sabato 13 aprile 2013

Il diavolo nella bottiglia

Difficile, l'amore ai tropici
   
Nel 1889 Robert Louis Stevenson (Edimburgo, 13 novembre 1850 – Vailima, 3 dicembre 1894) era ormai un autore amato e rispettato sia in Europa che negli Stati Uniti, grazie al successo incontrato dai suoi romanzi più famosi come Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde o L'isola del tesoro. Influenzato dalle opere di Melville, accettò l'invito di un editore a scrivere un volume sui mari del Sud e partì, con la famiglia, per una crociera verso le isole Marchesi (Polinesia francese), Tahiti e le isole Sandwich. La sua salute, da sempre cagionevole a causa di problemi polmonari, ebbe un tale miglioramento che lo scrittore decise di stabilire la sua dimora a Upolu, la principale delle isole Samoa. Qui visse dal 1890 fino alla morte, rispettato dagli indigeni che lo chiamavano Tusitala, ("narratore di storie"). E' a questo periodo che risale la raccolta di quattro racconti An Island Night's Entertainments (1839), scritta per un pubblico polinesiano, di cui il più famoso è certamente Il diavolo nella bottiglia (The Bottle Imp). Il racconto è considerato uno dei capolavori dello Stevenson, che nella narrazione riesce a fondere i temi a lui più cari: l'avventura, l'amore per i viaggi, il fascino dell'esotismo. Ma man mano che lo scrittore viene a contatto con la cultura di quei popoli, l'atteggiamento di gioiosa scoperta lascia il passo all'interesse morale e alla sincera solidarietà per le esigenze umane e sociale dei nativi. Ed è così che questa narrazione favolistica si tinge dei colori morali dell'eterna lotta tra il bene ed il male, e accanto allo Stevenson cantastorie, ritroviamo il rigore calvinista che aveva condotto il Dr. Jekyll all'autodistruzione. Ma forse il vero limite del Dr. Jekyll è la sua solitudine, il suo orgoglio che gli impediscono di trovare aiuto e solidarietà negli altri: è il perfetto figlio della società vittoriana. Ma qui, ai tropici, dove la ricchezza non ha senso se non può essere condivisa con gli altri, dove il valore di un uomo è anche quello dei suoi amici, dove l'amore è spontaneo e totale, il protagonista riuscirà a riscattarsi grazie al coraggio e alla coerenza morale della donna amata.

Il protagonista di questa storia di sapore faustiano è Keawe, un povero marinaio hawaiano, che durante uno dei suoi viaggi acquista per pochi dollari un'antica bottiglia, dimora di un demone capace di soddisfare ogni suo desiderio. La condizione, si sa, è sempre la stessa: l'anima dello sciagurato possessore. Apparentemente, c'è una via d'uscita: riuscire a rivendere a qualcun altro la bottiglia. Ma il diavolo si nasconde nei dettagli. La bottiglia, infatti, può essere ceduta solo ad un prezzo sempre inferiore a quello precedente. Sebbene terrorizzato da una visione dell'inferno quanto mai tangibile (le anime dei dannati rosolate sulle fiamme dell'inferno come in un barbecue hawaiano, fumo e diavoli spaventosi dappertutto), Keawe cede alla sua cupidigia e ottiene dal diavolo una splendida casa e denaro sufficiente per una vita di agi. Quando riesce a vendere la bottiglia, si sente finalmente in salvo. Ma il diavolo non abbandona facilmente le sue prede. Il tempo passa e Keawe si innamora della dolcissima Kokua, ma proprio prima delle nozze scopre di essersi ammalato di lebbra. E così, contrariamente a quello che si era riproposto, egli dovrà di nuovo ricorrere ai favori della bottiglia maledetta. Ma, quando finalmente riesce a rintracciarla, questa ha cambiato così tante mani e il suo prezzo è così basso che chi la compera non riuscirà più a rivenderla. Nonostante tutto, Keawe è così innamorato da rischiare la dannazione eterna. Ma il matrimonio non è felice: Keawe ha sempre davanti agli occhi le fiamme dell'inferno e trascura la giovane moglie, che finisce con l'attribuire a una sua mancanza l'atteggiamento del marito. Quando finalmente Keawe trova il coraggio di confessare alla moglie ciò che lo tormenta, la giovane donna, forte della buona educazione ricevuta alla scuola dei bianchi, convince il marito a partire per Tahiti, colonia francese, dove ci sono monete sottomultipli del cent americano: avranno così la possibilità di altre compravendite. Ma le persone avvicinate, appena scoprono il terribile prezzo da pagare, fuggono via inorridite, mentre Keawe sprofonda in una disperazione senza fine. Kokua, allora, grazie ad uno stratagemma, compra lei stessa la bottiglia, pur di vedere felice l'uomo che ama. Ma ora tocca a lei essere tormentata dalla consapevolezza della dannazione eterna al punto da non riuscire a condividere la ritrovata serenità del marito. Questo atteggiamento indispettisce l'ignaro Keawe, che pensa di aver venduto la bottiglia ad uno sconosciuto. A questo punto, sarà proprio Kokua a mettere il marito di fronte alla sua ambiguità morale:

O my husband!" said Kokua. "It is not a terrible thing to save oneself by the eternal ruin of another? It seems to me I could not laugh. I would be humbled. I would be filled with melancholy. I would pray for the poor holder."
 
Salvare la propria anima al prezzo della rovina eterna di qualcun altro: la consapevolezza della loro cinica condotta morale potrebbe essere la perfetta conclusione dell'apologo racchiuso in questa storia. Ma non dimentichiamo che questa è anche una fiaba, dove magia e realtà convivono sullo stesso piano, spingendo il destino dei Keawe e Kokua verso una felice conclusione. E qui entra in scena un quanto mai improbabile deus ex machina, un nostromo bianco ubriacone e brutale, autentico pendaglio da forca, che permetterà alla fiaba di avere il suo immancabile happy end, lasciando il diavolo a bocca asciutta!


                            
                        IL DIAVOLO NELLA BOTTIGLIA
                            di Louis Robert Stevenson


AITUTAKI - DONNA SULLA SPIAGGIA


C'era un uomo dell'isola di Hawaii 1, che chiamerò Keawe, perché, a dire il vero, è ancora vivo e il suo nome deve rimanere segreto, ma il suo luogo di nascita non era lontano da Honaunau, dove le ossa di Keawe 2 il grande giacciono nascoste in una caverna. Quest'uomo era povero, coraggioso e laborioso e sapeva leggere e scrivere come un maestro di scuola, inoltre, era un marinaio di prim'ordine: aveva navigato per un certo tempo sui battelli a vapore dell'isola e lavorato come timoniere in una nave baleniera lungo e coste di Hamakua. A lungo andare, nella mente di Keawe si fece strada l'idea di dare un'occhiata al vasto mondo e alle città straniere, così si imbarcò su un vascello diretto a San Francisco. 

                                                                                                                         
 Questa è una bella città, con un bel porto e una quantità di gente ricca, in particolare, c'è una collina che è tutta coperta di palazzi. Proprio su questa collina, un giorno, Keawe stava passeggiando, con le tasche piene di soldi, ammirando le imponenti dimore da  una parte e dall'altra. “Come sono belle queste case!” pensava, “e come devono essere felici le persone che vi abitano, senza nessuna preoccupazione per il domani!” Con questo pensiero nella testa arrivò all'altezza di una casa che era più piccola delle altre, ma tutta ben rifinita e graziosa come un gingillo. I gradini di quella casa brillavano come l'argento, e i bordi del giardino sembravano ghirlande fiorite, mentre le finestre erano brillanti come diamanti, Keawe si fermò meravigliato davanti all'eccellenza di tutto quel che vedeva. Mentre era così fermo, si accorse di un uomo che guardava verso di lui attraverso una finestra tanto trasparente che Keawe poteva vederlo come si vede un pesce in una pozza d'acqua sugli scogli. L'uomo era anziano, calvo e con la barba nera, la sua faccia era grave di dolore e singhiozzava amaramente. E la verità è che mentre Keawe guardava dentro verso l'uomo e l'uomo guardava fuori verso Keawe, ciascuno invidiava l'altro. All'improvviso, l'uomo sorrise e annuì facendo cenno a Keawe di entrare e gli venne incontro sulla porta di casa. “Questa bella casa è mia,” disse l'uomo, sospirando amaramente. “Non le interesserebbe visitare le camere?” Così accompagnò Keawe per tutta la casa, dalla cantina al tetto, e non c'era niente che non fosse perfetto nel suo genere, e Keawe ne rimase stupefatto. “Davvero,” disse Keawe, “questa è una bella casa; se io vivessi in una simile a questa riderei tutto il giorno. Come mai, allora, state sospirando?”  “Non c'è motivo,” disse l'uomo, “per cui non dobbiate avere una casa del tutto simile a questa, se lo desiderate. Avete del danaro, suppongo?” “Ho cinquanta dollari,” disse Keawe, “ma una casa come questa costerà più di cinquanta dollari.” L'uomo fece un breve calcolo. “Mi dispiace che non ne abbiate di più,” disse, “perché in futuro potrebbe causarvi dei guai, ma sarà vostra per cinquanta dollari.” “La casa?”  chiese Keawe. “No, non la casa,” rispose l'uomo, “ma la bottiglia. Perché, devo confessarvi che, sebbene io vi sembri così ricco e fortunato, tutta la mia fortuna, questa stessa casa e il suo giardino, vengono fuori da una bottiglia non più grande di una pinta. Eccola qui.” E aprì un ripostiglio chiuso a chiave e tirò fuori una bottiglia panciuta con un lungo collo, di un vetro bianco  come il latte, con venature dai colori cangianti dell'arcobaleno. All'interno, qualcosa di oscuro che si muoveva, come ombra e fuoco.


NATURA MORTA – GIORGIO MORANDI, 1941

“Questa è la bottiglia,” disse l'uomo, e, quando Keawe rise, “Non mi credete?” aggiunse. “Provate voi stesso, allora. Vedete se riuscite a romperla.” Così Keawe sollevò la bottiglia e la scagliò sul pavimento fino a stancarsi, ma questa saltava sul pavimento come la palla di un bambino, senza rompersi. “E' proprio una cosa strana,” disse Keawe. “Perché a toccarla e a guardarla, la bottiglia dovrebbe essere di vetro.” “Ed è di vetro,” replicò l'uomo, sospirando ancora più profondamente, “ma il suo vetro è stato temperato nelle fiamme dell'inferno. Dentro ci vive un demone e quella è l'ombra che vediamo muoversi, o così credo. Questo demone è al servizio di chiunque comperi la bottiglia, tutto ciò che costui desidera – amore, fama, denaro, case come questa, sì, o una città come questa – basta che pronunci una parola, ed è tutto suo. Napoleone possedette questa bottiglia, e grazie ad essa riuscì a diventare il re del mondo, ma alla fine la vendette e fu sconfitto. Capitan Cook possedette questa bottiglia e grazie ad essa trovò la rotta per così tante isole, ma anche lui la vendette e fu trucidato sull'isola di Hawaii. Perché, una volta che la bottiglia è venduta, il potere e la protezione svaniscono e, a meno che uno non si accontenti di quello che ha, male gliene incoglierà.” “Eppure voi stesso parlate di venderla!” disse Keawe. “Ho tutto ciò che desidero, e poi, sto diventando vecchio,” replicò l'uomo. “C'è una cosa che il demone non può fare: non può prolungare la vita. Inoltre, e non sarebbe onesto nascondervelo, c'è un inconveniente con questa bottiglia; perché se un uomo muore prima di averla venduta, è condannato a bruciare all'inferno per l'eternità.” “Di certo, questo è senza dubbio un inconveniente,” esclamò Keawe. “Non voglio avere niente a che farci. Posso vivere senza una casa, grazie a Dio, ma c'è una cosa che assolutamente  non potrei mai fare, e cioè essere dannato.” “Povero me, non dovreste precipitare le cose in questo modo,” replicò l'uomo. “Tutto quello che dovete fare è usare il potere del demone con moderazione  e poi venderla a qualcun altro, come io faccio con voi, e finire i vostri giorni nell'agiatezza.” Ebbene, osservo due cose,” disse Keawe. “Continuate a sospirare come una fanciulla innamorata, e questa è una, per quanto riguarda l'altra, vendete la bottiglia ad un prezzo molto basso.” “Vi ho già detto prima perché sospiro,” disse l'uomo. “La ragione è che la mia salute sta peggiorando e, come avete detto voi stesso, morire e andare al diavolo è un guaio per tutti. Per quel che riguarda il prezzo basso, devo spiegarvi che c'è una peculiarità riguardo a questa bottiglia. Tanto tempo fa, quando il diavolo la portò per la prima volta sulla terra, era estremamente costosa, e all'inizio fu venduta al Prete Gianni 4 per molti milioni di dollari, ma non può essere assolutamente venduta, se non in perdita. Se viene venduta allo stesso prezzo pagato per comprarla, ritorna indietro come un piccione viaggiatore. Ne consegue che il prezzo ha continuato a scendere in tutti questi secoli, e la bottiglia adesso è estremamente a buon mercato. Io stesso la comprai da uno dei miei ottimi vicini su questa collina per solo novanta dollari. La potrei rivendere per ottantanove dollari e novantanove centesimi, ma non un penny di più, altrimenti quella mi ritorna indietro. Ora, a questo proposito ci sono altre due seccature. La prima è che quando offri una bottiglia così particolare per ottanta dollari e rotti, la gente pensa che tu stia scherzando. La seconda... ma non c'è fretta e non è necessario che entri nel merito. Solo ricordate che deve essere venduta in cambio di moneta coniata.” “Come faccio a sapere che questa storia è vera?” chiese Keawe. “Una parte potrete metterla  immediatamente alla prova,” rispose l'uomo. “Datemi i vostri cinquanta dollari, prendete la bottiglia ed esprimete il desiderio di riavere in tasca i vostri cinquanta dollari. Se non succede, giuro sul mio onore che dichiarerò nullo il nostro patto e vi restituirò i vostri soldi.” “Non mi state imbrogliando?” disse Keawe. L'uomo si impegnò con un solenne giuramento. “Bene, correrò questo rischio, “ disse Keawe, “Perché non potrà arrecarmi alcun danno.” Così diede il danaro all'uomo, e l'uomo gli consegnò la bottiglia. “Demone della bottiglia,” disse Keawe, “Rivoglio i miei cinquanta dollari.” E, in effetti, aveva appena finito di parlare che la sua tasca era piena come prima. “Di sicuro, è una bottiglia meravigliosa,” disse Keawe. “Ed ora, buon giorno a voi, caro amico, e che il diavolo accompagni voi invece che me!” disse l'uomo. “Un momento,” disse Keawe, “ Ne ho abbastanza di questo gioco. Ecco, riprendetevi la vostra bottiglia." “L'avete comprata per meno di quanto l'ho pagata,” rispose l'uomo, fregandosi le mani. “E' vostra, adesso. Da parte mia, la sola cosa che mi interessa è di vedere la vostra schiena.” Con questo, suonò il campanello per chiamare il suo cameriere cinese e fece accompagnare Keawe fuori dalla casa.                                                                                                                             Ora, quando Keawe fu in strada, con la bottiglia sotto il braccio, cominciò a riflettere. “Se è tutto vero riguardo alla bottiglia, forse ho fatto un cattivo affare,” pensò. “Ma forse quell'uomo mi stava solo prendendo in giro.” La prima cosa che fece fu di contare il suo danaro, la somma era esatta: quarantanove dollari americani e una moneta cilena. “Questa parte della storia sembra vera,” disse Keawe, “ Adesso voglio verificarne un'altra parte.” Le strade in quella parte della città erano pulite come il ponte di una nave, e, sebbene fosse mezzogiorno, non c'era nessuno in giro. Keawe mise la bottiglia nel canale di scolo e andò via. Si guardò indietro due volte, e la panciuta bottiglia bianco latte era lì dove l'aveva lasciata. Si voltò indietro una terza volta, e poi girò l'angolo, ma subito dopo sentì qualcosa battere contro il gomito, ed ecco! Era il lungo collo della bottiglia che sporgeva fuori, mentre la pancia era infilata nella tasca della sua giacca da marinaio. “E anche questa parte della storia è vera,” disse Keawe. La terza cosa che fece fu di comprare un cavatappi, poi si appartò in un luogo nascosto nei campi dove cercò di tirare via il tappo. Ma ogni volta che metteva dentro il cavatappi, questo usciva fuori e il tappo era intatto come prima. “Deve essere in nuovo tipo di sughero,” disse Keawe, e tutto ad un tratto incominciò a tremare e sudare, perché aveva paura della bottiglia. Mentre tornava al porto, vide un negozio dove un uomo vendeva conchiglie e bastoni provenienti dalle isole selvagge, vecchie divinità pagane, monete antiche, dipinti dalla Cina e dal Giappone, e tutta quella sarta di cose che i marinai portano nei loro bauli. E qui gli venne un'idea. Così entrò e offrì la bottiglia per cento dollari. Dapprincipio, l'uomo del negozio gli rise in faccia e gliene offrì cinque, ma, in effetti, era una bottiglia singolare, un vetro così non era mai stato soffiato in nessuna vetreria umana, con i colori che trasparivano così delicatamente sotto il bianco latte e dentro quell'ombra che si muoveva in maniera così strana; così, dopo aver mercanteggiato per un po' alla maniera di quelli della sua categoria, il negoziante diede a Keawe sessanta dollari d'argento per quell'oggetto, e lo sistemò su uno scaffale al centro della vetrina. “Ora,” disse Keawe, “Ho venduto per sessanta dollari quello che ho comprato per cinquanta - anzi, a dire il vero, un po' meno, perché uno dei miei dollari era cileno. Adesso scoprirò la verità anche su quest'altro punto.” Così se ne ritornò a bordo della sua nave e, quando aprì il suo baule, c'era la bottiglia, che era arrivata ancora prima di lui. A bordo della nave Keawe aveva un amico che si chiamava Lopaka. “Cosa ti affligge?” disse Lopaka, “perché continui a guardare dentro il tuo baule?”  Erano soli negli alloggi dell'equipaggio della nave e Keawe gli fece promettere di mantenere il segreto, quindi gli raccontò tutto. “E' una faccenda davvero strana,” disse Lopaka, “e ho paura che ti troverai nei guai a causa di questa bottiglia. Ma una cosa è chiara: dal momento che i guai sono certi, faresti meglio a trarre profitto da questo affare. Decidi cosa vuoi ottenere grazie ad essa, dai l'ordine e, se succede quello che tu desideri, io stesso comprerò la bottiglia; infatti, ho in mente l'idea di comprarmi uno schooner 5 e di commerciare attraverso le isole.”  “Non  è questa la mia idea,” disse Keawe, “ma avere una bella casa con un giardino sulla costa di Konavi, dove sono nato, il sole che invade l'ingresso, fiori nel giardino, vetri alle finestre, quadri alle pareti, e gingilli e bei tappeti sui tavoli, proprio come la casa dove sono stato oggi, solo un piano più alto e con balconi tutto intorno come il palazzo di un re, per viverci senza preoccupazione e fare baldoria con amici e parenti.”

Topsail schooner Olwen owned by W.A. Munn & Co., 1896

 “Bene,” disse Lopaka, “portiamola con noi alle Hawaii, e se tutto si avvererà, come tu supponi, comprerò la bottiglia, come ho detto, e chiederò uno schooner.” Si misero d'accordo su questo punto poco prima che la nave arrivasse ad Honolulu con a bordo Keawe, Lopaka e la bottiglia.                    
     Erano appena sbarcati, quando incontrarono un amico sulla spiaggia, che iniziò subito a fare le condoglianze a Keawe. “Non so proprio perché mi fai le condoglianze,” disse Keawe. “Possibile che non hai sentito,” disse l'amico, “che tuo zio, quel buon vecchio, è morto, e che tuo cugino, quel bel ragazzo, è annegato in mare?” Keawe fu sopraffatto dal dolore e, incominciando a piangere e a lamentarsi, dimenticò la bottiglia. Ma Lopaka pensava tra sé e sé, e dopo un po', appena il dolore di Keawe si fu alquanto calmato, “Ho riflettuto,” disse Lopaka, “tuo zio non aveva delle terre nell'isola di Hawaii, nel distretto di Kau?” “No,” disse Keawe, “ non a Kau, sono sul fianco della montagna, poco più a sud di Hookena.” “Queste terre saranno tue, ora?” chiese Lopaka. “Proprio così,” desse Keawe, e ricominciò a piangere i suoi parenti. “No,” disse Lopaka, “non dolerti adesso. Mi è venuta in mente una cosa. E se tutto questo avesse a che fare con la bottiglia? Ecco infatti il posto pronto per la tua casa.” “Se è così,” gridò  Keawe, “E' un modo davvero malvagio di servirmi, quello di uccidere i miei parenti. Tuttavia, potrebbe essere, perché è proprio quello il luogo dove io vedevo la mia casa con gli occhi della mente.” “La casa, tuttavia, non è ancora costruita,” disse Lopaka. “No, né è probabile che lo sia!” disse Keawe, “Perché, sebbene mio zia abbia delle piante di caffè, kavavii e banane, questo non sarà sufficiente a farmi vivere confortevolmente e il resto di quella terra è lava nera.” “Andiamo dall'avvocato,” disse Lopaka “Ho ancora quest'idea in testa.” Ora, quando arrivarono dall'avvocato, si scoprì che lo zio di Keawe era diventato mostruosamente ricco di recente e che c'era un mucchio di danaro. “Ed ecco il denaro per per la casa!” gridò Lopaka. “Se state pensando ad una nuova casa,” disse l'avvocato,  ecco il biglietto da visita di un nuovo architetto, di cui si dicono grandi cose.” “Di bene in meglio!” gridò Lopaka. “Ora tutto è chiaro.  Continuiamo ad obbedire agli ordini.” Così andarono dall'architetto, il quale aveva sul tavolo diversi disegni di case. “Volete qualcosa che sia fuori dall'ordinario,” disse l'architetto. “Che pensate di questo?” e diede un disegno a Keawe. Ora, quando Keawe posò gli occhi sul disegno, si lasciò sfuggire un grido, perché era l'esatta copia di quello che aveva in mente. “Accetto questa casa,” pensò. “Sebbene mi piaccia poco il modo in cui mi giunge, adesso l'accetto e posso accettare il bene insieme al male.” Così disse all'architetto tutto quello che desiderava: come voleva che la casa fosse arredata, quali quadri alle pareti e i gingilli sui tavoli e, molto francamente, chiese all'uomo  per quale somma avrebbe accettato l'incarico. L'architetto fece molte domande, prese la penna e fece un calcolo, quando ebbe finito nominò esattamente la somma che Keawe aveva ereditato. Lopaka e Keawe si guardarono l'un l'altro e annuirono. “E' chiaro,” pensò Keawe, “che questa casa deve essere mia, che lo voglia o no. Viene dal diavolo, e temo che non me ne verrà un gran bene e di una cosa sono sicuro, non esprimerò più desideri finché questa bottiglia sarà mia. Ma con questa casa ho accettato il fardello e posso accettare il bene insieme al male.” Così fece i suoi patti con l'architetto e firmarono un contratto, quindi, Keawe e Lopaka si imbarcarono di nuovo e salparono per l'Australia; perché era stato stabilito che non dovessero interferire, ma lasciare che l'architetto e il demone della bottiglia costruissero e adornassero la casa a loro piacere. Il viaggio fu tranquillo, ma Keawe trattenne il fiato per tutto il tempo, perché aveva giurato che non avrebbe più espresso alcun desiderio e non avrebbe più accettato favori dal diavolo. Quando tornarono, il tempo stabilito era scaduto. L'architetto gli disse che la casa era pronta, e Keawe e Lopaka presero un passaggio sul piroscafo Hall e andarono giù verso Kona per vedere la casa e controllare che tutto fosse stato fatto correttamente secondo i desideri di Keawe.                                                                                                                Ora, la casa si trovava sul fianco della montagna, visibile alle navi. Sopra, la foresta correva su fino alla nuvole cariche di pioggia; sotto, la lava nera formava delle scogliere, dove erano le sepolture degli antichi re. Intorno alla casa c'era un giardino ricco di fiori di ogni colore,  da un lato c'era una piantagione di papaie, dall'altro una  di alberi del pane 6, mentre proprio davanti, verso il mare, era stato issato l'albero di una nave come portabandiera. In quanto alla casa, questa era alta tre piani, e su ognuno c'erano grandi camere e ampi balconi. Le finestre erano di un vetro così eccellente che era chiaro come l'acqua e luminoso come il giorno. Ogni genere di mobili adornava le camere. Quadri con cornici d'oro erano appesi alle pareti: immagini di navi, di uomini che combattevano, delle donne più belle e dei posti più incredibili; in nessun altra parte del mondo c'erano immagini dai colori così brillanti come quelle che Keawe aveva trovato appese nella sua casa. In quanto ai soprammobili, essi erano straordinariamente raffinati; orologi con meccanismi musicali e carillon, omini  che muovevano la testa, libri pieni di immagini, armi di pregio da ogni latitudine del mondo, e i giochi di pazienza più eleganti per ingannare il tempo libero di un uomo solitario. E dal momento che a nessuno potrebbe interessare di vivere in quelle camere, ma solo di passeggiarci per ammirarle, i balconi erano così ampi che un'intera città avrebbe potuto viverci in allegria, e Keawe non sapeva cosa preferire, se il portico sul retro, dove si godeva la brezza di terra e si vedevano le piantagioni e i fiori, o il balcone sul davanti, dove si poteva bere il vento del mare e guardare  giù, lungo il fianco ripido della montagna e vedere la Hall passare circa un volta alla settimana tra Kookena e le colline di Pele, o gli schooner battere la costa per caricare legname, kava 7 e banane.

                            Paul Gauguin – Casa dell'artista - Tahiti, 1895

Dopo aver ispezionato tutto, Keawe e Lopaka si sedettero sotto il porticato. “Allora,” chiese Lopaka, “è tutto come avevi progettato?” “Non è possibile esprimerlo a parole,” disse Keawe, “è di gran lunga superiore a quello che avevo sognato, e sono soddisfatto da morire.” “C'è ancora una cosa da considerare,” disse Lopaka,” “è possibile che tutto questo sia una cosa naturale e che il demone della bottiglia non c'entri per niente. Se dovessi comprare la bottiglia senza ottenere lo schooner, avrei messo la mia mano sul fuoco per niente. Ti ho dato la mia parola, lo so, tuttavia, penso che non dovresti negarmi un'altra prova.” “Ho giurato che non avrei chiesto altri favori,” disse Keawe, “sono già andato andato abbastanza oltre.” “Non sto pensando a nessun favore,” rispose Lopaka. “Si tratta solo di vedere il demone in persona. Non c'è niente da guadagnarci in questo modo, e niente di cui vergognarsi, e poi, se potessi vederlo solo una volta, sarei sicuro che è tutto vero. Così, ti chiedo di essere indulgente con me fino a questo punto e permettermi di vedere il demone, dopo di che, ecco il denaro nella mia mano, e lo comperò.” “C'è solo una cosa di cui ho paura,” disse Keawe. “Il demone potrebbe essere veramente brutto  e una volta che l'hai visto, potresti non avere più voglia della bottiglia.” “Sono un uomo di parola,” disse Lopaka.”Ecco qui, metto il denaro in mezzo a noi.”  “Molto bene,” rispose Keawe, “Anche io sono curioso. Così vieni, lasciati guardare, signor demone.”  Ora, appena questa frase fu pronunciata, il demone apparve fuori dalla bottiglia, e poi di nuovo dentro, veloce come una lucertola, e  Keawe e Lopaka rimasero seduti completamente pietrificati. La notte era ormai fonda, prima che uno dei due riuscisse a trovare un pensiero da dire o a trovare la voce per esprimerlo, quindi, Lopaka consegnò il denaro e prese la bottiglia. “Io sono un uomo di parola,” disse, “ ed è un bene che lo sia, altrimenti non toccherei questa bottiglia con un piede. Bene, prenderò il mio schooner e qualche dollaro da mettere in tasca, poi mi libererò di questo demone più in fretta possibile. Perché, a dirti tutta la verità, la sua vista mi ha buttato giù.” “Keawe,” disse Lopaka, “pensa di me il meno peggio che puoi, lo so che è notte, che le strade sono cattive e che il passo vicino alle tombe è un posto pericoloso da attraversare ad un'ora così tarda, ma ti confesso che da quando ho visto quella piccola faccia, non riuscirò a mangiare o a dormire o a pregare finché non sarà lontana da me. Ti darò una lanterna, un cesto per metterci dentro la bottiglia e uno qualunque dei quadri o dei soprammobili nella mia casa che abbia catturato la tua fantasia, purché tu te ne vada via immediatamente e resti a dormire ad Hookena con Nahinu.” “Keawe,” disse Lopaka. “molti se ne avrebbero a male, soprattutto perché ti sto facendo un favore così grande nel mantenere la mia parola e comprare la bottiglia, e proprio per questo, la notte, il buio e la strada lungo le tombe, devono essere dieci volte più pericolosi per un uomo con un tale peccato sulla coscienza e una simile bottiglia sotto il braccio. Ma da parte mia, sono così terrorizzato io stesso, che non ho il cuore di biasimarti. Me ne vado subito e prego Dio che tu possa essere felice nella tua casa, e io fortunato col mio schooner e che alla fine tutti e due si vada in paradiso a dispetto del diavolo e della sua bottiglia.” Così Lopaka scese giù per la montagna, e Keawe rimase sul balcone davanti ad ascoltare il tintinnio degli zoccoli del cavallo e a guardare la lanterna risplendere giù per il sentiero e lungo la scogliera con le grotte dove erano seppelliti gli antichi re, e continuò a tremare per tutto il tempo, a giungere le mani e a pregare per il suo amico e a rendere grazie a Dio per essere sfuggito a quel guaio.                                                           
    Ma il giorno dopo giunse luminosissimo e quella sua nuova casa era così deliziosa da guardare che dimenticò le sue paure. I giorni si susseguivano e Keawe abitava lì in perpetua gioia. Il suo posto preferito era il portico sul retro, era lì che mangiava, viveva e leggeva le storie nei giornali di Honolulu, se arrivava qualcuno, andavano dentro e ammiravano le camere e i quadri. E la fama della casa si sparse in lungo e in largo, era chiamata Ka-Hale-Nu - la Grande Casa – per tutta Kona, altre volte la Casa Splendente, perché Keawe aveva un cameriere cinese che stava tutto il giorno a spolverare e lucidare, e i vetri, le dorature, gli oggetti raffinati e i quadri, brillavano luminosi come il giorno. In quanto a Keawe, non poteva passeggiare nelle camere senza cantare, tanto gli si era allargato il cuore e quando passavano le navi, faceva issare la sua bandiera sul pennone. Così passava il tempo, finché un giorno Keawe andò fino a Kailua per fare visita a certi suoi amici. Lì fu trattato con ogni riguardo e il giorno dopo partì il più presto possibile, cavalcò a spron battuto, perché era impaziente di ammirare la sua bella casa, in più, la notte successiva era quella in cui i morti dei tempi antichi vagavano lungo i pendii di Kona e avendo già avuto a che fare con il diavolo, era ancor più cauto ad incontrare i morti. Poco dopo Honaunau, guardando in lontananza, si accorse di una donna che faceva il bagno in riva al mare, sembrava una ragazza di belle forme, ma non prestò troppa attenzione. Ma poi vide svolazzare la sua sottoveste bianca mentre la indossava, quindi il suo rosso holokui 8 e quando arrivò alla sua altezza, questa aveva finito la sua toilette, era uscita dal mare e si era fermata sul ciglio della strada nel suo rosso holoku, tutta rinfrescata dal bagno e i suoi occhi erano luminosi e gentili. Appena Keawe la vide, tirò le redini.   “Pensavo di conoscere tutti in questo paese,” disse Keawe. “Come mai non conosco voi?” “Sono Kokua 9, figlia di Kiano,” disse la ragazza, “e sono appena tornata da Oahu. Voi chi siete?” “Vi dirò chi sono fra poco,” le rispose, scendendo da cavallo, “ma non ora. Perché ho in mente un pensiero e se voi sapeste chi sono, avreste potuto sentire parlar di me e non mi dareste una risposta sincera. Ma ditemi, prima di tutto, una cosa: siete sposata?” Al che Kokua rise forte. “Siete voi che fate le domande,” disse. “E voi, siete sposato?” “Sinceramente, Kokua, non lo sono,” rispose Keawe, “e non ci avevo mai pensato fino ad ora. Ma ecco la pura verità. Vi ho incontrata qui sul ciglio della strada, ho visto i vostri occhi, che sono come le stelle e il mio cuore se ne è venuto da voi veloce come un uccello. E così ora, se non volete saperne di me, ditelo e me ne andrò a casa mia, me se non mi considerate peggiore di qualunque altro giovane uomo, dite anche questo e io devierò fino a casa di vostro padre per la notte, e domani parlerò col buon uomo.” Kokua non disse nemmeno una parola, ma guardò verso il mare e rise. “Kokua,” disse Keawe, “se non dite niente, la prenderò come una risposta positiva, così rechiamoci alla porta di vostro padre.” 

              Paul Gauguin – Appuntamento nella piantagione di vaniglia, 1891

Lei lo precedette, ancora in silenzio, soltanto, ogni tanto guardava indietro e poi distoglieva lo sguardo e teneva il nastro del cappello in bocca. Ora, quando arrivarono alla porta, Kiano uscì sulla veranda, gridò e diede il benvenuto a Keawe chiamandolo per nome. Al che, la ragazza si girò a guardarlo, perché il nome della grande casa era giunto alle sue orecchie e, di sicuro, era una grande tentazione. Ci fu grande allegria per tutta la sera e la ragazza si comportò in maniera spavalda sotto gli occhi dei genitori, prendendosi gioco di Keawe, perché era una ragazza arguta. Il giorno dopo parlò con Kianu, poi trovò la ragazza sola. “Kokua,” disse, “vi siete presa gioco di me per tutta la sera, e siete ancora in tempo a dirmi di andare via. Non vi ho voluto dire chi sono, perché ho una casa così bella e temevo che avreste avuto troppa considerazione per la casa e troppo poca per l'uomo che vi ama. Ora sapete tutto e se volete che questa sia l'ultima volta che ci vediamo, ditelo subito.” “No,” disse Kokua, e questa volta non rise, né Keawe le chiese altro. Questo fu il corteggiamento di Keawe, le cose erano andate velocemente, ma così va una freccia e la palla di un fucile è ancora più veloce, tuttavia, entrambe possono colpire il bersaglio. Le cose erano andate in fretta, ma erano anche andate lontano e il pensiero di Keawe risuonava nella testa della fanciulla, sentiva la sua voce nelle onde che si infrangevano sulla lava e per questo giovane uomo che aveva visto appena due volte, avrebbe abbandonato il padre, la madre e le sue isole natie. In quanto allo stesso Keawe, il suo cavallo volava su per il sentiero della montagna sotto la scogliera delle tombe e il suono degli zoccoli, insieme al suono di Keawe che cantava  di gioia tra sé e sé, echeggiavano nelle caverne dei morti. Quando arrivò alla Casa Splendente, stava ancora cantando. Si sedette e mangiò sull'ampio balcone e il cameriere cinese si meravigliava del suo padrone, nel sentire come cantava tra un boccone e l'altro. Il sole tramontò nel mare e arrivò la notte e Keawe camminò sui balconi alla luce delle lampade, in alto sulle montagne e il suo canto fece trasalire gli uomini sulle navi. “Eccomi su questo luogo elevato,” diceva a sé stesso. “La vita non potrebbe essere  migliore, questa è la cima della montagna e ogni cosa intorno a me digrada verso il peggio. Per la prima volta illuminerò le stanze e farò il bagno nella mia bella vasca con l'acqua calda e fredda e dormirò da solo nel letto della mia camera nuziale. Così il cinese fu chiamato e dovette alzarsi dal sonno e accendere le fornaci e mentre si dava da fare di sotto, vicino alle caldaie, sentì il suo padrone che cantava e gioiva sopra di lui nelle stanze illuminate. Quando l'acqua incominciò a scaldarsi, chiamò il padrone e Keawe andò nel bagno, il cinese lo sentì cantare mentre riempiva la vasca di marmo, lo sentì cantare mentre si spogliava, ma il canto era spezzato, finché, all'improvviso, la canzone cessò del tutto. Il cinese rimase in ascolto, quindi chiamò verso i piani alti della casa  per chiedere a Keawe se tutto andava bene e Keawe gli rispose “Sì,” e gli ordinò di andare a letto, ma non ci fu più nessun canto nella Casa Splendente, per tutta la notte il cinese sentì i passi del padrone andare torno torno i balconi senza sosta. Ora, la verità era questa: mentre Keawe si spogliava per fare il bagno, vide sulla sua carne una macchia simile a quella di un lichene su una roccia e fu a questo punto che smise di cantare. Perché conosceva l'aspetto di quella macchia e sapeva che si era preso il male cinesexi. Ora, è una cosa triste per qualunque uomo prendere questa malattia. E sarebbe una cosa triste per chiunque lasciare una casa così bella e spaziosa e separarsi da tutti gli amici per trasferirsi sulla costa nord di Molokaixii tra le scogliere possenti e i frangenti marini. Ma cosa era tutto ciò se paragonato alla situazione di Keawe, lui che aveva incontrato il suo amore appena ieri, che l'aveva conquistata solo quella mattina ed ora vedeva infrangersi tutte le sue speranze, in un attimo, come un pezzo di vetro?
“Molto volentieri potrei lasciare le Hawaii, la terra dei miei padri,” pensava Keawe. “A cuor leggero potrei lasciare la mia casa, con la sua  posizione elevata, con le sue molte finestre, qui sulle montagne. Molto coraggiosamente potrei andare a Molokai, a Kalaupapa 10 presso le scogliere, per vivere con quelli colpiti dalla malattia e dormire lì, lontano dai miei parenti. Ma che male ho fatto, che peccato grava sulla mia anima, per cui io abbia dovuto incontrare Kokua uscire fresca dall'acqua di mare nella sera? Kokua, che cattura l'anima! Kokua, la luce della mia vita! Lei che non potrò mai sposare, lei su cui non potrò mai più posare lo sguardo, lei che non potrò più toccare con mano amorevole, ed è per questo, è per te, o Kokua, che mi lamento amaramente!” Ora, dovete considerare che sorta di uomo era Keawe, perché avrebbe potuto vivere lì, nella Casa Splendente per anni, e nessuno si sarebbe accorto della sua malattia, ma a lui non importava niente di questo, se doveva perdere Kokua. E ancora, avrebbe potuto sposare Kokua anche così come era e molti lo avrebbero fatto, perché avevano l'anima di un maiale, ma Keawe l'amava lealmente e non le avrebbe mai fatto del male e mai l'avrebbe messa in pericolo.  Poco dopo la mezzanotte, gli ritornò in mente la bottiglia. Andò nel portico sul retro e rievocò il giorno in cui il diavolo aveva fatto capolino e quel pensiero gli raggelò il sangue nelle vene. “Cosa spaventosa è la bottiglia,” pensò Keawe, “e spaventoso è il demone, ed è un cosa spaventosa rischiare le fiamme dell'inferno. Ma quale altra speranza ho di curare la mia malattia e  di sposare Kokua? Come!” pensò, “avrei sfidato il diavolo una volta, solo per procurarmi una casa e non dovrei sfidarlo di nuovo per ottenere Kokua?”  A questo proposito, si ricordò che il giorno successivo la Hall sarebbe passata di ritorno per Honolulu. “E' li che devo andare prima di tutto,” pensò, “e vedere Lopaka.  Perché la mia migliore speranza ora è quella di ritrovare quella stessa bottiglia di cui sono stato così felice di liberarmi.”
Non riuscì a chiudere occhio nemmeno per un momento, il cibo gli si fermava nella gola, ma spedì una lettera a Kiano e poco prima che il piroscafo arrivasse, cavalcò lungo la scogliera delle tombe. Pioveva, il cavallo procedeva con difficoltà, guardò su verso le bocche nere delle caverne ed invidiò i morti che dormivano là dentro, senza più alcun problema, gli ritornò in mente come aveva galoppato di lì il giorno prima e ne fu frastornato. Così giunse a Hookena, e, come al solito, tutto il paese si era radunato lì in attesa del piroscafo. Sedevano sotto la tettoia davanti al negozio, scherzavano e si passavano le notizie, ma nel cuore di Keawe non c'era alcun argomento di cui parlare, egli sedeva in mezzo agli altri e guardava fuori alla pioggia che cadeva sulle case, ai flutti che si infrangevano tra gli scogli e i singhiozzi gli salivano in gola. “Keawe della Casa Splendente è giù di spirito,” dicevano  l'un l'altro. Ed era proprio così e non c'era da meravigliarsi. Quindi arrivò la Hall e la lancia lo portò a bordo. La parte posteriore della nave era piena di haole 11 che erano stati in visita al vulcano, come è loro abitudine, mentre la parte centrale era affollata di kanaka 12 e la parte anteriore di tori selvaggi da Hilo e di cavalli da Kau, ma Keawe sedeva in disparte da tutti, chiuso nel suo dolore e cercava con lo sguardo la casa di Kiano. Ed eccola lì,  bassa sulla costa, tra gli scogli neri, ombreggiata dalle palme da cocco, e  vicino alla porta c'era un holoku rosso, non più grande di una mosca, che andava avanti e indietro con l'operosità di una mosca. “Ah, regina del mio cuore,” gridò, “Metterò a repentaglio la mia cara anima pur di averti!” Subito dopo, calarono le tenebre, le cabine furono illuminate e gli haole sedettero a giocare a carte e a bere whisky secondo la loro abitudine, ma Keawe passeggiò sul ponte tutta la notte e tutto il giorno seguente e mentre navigavano sottovento di Maui o di Molokai, stava ancora andando avanti e indietro come un animale selvaggio in uno zoo. Verso sera oltrepassarono capo Diamond, e arrivarono al porto di Honolulu, Keawe si incamminò tra la gente e iniziò a chiedere di Lopaka. Sembrava che fosse diventato il proprietario di uno schooner – niente di meglio nelle isole – e si era avventurato fino a Pola-Pola o Kahiki, così non si poteva ottenere alcun aiuto da Lopaka. Keawe si ricordò di un suo amico, un avvocato della città (ma non posso dirvi il suo nome) e chiese di lui. Gli dissero che era diventato improvvisamente ricco e che aveva una bella casa nuova sulla spiaggia di Waikiki, questo mise un'idea nella testa di Keawe, chiamò un carrozzino a noleggio e si recò alla casa dell'avvocato. La casa era nuova di zecca, e gli alberi del giardino non erano più grandi di un bastone da passeggio e l'avvocato, quando venne, aveva l'aria di un uomo molto soddisfatto. “Cosa posso fare per servirvi?” disse l'avvocato. “Voi siete un amico di Lopaka,” rispose Keawe, “e Lopaka comprò da me un certo articolo e speravo che voi potevate aiutarmi a rintracciarlo.” La faccia dell'avvocato divenne molto scura. “Non fingerò di non capirvi, Mr. Keawe,” affermò, “ per quanto questa sia una brutta faccenda da trattare. Potete essere sicuro che non ne so niente, tuttavia, ho una certa idea, se voi andate a fare domande in un certo quartiere, penso che potrete  ottenere delle  informazioni.” E fece il nome di un uomo, che, di nuovo, farei meglio a non ripetere. Fu così per giorni e Keawe andò dall'uno all'altro, trovando ogni volta abiti nuovi e carrozze, belle case nuove e dappertutto uomini in gran contentezza, anche se, a dire il vero, quando accennava alla sua faccenda, le loro facce si rannuvolavano. “Senza dubbio, sono sulla pista giusta,” pensò Keawe. “Questi abiti nuovi e le carrozze sono tutti doni del piccolo demone e queste facce felici sono le  facce di uomini che hanno ottenuto il loro profitto e si sono liberati di quella cosa maledetta senza rischi. Quando vedrò guance pallide e sentirò sospirare, saprò di essere vicino alla bottiglia.” Alla fine fu indirizzato ad un haole di Beritania Street. Quando arrivò alla porta, intorno all'ora di cena, c'erano i soliti segni della casa nuova, del giardino appena piantato e le luci elettriche che brillavano nelle finestre, ma quando arrivò il proprietario, Keawe fu attraversato da un brivido di speranza e paura, perché davanti a lui c'era un giovane uomo, bianco come un cadavere, con gli occhi cerchiati di nero, i capelli che gli cadevano dalla testa e l'espressione di chi sta aspettando di andare al patibolo. “E' qui, di sicuro,” pensò Keawe, così, non nascose affatto il motivo della sua venuta al giovanotto. “Sono venuto per comprare la bottiglia,” disse. A quella parole, il giovane  haole di Beritania Street si appoggiò barcollante al muro. “La bottiglia!” ansimò. “Comprare la bottiglia!” Quindi, sembrò soffocare e, afferrando Keawe per il braccio, lo portò in una stanza e versò del vino in due bicchieri. “I miei rispetti” disse Keawe, che a suo tempo aveva frequentato parecchio gli haole. “Sì,” aggiunse, “Sono venuto per comprare la bottiglia. Qual'è il prezzo, ora?” A quella parola il giovane uomo lasciò scivolare il bicchiere tra le dita e guardò  Keawe come ad un fantasma. “Il prezzo,” disse, “il prezzo! Non sapete il prezzo” .”  “Per questo ve lo sto chiedendo,” replicò Keawe. “Ma perché siete tanto preoccupato? C'è qualcosa che non va con il prezzo?” “Ha perso molto valore dai vostri tempi, Mr. Keawe,” disse il giovane, balbettando. “Bene, bene, dovrò pagare di meno per averla,” disse Keawe, “Quanto vi è costata?” Il giovane diventò bianco come un lenzuolo. “Due centesimi,” disse. “Cosa?” gridò Keawe, “due centesimi? Ma, allora, potete venderla solo per uno. E quello che la compera...” Le parole morirono sulla lingua di Keawe, chi la comprava non avrebbe mai potuto rivenderla, la bottiglia e il demone dovevano restare con lui fino alla morte e quando sarebbe morto, lo avrebbero trascinato nel fondo rosso dell'inferno. Il giovane di Beritania Street cadde in ginocchio, “Per amor di Dio, compratela!” gridò “Potrete avere in più tutta la mia fortuna. Ero pazzo quando l'ho comprata a quel prezzo. Avevo sottratto del danaro al mio negozio, altrimenti, ero perso, sarei dovuto andare in galera.” “Povera creatura,” disse Keawe, ”rischiereste la vostra anima in un'avventura così disperata per evitare la giusta punizione della vostra infamia e voi pensate che potrei esitare di fronte all'amore. Datemi la bottiglia e il resto che di sicuro avete già preparato. Ecco un pezzo da cinque centesimi.” Era come aveva supposto Keawe, il giovane aveva il resto pronto in un cassetto, la bottiglia cambiò mani e le dita di Keawe non avevano ancora afferrato la bottiglia per il collo, che egli espresse il desiderio di essere un uomo sano. E, di sicuro, quando ritornò nella sua camera e si spogliò davanti allo specchio, la sua carne era integra come quella di un bambino. Ed  ecco la cosa strana: non appena ebbe visto questo miracolo, qualcosa cambiò dentro di lui e non gli importò più niente del male cinese e abbastanza poco di Kokua, non aveva che un solo pensiero e cioè che era legato al demone della bottiglia ora e per sempre e non aveva miglior speranza se non quella di essere un tizzone nelle fiamme dell'inferno per l'eternità. Con la sua immaginazione le vide divampare lontano davanti a sé e la sua anima si ritrasse e le tenebre piombarono sulla luce. Quando Keawe si fu alquanto ripreso, si rese conto che quella era la notte in cui la banda suonava all'hotel. Vi si recò, perché aveva paura di rimanere solo, e là tra le facce felici, camminò avanti e indietro, sentì la musica salire e scendere, vide Berger 13 battere il ritmo, ma per tutto il tempo sentì crepitare le fiamme dell'inferno e vide il fuoco rosso bruciare in quel pozzo senza fondo. All'improvviso, la banda suonò Kiki-au-ao, che era la canzone che aveva cantato con Kokua e il coraggio gli ritornò. “Ormai è  fatta,” pensò, “e ancora una volta prenderò il bene insieme al male.” Così successe che ritornò ad Hawaii con il primo piroscafo e, appena possibile, sposò Kokua e la portò sulla montagna, nella Casa Splendente.
Ora, fra loro due andava così: quando erano insieme, il cuore di Keawe si tranquillizzava, ma appena gli succedeva di essere solo, cadeva in un cupo  orrore,  sentiva crepitare le fiamme e vedeva il rosso fuoco bruciare nel pozzo senza fondo. La ragazza, invece, si era data a lui completamente, il cuore le balzava in petto alla sua vista, lo teneva per mano ed era così fatta dai capelli sulla testa, fino alle unghie dei piedi, che nessuno poteva guardarla senza gioire. Era di natura piacevole. Aveva sempre una buona parola. Era piena di canzoni e andava avanti e indietro nella Casa Splendente, lei che era la più splendente cosa in quei tre piani, cantando come un uccello. E Keawe la guardava e la ascoltava deliziato, poi doveva  mettersi in disparte a piangere  e a gemere pensando al prezzo che aveva dovuto pagare per averla, infine, si doveva asciugare gli occhi, lavarsi la faccia e andare a sedersi con lei sugli ampi balconi, cantando insieme a lei e rispondendo ai suoi sorrisi con la morte nel cuore. Arrivò un giorno in cui i passi di lei incominciarono a farsi pesanti e le sue canzoni più rare e ora non era soltanto Keawe a piangere di nascosto, ma erano soliti separarsi l'uno dall'altro e sedere su balconi opposti mettendo nel mezzo tutta l'ampiezza della Casa Splendente.  Keawe era così sprofondato nella sua disperazione, che notò a mala pena il cambiamento, era solamente felice di avere più ore a disposizione per sedere da solo a rimuginare sul suo destino e di non essere condannato così spesso a calare un volto sorridente su un cuore dolente. Ma un giorno, percorrendo silenziosamente la casa, sentì il suono di un bambino che singhiozzava e trovò Kokua che rotolava  la faccia sul pavimento del balcone e piangeva perdutamente. “Fai bene a piangere in questa casa, Kokua,” disse. “Eppure, mi farei tagliare la testa affinché tu (almeno) potessi essere felice.” “Felice!” gridò lei. “Keawe, quando tu vivevi da solo nella tua Casa Splendente, nell'isola il tuo nome era la parola per indicare un uomo felice; nella tua bocca c'erano risate e canzoni e la tua faccia era luminosa come l'alba. Poi sposasti la povera Kokua, solo il buon Dio sa cosa c'è di sbagliato in lei, ma da quel giorno tu non hai più sorriso. Ah!” gridò, “cosa mi manca? Pensavo di essere graziosa e sapevo di amarlo. Cosa mi manca per aver gettato questa nuvola su mio marito?”  “Povera Kokua,” disse Kewe. Si mise a sedere al suo fianco e cercò di prenderle la mano, ma lei la tirò via. “Povera Kokua,” disse di nuovo. “Mia povera bambina, mia graziosa. E io che pensavo per tutto questo tempo di proteggerti! Adesso, saprai tutto. Così, almeno, avrai pietà del povero Keawe e capirai quanto ti ha amata in passato – al punto di rischiare l'inferno pur di averti – e quanto ti ami ancora ( il povero condannato), tanto che può ancora richiamare un sorriso quando ti guarda.


P. Gauguin - Malinconia o la donna col vesstito rosso, 1891

Così, le disse  tutto, fin dall'inizio. “Hai fatto questo per me?” gridò. “Ah, allora, di cosa mi preoccupo!” e si strinse a lui e pianse. “Ah, bambina!” disse Keawe, “eppure, quando penso al fuoco dell'inferno, mi preoccupo tantissimo!” “Non dirmelo,” gli rispose, “nessun uomo potrà perdersi perché ha amato Kokua, senza avere altra colpa. Ti dico, Keawe, che ti salverò con queste mani, o perirò insieme a te. Come! Tu mi hai amata tanto da dare via la tua anima, e pensi che io non morirò per salvarti, in cambio?” “Ah, mia cara! Potresti morire cento volte, che differenza farebbe?” gridò “se non  lasciarmi solo finché arriverà il tempo della mia dannazione?” “Tu non sai niente,” gli disse. “Sono stata educata in una scuola di Honolulu, non sono una ragazza qualunque. E io ti dico che salverò il mio amato. Che senso ha questo tuo parlare di centesimi? Ma non tutto il mondo è americano. In Inghilterra c'è una moneta che chiamano farthing14, che vale circa la metà di un centesimo. Ah! Che disperazione!” gridò, “questo non migliora molto le cose, perché il compratore sarà dannato e non troveremo nessuno coraggioso come il mio Keawe! Però c'è la Francia, lì hanno una monetina che chiamano centime, ce ne vogliono cinque per fare un cent, all'incirca. Non potremmo fare di meglio. Vieni, Keawe, andiamo alle isole francesi, andiamo a Tahiti 15, prendiamo la nave più veloce. Là avremo quattro centesimi, tre centesimi, due centesimi e un centesimo: quattro possibili vendite su cui muoverci e noi due a spingere la trattativa. Vieni, mio Keawe, baciami e scaccia ogni preoccupazione. Kokua ti difenderà.” “Dono di Dio!” gridò lui. “Non posso pensare che Dio voglia punirmi perché desidero un cosa così buona! Sia come tu vuoi, allora, portami dove ti piace: metto la mia vita e la mia salvezza nelle tue mani.” Il giorno dopo, di buon mattino, Kokua stava facendo i suoi preparativi. Così, prese il baule che Keawe aveva quando era marinaio e, prima di tutto, vi piazzò la bottiglia in un angolo, quindi lo riempì con gli abiti più sontuosi e i più scintillanti soprammobili della casa. “Perché” diceva, “dobbiamo sembrare ricchi, altrimenti chi crederà alla bottiglia?” Per tutto il tempo dei preparativi, fu allegra come un uccellino, solo quando guardava verso Keawe, le lacrime le sgorgavano dagli occhi e doveva correre a baciarlo. In quanto a Keawe, si era tolto un peso dall'anima  e sembrava un uomo nuovo ora che aveva condiviso il suo segreto e aveva qualche speranza davanti a sé: i suoi piedi camminavano sulla terra con leggerezza e il respiro gli era ritornato normale. Tuttavia, il terrore era ancora al suo fianco e, ogni tanto, come il vento spegne una candela, così la speranza moriva in lui e vedeva baluginare le fiamme e il fuoco rosso bruciare nell'inferno. Lasciarono detto in giro che erano andati in un viaggio di piacere negli Stati Uniti, cosa che fu considerata strana, eppure non così strana come la verità, se qualcuno avesse potuto indovinarla. Così andarono ad Honolulu con la Hall e da qui con la Umatilla fino a San Francisco con una folla di haoles, a San Fancisco presero un passaggio nel brigantino postale Tropic Bird diretto a Papetee, il capoluogo francese nelle isole del sud. Vi arrivarono, dopo un viaggio piacevole, in una bella giornata di alisei 16 e videro la scogliera e le onde che vi si infrangevano, Motuiti con le sue palme, lo schoner correre verso la terre ferma, le bianche case della città in basso lungo la riva tra gli alberi verdi e, in alto, le montagne e le nuvole di Tahiti, l'isola saggia.

PAUL GAUGUIN - MONTAGNE DI TAHITI, 1891

Fu giudicato più saggio affittare una casa, cosa che fecero di conseguenza, di fronte al consolato britannico, per fare gran  sfoggio di denaro, e si misero ben in vista con carrozze e cavalli. Questo fu facile da fare, dal momento che avevano la bottiglia in loro possesso, perché Kokua era molto più sfrontata di Keawe e ogni volta che ne aveva voglia, chiamava il demone per venti o cento dollari. Di questo passo, incominciarono presto a farsi notare in città, così gli stranieri delle Hawaii, le loro cavalcate, le loro uscite in carrozza, gli eleganti holoki e i ricchi merletti di Kokua, divennero l'oggetto di molte chiacchiere. Dopo un primo momento, presero familiarità con la lingua taitiana, che era molto simile a quella hawaiana, cambiando certe lettere, e non appena ebbero una certa facilità di linguaggio, incominciarono a proporre la bottiglia. Dovete considerare che non era un argomento facile da presentare, non era facile persuadere la gente che erano in buona fede quando gli offrivano di vendere per quattro centime la sorgente di salute e di inesauribili ricchezze. Inoltre, era necessario spiegare i pericoli della bottiglia, e la gente o non credeva all'intera faccenda e rideva, oppure considerava più importante la parte oscura, diventava  seria per la gravità della situazione e si allontanava da Keawe e Kokua, come da persone che avevano a che fare con il diavolo. Così, lungi dal guadagnare terreno, questi due incominciarono a scoprire di essere evitati in città, i bambini correvano via da loro gridando, una cosa intollerabile per Kokua, i cattolici si facevano la croce al loro passaggio e tutti incominciarono di comune accordo a districarsi dai loro approcci. La depressione cadde sui loro spiriti. Di notte, sedevano nella loro nuova casa dopo una giornata di stanchezza, senza scambiare una parola, oppure, il silenzio veniva rotto da Kokua che scoppiava improvvisamente in singhiozzi. A volte pregavano insieme, a volte mettevano la bottiglia sul pavimento e rimanevano seduti tutto il pomeriggio a guardare come l'ombra vi volteggiava dentro. In quelle occasioni, avevano paura di andare a riposare. Passava molto tempo prima che arrivasse il sonno. E se uno dei due si appisolava, era solo per svegliarsi e trovare l'altro che piangeva silenziosamente nel buio, o forse, per svegliarsi solo perché l'altro era fuggito dalla casa e dalla vicinanza della bottiglia, per passeggiare sotto i banani nel piccolo giardino, o vagare sulla spiaggia al chiaro di luna. Una notte le cose stavano così quando Kokua si svegliò. Keawe era andato via. Cercò nel letto e il suo posto era freddo. Quindi fu presa dalla paura e si mise a sedere nel letto. Un po' di luce lunare filtrava attraverso le imposte. La stanza era chiara e poteva vedere la bottiglia sul pavimento. Fuori il vento soffiava impetuoso, i grandi alberi del viale gemevano forte e le foglie cadute battevano rumorosamente sulla veranda. In mezzo a tutto questo Kokua percepiva un altro suono, se di bestia o di animale, faceva fatica a capirlo, ma era triste come la morte e la feriva fino nell'anima. Si alzò senza fare rumore, socchiuse la porta e guardò fuori verso il cortile illuminato dalla luna. Là, sotto i banani, giaceva Keawe, con la bocca nella polvere, e così disteso gemeva.  “Cielo”! Pensò, “come sono stata sconsiderata – e debole! E' lui, non io, a trovarsi in questo eterno pericolo, fu lui, non io, a prendere la maledizione sulla sua anima. E' per amor mio, per l'amore di una creatura di così poco valore e di così poco aiuto, che egli ora vede tanto vicine a lui le fiamme dell'inferno – sì, e ne sente l'odore di fumo, disteso lì fuori nel vento e nella luce lunare. Sono io così povera di spirito che mai fino ad ora avevo capito quale fosse il mio compito, oppure l'ho visto davanti a me e ho distolto lo sguardo? Ma ora, almeno,  prendo la mia anima con entrambe le mani del mio affetto, ora dico addio ai gradini bianchi del cielo e ai volti ansiosi di vedermi dei miei amici. Un amore per un amore, e che il mio sia pari a quello di Keawe! Un anima per un anima, e che sia la mia a perire!” Era una donna dalle mani veloci e fu pronta in un attimo. Si mise  gli spiccioli in mano – i preziosi centime che tenevano sempre con sé, perché questa moneta è poco usata e ne avevano fatto incetta in un ufficio del governo. Quando uscì nel viale, arrivarono nuvole in groppa al vento e la luna fu oscurata. La città dormiva e lei non sapeva da che parte andare, finché sentì qualcuno tossire nell'ombra degli alberi. “Vecchio,” disse Kokua, “che ci fate qui fuori in questa notte fredda?” Il vecchio riusciva a mala pena a parlare a causa della tosse, ma lei riuscì a capire che era vecchio, povero e uno straniero nell'isola. “Vorreste rendermi un servizio?” disse Kokua, “Da straniero a straniero e da vecchio uomo a giovane donna, aiutereste una figlia delle Hawaii?”  “Ah,” disse il vecchio “  Così voi siete la strega delle otto isole e cercate di irretire perfino la mia vecchia anima. Ma ho sentito parlare di voi  e sfido la vostra malvagità.”  “Sedetevi qui,” disse Kokua, “e lasciate che vi racconti una storia.”  e gli narrò la storia di Keawe dall'inizio alla fine. “E ora,” disse, “sono sua moglie, che comprò con la salute della sua anima. E cosa dovrei fare? Se andassi io da lui e gli offrissi di comprarla, rifiuterebbe. Ma se andate voi. ve la venderà molto volentieri, vi aspetterò qui, voi la comprerete per quattro centime e io la ricomprerò per tre. E che il Signore dia forza ad una povera ragazza.” “Se voi aveste detto il falso,” disse il vecchio, “penso che Dio vi fulminerebbe.” “Lo farebbe!” gridò Koua, “State sicuro che lo farebbe. Non potrei essere così falsa – Dio non lo permetterebbe.” “Datemi i quattro centime e aspettatemi qui,” disse il vecchio. Ora, quando Kokua rimase sola nella strada, l'animo le venne meno. Il vento ruggiva tra gli alberi e a lei sembrava la furia delle fiamme dell'inferno, le ombre si agitavano nella luce dei lampioni e le sembravano le mani rapaci di esseri maligni. Se ne avesse avuto la forza, avrebbe dovuto correre via, e se avesse avuto il fiato, avrebbe dovuto gridare forte, ma, in verità, non poteva fare nessuna delle due cose e restava in strada tutta tremante, spaventata come un bambino. Dopo un po', vide il vecchio che tornava e aveva in mano la bottiglia. “Ho fatto come mi avete ordinato,” disse. “Ho lascito vostro marito che piangeva come un bambino, stanotte dormirà bene.” E le porse la bottiglia. “Prima che voi me la diate,” ansimava Kokua, “prendete il buono insieme al cattivo – chiedete di essere liberato dalla tosse.” “Sono vecchio,” replicò l'altro. “e troppo vicino alla soglia della tomba per accettare un favore dal diavolo. Ma cosa c'è? Perché non prendete la bottiglia? Esitate?” “Non esito!” gridò Kokua. “Sono soltanto stanca. Datemi un momento. La mia mano resiste, la mia carne si ritrae da questa cosa maledetta. Solo un momento!” Il vecchio guardò Kokua con pietà. “Povera bambina!” disse, “avete paura, la vostra anima vi tradisce. Bene, lasciate che la tenga io. Sono un vecchio e non potrò più essere felice in questo mondo e in quanto all'altro ...” “Datemela!” disse Kokua con voce strozzata. “Ecco il vostro denaro. Pensate che io sia così vile? Datemi la bottiglia.” “Dio vi benedica, bambina,” disse il vecchio. Kokua nascose la bottiglia sotto il suo holoku, disse addio al vecchio e si incamminò lungo il viale, senza curarsi della direzione da prendere. Perché tutte le strade erano uguali per lei e conducevano tutte all'inferno. A volte camminava, a volte correva, a volte gridava a squarciagola nella notte, a volte si sdraiava lungo il ciglio della strada e piangeva. Tutto quello che aveva sentito dell'inferno le ritornava in mente, vedeva ardere le fiamme, sentiva l'odore del fumo e la sua carne raggrinzirsi sui carboni. Sul far del giorno, ritornò in sé e se ne  andò a casa. Era proprio come le aveva detto il vecchio:  Keawe dormiva come un bambino. Kokua rimase a guardare il suo viso. “Ora, marito mio,” disse, “è il tuo turno di dormire. Quando ti sveglierai sarà il tuo turno di cantare e ridere. Ma per la povera Kokua, ahimè, che non intendeva fare niente di male, per la povera Kokua non più sonno, non più canto, non più gioia, né in terra, né in cielo.” Ciò detto, si distese nel letto al suo fianco e la sua infelicità era così estrema che cadde immediatamente in un sonno profondo. Nella tarda mattinata, suo marito la svegliò e le diede la buona notizia. Sembrava instupidito dalla felicità, perché non fece alcun caso all'afflizione della moglie, per quanto male lei la dissimulasse. Le parole le si fermavano in gola, ma non era importante, era Keawe che discorreva. Non mangiò neppure un boccone, ma chi  doveva accorgersene? Keawe intanto ripuliva il piatto. Kokua lo guardava e lo ascoltava, come se fosse qualcosa di strano in un sogno, c'erano volte in cui dimenticava o dubitava, e metteva le mani sulla fronte, sapersi dannata e sentire suo marito che parlava senza freni, le sembrava così mostruoso. Nel mentre, Keawe mangiava e parlava e organizzava il momento del loro ritorno, la ringraziava per averlo salvato, la accarezzava e la chiamava il suo vero aiutante. Rideva del vecchio che era stato abbastanza folle da comprare quella bottiglia. “Eppure sembrava un vecchio rispettabile,” disse Keawe, “Ma non si può giudicare dalle apparenze. Perché mai il vecchio reprobo aveva bisogno della bottiglia?” “Marito mio,” disse Kokua, umilmente, “il suo proposito poteva essere stato buono.” Keawe rise come un uomo arrabbiato. “Sciocchezze!” gridò Keawe “Una vecchia canaglia, ti dico, e un vecchio asino, per di più. Perché la bottiglia era già abbastanza difficile da vendere a quattro centime, a tre sarà quasi impossibile. Il margine non è abbastanza ampio, la cosa incomincia a puzzare di bruciato... brrrr!” disse rabbrividendo. “E' vero che io stesso l'ho comprata ad un cent quando non sapevo che ci fossero monete più piccole. Ero pazzo a causa dei miei dispiaceri, non se ne troverà mai un altro: chiunque ha quella bottiglia adesso, se la porterà all'inferno.”  “Oh, marito mio,” disse Kokua. “ Non è una cosa terribile salvarsi al prezzo dell'eterna rovina di qualcun altro? Credo che non potrei ridere. Mi sentirei umiliata. Sarei piena di malinconia. E pregherei per il poveretto che la possiede.” Allora Keawe, poiché capiva la verità di quello che lei diceva, si arrabbiò ancora di più. “Hei hei!” gridò. ”Puoi essere piena di malinconia, se ti va. Non è il modo di pensare di una buona moglie. Se tu ti preoccupassi veramente di me, dovresti metterti  a sedere e vergognarti.”Ciò detto, se ne uscì e Kokua rimase sola. Che possibilità aveva di vendere quella bottiglia per due centime? Nessuna, lo intuiva. E se ce n'era qualcuna, ecco suo marito che le faceva fretta di andare via verso un paese dove non c'era niente che valesse meno di un cent. Ed ecco – il giorno dopo il suo sacrificio – era proprio suo marito a lasciarla e a biasimarla. Non tentò nemmeno di trarre profitto dal tempo che le rimaneva, ma si mise a sedere in casa e, ora tirava fuori la bottiglia e la osservava con una paura indicibile, ora la nascondeva allo sguardo piena di repulsione. Poco dopo, Keawe tornava e le proponeva di fare un giro in carrozza. “Marito mio, sto male,” diceva. “Sono triste. Scusami, non riesco a provare gioia.” E Keawe era ancora più furioso. Con lei, perché era convinto che stesse rimuginando sulla vicenda del vecchio, con sé stesso, perché si rendeva conto che lei aveva ragione e si vergognava di essere così felice. “Questa è la tua sincerità,” le gridava, “ e questo il tuo affetto! Tuo marito si è appena salvato dalla rovina eterna, a cui era andato incontro per amor tuo, e tu non riesci a provare gioia! Kokua, hai un cuore sleale.” Andò via di nuovo furioso e vagabondò in città tutto il giorno. Incontrò degli amici e bevve con loro, noleggiarono una carrozza e andarono in campagna, e là bevvero ancora. Keawe si sentì a disagio per tutto il tempo, perché si stava prendendo questo passatempo, mentre sua moglie era triste, inoltre, sapeva in cuor suo, che lei aveva molta più ragione di lui e questa consapevolezza lo faceva sprofondare ancora di più nel bere.  Ora, c'era un vecchio haole brutale che beveva con lui, uno che era stato nostromo su una baleniera, evaso, minatore in una miniera d'oro, recluso in diverse prigioni. Aveva una mente meschina e una bocca volgare, amava bere e vedere bere gli altri, così spingeva Keawe ad alzare il gomito. Ben presto, non ci fu più denaro nella comitiva. “Hei, tu!” disse il nostromo, “sei ricco, vai dicendo in giro. Possiedi una bottiglia, o qualche fesseria del genere.” “Sì,” disse Keawe, “Sono ricco, vado a casa e mi faccio dare del denaro da mia moglie, che lo custodisce. “Questa è una cattiva idea, amico,” disse il nostromo. “Non affidare mai i dollari ad una sottana. Sono tutte false come l'acqua 17, tienila d'occhio.” Ora, questa parola rimase impressa nella testa di Keawe, perché la sua mente era confusa a causa di tutto quello che aveva bevuto. “Non mi meraviglierei se fosse falsa, infatti,” pensò. “Perché altro dovrebbe essere così abbattuta per la mia liberazione? Ma le dimostrerò che non sono uomo da essere preso in giro, la coglierò sul fatto.” Pertanto, quando furono di ritorno in città, Keawe disse al nostromo di aspettarlo all'angolo, vicino alla vecchia prigione e s'incamminò su per il viale da solo, fino alla porta di casa sua, La notte era calata di nuovo, dentro c'era una luce, ma neppure un suono, Keawe scivolò dietro l'angolo, aprì silenziosamente la porta posteriore e guardò dentro. C'era Kokua sul sul pavimento, la lampada al suo fianco, di fronte a lei una bottiglia bianco latte, con una pancia rotonda e un lungo collo, mentre la guardava, Kokua si torceva le mani. Keawe se ne stette a lungo a guardarla attraverso la porta. Dapprincipio rimase  istupidito, quindi fu colto dalla paura che la vendita non fosse andata a buon fine e che la bottiglia fosse tornata indietro come era successo a San Francisco, al che, le ginocchia gli vennero meno e i fumi del vino lasciarono la sua testa come la foschia  si leva da un fiume al mattino. E quindi gli venne un altro pensiero, ed era uno strano pensiero che gli fece bruciare le guance. “Devo accertarmene,” pensò. Così, chiuse la porta e, silenziosamente, girò di nuovo intorno all'angolo, quindi entrò rumorosamente, come se fosse appena ritornato. Ed ecco! Quando aprì la porta principale non c'era in vista nessuna bottiglia, Kokua era seduta in una sedia e si alzò in piedi di scatto come una svegliata dal sonno. “Ho bevuto tutto il giorno e fatto baldoria,” disse Keawe. “Sono stato con dei bravi compagni e ora sono venuto solo per il denaro poi ritornerò di nuovo a bere e gozzovigliare con loro.”  Sia il suo viso che la voce esprimevano un severo giudizio, ma Kokua era troppo tormentata per accorgersene.  “Fai bene ad usare quello che hai, marito mio,” disse e la sue parole tremavano. “Oh, io faccio bene ogni cosa,” disse Keawe e andò dritto al baule e prese il denaro. Ma guardò pure nell'angolo dove tenevano la bottiglia e non c'era nessuna bottiglia, lì. Al che, il baule si sollevò sul pavimento come un'ondata e le casa gli girò intorno come una spirale di fumo, perché capì che ora era dannato e che non c'era via di fuga. “E' quello che temevo,” pensò. “E' stata lei a comprarla.” Quindi, ripresosi alquanto, si alzò, ma il sudore gli colava sulla faccia fitto come la pioggia e freddo come l'acqua di un pozzo. “Kokua,” disse, “Oggi ti ho detto parole cattive. Ora ritorno a gozzovigliare con i miei allegri compagni,” e rise  sommessamente. “La coppa mi darà più piacere se tu mi perdoni.” Subito, lei gli abbracciò le ginocchia e le baciò, versando copiose lacrime. “Oh,” gridò, “non chiedevo che una parola gentile!” “Non pensiamo più male l'uno dell'altro,” disse Keawe e uscì di casa.

P. GAUGUIN - INNAMORATI TAHITIANI, 1902

Ora, il denaro che Keawe aveva preso  era solo una parte di quella provvista di centime che avevano messo da parte al loro arrivo. Di sicuro, non aveva alcuna voglia di bere. Sua moglie aveva dato l'anima per lui, lui ora doveva dare la sua per lei, nella sua testa non c'era altro pensiero al mondo. All'angolo, vicino alla vecchia prigione, c'era il nostromo che lo aspettava. “Mia moglie ha la bottiglia,” disse Keawe, “e, a meno che tu non mi aiuti a recuperarla, stasera non ci sarà altro denaro e altro liquore.” “Non mi dirai che sei serio riguardo a quella bottiglia?” gridò il nostromo.” “Ecco la lanterna,” disse Keawe. “Ti sembro uno che sta scherzando?” “E' proprio così,” disse il nostromo. “Sembri serio come un fantasma.” “Bene, allora,” disse Keawe, “Ecco due centime, devi andare in casa da mia moglie e offrirle questi per la bottiglia, che (se non sbaglio troppo) ti darà all'istante. Portala qui da me e io te la ricomprerò per uno, perché questa è la legge con questa bottiglia, cioè deve essere venduta ad una somma sempre minore. Ma qualunque cosa tu faccia, non dirle nemmeno una parola riguardo al fatto che vieni da parte mia.” “Compare, mi domando se mi stai prendendo in giro,” chiese il nostromo. “Anche se fosse, non ti farebbe alcun danno,” rispose Keawe. “E' vero, compare,” disse il nostromo. “E se dubiti di me,” aggiunse Keawe, “puoi fare una prova. Appena esci di casa, esprimi il desiderio di avere la tasca piena di denaro, o una bottiglia del miglior rum, o qualunque cosa ti piaccia e vedrai la virtù di quell'oggetto.” “Molto bene, kanaka,” disse il nostromo. “Voglio provare, ma se ti stai divertendo a spese mie, mi divertirò a spese tue con una caviglia 18.” Così il cacciatore di balene si incamminò su per il viale mentre Keawe rimase ad aspettarlo. Il posto era vicino proprio a quello dove Kokua aveva aspettato la notte precedente, ma Keawe era più risoluto e non vacillò mai nel suo proposito, solamente, la sua anima era amareggiata per la disperazione. Sembrava che avesse dovuto aspettare tanto tempo prima di sentire una voce cantare nel buio del viale. Riconobbe la voce come quella del nostromo, ma era strano che sembrasse ubriaca tutto d'un tratto. Poi, apparve proprio lui tutto barcollante nella luce della lampada. Aveva la bottiglia del diavolo abbottonata nel suo cappotto e in mano aveva un'altra bottiglia  e proprio mentre arrivava in vista, la portò alla bocca e bevve. “Ce l'hai,” disse Keawe. “Lo vedo.” “Giù le mani!” gridò il nostromo, saltando indietro. “Avvicinati di un passo e ti spacco la bocca. Pensavi di potermi usare a tuo piacimento, eh!” “Cosa vuoi dire?” gridò Keawe. “Voglio dire?” gridò il nostromo. “Questa è proprio una brava bottiglia, sicuro, questo è quello che voglio dire. Come l'ho avuta per due centime, non riesco a capirlo, ma sono sicuro che tu non l'avrai per uno.” “Vuoi dire che non la venderai?” “No, signore!” gridò il nostromo. “Ma ti darò una sorsata di rum, se vuoi.” “”Ti avverto,” disse Keawe, “l'uomo che ha quella bottiglia va all'inferno. “Tanto ci andrò comunque,” rispose il marinaio, “e questa bottiglia è la miglior cosa con cui andarci che mi sia capitata finora. No, signore!” gridò di nuovo, “Questa è la mia bottiglia, adesso. Tu puoi andare a pescartene un'altra.” “Non può essere vero!” gridò Keawe. “Per il tuo bene, ti prego, vendimela!” “Non mi importa niente di quello che dici,” replicò il nostromo. “Pensavi che fossi uno sciocco, ora vedi che non lo sono, fine della discussione. Se non vuoi una sorsata di rum, la berrò io. Alla tua salute e buona notte a te!” Così si avviò giù per il viale, verso la città e così anche la bottiglia esce dalla storia. Ma Keawe corse da Kokua leggero come il vento e grande fu la loro gioia quella notte e grande, da allora, è stata la pace di tutti i loro giorni nella Casa Splendente.

FINE


1    Le isole Hawaii sono un arcipelago dell'oceano Pacifico e fanno parte dell'Oceania e della Polinesia. Comprendono l'Isola di Hawaii, altre sette isole principali e molte isole minori, scogli e secche. Dal 21 agosto 1959, lo stato di Hawaii è il 50º degli Stati Uniti d'America e ha giurisdizione su tutte le isole dell'arcipelago, con l'eccezione dell'Atollo di Midway, che è sotto controllo federale. La capitale è Honolulu nell'isola di Oahu
2    Il riferimento è al re Keawe I (1505-1575), sovrano dell'isola di Hawaii, la cui storia sconfina spesso nella leggenda. 
3     Si tratta della costa nord-orientale dell'isola di Hawaii, tra le località di Honokaa a nord e Hilo   a sud; Honaunau invece, citata nelle righe precedenti, è una città della costa occidentale. Spinto da motivi di salute, Stevenson trascorse tra le isole dei mari del Sud l'ultima parte della sua vita (dal 1888 fino al 1894, anno in cui morì sull'isola di Upolu, nelle Samoa).
Prester John – tradotto in italiano come “Prete Gianni” o “Prete Giovanni”, si tratta di un re la cui figura è al centro di numerose leggende e il cui mito si è tramandato attraverso le cronache medievali che ne fecero un eroe della resistenza contro l'espansione islamica. Cristiano di confessione nestoriana, ritenuto un diretto discendente dei re magi, governava con giustizia una terra favolosa, ricca di risorse e di bellezze naturali. Molti esploratori europei partirono alla ricerca di questo reame misterioso situato in una località non ben precisata. 
5   Lo schooner è un'imbarcazione a vela che può presentare anche tre alberi armati con vele trapezoidali e l'elemento caratterizzante è dato dall'avere l'albero di prua più basso degli altri alberi. In italiano viene tradotto con il termine goletta anche se vi sono differenze tra i due tipi di imbarcazione.
6 Albero del pane: è un albero diffuso nelle isole del Sud del Pacifico, dove costituisce una delle principali fonti di cibo. Il frutto commestibile, che ha le dimensioni di un piccolo melone, ha una scorza ruvida e coriacea e una polpa bianca e farinosa che può essere preparata e consumata in diversi modi.
ava – termine tratto dal maori kawa (amaro); indica una pianta polinesiana la cui radice ha proprietà curative e viene utilizzata per preparare una bevanda dagli effetti sedativi e tranquillizzanti.
  holoku – la storia di quello che oggi è l'abito tradizionale delle donne hawaiane (detto anche Mother Hubbard dress) comincia nel 1820, con l'arrivo delle missionarie europee sull'isola. Su richiesta delle regine hawaiane, le missionarie adattarono il modello delle proprie vesti creando un abito molto semplice, simile a un lungo camicione accollato, con lunghe maniche strette e un carré che scendeva fino al seno. Per la sua comodità fu in breve tempo adottato dalle donne di tutte le classi sociali. Verso la fine del secolo se ne affermò anche una variante, detta fashion holoku
9   Deriva dalla parola hawaiana kokua che significa aiuto, nome quanto mai pertinente, come si vedrà più avanti nella storia.
10 Molokai – su questa isola dell'arcipelago delle Hawaii, situata poco più a sud di Ohau, erano costretti in isolamento i malati di lebbra, in particolare nella località di Kalaupapa,  che sorge sull'omonima penisola tra alte scogliere. Nel 1889 lo stesso Stevenson aveva visitato la colonia.
11 Haoles cioè i “non nativi”, coloro che risiedono alle Hawaii ma non sono di origine polinesiana. Haole nella lingua hawaiana significa “straniero” e, con l'arrivo dei primi immigrati occidentali all'inizio dell'Ottocento, passò a indicare in generale la popolazione bianca, soprattutto di lingua anglosassone.
12 Kanakas – cioè gli “indigeni”, gli abitanti originari delle Hawai 
13 Heinrich Berger, direttore della Royal Hawaiian Band
14 farthing – nel vecchio sistema monetario britannico, un farthing corrispondeva a un quarto di penny. In disuso già da tempo e ritirato ufficialmente nel 1960, un farthing valeva poco più di un millesimo di una sterlina. 
15  Tahiti è la più grande isola nel gruppo della Isole del Vento della Polinesia Francese, situata nell'arcipelago delle Isole della Società nella parte meridionale dell'Oceano Pacifico. L'isola è di origine vulcanica, alta e montuosa, è circondata da barriere coralline. La capitale Papeete, si trova sulla costa nord-occidentale. E' stata proclamata colonia francese nel 1880. Si trova 4. 400 km a sud delle Hawaii.
16 Trade wind – gli alisei sono venti che soffiano dai tropici verso l'equatore, spirando da nord-est nell'emisfero nord e da sud-est nell'emisfero sud, com'è il caso della Polinesia francese. Il termine trade originariamente significava “percorso” e riferito ai venti, come nell'espressione trade wind, indicava la regolarità della loro direzione. Poiché questi venti venivano sfruttati dalle navi della marina mercantile britannica, il significato del termine trade venne associato alle rotte commerciali e passò poi a designare il “commercio”.
17 false as water – citazione di origine biblica (Genesi, 35. 22) si ritrova nell'Otello di Shakespeare (il riferimento è a Desdemona, 5.2.132). L'acqua è considerata “falsa”, cioè “ingannevole” poiché, può deviare facilmente dal suo corso, così come la donna può deviare dalla retta via. Da qui il comportamento sospettoso di Keawe
18 Mazzuola di legno usata per fissare i cavi delle vele.




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