Per celebrare i 200 anni della nascita di Charles Dickens, vi propongo una breve storia tratta da Mugby Junction (1866), una raccolta di 4 racconti ambientati appunto a Mugby Junction, un fittizio snodo ferroviario. Certamente il treno resta il simbolo per eccellenza della rivoluzione industriale: simbolo di potenza ma anche di distruzione del paesaggio e, a causa dei numerosi incidenti, simbolo di morte. Lo stesso Dickens era stato coinvolto proprio quell'anno in un grave incidente ferroviario, da lì l'ispirazione per questi racconti. La storia che vi propongo è "Il segnalatore" che possiamo considerare un perfetto esempio di racconto fantastico, con il suo essere sospeso tra reale e irreale, senza che la nostra razionalità riesca a dare risposte certe.
Il
segnalatore
di
Charles Dickens
“Hei,
laggiù”
Quando sentì una voce che lo chiamava, l’uomo era in piedi
davanti alla porta della sua cabina, con una bandierina in mano,
arrotolata intorno ad un corto manico. Si sarebbe detto, considerando
la conformazione del posto, che non potesse avere dubbi da quale
parte provenisse la voce, ma invece di guardare su, là dove io mi
trovavo in cima allo scosceso fossato quasi sopra la sua testa, egli
si girò intorno e guardò lungo la ferrovia. C’era qualcosa di
particolare nel suo modo di fare, anche se per nulla al mondo avrei
potuto dire cosa fosse. Ma so che era abbastanza strano da attrarre
la mia attenzione, anche se la sua figura appariva schiacciata
nell’ombra, giù nel ripido fossato, e la mia era alta sopra di
lui, immersa nello splendore di un tramonto infuocato, tanto che
avevo dovuto ripararmi gli occhi con la mano prima di riuscire a
vederlo.
“Hei, laggiù”
Smise di guardare lungo
la ferrovia, si girò intorno e, alzando gli occhi, vide la mia
figura sopra di sé.
“C’è un sentiero
per scendere giù e parlare con voi?”
Guardò su verso di me
senza rispondere ed io guardai giù verso di lui, prendendo tempo
prima di incalzarlo con la ripetizione della mia oziosa domanda.
Proprio in quel momento arrivò una vaga vibrazione nella terra e
nell’aria, che ben presto si trasformò in una violenta pulsazione
e poi in una corsa furiosa che mi fece retrocedere, come se avesse
avuto la forza di trascinarmi giù. Quando il vapore che era arrivato
fino a me da quel terno velocissimo mi oltrepassò fluttuando lontano
sul paesaggio, guardai di nuovo giù e lo vidi arrotolare la
bandierina che aveva sventolato al passaggio del treno.
Rain Steam and Speed the Great Western Railway - W. Turner, 1844 |
Ripetei la mia domanda.
Dopo una pausa, durante la quale sembrava guardarmi con insistente
attenzione, fece cenno con la bandierina arrotolata verso un punto
alla mia altezza, distante circa 300 o 400 metri. Gli risposi “Va
bene”, e mi avviai verso quel punto. Arrivato lì, a forza di
guardarmi attentamente intorno, trovai un rozzo sentiero a gradini
che scendeva giù a zig-zag e lo seguii. Il sentiero era estremamente
scosceso e insolitamente ripido. Era stato tagliato in una pietra
viscida, che diventava sempre più stillante e umida, man mano che
scendevo. Per questi motivi trovai la strada lunga abbastanza da
darmi il tempo di ricordare la strana aria di riluttanza o di
costrizione con cui l’uomo me lo aveva indicato.
Quando arrivai
abbastanza giù lungo la discesa a zig-zag da poterlo vedere di
nuovo, mi accorsi che si trovava in mezzo ai binari nella direzione
appena percorsa dal treno, come se stesse aspettando la mia
apparizione. Aveva la mano sinistra sul mento e il gomito sinistro
appoggiato sulla mano destra, incrociati sul suo petto. Aveva un tale
atteggiamento di attesa e di allerta, che mi fermai un momento per la
meraviglia.
Ripresi la mia
discesa. Giunto al livello della ferrovia e avvicinandomi a lui, vidi
che era un uomo scuro, dalla carnagione olivastra, con una barba nera
e sopracciglia folte.
La sua postazione era nel
luogo più solitario e cupo che avessi mai visto. Su entrambi i lati,
una parete umida di pietra tagliata rozzamente escludeva tutta la
vista eccetto una striscia di cielo; la vista in una direzione era
il contorto prolungamento di quell’enorme cella sotterranea;
dall’altra parte, la più vicina, la vista era delimitata da una
sinistra luce rossa e dall’ingresso ancora più cupo di un tunnel
nero, nella cui imponente architettura c’era un aspetto barbaro,
deprimente e spaventoso. In questo luogo arrivava così poca luce
solare che esso aveva un odore di terra e di morte; ed era
attraversato da un vento così freddo, che fui pervaso da un gelo
improvviso, come se avessi lasciato il mondo dei vivi.
Prima che si muovesse,
arrivai abbastanza vicino da poterlo toccare. Senza distogliere lo
sguardo da me, fece un passo indietro e alzò la mano.
Questo era un posto
solitario per viverci – dissi- e per questo aveva attratto la mia
attenzione, quando avevo guardato giù dall’alto. Un visitatore era
una rarità, supponevo, una rarità non sgradita, speravo? In me egli
vedeva semplicemente un uomo che era stato confinato in angusti
limiti per tutta la sua vita, e che, essendo stato in fine liberato,
aveva un ridestato interesse nelle grandi opere. Per questo motivo
gli parlai; ma sono lontano dall’essere sicuro delle parole che
usai; perché, oltre al fatto che non mi trovo a mio agio quando devo
intavolare una conversazione, c’era qualcosa in quell’uomo che mi
intimidiva.
Egli guardò con
strana insistenza verso la luce rossa vicino all’ingresso del
tunnel e tutto intorno ad esso, come se cercasse qualcosa, e poi
diresse lo sguardo verso di me.
Quella luce faceva
parte del suo lavoro? O no?
Egli mi rispose a voce
bassa,- “Non lo sapete che è così?”
Mentre guardavo i suoi
occhi fissi e il suo viso triste, mi assalì il mostruoso pensiero
che fosse uno spirito, non un uomo. Da allora mi sono sempre chiesto
se la sua mente fosse malata.
A mia volta, mi
allontanai da lui. Ma, nel fare ciò, scorsi nei suoi occhi una paura
nascosta nei miei confronti. Questo scacciò il mostruoso pensiero.
“Mi guardate,”
dissi, con un sorriso forzato, “come se aveste paura di me.”
“Ero in dubbio,”
rispose, “se vi avessi visto prima.”
“Dove?”
Indicò la luce rossa
verso cui aveva guardato prima.
“Laggiù?” dissi.
Apertamente sulla
difensiva, mi rispose (ma senza emettere suono) “Si.”
“Mio buon amico,
cosa dovrei farci laggiù? Comunque, sia come sia, non sono mai stato
laggiù, ci potete giurare.”
“Credo che abbiate
ragione,” rispose. “Si, ne sono sicuro.”
Il suo modo di fare si
rasserenò, come il mio. Rispose volentieri alla mie domande, con un
vocabolario ben scelto. Era un lavoro molto impegnativo? Si, a dire
il vero, era un lavoro di responsabilità, ma quello che gli veniva
richiesto erano la precisione e l’attenzione, e di lavoro vero e
proprio- lavoro manuale- non ne aveva quasi niente. Cambiare quel
segnale, tenere in ordine le luci, e girare questa sbarra di ferro di
tanto in tanto, era tutto quello che aveva da fare.
Per quanto riguardava le
lunghe e solitarie ore di cui io sembravo preoccuparmi tanto, egli
poteva solo dirmi che la routine della sua vita aveva preso ormai
quella forma, ed egli vi si era abituato. Aveva imparato una lingua,
laggiù, - a patto che conoscere una lingua solo nella sua forma
scritta e avere solo una vaga idea della sua pronuncia, possa essere
considerato sufficiente. Aveva lavorato anche alle frazioni e ai
decimali, e si era cimentato con un po’ di algebra, ma egli era, e
lo era stato sin da ragazzo, scarso con i numeri.
Era necessario,
quando era di turno, rimanere sempre in quel canale pieno di aria
umida, e aveva mai la possibilità di emergere alla luce del sole da
quelle alte mura di pietra? Ebbene, dipendeva dall’ora e dalle
circostanze. In certe condizioni era meno necessario che in altre, e
lo stesso valeva sia di giorno che di notte. Quando il tempo era
bello, coglieva l’occasione per uscire da quelle infime ombre, ma
dal momento che poteva essere chiamato in qualsiasi momento dal
campanello elettrico, in quelle occasioni tendeva l’orecchio con
raddoppiata ansietà, così che il sollievo era minore di quello che
si potesse credere.
Mi condusse nel suo
casotto, dove c’era un caminetto, un tavolo con un registro su cui
doveva fare alcune annotazioni, un telegrafo con il suo quadrante,
orologio e aghi, e la campanella di cui mi aveva parlato. Fidando nel
fatto che avrebbe scusatola mia osservazione che egli aveva ricevuto
una buona educazione, e ( speravo di dirlo senza che si offendesse)
forse al di sopra della sua posizione sociale; egli replicò che tali
esempi di incongruità non erano rari in vaste categorie di persone;
aveva sentito che era lo stesso negli ospizi di mendicità, nelle
forze di polizia e anche in quell’ultima disperata risorsa,
l’esercito, e sapeva che era più o meno la stessa cosa in ogni
grande società ferroviaria. Era stato, da giovane, (ammesso che
riuscissi a crederci, seduto là in quel tugurio - egli a mala pena
ci riusciva) uno studente di filosofia naturale e aveva seguito
diverse lezioni, ma era diventato ribelle, sprecato le proprie
opportunità, andato giù, senza riuscire più a risollevarsi. Non
aveva rimpianti al riguardo. Si era scavato la tomba con le proprie
mani e si ci era disteso dentro. Ed era troppo tardi per
ricominciare.
Tutto quello che ho
riassunto fin qui egli lo disse in modo calmo, con uno sguardo
severo e cupo, diviso fra me e il fuoco. Ogni tanto pronunciava la
parola “Sir”, specialmente quando si riferiva alla sua giovinezza
- come se mi chiedesse di credere che egli non era diverso da come
era adesso. Fu interrotto diverse volte dalla campanella e dovette
leggere diversi messaggi e inviare le relative risposte. Una volta
dovette uscire sulla porta, sventolare la bandierina mentre il treno
passava e comunicare verbalmente con il macchinista. Nel compimento
delle sue mansioni, osservai che era incredibilmente preciso e
attento, interrompendo il suo discorso a metà e rimanendo in
silenzio finché non aveva fatto quello che doveva.
In
una parola, avrei potuto considerare quest’uomo come uno dei più
fidati da essere impiegati in quell’attività, se non fosse stato
per la circostanza che mentre stava parlando con me egli impallidì
due volte, girò la faccia verso il campanello quando non suonava,
aprì la porta del suo casotto (che era tenuta chiusa per non fare
entrare l’insalubre umidità) e guardò verso la luce rossa vicina
all’ingresso del tunnel. In entrambe le occasioni, egli ritornò
vicino al fuoco con quella stessa aria inesplicabile che avevo
notato, senza riuscire a definirla, quando eravamo ancora distanti.
Quando
mi alzai per congedami da lui, gli dissi “Mi fate pensare di aver
incontrato un uomo soddisfatto di sé.”
(Mi
dispiace ammettere che lo dissi solo per prenderlo in giro)
“Credo
che una volta fosse così,” rispose, con la stessa voce bassa con
cui aveva parlato la prima volta; “ma sono turbato, signore, sono
turbato.”
Avesse
potuto, si sarebbe rimangiato quelle parole. Le aveva dette,
comunque, ed io le avevo afferrate al volo.
“Come
mai? Cosa vi tormenta?”
“E’
molto difficile da spiegare, signore. E’ molto, molto difficile
parlarne. Se mai mi farete un’altra visita, cercherò di
raccontarvelo.”
“
Certo che voglio farvi un’altra visita. Dite, quando può essere?”
“Vado
via la mattina presto e sarò di turno di nuovo alle dieci domani
sera, signore.”
“Verrò
alle undici.”
Mi
ringraziò e mi accompagnò alla porta. “Vi illuminerò con la mia
luce bianca, signore,” disse, con la sua particolare voce bassa,
“finché non avrete trovato la strada per risalire. Quando l’avrete
trovata, non chiamate! E quando sarete in cima, non chiamate!”
Le
sue maniere rendevano quel posto ancora più freddo, ma non dissi
altro che, “Molto bene.”
“E quando
ritornate domani sera, non chiamate. Permettete che vi faccia una
domanda di commiato: cosa vi ha spinto a gridare”Ei, laggiù!”
stasera?”
“Il
cielo lo sa,” Dissi. “Ho gridato qualcosa del genere…”
“Non
qualcosa del genere, signore. Queste sono le esatte parole. Le
conosco bene.”
“Ammettiamo
che queste siano le esatte parole. Le ho dette, senza dubbio, perché
vi ho visto quaggiù.”
“Nessun
altro motivo?”
“Quale
altro motivo potrei avere?”
“Non
avete avuto la sensazione che vi fossero suggerito da qualcosa di
soprannaturale?”
“No.”
Mi
augurò buona notte e sollevò la sua lanterna. Camminai lungo la
direzione sud dei binari (con la sgradevole sensazione che un treno
potesse arrivare alle mie spalle) finché trovai il sentiero. Era più
facile salire che scendere e ritornai alla mia locanda senza altre
avventure.
Puntuale al mio
appuntamento, posi il piede sul primo gradino della strada a zig-zag
la sera successiva, mentre gli orologi in lontananza battevano le
undici. Egli mi aspettava in fondo, con la luce bianca accesa. “Non
ho chiamato,” dissi, quando fummo vicini, “posso parlare, ora?”
”Certamente, signore.” ”Buona sera, allora, ecco la mia mano.”
“Buona sera, signore ed ecco la mia.” Ciò fatto, ci incamminammo
fianco a fianco fino al suo casotto, entrammo, chiudemmo la porta e
ci sedemmo accanto al focolare.
“Ho
deciso, signore,” iniziò, piegandosi in avanti appena ci fummo
seduti e parlando con una voce che era poco più che un sospiro “Che
non dovrete chiedere una seconda volta cosa mi tormenta. Io vi ho
scambiato per qualcun altro, ieri sera. Questo mi tormenta.”
“Questo
errore?”
“No.
Quel qualcun altro.”
“Chi
è?”
“Non
lo so.”
“Mi
assomiglia?”
“Non
lo so. Non ho mai visto la sua faccia. Il braccio sinistro gli copre
la faccia, e agita il braccio destro, violentemente. In questo modo.”
Seguii
il suo movimento con gli occhi ed era il movimento di un braccio che
voleva significare, con incredibile furore e veemenza, “Per amor di
Dio, via di là!”
“In
una notte di luna piena,” disse l’uomo, “Ero seduto qui, quando
udii una voce gridare, “Ei! Laggiù!” Mi alzai di scatto, guardai
attraverso la porta e vidi Qualcunaltro in piedi, vicino alla luce
rossa del tunnel, che agitava il braccio come vi ho appena mostrato.
La voce era rauca a forza di urlare, e mi desse gridando “Attento!
Attento!” E ancora, “Ei, laggiù, attento!” Afferrai la mia
lanterna, la girai sul rosso, e corsi verso quella figura, gridando,
“Cosa c’è che non va? Cosa è successo? Dove?” Era lì,
proprio davanti all’ingresso buio del tunnel. Mi avvicinai così
tanto che, con mia sorpresa, vidi la manica che teneva sugli occhi.
Corsi verso di lui e allungai la mano per togliere via la manica,
quando scomparve.
“Nel
tunnel?” dissi.
“No.
Proseguii la mia corsa nel tunnel per 500 metri. Mi fermai, alzai la
lanterna sopra la mia testa, vidi i numeri che indicavano la
distanza, vidi le macchie dell’umidità che scendeva lungo le
pareti e che gocciolava attraverso la volta. Corsi fuori ancora più
velocemente di quanto c’ero entrato (perché avevo un orrore
mortale di quel posto), guardai tutto intorno alla luce rossa con la
mia luce rossa, salii la scala di metallo fino alla cima della
galleria, ridiscesi e tornai indietro. Telegrafai in entrambe le
direzioni, “E’ stato dato un allarme. C’è qualcosa che non
va?” La risposta che ricevetti da entrambe le direzioni fu, “Tutto
bene.”
Ignorando
il brivido freddo che mi correva lungo la schiena, gli dimostrai che
questa immagine non era altro che un inganno della vista: era
risaputo che certe immagini che hanno origine dalla malattia dei
delicati nervi che regolano le funzioni degli occhi, avevano spesso
tormentato coloro che ne sono affetti, alcuni dei quali erano
diventati consci della natura del loro malanno e ne avevano perfino
avuto prova con esperimenti su se stessi. “Per quanto riguarda il
grido immaginario,” dissi “basta ascoltare per un momento il
vento in questa valle innaturale, mentre parliamo così a bassa voce
e l’arpa selvaggia che fa con i fili del telegrafo.”
Questo
era vero, rispose, dopo esserci seduti ad ascoltare per un certo
tempo, ed egli doveva sapere qualcosa del vento e dei fili – egli
che così spesso trascorreva lunghe notti invernali qui, solo a
controllare la linea. Ma mi fece rispettosamente notare di non aver
ancora finito.
Gli
chiesi scusa, e lentamente aggiunse queste parole, toccandomi il
braccio –
“Sei
ore dopo l’apparizione, su questa linea accadde il memorabile
incidente e dopo dieci ore i morti e i feriti vennero portati
attraverso il tunnel fino al posto dove la figura era apparsa.”
Fui
percorso da uno sgradevole brivido, ma feci del mio meglio per
reprimerlo. Non si poteva negare, aggiunsi, che questa era
un’incredibile coincidenza, calcolata per impressionare
profondamente la sua mente. Ma era indubbio che incredibili
coincidenze accadono continuamente e devono essere tenute in
considerazione quando si tratta di un argomento simile. Tuttavia,
dovevo ammettere, aggiunsi (perché mi sembrava di vedere che egli
stava per obbiettare a questa mia osservazione), che le persone di
buon senso non lasciano molto spazio alle coincidenze nella vita di
tutti i giorni.
Di
nuovo mi fece rispettosamente notare di non aver finito.
Di
nuovo mi scusai per averlo interrotto.
“Questo,”
disse, appoggiando ancora una volta la sua mano sul mio braccio, e
guardandosi indietro con occhi vuoti, “succedeva esattamente un
anno fa. Passati sei o sette mesi, mi ero finalmente ripreso dalla
sorpresa e dalla paura, quando una mattina, al sorgere del sole,
mentre ero davanti alla porta, guardai verso la luce rossa e vidi di
nuovo lo spettro…” Si interruppe con lo sguardo fisso su di me.
“Chiamò
di nuovo?”
“No.
Era silenzioso.”
“Agitava
il braccio?”
“No.
Era nel fascio di luce, con tutte e due le mani sulla faccia. Così.”
Di
nuovo seguii i suoi movimenti con gli occhi. Era un atteggiamento di
lutto. Avevo visto un simile atteggiamento nelle immagini di pietra
che ornano le tombe.
“Gli
andò vicino?”
“Rientrai
e mi sedetti, in parte per raccogliere i miei pensieri, in parte
perchè stavo quasi per svenire. Quando ritornai sulla porta, era
ormai giorno e il fantasma era sparito.”
“Ma
ci furono conseguenze? Non successe altro?”
Mi
toccò il braccio con il suo dito indice due o tre volte, e ogni
volta faceva un terribile cenno di assenso:
“Quello
stesso giorno, mentre un treno usciva dal tunnel, notai, al
finestrino di una vettura dalla mia parte, quello che sembrava una
confusione di mani e di teste, e uno strano ondeggiare. Riuscii a
vederlo giusto in tempo per segnalare l’alt al macchinista, che
chiuse il vapore e tirò i freni, ma il treno continuò ad avanzare
ancora per circa 150 yarde o più. Gli corsi dietro, e mentre
correvo potevo sentire orribili grida e pianti. Una giovane e bella
signora era morta all’improvviso in uno scompartimento. Fu portata
qui dentro e distesa sul pavimento, proprio questo in mezzo a noi.”
Involontariamente,
spinsi la mia sedia indietro, mentre guardavo, dalle tavole del
pavimento a cui egli stava puntando il dito.
“Tutto
vero, signore, tutto vero. Ve lo sto raccontando proprio come
accadde.”
Non
riuscivo a pensare a niente di sensato da dire e avevo la bocca
secca. Il vento e i fili continuarono la storia con un lungo e
lugubre lamento.
Riprese
il racconto.”Ora, signore, fate attenzione a quello che dirò e
giudicate come la mia mente sia sconvolta. Lo spettro è ritornato
una settimana fa. Da allora è lì, di tanto in tanto,
irregolarmente.”
“Vicino
al segnale luminoso?”
“Vicino
a quello di pericolo.”
“E
cosa sembrava fare?”
Egli
ripeteva, se possibile con ancor più fervore e veemenza, il primo
gesto, quello di “Per amor di Dio, via di là.”
Quindi proseguì. “ A causa sua non ho né pace né riposo. Grida
verso di me per molti minuti consecutivi, in un modo spaventoso,
“Laggiù, attento, attento!” Continua a farmi cenno. Suona la mia
campanella-“
A
quel punto lo interruppi. “Era lui che suonava la campanella ieri
sera mentre io ero qui e andaste alla porta?”
“Due
volte.”
“Perché,
vedete,” dissi, “come la vostra immaginazione vi tradisce. I miei
occhi erano sulla campanella e le mie orecchie erano tese ad
ascoltarla, ma come è vero che sono qui, NON suonò quelle due
volte. No, né in nessun altro momento, eccetto quando, nel corso
naturale delle cose, fu suonata dalla stazione che comunicava con
voi.”
Egli
scosse la testa. “Finora non ho mai commesso un errore al
proposito, signore. Non ho mai confuso il suono dello spettro con
quello dell’uomo. Il suono del fantasma è una strana vibrazione
nella campanella che non può derivare da niente altro, inoltre, non
ho mai detto che la campanella si muova. Non mi meraviglio che voi
non siate riuscito a sentirla, ma io l’ho sentita.
“E
vi sembrava che spettro fosse lì, quando guardaste fuori?”
“ERA
lì!”
“Tutte
e due le volte?”
Egli
ripeté con fermezza: “Tutte e due le volte.”
“Volete
venire alla porta con me e vedere se è lì in questo momento?”
Si
morse il labbro inferiore come se non fosse del tutto convinto, ma si
alzò. Aprii la porta e mi fermai sul gradino, mentre egli rimaneva
all’entrata. La luce di pericolo era accesa. C’era il pauroso
ingresso del tunnel. C’erano le alte e stillanti mura di pietra del
fossato. C’erano le stelle sopra tutto ciò.
“L’avete
visto?” Gli chiesi, facendo attenzione alla sua faccia. I suoi
occhi erano spalancati e fissi, ma forse non molto più dei miei
quando li avevo scrupolosamente fissati sullo stesso posto.
“No,”
rispose. “Non è lì.”
“D’accordo,” dissi.
Rientrammo, chiudemmo la
porta e ci rimettemmo a sedere. Stavo pensando al modo migliore di
sfruttare questo vantaggio, se così può essere chiamato, quando
egli riprese la conversazione in modo così naturale, dando così per
scontato che fra di noi non ci fosse nessun dubbio sui fatti, che mi
sentii messo in posizione di svantaggio.
“Avrete
finalmente capito, signore,” disse “ che quello che mi tormenta è
la domanda: che cosa significa lo spettro?”
Non
ero sicuro, dissi, di aver capito bene.
“Contro
che cosa mi mette in guardia?” disse, rimuginando, con gli occhi
fissi sul fuoco e girandoli verso di me solo di tanto in tanto. “Qual
è il pericolo? Dov’è il pericolo? C’è un pericolo che incombe
da qualche parte lungo la ferrovia. Una qualche spaventosa disgrazia
deve accadere. Non c’è dubbio questa terza volta, dopo quello che
è successo prima. Ma certamente questo è un modo crudele di
tormentarmi. Che cosa posso fare io?”
Tirò
fuori il suo fazzoletto, e si asciugo il sudore dalla fronte
febbrile.
“Se
io telegrafo ‘Pericolo,’ su una delle due direzioni, o su
entrambe, non posso darne il motivo,” proseguì, asciugandosi il
palmo delle mani. “Avrei solo dei problemi e non farei niente di
buono. Penserebbero che sono matto. Le cose andrebbero più ò meno
così: messaggio: “Pericolo! Attenti!” Risposta: “Quale
pericolo? Dove?” Messaggio:”Non lo so. Ma, per amor di Dio, fate
attenzione!” Mi caccerebbero via. Cos’altro potrebbero fare?”
Il
suo tormento era veramente una cosa penosa a vedersi. Era la tortura
mentale di un uomo coscienzioso, oppresso oltre ogni sopportazione da
un’incomprensibile responsabilità riguardante la vita o la morte.
“Quando
è apparso per la prima volta sotto la luce di pericolo,” continuò,
tirandosi indietro i suoi capelli scuri e portandosi le mani alle
tempie ripetutamente in un eccesso di acuta sofferenza, ”perché
non dirmi dove sarebbe successo quell’incidente - se è destinato
che accada? Perché non dirmi come può essere evitato? Quando alla
sua seconda apparizione si nascose il volto, perché non dirmi,
invece, “Sta per morire. Trattenetela in casa?” Se è venuto, in
quelle due occasioni, solo per dimostrarmi che i suoi avvertimenti
erano veri e così prepararmi per il terzo, perché non avvisarmi in
maniera comprensibile? Ed io, il Signore mi aiuti! Solamente un
povero segnalatore in questa stazione solitaria! Perché non andare
da qualcuno abbastanza autorevole da essere creduto e abbastanza
potente da poter agire?”
Quando
lo vidi in quello stato, mi resi conto che per il bene del pover’uomo
e per la sicurezza di tutti, quello che dovevo fare in
quell’occasione era calmarlo. Pertanto, mettendo da parte i nostri
diversi punti di vista riguardo al reale o all’irreale, gli spiegai
che chiunque faccia correttamente il proprio dovere agisce per il
meglio e che almeno poteva essergli di conforto il fatto che egli
capiva il suo lavoro anche se non capiva quelle enigmatiche
apparizioni. In questo riuscii molto meglio che nel tentativo di
dissuaderlo dalle proprie convinzioni. Si calmò; le occupazioni
riguardanti il suo lavoro mentre la notte avanzava cominciarono a
richiedere sempre più attenzione: lo lasciai alle due del mattino.
Mi ero offerto di restare per tutta la notte, ma non ne aveva voluto
sapere.
Che
io più di una volta mi ero voltato verso la luce rossa mentre salivo
il sentiero, che la luce rossa non mi piaceva e che avrei dormito
molto male se anche il mio letto fosse stato lì sotto, non vedo
alcun motivo per nasconderlo. Né mi piacevano le due sequenze di
incidenti o la ragazza morta. Non vedo alcun motivo per nascondere
nemmeno questo.
Ma
quello che mi tormentava maggiormente era il dubbio su come avrei
dovuto agire, essendo diventato il destinatario di quel segreto.
Avevo avuto prova che l’uomo era intelligente, attento, scrupoloso
e preciso, ma per quanto tempo lo sarebbe rimasto, in quello stato
d’animo? Sebbene in una posizione subordinata, egli aveva un
compito di grande responsabilità: avrei (per esempio) scommesso la
mia vita sulla possibilità che egli continuasse a eseguirlo con
precisione?’
Incapace di
reprimere la sensazione che sarebbe stato un tradimento riferire ai
suoi superiori quello che mi aveva rivelato, senza essere sincero con
lui e avergli proposto un compromesso, alla fine decisi di offrirmi
di accompagnarlo (mantenendo il segreto per il momento) dal miglior
specialista nei paraggi per avere la sua opinione. Mi aveva detto
che la notte successiva ci sarebbe stato un cambio di turno e che
all’alba sarebbe stato libero per un’ora o due, e lo stesso dopo
il tramonto. Mi ero proposto di ritornare in quelle occasioni.
La sera successiva
era una bella serata ed ero uscito presto per godermela. Il sole non
era ancora tramontato quando attraversai il sentiero che costeggiava
la sommità del profondo fossato. Avevo deciso di passeggiare per
un’ora: mezz’ora ad andare e mezz’ora a tornare e poi si
sarebbe fatta l’ora per recarmi al casotto del mio segnalatore.
Prima di proseguire
la mia passeggiata, mi avvicinai all’orlo e guardai meccanicamente
giù, proprio da dove lo avevo visto la prima volta: Non posso
descrivere il brivido che mi afferrò, quando, vicino all’ingresso
del tunnel, vidi la figura di un uomo, con la sua manica sinistra
sugli occhi, mentre agitava freneticamente il braccio destro.
L’orrore
indescrivibile che mi attanagliava svanì in un attimo, perché mi
resi conto immediatamente che colui che era davanti a me era proprio
un uomo e poco lontano c’era un gruppetto di altri uomini a cui
sembrava ripetere il gesto che appena aveva fatto. La luce di
pericolo non era ancora accesa. Appoggiato al suo palo, c’era una
specie di basso capanno, che non avevo mai visto prima, fatto di
incerata e supporti di legno. Non sembrava più grande di un letto.
Con
una pressante sensazione che qualcosa non andasse bene, insieme ad un
improvviso senso di colpa che la fatale disgrazia fosse avvenuta
perché avevo lasciato lì quell’uomo, senza preoccuparmi che
qualcun altro fosse mandato a controllare o correggere quello che
faceva, scesi i gradini del sentiero con tutta la velocità di cui
ero capace.
“Cosa è
successo?” Chiesi a quegli uomini
“Il
segnalatore è stato ucciso stamattina, signore.”
“Non
l’uomo che abitava in quel casotto?”
“Si,
signore.”
“Non
l’uomo che conosco?”
“Oh,
come è successo, come è successo?” Chiesi, rivolgendomi ora
all’uno ora all’altro, quando il riparo fu ricoperto
“E’
stato ucciso da una locomotiva, signore. Nessuno in Inghilterra
conosceva il lavoro meglio di lui. Ma, non si sa come, non si era
spostato dal binario esterno. Era proprio in pieno giorno, aveva
acceso la fiammella e aveva la lampada in mano. Mentre la locomotiva
usciva dal tunnel, era girato di spalle e la macchina lo ha ucciso.
Quello è il macchinista e ci stava mostrando come è successo. Fai
vedere a questo gentiluomo, Tom.”
L’uomo,
che indossava un ruvido vestito scuro, ritornò al posto di prima,
vicino all’ingresso del tunnel.
“Mentre
imboccavo la curva nel tunnel, signore,“ disse “lo vidi
all’uscita, come se lo vedessi attraverso un cannocchiale. Non
c’era tempo per rallentare, sapevo che era molto cauto. Quando vidi
che non sembrava fare caso al fischio, lo chiusi, proprio mentre
stavamo per arrivargli addosso, e lo chiamai più forte che potei.”
“Cosa
diceste?”
“Dissi:
“Ei, laggiù, attento, attento! Per amor di Dio, via di là!”
Ebbi
un sussulto.
“Ah,
è stato un momento spaventoso, signore,. Non ho mai smesso di
chiamarlo. Ho messo questo braccio sugli occhi per non vedere e ho
agitato l’altro braccio fino alla fine, ma non è servito a
niente.”
Senza
continuare oltre la storia, soffermandomi su una delle sue curiose
circostanze più che sulle altre, posso, in conclusione, sottolineare
la coincidenza che il grido di allarme del macchinista conteneva, non
solo le parole che lo sfortunato segnalatore mi aveva ripetuto perché
lo ossessionavano, ma anche le parole che io stesso, non lui, avevo
collegato, e questo solo nella mia mente, al gesto che egli aveva
imitato.
FINE
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