martedì 7 febbraio 2012

Il segnalatore

Per celebrare i 200 anni della nascita di Charles Dickens, vi propongo una breve storia tratta da Mugby Junction (1866), una raccolta di 4 racconti ambientati appunto a Mugby Junction, un fittizio snodo ferroviario. Certamente il treno resta il simbolo per eccellenza della rivoluzione industriale: simbolo di potenza ma anche di distruzione del paesaggio e, a causa dei numerosi incidenti, simbolo di morte. Lo stesso Dickens era stato coinvolto proprio quell'anno in un grave incidente ferroviario, da lì l'ispirazione per questi racconti. La storia che vi propongo è  "Il segnalatore" che possiamo considerare un perfetto esempio di racconto fantastico, con il suo essere sospeso tra reale e irreale, senza che la nostra razionalità riesca a dare risposte certe.





Il segnalatore
di
Charles Dickens



“Hei, laggiù”
Quando sentì una voce che lo chiamava, l’uomo era in piedi davanti alla porta della sua cabina, con una bandierina in mano, arrotolata intorno ad un corto manico. Si sarebbe detto, considerando la conformazione del posto, che non potesse avere dubbi da quale parte provenisse la voce, ma invece di guardare su, là dove io mi trovavo in cima allo scosceso fossato quasi sopra la sua testa, egli si girò intorno e guardò lungo la ferrovia. C’era qualcosa di particolare nel suo modo di fare, anche se per nulla al mondo avrei potuto dire cosa fosse. Ma so che era abbastanza strano da attrarre la mia attenzione, anche se la sua figura appariva schiacciata nell’ombra, giù nel ripido fossato, e la mia era alta sopra di lui, immersa nello splendore di un tramonto infuocato, tanto che avevo dovuto ripararmi gli occhi con la mano prima di riuscire a vederlo.
“Hei, laggiù”
Smise di guardare lungo la ferrovia, si girò intorno e, alzando gli occhi, vide la mia figura sopra di sé.
“C’è un sentiero per scendere giù e parlare con voi?”
Guardò su verso di me senza rispondere ed io guardai giù verso di lui, prendendo tempo prima di incalzarlo con la ripetizione della mia oziosa domanda. Proprio in quel momento arrivò una vaga vibrazione nella terra e nell’aria, che ben presto si trasformò in una violenta pulsazione e poi in una corsa furiosa che mi fece retrocedere, come se avesse avuto la forza di trascinarmi giù. Quando il vapore che era arrivato fino a me da quel terno velocissimo mi oltrepassò fluttuando lontano sul paesaggio, guardai di nuovo giù e lo vidi arrotolare la bandierina che aveva sventolato al passaggio del treno.

Rain Steam and Speed the Great Western Railway - W. Turner, 1844


Ripetei la mia domanda. Dopo una pausa, durante la quale sembrava guardarmi con insistente attenzione, fece cenno con la bandierina arrotolata verso un punto alla mia altezza, distante circa 300 o 400 metri. Gli risposi “Va bene”, e mi avviai verso quel punto. Arrivato lì, a forza di guardarmi attentamente intorno, trovai un rozzo sentiero a gradini che scendeva giù a zig-zag e lo seguii. Il sentiero era estremamente scosceso e insolitamente ripido. Era stato tagliato in una pietra viscida, che diventava sempre più stillante e umida, man mano che scendevo. Per questi motivi trovai la strada lunga abbastanza da darmi il tempo di ricordare la strana aria di riluttanza o di costrizione con cui l’uomo me lo aveva indicato.
Quando arrivai abbastanza giù lungo la discesa a zig-zag da poterlo vedere di nuovo, mi accorsi che si trovava in mezzo ai binari nella direzione appena percorsa dal treno, come se stesse aspettando la mia apparizione. Aveva la mano sinistra sul mento e il gomito sinistro appoggiato sulla mano destra, incrociati sul suo petto. Aveva un tale atteggiamento di attesa e di allerta, che mi fermai un momento per la meraviglia.
Ripresi la mia discesa. Giunto al livello della ferrovia e avvicinandomi a lui, vidi che era un uomo scuro, dalla carnagione olivastra, con una barba nera e sopracciglia folte.
La sua postazione era nel luogo più solitario e cupo che avessi mai visto. Su entrambi i lati, una parete umida di pietra tagliata rozzamente escludeva tutta la vista eccetto una striscia di cielo; la vista in una direzione era il contorto prolungamento di quell’enorme cella sotterranea; dall’altra parte, la più vicina, la vista era delimitata da una sinistra luce rossa e dall’ingresso ancora più cupo di un tunnel nero, nella cui imponente architettura c’era un aspetto barbaro, deprimente e spaventoso. In questo luogo arrivava così poca luce solare che esso aveva un odore di terra e di morte; ed era attraversato da un vento così freddo, che fui pervaso da un gelo improvviso, come se avessi lasciato il mondo dei vivi.
Prima che si muovesse, arrivai abbastanza vicino da poterlo toccare. Senza distogliere lo sguardo da me, fece un passo indietro e alzò la mano.

Questo era un posto solitario per viverci – dissi- e per questo aveva attratto la mia attenzione, quando avevo guardato giù dall’alto. Un visitatore era una rarità, supponevo, una rarità non sgradita, speravo? In me egli vedeva semplicemente un uomo che era stato confinato in angusti limiti per tutta la sua vita, e che, essendo stato in fine liberato, aveva un ridestato interesse nelle grandi opere. Per questo motivo gli parlai; ma sono lontano dall’essere sicuro delle parole che usai; perché, oltre al fatto che non mi trovo a mio agio quando devo intavolare una conversazione, c’era qualcosa in quell’uomo che mi intimidiva.

Egli guardò con strana insistenza verso la luce rossa vicino all’ingresso del tunnel e tutto intorno ad esso, come se cercasse qualcosa, e poi diresse lo sguardo verso di me.
Quella luce faceva parte del suo lavoro? O no?
Egli mi rispose a voce bassa,- “Non lo sapete che è così?”
Mentre guardavo i suoi occhi fissi e il suo viso triste, mi assalì il mostruoso pensiero che fosse uno spirito, non un uomo. Da allora mi sono sempre chiesto se la sua mente fosse malata.
A mia volta, mi allontanai da lui. Ma, nel fare ciò, scorsi nei suoi occhi una paura nascosta nei miei confronti. Questo scacciò il mostruoso pensiero.
“Mi guardate,” dissi, con un sorriso forzato, “come se aveste paura di me.”
“Ero in dubbio,” rispose, “se vi avessi visto prima.”
“Dove?”
Indicò la luce rossa verso cui aveva guardato prima.

“Laggiù?” dissi.
Apertamente sulla difensiva, mi rispose (ma senza emettere suono) “Si.”
“Mio buon amico, cosa dovrei farci laggiù? Comunque, sia come sia, non sono mai stato laggiù, ci potete giurare.”
“Credo che abbiate ragione,” rispose. “Si, ne sono sicuro.”
Il suo modo di fare si rasserenò, come il mio. Rispose volentieri alla mie domande, con un vocabolario ben scelto. Era un lavoro molto impegnativo? Si, a dire il vero, era un lavoro di responsabilità, ma quello che gli veniva richiesto erano la precisione e l’attenzione, e di lavoro vero e proprio- lavoro manuale- non ne aveva quasi niente. Cambiare quel segnale, tenere in ordine le luci, e girare questa sbarra di ferro di tanto in tanto, era tutto quello che aveva da fare.
Per quanto riguardava le lunghe e solitarie ore di cui io sembravo preoccuparmi tanto, egli poteva solo dirmi che la routine della sua vita aveva preso ormai quella forma, ed egli vi si era abituato. Aveva imparato una lingua, laggiù, - a patto che conoscere una lingua solo nella sua forma scritta e avere solo una vaga idea della sua pronuncia, possa essere considerato sufficiente. Aveva lavorato anche alle frazioni e ai decimali, e si era cimentato con un po’ di algebra, ma egli era, e lo era stato sin da ragazzo, scarso con i numeri.
Era necessario, quando era di turno, rimanere sempre in quel canale pieno di aria umida, e aveva mai la possibilità di emergere alla luce del sole da quelle alte mura di pietra? Ebbene, dipendeva dall’ora e dalle circostanze. In certe condizioni era meno necessario che in altre, e lo stesso valeva sia di giorno che di notte. Quando il tempo era bello, coglieva l’occasione per uscire da quelle infime ombre, ma dal momento che poteva essere chiamato in qualsiasi momento dal campanello elettrico, in quelle occasioni tendeva l’orecchio con raddoppiata ansietà, così che il sollievo era minore di quello che si potesse credere.
  
Mi condusse nel suo casotto, dove c’era un caminetto, un tavolo con un registro su cui doveva fare alcune annotazioni, un telegrafo con il suo quadrante, orologio e aghi, e la campanella di cui mi aveva parlato. Fidando nel fatto che avrebbe scusatola mia osservazione che egli aveva ricevuto una buona educazione, e ( speravo di dirlo senza che si offendesse) forse al di sopra della sua posizione sociale; egli replicò che tali esempi di incongruità non erano rari in vaste categorie di persone; aveva sentito che era lo stesso negli ospizi di mendicità, nelle forze di polizia e anche in quell’ultima disperata risorsa, l’esercito, e sapeva che era più o meno la stessa cosa in ogni grande società ferroviaria. Era stato, da giovane, (ammesso che riuscissi a crederci, seduto là in quel tugurio - egli a mala pena ci riusciva) uno studente di filosofia naturale e aveva seguito diverse lezioni, ma era diventato ribelle, sprecato le proprie opportunità, andato giù, senza riuscire più a risollevarsi. Non aveva rimpianti al riguardo. Si era scavato la tomba con le proprie mani e si ci era disteso dentro. Ed era troppo tardi per ricominciare.
Tutto quello che ho riassunto fin qui egli lo disse in modo calmo, con uno sguardo severo e cupo, diviso fra me e il fuoco. Ogni tanto pronunciava la parola “Sir”, specialmente quando si riferiva alla sua giovinezza - come se mi chiedesse di credere che egli non era diverso da come era adesso. Fu interrotto diverse volte dalla campanella e dovette leggere diversi messaggi e inviare le relative risposte. Una volta dovette uscire sulla porta, sventolare la bandierina mentre il treno passava e comunicare verbalmente con il macchinista. Nel compimento delle sue mansioni, osservai che era incredibilmente preciso e attento, interrompendo il suo discorso a metà e rimanendo in silenzio finché non aveva fatto quello che doveva.

In una parola, avrei potuto considerare quest’uomo come uno dei più fidati da essere impiegati in quell’attività, se non fosse stato per la circostanza che mentre stava parlando con me egli impallidì due volte, girò la faccia verso il campanello quando non suonava, aprì la porta del suo casotto (che era tenuta chiusa per non fare entrare l’insalubre umidità) e guardò verso la luce rossa vicina all’ingresso del tunnel. In entrambe le occasioni, egli ritornò vicino al fuoco con quella stessa aria inesplicabile che avevo notato, senza riuscire a definirla, quando eravamo ancora distanti.
Quando mi alzai per congedami da lui, gli dissi “Mi fate pensare di aver incontrato un uomo soddisfatto di sé.”
(Mi dispiace ammettere che lo dissi solo per prenderlo in giro)
“Credo che una volta fosse così,” rispose, con la stessa voce bassa con cui aveva parlato la prima volta; “ma sono turbato, signore, sono turbato.”
Avesse potuto, si sarebbe rimangiato quelle parole. Le aveva dette, comunque, ed io le avevo afferrate al volo.
“Come mai? Cosa vi tormenta?”
“E’ molto difficile da spiegare, signore. E’ molto, molto difficile parlarne. Se mai mi farete un’altra visita, cercherò di raccontarvelo.”
“ Certo che voglio farvi un’altra visita. Dite, quando può essere?”
“Vado via la mattina presto e sarò di turno di nuovo alle dieci domani sera, signore.”
“Verrò alle undici.”
Mi ringraziò e mi accompagnò alla porta. “Vi illuminerò con la mia luce bianca, signore,” disse, con la sua particolare voce bassa, “finché non avrete trovato la strada per risalire. Quando l’avrete trovata, non chiamate! E quando sarete in cima, non chiamate!”
Le sue maniere rendevano quel posto ancora più freddo, ma non dissi altro che, “Molto bene.”
“E quando ritornate domani sera, non chiamate. Permettete che vi faccia una domanda di commiato: cosa vi ha spinto a gridare”Ei, laggiù!” stasera?”
“Il cielo lo sa,” Dissi. “Ho gridato qualcosa del genere…”
“Non qualcosa del genere, signore. Queste sono le esatte parole. Le conosco bene.”
“Ammettiamo che queste siano le esatte parole. Le ho dette, senza dubbio, perché vi ho visto quaggiù.”
“Nessun altro motivo?”
“Quale altro motivo potrei avere?”
“Non avete avuto la sensazione che vi fossero suggerito da qualcosa di soprannaturale?”
“No.”
Mi augurò buona notte e sollevò la sua lanterna. Camminai lungo la direzione sud dei binari (con la sgradevole sensazione che un treno potesse arrivare alle mie spalle) finché trovai il sentiero. Era più facile salire che scendere e ritornai alla mia locanda senza altre avventure.

Puntuale al mio appuntamento, posi il piede sul primo gradino della strada a zig-zag la sera successiva, mentre gli orologi in lontananza battevano le undici. Egli mi aspettava in fondo, con la luce bianca accesa. “Non ho chiamato,” dissi, quando fummo vicini, “posso parlare, ora?” ”Certamente, signore.” ”Buona sera, allora, ecco la mia mano.” “Buona sera, signore ed ecco la mia.” Ciò fatto, ci incamminammo fianco a fianco fino al suo casotto, entrammo, chiudemmo la porta e ci sedemmo accanto al focolare.
“Ho deciso, signore,” iniziò, piegandosi in avanti appena ci fummo seduti e parlando con una voce che era poco più che un sospiro “Che non dovrete chiedere una seconda volta cosa mi tormenta. Io vi ho scambiato per qualcun altro, ieri sera. Questo mi tormenta.”
“Questo errore?”
“No. Quel qualcun altro.”
“Chi è?”
“Non lo so.”
“Mi assomiglia?”
“Non lo so. Non ho mai visto la sua faccia. Il braccio sinistro gli copre la faccia, e agita il braccio destro, violentemente. In questo modo.”

Seguii il suo movimento con gli occhi ed era il movimento di un braccio che voleva significare, con incredibile furore e veemenza, “Per amor di Dio, via di là!”
“In una notte di luna piena,” disse l’uomo, “Ero seduto qui, quando udii una voce gridare, “Ei! Laggiù!” Mi alzai di scatto, guardai attraverso la porta e vidi Qualcunaltro in piedi, vicino alla luce rossa del tunnel, che agitava il braccio come vi ho appena mostrato. La voce era rauca a forza di urlare, e mi desse gridando “Attento! Attento!” E ancora, “Ei, laggiù, attento!” Afferrai la mia lanterna, la girai sul rosso, e corsi verso quella figura, gridando, “Cosa c’è che non va? Cosa è successo? Dove?” Era lì, proprio davanti all’ingresso buio del tunnel. Mi avvicinai così tanto che, con mia sorpresa, vidi la manica che teneva sugli occhi. Corsi verso di lui e allungai la mano per togliere via la manica, quando scomparve.
“Nel tunnel?” dissi.
“No. Proseguii la mia corsa nel tunnel per 500 metri. Mi fermai, alzai la lanterna sopra la mia testa, vidi i numeri che indicavano la distanza, vidi le macchie dell’umidità che scendeva lungo le pareti e che gocciolava attraverso la volta. Corsi fuori ancora più velocemente di quanto c’ero entrato (perché avevo un orrore mortale di quel posto), guardai tutto intorno alla luce rossa con la mia luce rossa, salii la scala di metallo fino alla cima della galleria, ridiscesi e tornai indietro. Telegrafai in entrambe le direzioni, “E’ stato dato un allarme. C’è qualcosa che non va?” La risposta che ricevetti da entrambe le direzioni fu, “Tutto bene.”
Ignorando il brivido freddo che mi correva lungo la schiena, gli dimostrai che questa immagine non era altro che un inganno della vista: era risaputo che certe immagini che hanno origine dalla malattia dei delicati nervi che regolano le funzioni degli occhi, avevano spesso tormentato coloro che ne sono affetti, alcuni dei quali erano diventati consci della natura del loro malanno e ne avevano perfino avuto prova con esperimenti su se stessi. “Per quanto riguarda il grido immaginario,” dissi “basta ascoltare per un momento il vento in questa valle innaturale, mentre parliamo così a bassa voce e l’arpa selvaggia che fa con i fili del telegrafo.”


Questo era vero, rispose, dopo esserci seduti ad ascoltare per un certo tempo, ed egli doveva sapere qualcosa del vento e dei fili – egli che così spesso trascorreva lunghe notti invernali qui, solo a controllare la linea. Ma mi fece rispettosamente notare di non aver ancora finito.
Gli chiesi scusa, e lentamente aggiunse queste parole, toccandomi il braccio –
“Sei ore dopo l’apparizione, su questa linea accadde il memorabile incidente e dopo dieci ore i morti e i feriti vennero portati attraverso il tunnel fino al posto dove la figura era apparsa.”
Fui percorso da uno sgradevole brivido, ma feci del mio meglio per reprimerlo. Non si poteva negare, aggiunsi, che questa era un’incredibile coincidenza, calcolata per impressionare profondamente la sua mente. Ma era indubbio che incredibili coincidenze accadono continuamente e devono essere tenute in considerazione quando si tratta di un argomento simile. Tuttavia, dovevo ammettere, aggiunsi (perché mi sembrava di vedere che egli stava per obbiettare a questa mia osservazione), che le persone di buon senso non lasciano molto spazio alle coincidenze nella vita di tutti i giorni.
Di nuovo mi fece rispettosamente notare di non aver finito.
Di nuovo mi scusai per averlo interrotto.
“Questo,” disse, appoggiando ancora una volta la sua mano sul mio braccio, e guardandosi indietro con occhi vuoti, “succedeva esattamente un anno fa. Passati sei o sette mesi, mi ero finalmente ripreso dalla sorpresa e dalla paura, quando una mattina, al sorgere del sole, mentre ero davanti alla porta, guardai verso la luce rossa e vidi di nuovo lo spettro…” Si interruppe con lo sguardo fisso su di me.
“Chiamò di nuovo?”
“No. Era silenzioso.”
“Agitava il braccio?”
“No. Era nel fascio di luce, con tutte e due le mani sulla faccia. Così.”
Di nuovo seguii i suoi movimenti con gli occhi. Era un atteggiamento di lutto. Avevo visto un simile atteggiamento nelle immagini di pietra che ornano le tombe.
“Gli andò vicino?”
“Rientrai e mi sedetti, in parte per raccogliere i miei pensieri, in parte perchè stavo quasi per svenire. Quando ritornai sulla porta, era ormai giorno e il fantasma era sparito.”
“Ma ci furono conseguenze? Non successe altro?”
Mi toccò il braccio con il suo dito indice due o tre volte, e ogni volta faceva un terribile cenno di assenso:
“Quello stesso giorno, mentre un treno usciva dal tunnel, notai, al finestrino di una vettura dalla mia parte, quello che sembrava una confusione di mani e di teste, e uno strano ondeggiare. Riuscii a vederlo giusto in tempo per segnalare l’alt al macchinista, che chiuse il vapore e tirò i freni, ma il treno continuò ad avanzare ancora per circa 150 yarde o più. Gli corsi dietro, e mentre correvo potevo sentire orribili grida e pianti. Una giovane e bella signora era morta all’improvviso in uno scompartimento. Fu portata qui dentro e distesa sul pavimento, proprio questo in mezzo a noi.”
Involontariamente, spinsi la mia sedia indietro, mentre guardavo, dalle tavole del pavimento a cui egli stava puntando il dito.
“Tutto vero, signore, tutto vero. Ve lo sto raccontando proprio come accadde.”
Non riuscivo a pensare a niente di sensato da dire e avevo la bocca secca. Il vento e i fili continuarono la storia con un lungo e lugubre lamento.
Riprese il racconto.”Ora, signore, fate attenzione a quello che dirò e giudicate come la mia mente sia sconvolta. Lo spettro è ritornato una settimana fa. Da allora è lì, di tanto in tanto, irregolarmente.”
“Vicino al segnale luminoso?”
“Vicino a quello di pericolo.”
“E cosa sembrava fare?”
Egli ripeteva, se possibile con ancor più fervore e veemenza, il primo gesto, quello di “Per amor di Dio, via di là.”
Quindi proseguì. “ A causa sua non ho né pace né riposo. Grida verso di me per molti minuti consecutivi, in un modo spaventoso, “Laggiù, attento, attento!” Continua a farmi cenno. Suona la mia campanella-“
A quel punto lo interruppi. “Era lui che suonava la campanella ieri sera mentre io ero qui e andaste alla porta?”
“Due volte.”
“Perché, vedete,” dissi, “come la vostra immaginazione vi tradisce. I miei occhi erano sulla campanella e le mie orecchie erano tese ad ascoltarla, ma come è vero che sono qui, NON suonò quelle due volte. No, né in nessun altro momento, eccetto quando, nel corso naturale delle cose, fu suonata dalla stazione che comunicava con voi.”
Egli scosse la testa. “Finora non ho mai commesso un errore al proposito, signore. Non ho mai confuso il suono dello spettro con quello dell’uomo. Il suono del fantasma è una strana vibrazione nella campanella che non può derivare da niente altro, inoltre, non ho mai detto che la campanella si muova. Non mi meraviglio che voi non siate riuscito a sentirla, ma io l’ho sentita.
“E vi sembrava che spettro fosse lì, quando guardaste fuori?”
“ERA lì!”
“Tutte e due le volte?”
Egli ripeté con fermezza: “Tutte e due le volte.”
“Volete venire alla porta con me e vedere se è lì in questo momento?”
Si morse il labbro inferiore come se non fosse del tutto convinto, ma si alzò. Aprii la porta e mi fermai sul gradino, mentre egli rimaneva all’entrata. La luce di pericolo era accesa. C’era il pauroso ingresso del tunnel. C’erano le alte e stillanti mura di pietra del fossato. C’erano le stelle sopra tutto ciò.
“L’avete visto?” Gli chiesi, facendo attenzione alla sua faccia. I suoi occhi erano spalancati e fissi, ma forse non molto più dei miei quando li avevo scrupolosamente fissati sullo stesso posto.
“No,” rispose. “Non è lì.”
“D’accordo,” dissi.
Rientrammo, chiudemmo la porta e ci rimettemmo a sedere. Stavo pensando al modo migliore di sfruttare questo vantaggio, se così può essere chiamato, quando egli riprese la conversazione in modo così naturale, dando così per scontato che fra di noi non ci fosse nessun dubbio sui fatti, che mi sentii messo in posizione di svantaggio.
“Avrete finalmente capito, signore,” disse “ che quello che mi tormenta è la domanda: che cosa significa lo spettro?”
Non ero sicuro, dissi, di aver capito bene.
“Contro che cosa mi mette in guardia?” disse, rimuginando, con gli occhi fissi sul fuoco e girandoli verso di me solo di tanto in tanto. “Qual è il pericolo? Dov’è il pericolo? C’è un pericolo che incombe da qualche parte lungo la ferrovia. Una qualche spaventosa disgrazia deve accadere. Non c’è dubbio questa terza volta, dopo quello che è successo prima. Ma certamente questo è un modo crudele di tormentarmi. Che cosa posso fare io?”
Tirò fuori il suo fazzoletto, e si asciugo il sudore dalla fronte febbrile.
“Se io telegrafo ‘Pericolo,’ su una delle due direzioni, o su entrambe, non posso darne il motivo,” proseguì, asciugandosi il palmo delle mani. “Avrei solo dei problemi e non farei niente di buono. Penserebbero che sono matto. Le cose andrebbero più ò meno così: messaggio: “Pericolo! Attenti!” Risposta: “Quale pericolo? Dove?” Messaggio:”Non lo so. Ma, per amor di Dio, fate attenzione!” Mi caccerebbero via. Cos’altro potrebbero fare?”
Il suo tormento era veramente una cosa penosa a vedersi. Era la tortura mentale di un uomo coscienzioso, oppresso oltre ogni sopportazione da un’incomprensibile responsabilità riguardante la vita o la morte.
“Quando è apparso per la prima volta sotto la luce di pericolo,” continuò, tirandosi indietro i suoi capelli scuri e portandosi le mani alle tempie ripetutamente in un eccesso di acuta sofferenza, ”perché non dirmi dove sarebbe successo quell’incidente - se è destinato che accada? Perché non dirmi come può essere evitato? Quando alla sua seconda apparizione si nascose il volto, perché non dirmi, invece, “Sta per morire. Trattenetela in casa?” Se è venuto, in quelle due occasioni, solo per dimostrarmi che i suoi avvertimenti erano veri e così prepararmi per il terzo, perché non avvisarmi in maniera comprensibile? Ed io, il Signore mi aiuti! Solamente un povero segnalatore in questa stazione solitaria! Perché non andare da qualcuno abbastanza autorevole da essere creduto e abbastanza potente da poter agire?”

Quando lo vidi in quello stato, mi resi conto che per il bene del pover’uomo e per la sicurezza di tutti, quello che dovevo fare in quell’occasione era calmarlo. Pertanto, mettendo da parte i nostri diversi punti di vista riguardo al reale o all’irreale, gli spiegai che chiunque faccia correttamente il proprio dovere agisce per il meglio e che almeno poteva essergli di conforto il fatto che egli capiva il suo lavoro anche se non capiva quelle enigmatiche apparizioni. In questo riuscii molto meglio che nel tentativo di dissuaderlo dalle proprie convinzioni. Si calmò; le occupazioni riguardanti il suo lavoro mentre la notte avanzava cominciarono a richiedere sempre più attenzione: lo lasciai alle due del mattino. Mi ero offerto di restare per tutta la notte, ma non ne aveva voluto sapere.
Che io più di una volta mi ero voltato verso la luce rossa mentre salivo il sentiero, che la luce rossa non mi piaceva e che avrei dormito molto male se anche il mio letto fosse stato lì sotto, non vedo alcun motivo per nasconderlo. Né mi piacevano le due sequenze di incidenti o la ragazza morta. Non vedo alcun motivo per nascondere nemmeno questo.
Ma quello che mi tormentava maggiormente era il dubbio su come avrei dovuto agire, essendo diventato il destinatario di quel segreto. Avevo avuto prova che l’uomo era intelligente, attento, scrupoloso e preciso, ma per quanto tempo lo sarebbe rimasto, in quello stato d’animo? Sebbene in una posizione subordinata, egli aveva un compito di grande responsabilità: avrei (per esempio) scommesso la mia vita sulla possibilità che egli continuasse a eseguirlo con precisione?’
Incapace di reprimere la sensazione che sarebbe stato un tradimento riferire ai suoi superiori quello che mi aveva rivelato, senza essere sincero con lui e avergli proposto un compromesso, alla fine decisi di offrirmi di accompagnarlo (mantenendo il segreto per il momento) dal miglior specialista nei paraggi per avere la sua opinione. Mi aveva detto che la notte successiva ci sarebbe stato un cambio di turno e che all’alba sarebbe stato libero per un’ora o due, e lo stesso dopo il tramonto. Mi ero proposto di ritornare in quelle occasioni.
La sera successiva era una bella serata ed ero uscito presto per godermela. Il sole non era ancora tramontato quando attraversai il sentiero che costeggiava la sommità del profondo fossato. Avevo deciso di passeggiare per un’ora: mezz’ora ad andare e mezz’ora a tornare e poi si sarebbe fatta l’ora per recarmi al casotto del mio segnalatore.
Prima di proseguire la mia passeggiata, mi avvicinai all’orlo e guardai meccanicamente giù, proprio da dove lo avevo visto la prima volta: Non posso descrivere il brivido che mi afferrò, quando, vicino all’ingresso del tunnel, vidi la figura di un uomo, con la sua manica sinistra sugli occhi, mentre agitava freneticamente il braccio destro.


L’orrore indescrivibile che mi attanagliava svanì in un attimo, perché mi resi conto immediatamente che colui che era davanti a me era proprio un uomo e poco lontano c’era un gruppetto di altri uomini a cui sembrava ripetere il gesto che appena aveva fatto. La luce di pericolo non era ancora accesa. Appoggiato al suo palo, c’era una specie di basso capanno, che non avevo mai visto prima, fatto di incerata e supporti di legno. Non sembrava più grande di un letto.
Con una pressante sensazione che qualcosa non andasse bene, insieme ad un improvviso senso di colpa che la fatale disgrazia fosse avvenuta perché avevo lasciato lì quell’uomo, senza preoccuparmi che qualcun altro fosse mandato a controllare o correggere quello che faceva, scesi i gradini del sentiero con tutta la velocità di cui ero capace.
“Cosa è successo?” Chiesi a quegli uomini
“Il segnalatore è stato ucciso stamattina, signore.”
“Non l’uomo che abitava in quel casotto?”
“Si, signore.”
“Non l’uomo che conosco?”

“Se lo conoscevate lo riconoscerete,” Disse l’uomo che parlava per gli altri, scoprendosi solennemente la testa, e sollevando un angolo dell’incerata, “Perché la sua faccia è quasi intatta.”
“Oh, come è successo, come è successo?” Chiesi, rivolgendomi ora all’uno ora all’altro, quando il riparo fu ricoperto
“E’ stato ucciso da una locomotiva, signore. Nessuno in Inghilterra conosceva il lavoro meglio di lui. Ma, non si sa come, non si era spostato dal binario esterno. Era proprio in pieno giorno, aveva acceso la fiammella e aveva la lampada in mano. Mentre la locomotiva usciva dal tunnel, era girato di spalle e la macchina lo ha ucciso. Quello è il macchinista e ci stava mostrando come è successo. Fai vedere a questo gentiluomo, Tom.”
L’uomo, che indossava un ruvido vestito scuro, ritornò al posto di prima, vicino all’ingresso del tunnel.
“Mentre imboccavo la curva nel tunnel, signore,“ disse “lo vidi all’uscita, come se lo vedessi attraverso un cannocchiale. Non c’era tempo per rallentare, sapevo che era molto cauto. Quando vidi che non sembrava fare caso al fischio, lo chiusi, proprio mentre stavamo per arrivargli addosso, e lo chiamai più forte che potei.”
“Cosa diceste?”
“Dissi: “Ei, laggiù, attento, attento! Per amor di Dio, via di là!”
Ebbi un sussulto.
“Ah, è stato un momento spaventoso, signore,. Non ho mai smesso di chiamarlo. Ho messo questo braccio sugli occhi per non vedere e ho agitato l’altro braccio fino alla fine, ma non è servito a niente.”
Senza continuare oltre la storia, soffermandomi su una delle sue curiose circostanze più che sulle altre, posso, in conclusione, sottolineare la coincidenza che il grido di allarme del macchinista conteneva, non solo le parole che lo sfortunato segnalatore mi aveva ripetuto perché lo ossessionavano, ma anche le parole che io stesso, non lui, avevo collegato, e questo solo nella mia mente, al gesto che egli aveva imitato.



FINE













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