lunedì 25 febbraio 2013

La casa vuota

--> Il buio oltre la porta 
 
Algernon Henry Blackwood (Shooter's Hill, 14 marzo 1869 – 10 dicembre 1951) è stato uno scrittore inglese di romanzi horror e soprannaturali. Studiò al Wellington College ed intraprese diverse carriere tra cui quella di agricoltore in Canada, di direttore di un albergo e di giornalista per una rivista di New York, prima di trasferirsi nel New England e cominciare a scrivere racconti horror. Superati i trenta anni, decise di ritornare in Inghilterra, dove iniziò a scrivere racconti soprannaturali. Collaborò con la BBC per leggere i suoi racconti sia in radio che in televisione. Scrisse dieci libri di racconti brevi, quattordici romanzi e numerose opere teatrali, che ottennero un certo successo di pubblico e di critica. Tra le sue opere più famose ricordiamo The Willows, influenzata profondamente dai viaggi di Blackwood sul Danubio, che narra la storia di due campeggiatori che scelgono il luogo sbagliato per trascorrere la notte; The Wendigo, ambientata in Canada, è la storia di un gruppo di cacciatori che si imbatte nella leggendaria creatura.
Di lui H.P. Lovecraft ha scritto “E' il maestro assoluto e indiscusso delle atmosfere soprannaturali.” (Supernatural Horror in Literature, cap. X). E, in effetti, autori come Blackwood e M.R. James sono riconosciuti maestri nella creazione di atmosfere soprannaturali attraverso un accumulo di indizi e colpi di scena che portano al climax, creando un'immagine culminante così potente da far sembrare insoddisfacente la conclusione stessa della storia.
Fra le sue creazioni la più originale è quella del detective dell'occulto John Silence (ispirato, probabilmente, dal personaggio del Dottor Hasselius di Le Fanu), un barbuto medico sulla quarantina, la cui passione per il soprannaturale lo porta ad affrontare casi eccezionali tra occultismo, licantropia e presenze paranormali. John Silence è il precursore di un vastissimo immaginario pop, che va dalla serie televisiva Ai confini della realtà fino ai più recenti Dylan Dog e Dr House.
Il racconto che vi propongo La casa vuota, fu pubblicato per la prima vota nel 1906 in una collezione di short story intitolata The Empty House and Other Ghost Stories. Protagonisti della storia sono Jim Shorthouse “Un giovanotto piuttosto comune” e la sua anziana zia Giulia, una vecchia zitella con la passione per la ricerca psichica. I due decidono di introdursi nottetempo in una casa dove si dice che accadano fenomeni così spaventosi da far fuggire tutti i suoi inquilini. Per il giovane Shorthouse questa avventura diventa una sorta di prova iniziatica, dove potrà mettere alla prova la sua capacità di autocontrollo di fronte alla “vera paura”, prova resa ancora più ardua dal fatto che egli dovrà farsi carico non solo della sua paura, ma anche di quella della sua fragile, ancorché temeraria, zia Giulia. Ma la vera protagonista della storia è proprio la casa. Apparentemente, una squallida casa di periferia, del tutto simile alle sue squallide vicine, ma le violenze commesse al suo interno le danno un'aura di malvagità quasi palpabile. Una volta varcata la porta d'ingresso, i nostri tragicomici eroi si troveranno calati in una perfetta atmosfera gotica: fitte tenebre, rumori inspiegabili, ratti grossi come gatti, semiinterrati maleodoranti, il labirinto delle camere della servitù nel sottotetto, il tutto tenuto insieme dalla spirale infinita delle scale, proprio come in un'incisione di Piranesi. Ed è su queste scale che tutte le sere si ripete lo stesso orrore. Ma se il lettore si aspetta di trovare dettagli orrifici o sanguinolenti, rimarrà deluso. Blackwood riesce a costruire un'atmosfera di terrore servendosi di pochi e significativi dettagli, l'horror vero va in scena nella mente dei nostri protagonisti. La casa diventa così la metafora del buco nero del loro inconscio, non più luogo sicuro e accogliente, ma possibile teatro di violenze e crudeltà, in controtendenza con la retorica vittoriana del “focolare domestico”.




La casa vuota
Algernon Blackwood, 1906






Certe case, come certe persone, riescono, non si sa come, a proclamare immediatamente la loro propensione al male. Nel caso di queste ultime, non necessariamente vengono tradite da qualche tratto particolare: possono vantare un atteggiamento aperto e un sorriso ingenuo, e tuttavia, solo un po' di tempo in loro compagnia lascia l'inalterabile convinzione che c'è qualcosa di radicalmente sbagliato nel loro modo di essere: sono malvagie. Volenti o nolenti, sembrano emanare un'aura di pensieri segreti e perversi, che fa arretrare quelli che si trovano nella loro immediata vicinanza come se si trattasse di una cosa infetta.

E, forse, con le case funziona lo stesso principio, ed è l'essenza delle cattive azioni commesse sotto un particolare tetto, molto tempo dopo che gli effettivi autori sono morti, che fa venire la pelle d'oca e rizzare i capelli. Qualcosa della furia originale di chi ha commesso il misfatto, unito all'orrore sofferto dalla vittima, entra nel cuore dell'innocente osservatore, che diventa immediatamente conscio del fatto che i suoi nervi sono scossi, la pelle si accappona e il sangue si gela nelle vene. Egli è sopraffatto dall'orrore senza apparente motivo. Non c'era niente nell'aspetto esteriore di questa particolare casa che potesse avvalorare i racconti dell'orrore che si diceva accadessero al suo interno. Non era né isolata né in cattive condizioni. Era lì, stipata in un angolo della piazza, ed aveva esattamente lo stesso aspetto delle case che la affiancavano su entrambi i lati. Aveva lo stesso numero di finestre delle sue vicine, lo stesso balcone che si affacciava sui giardini, gli stessi gradini bianchi che conducevano alla massiccia porta nera dell'ingresso, e sul retro, c'era la stessa sottile striscia di verde, con dei confini netti che arrivavano fino al muro che la separava dal retro delle case adiacenti. Apparentemente, anche il numero dei comignoli sul tetto era lo stesso, l'ampiezza e l'inclinazione del cornicione, e perfino l'altezza della ringhiera che delimitava la zona per l'immondizia. E, tuttavia, questa casa sulla piazza, che sembrava perfettamente uguale alle sue cinquanta brutte vicine, era di fatto completamente diversa – orribilmente diversa. E' impossibile dire dove si celasse questa differenza netta e invisibile. Non può essere completamente ascritta all'immaginazione, perché persone che avevano vissuto per qualche tempo nella casa, pur ignorando completamente i fatti, avevano apertamente dichiarato che alcune stanze erano così sgradevoli che avrebbero preferito morire piuttosto che entrarci di nuovo, e che tutta l'atmosfera della casa produceva in loro i sintomi di un genuino terrore; mentre la schiera di inconsapevoli inquilini che avevano cercato di viverci ma erano stati costretti a levare le tende dopo aver dato la disdetta più breve possibile, aveva suscitato quasi uno scandalo per tutta la città.
Quando Shorthouse arrivò per far una visita di “fine settimana” alla zia Julia nella sua piccola casa sul lungomare dall'altra parte della città, la trovò carica fino all'orlo di mistero ed eccitazione. Aveva ricevuto il suo telegramma solo quella mattina, ed era arrivato sicuro di annoiarsi, ma nel momento in cui le toccò la mano e le baciò le guance rugose come una mela avvizzita, percepì la prima ondata della sua carica elettrica. L'impressione si rafforzò quando scoprì che non c'erano altri visitatori e che era stato convocato d'urgenza con uno scopo molto speciale. C'era qualcosa nell'aria, e quel “qualcosa”, avrebbe sicuramente dato i suoi frutti. Infatti, questa anziana zia zitella, con una mania per la ricerca psichica, era dotata di cervello e determinazione, e, di riffa o di raffa, riusciva di solito a realizzare i suoi disegni. La rivelazione fu fatta subito dopo il tè, quando si strinse al suo fianco, mentre passeggiavano lentamente sul lungomare nella luce crepuscolare del tramonto. “Ho le chiavi,” annunziò con una voce deliziata, ma alquanto inquietante. “Posso tenerle fino a lunedì!” “Le chiavi per una cabina balneare, oppure -?” le chiese lui con fare innocente, spostando lo sguardo dal mare verso la città. Niente la faceva arrivare così rapidamente al nocciolo della questione come la finta ingenuità. “Niente di che,” sussurrò. “Ho le chiavi della casa infestata che si trova nella piazza – e ho deciso di andarci stanotte.” Shorthouse avvertì un brivido appena percettibile lungo la schiena. Abbandonò il suo tono scherzoso. Qualcosa nella voce e nelle maniere della zia lo allarmò: faceva sul serio. “Ma non puoi andarci da sola...” iniziò a dire. “Ecco perché ti ho telegrafato,” replicò la zia con decisione.



Bathing machines



Girò lo sguardo su di lei. Quel volto brutto, rugoso ed enigmatico era ravvivato dall'eccitazione. Sembrava circondato dall'alone luminoso di un entusiasmo genuino. Le brillavano gli occhi. Shorthouse avvertì un'altra ondata della sua eccitazione insieme ad un secondo brivido, più forte del primo.“Grazie, zia Giulia,” disse gentilmente; “Grazie tanto.” “Non oserei andare lì tutta sola,” continuò, alzando la voce, “ma con te mi divertirei un mondo. Tu non hai paura di niente, lo so.” “Ti ringrazio proprio tanto,” ripeté. “Hem, sta per succedere qualcosa?” “Molte cose sono già successe,” mormorò lei, “anche se tutto è stato messo a tacere molto abilmente. Negli ultimi mesi sono andati e venuti tre diversi inquilini, e si dice che la casa sia definitivamente vuota adesso.”A dispetto di sé stesso, Shortahouse incominciò ad interessarsi alla cosa. La zia faceva proprio sul serio. “La casa è molto vecchia,” continuò, “e la storia – veramente spiacevole – risale a molto tempo fa. Ha a che fare con l'omicidio commesso da un mozzo di stalla geloso che aveva una relazione con una cameriera della casa. Una notte riuscì a nascondersi nella cantina, e quando tutti si furono addormentati, scivolò su per le scale fino ai quartieri della servitù, inseguì la ragazza fin giù al pianerottolo successivo, e prima che qualcuno potesse correre in suo aiuto, la spinse oltre oltre la balaustra, giù nell'ingresso sottostante.” “E lo stalliere?” “Fu catturato, credo, e impiccato per l'omicidio della cameriera; ma è successo tutto un secolo fa, e non sono riuscita ad ottenere ulteriori particolari al riguardo.” A questo punto, Shorthouse sentì che la storia aveva completamente suscitato il suo interesse, ma, sebbene non fosse particolarmente preoccupato per sé steso, esitava ancora per via della zia. “Ad una condizione,” disse alla fine. “Niente potrà trattenermi dall'andare,” fu la secca replica; “ ma posso comunque ascoltare la tua condizione.” “Voglio che tu mi prometta che non perderai la tua capacità di auto controllo nel caso succeda qualcosa di veramente orribile. Voglio dire – che tu sia sicura di non spaventarti eccessivamente.” “Jim,” rispose sprezzante la zia, “non sono giovane, lo so, né lo sono i miei nervi, ma insieme a te niente al mondo potrebbe spaventarmi!” Questo, naturalmente, mise fine alla discussione. Shorthouse, infatti, si rendeva conto di non essere altro che un giovanotto piuttosto comune e questo appello alla sua vanità fu per lui irresistibile. Accettò di andare. Istintivamente, grazie ad una sorta di inconscia predisposizione, riuscì a tenere a bada sé stesso e le sue energie per tutta la serata, sfruttando un'ulteriore riserva di auto controllo ottenuta grazie a quell'oscuro processo interiore capace di mettere gradualmente da parte tutte le emozioni e di tenerle sotto chiave – un processo difficile da descrivere, ma meravigliosamente efficace, come sanno bene tutti gli uomini che sono sopravvissuti alle severe prove dello spirito. Più tardi, questo gli sarebbe tornato utile. Ma fino alle dieci e mezzo, quando erano nell'ingresso di casa, sotto la luce di lampade amiche e circondati da rassicuranti presenze umane, egli non aveva ancora fatto ricorso a questo supplemento di energia. Infatti, una volta chiusa la porta, appena vide allungarsi davanti a sé la strada silenziosa e imbiancata dal chiaro di luna, capì con chiarezza che il vero problema quella sera sarebbe stato quello di avere a che fare con due paure invece di una. Avrebbe dovuto farsi carico della paura della zia oltre alla sua. Appena abbassò lo sguardo su di lei e capì che il suo volto da sfinge avrebbe potuto assumere un aspetto poco piacevole in un'esplosione di vero terrore, si sentì soddisfatto di una sola cosa in tutta quell'avventura – che aveva fiducia nella sua volontà e nella sua capacità di affrontare qualunque evento terrificante che potesse verificarsi. Passeggiarono lentamente lungo le strade deserte della città; una luminosa luna autunnale inargentava i tetti, da cui si allungavano profonde ombre; non c'era un alito di vento, e gli alberi nei giardini ben curati del lungomare li guardarono silenziosamente mentre passavano. Shorthouse non replicò alle occasionali osservazioni della zia, avendo compreso che si stava semplicemente circondando di difese mentali – parlando di cose ordinarie per impedirsi di pensare a cose straordinarie. Poche finestre erano illuminate, e a mala pena da un camino venivano fuori fumo e scintille. Shorthouse aveva ormai iniziato a notare ogni cosa, perfino i più piccoli dettagli. Dopo un po' si fermarono all'angolo della strada e guardarono in alto per leggerne il nome sul fianco della casa completamente illuminato dalla luna, e di comune accordo, senza profferir parola, svoltarono nella piazza, e si portarono sul lato in ombra dell'edificio. “Il numero della casa è tredici,” sussurrò una voce al suo fianco, e nessuno dei o percorso quasi metà della piazza, quando Shorthouse sentì un braccio infilarsi delicatamente ma significativamente sotto il suo, e in quel momento si rese conto che la loro avventura era veramente iniziata e che la sua compagna stava già impercettibilmente cedendo ad influenze nemiche. Aveva bisogno di aiuto.
Qualche minuto dopo si fermarono davanti ad una casa stretta e alta che si erse di fronte a loro nella notte, brutta a vedesi e dipinta di un bianco sporco. Le sue finestre senza imposte e senza tapparelle li guardarono dall'alto in basso, brillando qua e là nel chiaro di luna. Sul muro c'erano i segni delle intemperie, l'intonaco cadeva a pezzi mentre il balcone sporgeva fuori dal primo piano in modo alquanto innaturale. Ma, oltre a quest'aria di generale abbandono tipico di una casa non abitata, non c'era niente a prima vista che potesse rivelare il carattere malvagio che questa particolare casa aveva certamente acquisito.



                                      Torre rossa -G. De Chirico, 1913

                                
Si guardarono dietro per assicurarsi di non essere stati seguiti, quindi salirono coraggiosamente i gradini e si fermarono di fronte all'imponente porta nera che li fronteggiava minacciosamente. Ma erano ormai in preda all'ansia, e Shorthouse armeggiò a lungo con la chiave prima di poterla infilare nella serratura. Per un momento, in verità, sperarono che non si aprisse, tanto erano sopraffatti da spiacevoli sensazioni mentre erano lì, sulla soglia della loro avventura soprannaturale. Gli sembrava che il mondo intero stesse ascoltando il rumore stridente della chiave, perché, in quel preciso istante, ebbe la sensazione che ogni possibile esperienza si fosse concentrata nella sua coscienza. Un solitario soffio di vento vagabondando giù per le strade deserte risvegliò un fruscio momentaneo negli alberi dietro di loro, per il resto il rumore metallico della chiave era l'unico suono che si potesse udire, alla fine questa girò nella serratura e la massiccia porta si spalancò rivelando l'abisso di tenebre al suo interno. Con un'ultima occhiata alla piazza illuminata dalla luna, entrarono di tutta fretta, mentre la porta si richiuse dietro di loro con un fracasso che riecheggiò prodigiosamente attraverso le sale e i corridoi vuoti. Ma, immediatamente, insieme all'eco, si fece sentire un altro suono, e la zia Giulia gli si aggrappò addosso con tale impeto che dovette che dovette fare un passo indietro per evitare di cadere. Un uomo aveva tossito proprio vicino a loro – così vicino che sembrava che si fossero trovati fianco a fianco nell'oscurità. Pensando a qualche scherzo, Shorthouse incominciò ad agitare il suo pesante bastone in direzione di quel suono, ma non incontrò niente di più solido dell'aria. Sentì la zia ansimare al suo fianco. “C'è qualcuno qui,” sussurrò, “l'ho sentito.” “Sta calma!” le ordinò bruscamente. “Non era altro che il rumore della porta d'ingresso.” “Oh, prendi un fiammifero - svelto!” aggiunse, mentre il nipote, armeggiando con una scatola di fiammiferi, la aprì al contrario facendoli cadere con un tintinnio sul pavimento di pietra. Il suono, comunque, non si ripeté, né si udì il rumore di passi che si allontanavano. Un minuto dopo avevano acceso una candela, usando una scatola di sigari vuota come supporto, e quando la prima fiammata si abbassò, Shorthouse sollevò in aria la lampada improvvisata per ispezionare la scena. E, in tutta coscienza, fu una scena davvero triste, perché non c'è niente di più desolato, fra tutte le possibili abitazioni degli uomini, di una casa senza mobili fiocamente illuminata, silenziosa e abbandonata, ma ancora abitata dal ricordo di storie malvagie e violente. Si trovavano in un'ampia sala d'ingresso, sulla loro sinistra c'era la porta aperta di una spaziosa camera da pranzo, mentre di fronte la sala si andava restringendo in un lungo corridoio buio che sembrava condurre in cima alle scale della cucina. L'ampia scalinata senza tappeto apparve all'improvviso di fronte a loro, completamente avvolta dalle tenebre, ad eccezione di un solo punto posto a metà strada, dove la luna penetrava attraverso le finestre e formava una macchia bianca sui gradini di legno. Questa lama di luce proiettava un debole alone in alto e in basso, donando agli oggetti che illuminava un contorno sfumato che era infinitamente più suggestivo e spettrale del buio completo. La luce lunare che filtra attraverso le finestre sembrava dipingere dei volti sul buio che la circondava, e mentre Shorthouse volgeva lo sguardo in alto per scrutare quel pozzo di tenebre pensando alle innumerevoli stanze vuote e al labirinto di corridoi nella parte superiore della vecchia casa, si trovò a desiderare ardentemente la sicurezza della piazza illuminata dalla luna, oppure l'accogliente e luminoso soggiorno che avevano lasciato un'ora prima. Ma poi, rendendosi conto della pericolosità di certi pensieri, li scacciò via di nuovo e fece appello a tutte le sue energie per concentrarsi sul presente. “Zia Giulia,” disse con voce alta e solenne, “dobbiamo esplorare questa casa da cima a fondo e condurre una minuziosa indagine.”

                                                            
Carceri - Piranesi, 1745-1750


L'eco della sua voce si spense lentamente in tutto l'edificio, e nell'intenso silenzio che seguì si girò per guardarla. Alla luce della candela vide che la sua faccia era già mortalmente pallida, tuttavia zia Giulia lasciò il suo braccio per un momento e, mettendosi proprio di fronte a lui, gli disse sussurrando: “Sono d'accordo. Dobbiamo assicurarci che qui dentro non si nasconda nessuno. E' la prima cosa da fare.” Parlava con evidente sforzo, e lui la guardò con ammirazione. “Sei proprio sicura di te? Non è troppo tardi...” “Penso di sì, “ sussurrò, mentre i suoi occhi si spostavano nervosamente verso l'ombra dietro di lei. “Sono sicura, una cosa soltanto...” “Che cosa?” “Non devi mai lasciarmi sola, nemmeno per un istante.” “Purché tu comprenda che ogni suono o apparizione devono essere investigati immediatamente, perché esitare significa ammettere la paura. Questo è fatale.” “D'accordo,” rispose, tremando un po', dopo un momento di esitazione. “Ci proverò...” Stretti sottobraccio, Shorthouse che reggeva la candela gocciolante e il bastone, zia Giulia col mantello sulle spalle, personaggi da commedia per tutti tranne che per sé stessi, cominciarono una sistematica ricerca. Silenziosamente, camminando in punta di piedi e schermando la candela con la mano per paura che potesse tradire la loro presenza attraverso le finestre senza imposte, si recarono dapprima nella grande sala da pranzo. Non si vedeva nemmeno l'ombra di un mobile. Pareti nude, brutti caminetti e focolari vuoti li fissavano con insistenza. Avevano la sensazione che ogni cosa lì dentro fosse infastidita dalla loro presenza e li osservasse, per così dire, con occhi nascosti. Erano seguiti da bisbiglii, ombre fluttuavano silenziosamente a destra e a sinistra e sembrava che ci fosse sempre qualcosa alle loro spalle che li osservasse aspettando l'occasione per fargli del male. C'era l'inevitabile sensazione che certe attività che avevano luogo quando la stanza era vuota fossero state temporaneamente sospese in attesa che loro due si togliessero di mezzo. L'interno tenebroso di quel vecchio edificio sembrava essersi trasformato in una presenza maligna che si stagliava minacciosa, intimandogli di desistere e di pensare agli affari loro, mentre la tensione nervosa cresceva di momento in momento. Usciti da quella tetra camera da pranzo, passarono attraverso ampie porte a libro ed entrarono in una specie di biblioteca o stanza per fumare immersa nel silenzio, nelle tenebre e nella polvere come le altre, da qui riguadagnarono la sala d'ingresso che conduceva in cima alle scale di servizio. Qui, sotto di loro, si apriva un tunnel nero come la pece che sprofondava verso i piani inferiori, e, bisogna confessarlo, esitarono. Ma solo per un minuto. Sapendo che il peggio doveva ancora venire, non potevano tirarsi indietro davanti a niente. Zia Giulia inciampò sul primo gradino di quella scala buia, appena illuminata dalla fiamma incerta della candela, e perfino Shortahouse, alla fine, sentì metà della sua determinazione abbandonargli le gambe. “Vieni!” le ordinò perentoriamente, mentre la sua voce si perdeva nei meandri vuoti e bui sotto di loro. “Sto arrivando,” balbettò lei, aggrappandosi al suo braccio con una veemenza superflua. Scesero lungo le scale di pietra in maniera alquanto incerta, mentre una zaffata di aria fredda e umida, che puzzava di chiuso, gli arrivava sul volto. La cucina, a cui le scale conducevano dopo aver percorso uno stretto corridoio, era ampia, con un alto soffitto. Diverse porte si aprivano su di essa – alcune conducevano a ripostigli pieni di barattoli vuoti ancora allineati sugli scaffali, altre a piccoli e orribili locali di servizio, uno più freddo e meno accogliente dell'altro. Scarafaggi neri scorrazzavano sul pavimento, e una volta, dopo aver urtato contro un tavolo di legno massiccio appoggiato in un angolo, qualcosa grande quasi come un gatto saltò giù di corsa e scappò via, zampettando sul pavimento di pietra per poi perdersi nel buio. Ovunque c'era la sensazione che qualcuno fosse stato lì di recente, insieme ad un'impressione di tristezza e squallore.



                                       Carceri - Piranesi, 1745-1750


Dopo aver lasciato la cucina principale si diressero nel retro cucina. La porta era socchiusa, e mentre la spalancavano zia Giulia emise un urlo lacerante, che cercò subito di soffocare mettendosi una mano sulla bocca. Per un secondo Shorthouse rimase fermo come uno stoccafisso, mentre tratteneva il respiro. Aveva la sensazione che la sua spina dorsale si fosse improvvisamente svuotata e fosse stata riempita di ghiaccio tritato. Di fronte a loro, proprio nel vano della porta, c'era la figura di una donna. Aveva i capelli scarmigliati, uno sguardo spiritato e la faccia era terrorizzata e pallida come la morte. Rimase lì immobile per lo spazio di un secondo. Quindi la fiamma della candela vacillò e lei era sparita – senza lasciar traccia – mentre gli stipiti della porta non incorniciavano altro che tenebre vuote. “Soltanto la fiamma della candela che salta terribilmente,” disse velocemente, con una voce che non sembrava la sua ed non del tutto sotto controllo. “Vieni, zia. Qui non c'è niente.” La trascinò via. Proseguirono con un gran trapestio di piedi e una grande esibizione di coraggio, ma sentiva un intenso formicolio per tutto il corpo, e, dal peso sul suo braccio, capì che era lui a fornire la forza motrice a tutti e due. Il retrocucina era freddo, spoglio e vuoto, più che altro simile ad una grande cella di prigione. Si guardarono intorno, provarono ad aprire la porta che dava sul cortile e le finestre, ma scoprirono che erano ermeticamente chiuse. La zia si muoveva al suo fianco come una sonnambula. Aveva gli occhi serrati e sembrava che stesse semplicemente andando a traino del suo braccio. Il suo coraggio lo riempiva di stupore. Allo stesso tempo notò che il suo volto aveva subito uno strano cambiamento, un cambiamento che in qualche modo eludeva la sua capacità di analisi. “Non c'è niente qui, zietta,” ripeté frettolosamente e a voce alta. “Saliamo su, ed esaminiamo il resto della casa. Poi sceglieremo una stanza in cui vegliare in attesa di eventi.” Lo seguì obbediente, tenendosi stretta a lui, chiudendosi dietro la porta della cucina. Fu un sollievo ritornare su. Nell'ingresso adesso c'era più luce, perché la luna, proseguendo nella sua traiettoria, adesso illuminava la parte inferiore delle scale. Con molta cautela, iniziarono a risalire la volta di tenebre dei piani superiori, mentre i gradini di legno scricchiolarono sotto il loro peso. Al primo piano trovarono due ampi soggiorni posti uno dietro l'altro che ispezionarono senza trovare niente. Neanche qui c'erano tracce di mobili o di recente abitazione, niente se non polvere, abbandono e ombre. Aprirono le grandi porte a libro che dividevano il soggiorno anteriore da quello posteriore, quindi ritornarono sul pianerottolo e continuarono ad andare su. Non avevano ancora risalito una dozzina di scalini, quando improvvisamente si fermarono ad ascoltare, guardandosi negli occhi con rinnovata apprensione attraverso la fiamma vacillante della candela. Dalla stanza che avevano lasciato appena dieci secondi prima veniva il rumore di porte accostate lentamente. Non c'era l'ombra di dubbio: avevano sentito il rimbombare tipico di pesanti pesanti porte che si chiudono, seguito dal secco scatto della serratura. “Dobbiamo tornare indietro a dare un'occhiata, “ disse Shorthouse velocemente, a voce bassa, mentre si girava per scendere di nuovo le scale. Quando entrarono nel primo soggiorno fu chiaro che le porte pieghevoli erano state chiuse – mezzo minuto prima. Shorthouse le aprì senza esitazione. Quasi si aspettava di vedere qualcuno di fronte a lui nell'altra stanza, ma gli vennero incontro solo le tenebre e l'aria fredda. Ispezionarono attentamente le due stanze senza trovare niente di insolito. Tentarono in tutti i modi di far chiudere le porte da sé, ma il vento non era sufficiente nemmeno a fare oscillare la fiamma della candela. Le porte avevano bisogno di una forte spinta per muoversi. Tutto era silenzioso come una tomba. Innegabilmente, le stanze erano completamente vuote e la casa completamente silenziosa. “Sta iniziando.” sussurrò una voce al suo fianco che quasi non gli sembrava quella della zia. Fece un cenno di assenso e prese l'orologio per controllare l'ora. Mancavano quindici minuti a mezzanotte.

Orologio molle - Dalì, 1931



Al fine di annotare esattamente quello che era successo nel suo taccuino, poggiò a terra la candela. Gli ci vollero un paio di secondi per sistemarla contro il muro per evitare che cadesse. Zia Giulia dichiarò sempre che in quel momento non lo stava guardando, ma aveva girato la testa verso la stanza interna, dove le sembrava di aver sentito muoversi qualcosa, ma, ad ogni modo, erano entrambi d'accordo che ci fu un rumore di passi pesanti e velocissimi – e un momento dopo, la candela era spenta! Ma a Shorthouse era capitato molto di più, e ha sempre ringraziato la sua buona stella che fosse successo solo a lui e non anche alla zia. Perché, mentre si stava raddrizzando da quella posizione china, dopo aver sistemato la candela contro il muro e prima che questa si spegnesse, si trovò muso a muso con una faccia sbucata improvvisamente dal buio. Era una faccia deformata dalla collera, un volto maschile, dai lineamenti grossolani, con gli occhi sconvolti dall'ira. Apparteneva ad una persona rozza, ed era, senza dubbio, una faccia naturalmente cattiva, ma così come gli era apparsa, accesa da un'emozione intensa e aggressiva, era una sembianza umana malvagia e terribile. Nell'aria perfettamente calma non c'era altro che il rumore di piedi che fuggivano – piedi ricoperti da calze o fasciati - l'apparizione di quella faccia e il quasi simultaneo spegnersi della candela. A dispetto di sé, Shorthouse emise un breve urlo, perdendo quasi l'equilibrio quando sua zia si aggrappò a lui con tutto il peso in un momento di vero e incontenibile terrore. Si aggrappò a lui con tutta la sua forza, senza emettere alcun suono. Fortunatamente, non aveva visto niente, ma aveva solo sentito il rumore di piedi che correvano, perché recuperò la sua calma quasi subito, consentendogli di liberare il braccio per accendere un fiammifero. Le ombre si dileguarono intorno al bagliore della fiamma, e la zia si chinò a terra in cerca della scatola di sigari con la preziosa candela. Scoprirono così, che la candela non era stata spenta affatto ma era stata calpestata. Lo stoppino era rientrato nella cera, che era appiattita come se fosse stata colpita da un attrezzo pesante e liscio. Shorthouse non riuscì mai a capire veramente come la sua compagna avesse superato così velocemente la paura, ma la sua ammirazione per il suo autocontrollo crebbe enormemente, e, allo stesso tempo, servì a ridare vigore alla propria energia ormai ridotta al lumicino, e per questo le fu sinceramente grato. Allo stesso modo, non riusciva a spiegarsi l'evidenza della presenza di una forza fisica di cui erano appena stati testimoni. Soppresse immediatamente il ricordo di storie che aveva sentito a proposito dei “medium fisici” e dei loro pericolosi fenomeni, perché, se queste erano vere, e se uno di loro due era inconsapevolmente un medium fisico, ciò significava semplicemente che stavano contribuendo a concentrare le energie di una casa infestata già al culmine della loro potenza. Era come camminare con una lampada aperta tra casse di polvere da sparo scoperchiate. Così, cercando di non pensarci, riaccese semplicemente la candela e salì al piano superiore. Il braccio sotto il suo tremava, è vero, e il suo passo era spesso incerto, ma procedettero con accuratezza, e quando la loro ricerca si rivelò inutile, salirono l'ultima rampa di scale fino in cima alla casa. Qui trovarono un vero e proprio labirinto di anguste camere per la servitù, con mobili a pezzi, polverose sedie impagliate, cassettiere, specchi rotti e letti decrepiti. Le camere avevano bassi soffitti a spiovente già ricoperti qua e là di ragnatele, piccole finestre e pareti male intonacate, una zona depressa e squallida che furono felici di lasciarsi alle spalle.


Mobili nella valle - De Chirico, 1927


Allo scoccare della mezzanotte entrarono in uno stanzino al terzo piano, quasi in cima alle scale, e cercarono di sistemarsi alla meglio per quel che restava della loro avventura. Era completamente vuoto e si diceva che fosse la camera – allora usata come guardaroba – in cui l'infuriato stalliere aveva inseguito la sua vittima e l'aveva infine catturata. Fuori, dall'altra parte dello stretto pianerottolo, iniziavano le scale che conducevano al piano superiore e ai quartieri della servitù che essi avevano appena ispezionato. A dispetto del rigore notturno, c'era qualcosa nell'aria di quella stanza che li costrinse ad aprire la finestra. Ma c'era molto più di questo. Shorthause non seppe mai come descriverlo, riusciva solo a dire che in quella stanza si sentiva meno padrone di sé stesso che in qualunque altra parte della casa. Misero la candela sul fondo dell'armadio, lasciando la porta socchiusa, così che gli occhi non fossero confusi dal suo bagliore, e non ci fossero ombre vaganti sui muri e sul soffitto. Quindi distesero il mantello sul pavimento e si sedettero ad aspettare con la schiena appoggiata al muro. Shorthouse si trovava a circa due piedi dalla porta che si apriva sul pianerottolo, e da quella posizione poteva controllare agevolmente sia la scala principale che si inabissava nelle tenebre, sia l'inizio della scala della servitù che conduceva al piano superiore. Il suo pesante bastone era posato accanto a lui, a potata di mano. La luna era ora perpendicolare alla casa. Attraverso la finestra aperta potevano vedere la luce confortante delle stelle che sembravano guardarli dal cielo con occhi benevoli. Uno ad uno, gli orologi della città batterono la mezzanotte, e quando i rintocchi svanirono, il silenzio profondo di una notte senza vento ricadde su ogni cosa. Solo il rimbombare del mare, distante e lugubre, riempiva l'aria di cupi mormorii. Nella casa il silenzio si fece spaventoso, spaventoso, pensò Shorthouse, perché poteva essere interrotto in qualunque momento da suoni carichi di terrore. La tensione dell'attesa metteva sempre più a dura prova i loro nervi; quando parlavano, lo facevano bisbigliando, perché il suono della voce alta gli sembrava strano e innaturale. Una sensazione di freddo, non del tutto imputabile all'aria notturna, invase la stanza e li raggelò. Influenze nemiche, qualunque esse fossero, li stavano lentamente derubando della loro sicurezza e della capacità di agire con risolutezza. Le loro forze erano al limite e la possibilità di dover affrontare la paura vera prese un significato nuovo e terribile. Iniziò a tremare pensando all'anziana donna al suo fianco, il cui coraggio non poteva aiutarla oltre un certo punto. Sentì il sangue scorrergli nelle vene così forte che a volte sembrava impedirgli di ascoltare distintamente certi altri suoni che incominciavano a farsi sentire debolmente nelle profondità della casa. Tutte le volte che concentrava la sua attenzione su questi suoni, questi cessavano immediatamente. Senza dubbio, si stavano avvicinando. Tuttavia, non riuscì a liberarsi dell'idea che c'era del movimento in atto da qualche parte nelle zone inferiori della casa. Il soggiorno, dove le porte si erano chiuse in modo così strano, era su un piano troppo vicino: i suoni provenivano da più lontano. Pensò alla grande cucina, con gli scarafaggi che scorrazzavano, e allo squallido, piccolo retrocucina, ma, in un modo o nell'altro, non sembravano provenire di là. Sicuramente non erano all'esterno della casa. Tutto ad un tratto, la verità si fece strada nella sua mente, e per un interminabile minuto gli sembrò che il sangue gli si fosse raggelato nelle vene. I suoni non provenivano affatto dai piani inferiori, ma da quelli superiori – dall'ultimo piano, da qualche parte in quelle orribili e tetre camerette della servitù con i loro mobili a pezzi, i soffitti bassi e le finestre anguste – dall'ultimo piano, dove la vittima era stata per la prima volta terrorizzata e braccata in un inseguimento mortale. E nel momento in cui scoprì la provenienza di quei suoni, iniziò a sentirli più chiaramente. Era un rumore di piedi che si muovevano furtivamente lungo il corridoio superiore, da una stanza all'altra, cercando di scansare i mobili.Si girò per dare un'occhiata furtiva alla figura immobile seduta al suo fianco e controllare se avesse fatto la sua stessa scoperta. La debole luce della candela proveniente dall'armadio socchiuso ne metteva in rilievo il volto così particolare appoggiato contro il muro bianco. Ma accadde qualcosa che gli fece trattenere il fiato e lo costrinse a guardarla di nuovo. Qualcosa di straordinario era successo alla sua faccia e sembrò pervadere i suoi lineamenti come una maschera, spianò i solchi profondi e tirò la pelle del viso fino a far sparire le rughe, donando alla sua faccia, con la sola eccezione dei suoi vecchi occhi, un'apparenza di giovinezza e quasi di fanciullezza. La guardò ammutolito dallo stupore – stupore che era pericolosamente vicino all'orrore. Era sicuramente la faccia della zia, ma quella di quaranta anni prima, la faccia innocente e inespressiva di una fanciulla. Aveva sentito parlare degli strani effetti del terrore in grado di cancellare dal viso ogni altra emozione, obliterando tutte le precedenti espressioni, ma non aveva mai creduto che potesse essere vero alla lettera, o che potesse riferirsi a qualcosa di così assolutamente orribile come quello che vedeva in quel momento. Perché la terribile firma di una paura incontrollabile era scritta chiaramente nella totale mancanza di espressione del volto fanciullesco accanto a lui, e quando lei, sentendosi fissare intensamente, si girò a guardarlo, istintivamente chiuse gli occhi per scacciare quella visione.




                                     Portrait de Therese – Balthus, 1939


Tuttavia, quando un minuto dopo si rigirò, con le sue emozioni perfettamente sotto controllo, vide con profondo sollievo un'altra espressione: sua zia stava sorridendo e, sebbene avesse un viso mortalmente pallido, il velo si era sollevato e il suo aspetto stava ritornando normale. “Qualcosa non va?” fu tutto quello che lui riuscì a dire al momento. E la risposta fu eloquente, considerato che veniva da una tale donna. “Ho freddo, e sono un po' spaventata.” sussurrò. Si offrì di chiudere la finestra, ma lei gli si aggrappò addosso e lo pregò di non lasciare il suo fianco nemmeno per un istante. “E' in cima alle scale, lo so,” sussurrò, con una strana risatina, “ma mi è impossibile salire.” Shorthouse la pensava diversamente, sapendo che le loro migliori speranze di autocontrollo erano riposte nell'azione. Prese la fiaschetta del brandy e le versò un bicchiere di alcool liscio, abbastanza forte da aiutare chiunque ad affrontare qualunque cosa. Lei lo mandò giù con un piccolo brivido. L'unico pensiero di Shorthouse ora era quello di farla uscire dalla casa prima che le venissero inevitabilmente meno le forze, ma questo non poteva essere fatto senza rischi, semplicemente girando i tacchi e fuggendo di fronte al nemico. L'inazione non era più possibile, ogni minuto che passava diventava sempre meno padrone di sé, e misure disperate ed energiche si rendevano necessarie senza ulteriore ritardo. Oltretutto, si deve agire contro il nemico, non sfuggirlo. Il culmine della tensione, se necessario e inevitabile, doveva essere affrontato con coraggio. Lo poteva fare adesso, ma fra dieci minuti probabilmente non avrebbe avuto nemmeno la forza di agire per sé, tanto meno per tutti e due! Di sopra, i rumori erano nel frattempo diventati più distinti e vicini, accompagnati dagli occasionali scricchiolii delle assi di legno. Qualcuno si muoveva furtivamente, inciampando goffamente di tanto in tanto contro i mobili. Dopo aver aspettato qualche minuto per permettere alla formidabile dose di alcool di produrre i suoi effetti, e sapendo che, in quelle circostanze, sarebbero comunque durati solo per breve tempo, Shorthouse si alzò in piedi con calma dicendo con voce decisa: “Adesso, zia Giulia, andremo su per scoprire la causa di tutti questi rumori. Devi venire anche tu, proprio come avevamo stabilito.” Raccolse il suo pesante bastone e andò all'armadio per prendere la candela. Una figura barcollante si alzò tutta tremante accanto a lui, respirando a fatica, ed egli sentì una flebile voce dire qualcosa come “sono pronta.” Il coraggio della donna lo stupiva, era tanto più grande del suo, e mentre avanzavano, tenendo alta la candela gocciolante, sentì che sua vera fonte d'ispirazione. In questo c'era qualcosa di veramente grande che lo faceva vergognare di sé e gli dava il sostegno senza il quale non sarebbe stato del tutto all'altezza della situazione. Percorsero lo stretto pianerottolo avvolto nelle tenebre, evitando di guardare il profondo abisso nero oltre la balaustra. Quindi, iniziarono a salire le strette scale per andare incontro ai rumore che, di minuto in minuto, diventavano più distinti e più vicini. A metà scale, zia Giulia inciampò e Shorthouse si girò per afferrarla per il braccio: proprio in quel momento ci fu un terribile fragore nel corridoio della servitù al piano superiore. Fu immediatamente seguito da un urlo lacerante che era allo stesso tempo un grido di terrore e una richiesta di aiuto. Prima che potessero spostarsi, o scendere un solo scalino, qualcuno arrivò di corsa giù dal corridoio e, inciampando pericolosamente, scese tre gradini alla volta precipitandosi a folle velocità lungo la scala dove si erano fermati. I passi erano leggeri e incerti, ma proprio dietro di loro risuonarono i passi più pesanti di un'altra persona, e sembrò che la scalinata tremasse tutta. Shorthouse e la sua compagna ebbero appena il tempo di appiattirsi contro il muro, quando la baraonda di quei passi precipitosi fu sopra di loro, e due persone, separate da un brevissimo intervallo, gli passarono davanti a tutta velocità. Era un vero e proprio vortice di suoni che faceva irruzione nel silenzio della mezzanotte di quell'edificio vuoto. I due, inseguitore e inseguito, correndo a più non posso avevano ormai oltrepassato il punto dove loro si erano fermati e già i gradini inferiori avevano rimbombato sotto il peso prima dell'uno e poi dell'altro. Eppure loro non avevano visto assolutamente niente – non una mano, né un braccio, né un volto e neppure uno svolazzante brandello di abito. Ci fu una seconda pausa. Quindi il primo, il più leggero dei due, ovviamente quello che era inseguito, si precipitò a passi incerti nella stanzino che Shorthouse e la zia avevano appena lasciato. Quello più pesante lo seguì. Ci fu un rumore di colluttazione, di pesante ansimare e di grida soffocate, poi, fuori sul pianerottolo, ecco dei passi: quelli di una sola persona che procedeva con un'andatura appesantita. Seguì un silenzio di morte per circa mezzo minuto, poi l'aria fu attraversata dal fruscio di qualcosa che veniva lanciato nel vuoto, seguito da un tonfo cupo giù nelle profondità della casa, sul pavimento di pietra dell'ingresso.


                                 Une semaine de bonté - Max Ernst, 1934

Subito dopo regnò un silenzio assoluto. Non si muoveva niente. La fiamma della candela era ferma. Era stata immobile per tutto il tempo, e l'aria non era stata smossa dal benché minimo movimento. Paralizzata dal terrore, zia Giulia, senza aspettare il suo compagno, incominciò a scendere a tentoni giù per le scale. Stava gemendo sommessamente tra sé e sé, e quando Shorthouse le mise un un braccio intorno alle spalle per sostenerla, si accorse che stava tremando come una foglia. Andò nello stanzino e raccolse il mantello dal pavimento, poi, camminando lentamente sottobraccio, senza dire una parola o voltarsi indietro, scesero le tre rampe di scale fino all'ingresso.
Nell'ingresso non videro niente, ma mentre scendevano le scale avevano avuto la consapevolezza che qualcuno li stava seguendo, passo dopo passo: quando procedevano più velocemente, QUESTI restava indietro, e quando andavano più piano, QUESTI li raggiungeva. Ma nemmeno una volta si erano voltati per guardare, e ad ogni svolta delle scale avevano abbassato gli occhi per paura di vedere sulla rampa superiore l'orrore che li inseguiva.
Shortahouse aprì la porta d'ingresso con le mani che gli tremavano, uscirono fuori al chiaro di luna e respirarono a pieni polmoni l'aria fresca della notte che soffiava dal mare.


La notte stellata - Vincent Van Gogh, 1888

Fine



















Nessun commento:

Posta un commento