martedì 12 giugno 2012

I terrestri portano doni


Timeo danaos et dona ferentes...

Così, nell'Eneide di Virgilio, lo sfortunato Laocoonte tentò di impedire ai troiani di accettare il fatale dono dei greci. E certamente Fredric Brown se ne ricordò in questo breve racconto Earthmen Bearing Gifts (Galaxy magazine, giugno1960). Come sempre, nei racconti di Brown la fantascienza è solo un pretesto per parlare del presente. Un presente allora minacciato dalla guerra fredda e dall'incubo dell'olocausto atomico. Noi che eravamo adolescenti quella notte tra il 20 ed il 21 luglio del 1969 imparammo a conoscere Brown attraverso il suo racconto più famoso The Sentry (La sentinella 1954) letto da Warner Bentivegna in attesa dell'allunaggio. Fu semplicemente perfetto. E per me fu amore a primo ascolto.





Marte aveva doni da offrire e la Terra aveva molto da dare a sua volta – se solo lo scambio avesse potuto essere organizzato...






I TERRESTRI PORTANO DONI

di FREDRIC BROWN







Dhar Ry sedeva solo nella sua stanza, meditando. Dall'esterno della porta percepì un'onda di pensiero equivalente ad una bussata, e, guardando verso porta, desiderò che si aprisse.
Si aprì. “Entra, amico mio,” disse. Avrebbe potuto trasmettere l'idea telepaticamente, ma, essendo solo due persone, era più educato parlare.
Ejon Khee entrò. “Sei rimasto sveglio fino a tardi stanotte, mio comandante,”disse.

“Sì, Khee. Tra un'ora atterrerà il razzo terrestre, e io voglio vederlo. Sì, lo so, atterrerà a mille miglia da qui, se i loro calcoli sono corretti. Oltre l'orizzonte. Ma anche se atterrasse ad una distanza doppia, il lampo dell'esplosione atomica sarebbe visibile. E io ho aspettato a lungo questo primo contatto. Perché anche se non ci sarà nessun terrestre su quel razzo, sarà comunque il primo contatto – per loro. Naturalmente le nostre squadre di telepati hanno continuato a leggere i loro pensieri per molti secoli, ma – questo sarà il primo contatto fisico tra Marte e la Terra.”
Khee si accomodò su uno dei bassi sedili. “Vero,” disse. “Tuttavia, non ho seguito i recenti rapporti troppo da vicino. Perché stanno usando delle testate nucleari? So che pensano che il nostro pianeta non è abitato, però...”
“Osserveranno il lampo attraverso i loro telescopi lunari per eseguire – come la chiamano? - un'analisi spettroscopica. Questo gli dirà più di quello che sanno adesso (o pensano di sapere, molte cose sono sbagliate) sull'atmosfera del nostro pianeta e la composizione della sua superficie. Questo è – chiamalo un lancio esplorativo, Khee. I terrestri saranno qui in persona tra poche opposizioni. E allora -”
Marte stava resistendo, in attesa dell'arrivo della Terra. Quello che rimaneva di Marte, cioè: quest'unica piccola città di novecento esseri. La civiltà di Marte era più antica di quella della Terra, ma stava ormai morendo. Questo era quanto ne rimaneva: una città, novecento persone. Stavano aspettando che la Terra entrasse in contatto con loro, per una ragione egoistica e una non egoistica.
La civiltà marziana si era sviluppata in una direzione molto diversa da quella della Terra. Non aveva sviluppato alcuna importante conoscenza delle scienze fisiche o della tecnologia. Ma aveva sviluppato le scienze sociali al punto tale che su Marte non c'era stato un solo crimine, per non parlare di una guerra, per cinquantamila anni. Aveva, poi, sviluppato appieno le scienze parapsicologiche della mente, che la Terra stava appena incominciando a studiare.
Marte aveva molto da insegnare alla Terra. Come evitare il crimine e la guerra, per iniziare. Oltre a queste semplici cose c'erano la telepatia, la telecinesi, l'empatia...
E la Terra, Marte sperava, avrebbe insegnato loro qualcosa di ancora più prezioso: come reintegrare e risanare un pianeta morente, grazie alla scienza e alla tecnologia, così che, una razza altrimenti morente potesse vivere e moltiplicarsi ancora– era troppo tardi. ormai, perché i marziani potessero sviluppare conoscenze di tipo scientifico-tecnologico, anche se avevano il tipo di menti che gli avrebbe permesso di farlo.
Ogni pianeta avrebbe guadagnato moltissimo, e nessuno dei due avrebbe perso.
E quella era la notte in cui la Terra avrebbe fatto il suo lancio esplorativo. Il prossimo lancio, un razzo con a bordo degli umani, o almeno uno, sarebbe avvenuto alla prossima opposizionei, fra due anni terrestri, o, approssimativamente, quattro anni marziani. I marziani lo sapevano perché le loro squadre di telepati erano in grado di catturare almeno una parte dei pensieri degli abitanti della Terra, abbastanza per conoscere i loro progetti. Sfortunatamente, a quella distanza, il contatto era possibile in una sola direzione. Marte non poteva chiedere alla Terra di accelerare il suo programma. O informare gli scienziati terrestri sulla natura e l'atmosfera di Marte, cosa che avrebbe reso inutile questo lancio preliminare.
Quella notte Ry, il comandante (questa era l'approssimativa traduzione della parola marziana), e Khee, suo assistente amministrativo e amico intimo, sedettero e meditarono insieme finché si avvicinò il momento. Quindi brindarono al futuro – con una bevanda a base di mentolo, che sui marziani aveva lo stesso effetto dell'alcol sui terrestri – e salirono sul tetto dell'edificio. Guardarono verso il nord, dove il razzo avrebbe dovuto atterrare. Le stelle brillavano luminose e ferme attraverso l'atmosfera.
Nell'osservatorio N°1 della luna terrestre, Rog Everett, guardando attraverso l'oculare del cannocchiale, esclamò trionfante, “Laggiù ha soffiatoii, Willie. E ora, appena le pellicole saranno sviluppate, sapremo la verità sul vecchio pianeta Marte.” Si alzò in piedi – non c'era altro da vedere – e strinse solennemente la mano di Willie Sanger. Era un'occasione storica.
Spero che non abbia ammazzato nessuno. Nessun marziano, cioè. Rog, è riuscito a centrare Sirtis Major?”
In effetti,ii c'è andato vicino. Direi che era spostato di circa mille miglia a sud. E questo è dannatamente vicino per un lancio di cinquanta milioni di miglia. Willie, pensi davvero che ci sia vita su Marte?”
Willie ci pensò un attimo e poi disse, “No.”
E aveva ragione.


FREDRIC BROWN






iIn astronomia, si ha l'opposizione di un corpo celeste rispetto a un altro, quando il primo corpo si trova nella direzione opposta (ovvero a 180°) dal secondo, rispetto all'osservatore.
iiNell'originale “Thar she blew”, era il grido dei balenieri nel Moby Dick di Melville quando avvistavano lo sfiuto caratteristico delle balene in emersione.





























































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