensava il generale mentre gustava il suo liquore del dopocena. Per calmarsi, in biblioteca lesse dei brani dalle opere di Marco Aurelio.

Alle dieci salì nella sua camera da letto. Era piacevolmente stanco, si disse, mentre si chiudeva dentro. C’era un po’ di chiaro di luna, così, prima di accendere la luce, andò alla finestra e guardò giù nel cortile. Vide i suoi grossi segugi e gridò, “Miglior fortuna, la prossima volta.”

Un uomo, che si era nascosto nei tendaggi del letto, era fermo davanti a lui.

Rainsford!” gridò il generale. “In nome di Dio, come siete arrivato qui?”

Nuotando,” disse Rainsford. “Ho scoperto che è più veloce che attraversare la giungla.”

Il generale riprese fiato e sorrise. “Mi congratulo con lei,” disse. “Ha vinto.”

Rainsford non sorrise. “Sono ancora una bestia braccata,” disse, con una voce bassa e roca. “Si prepari, generale Zaroff.”

Il generale fece uno dei suoi inchini più profondi. “Capisco,” disse. “Splendido! Uno di noi sarà cibo per i miei cani. L’altro dormirà in questo eccellente letto. In guardia, Rainsford!”...

Non aveva mai dormito in un letto migliore, ammise Rainsford!


FINE


i Purdey & Sons, o semplicemente Purdey, è un costruttore di armi britannico con base a Londra, specializzato in fucili e fucili sportivi di alta qualità su misura. Purdey detiene tre Royal Warrant di nomina come fabbricante di armi e fucili per le famiglie reali britanniche e altre europee.

iiNel testo originale whipped cream, panna montata, invece di sour cream, panna acida, che è il tradizionale condimento di questa minestra a base di barbabietola, originaria dell'Ucraina, molto diffusa nei paesi slavi.

iii Lo sfacelo a cui si riferisce è la rivoluzione russa, un evento sociopolitico avvenuto in Russia nel 1917, che portò al rovesciamento dell'impero russo e alla formazione inizialmente della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa e, nel 1922, in seguito alla guerra civile russa, dell'Unione Sovietica; fu un tentativo di applicazione delle teorie sociali ed economiche di Karl Marx e Friedrich Engels.

iv Nel testo ‘Knuoter’ dal nome dello staffile, Knout, che veniva usato per le flagellazioni come punizione corporale per criminali e oppositori politici. Se il numero dei colpi era fra i 100 e i 120, significava pena di morte. Dalla seconda metà dell’ottocento, questa pena corporale fu mantenuta solo nelle colonie penali in Siberia.

v L’attributo di ‘grande zar bianco’ veniva usato per riferirsi a Pietro il Grande ( Mosca, 9 giugno 1672– San Pietroburgo, 8 febbraio 1725), che è stato zar e, dal 1721, primo imperatore di Russia. Più di duecento anni prima degli eventi descritti in questa storia.


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