giovedì 30 maggio 2013

La casa del giudice


Il re dei ratti



Abraham “Bram” Stoker (Dublino 1847 – Londra 1912) è considerato fra i maggiori esponenti del gotico vittoriano.
Dopo un’infanzia segnata da gravi malattie che lo costringono a trascorrere a letto i primi sei anni della sua vita, guarisce improvvisamente in un modo che i medici definiscono miracoloso. Fu durante questi anni che sviluppò il suo amore per la lettura e per il folclore gaelico, popolato da figure vampiresche come le
Leannansidhe. Si laureò a pieni voti in matematica al Trinity College di Dublino e vinse il campionato di atletica all'università. Conobbe anche Oscar Wilde e fu assiduo frequentatore della sua casa a Merrion Square. Nel 1877 lasciò il suo lavoro di impiegato presso il Dublin Castle per diventare l'impresario dell'attore Henry Irving. Nel 1878 sposò Florence Balcombe, raffinata bellezza preraffaellita, già amata da Oscar Wilde. Intanto scrive racconti neo gotici, anche per arrotondare i magri introiti. Nel 1897 pubblicò Dracula (primo titolo The Dead Undead). La stesura del suo capolavoro durò sette anni. Per documentarsi, lo scrittore prese fiumi di appunti sul folclore locale delle varie regioni inglesi, ma l'incontro più importante fu quello con lo studioso ungherese Arminius Vambery, che consigliò a Stoker quali testi leggere sulla figura storica di Vlad Tapes, detto Dracul (figlio del drago o del diavolo), a cui attingerà per creare il suo personaggio. La figura del vampiro aveva già fatto il suo ingresso nella letteratura inglese nel 1819, anno della pubblicazione de Il Vampiro di John Polidori, medico personale di Lord Byron che sarà anche il modello di questo primo vampiro dal fascino fatale ma molto mondano, e che stabilisce l'archetipo del vampiro come metafora di quella seduzione sessuale di cui sarebbe stato impossibile parlare apertamente a causa dell'ipocrita morale del tempo. Meno raffinato ma di gran successo fu il romanzo popolare di autore incerto Varny il vampiro (1847), un penny dreadful, venduto a puntate nelle strade di Londra, al prezzo di un penny, appunto. Questo vampiro ha molte delle caratteristiche del futuro Dracula: denti aguzzi, di cui lascia i segni sul collo delle sue vittime, una forza sovrumana, la capacità di ipnotizzare, un'inestinguibile sete di sangue. Ma l'autore che ha maggiormente influenzato Stoker è un altro illustre irlandese, Sheridan Le Fanu, che nel 1872 pubblicò il racconto Carmilla (In a Glass Darkly,1872), ambientato in Austria, che ha come protagonista una misteriosa vampira e il suo potere di seduzione su fanciulle giovani e innocenti. Grazie al successo dei suoi romanzi e racconti, Stoker presto può dedicarsi esclusivamente alla letteratura e compiere lunghi viaggi per il mondo. Muore a Londra nel 1912.


La casa del giudice (The Judge’s house) è pubblicato per la prima volta nel 1891 nella rivista Illustrated Sporting and Dramatic News. Nel 1914, viene pubblicato postumo nella raccolta Dracula's Guest And Other Weird Stories.

Il racconto narra la storia di Malcom Malcomson, uno studente di matematica dell'università di Cambridge che, in cerca di tranquillità per prepararsi all'esame di laurea, si reca in una sonnolenta cittadina scelta a caso sull'orario ferroviario. Ma nemmeno la quiete della locanda del posto è abbastanza per lui, così, andando a zonzo nei dintorni del paese, viene attratto da una vetusta dimora ormai disabitata, sorella minore dei terrificanti castelli gotici di Walpole o Mrs. Radcliff, con mura spesse come una fortezza e una campana d’allarme sul tetto. L'agente immobiliare è fin troppo felice di affittargliela, anche per sfatare le non meglio specificate 'voci' che girano sulla vecchia casa. Quando il giovane dice alla padrona della locanda dove andrà a stabilirsi, la donna ha una reazione allarmata, ma non riesce a dire cosa esattamente c'è che non va in quel luogo che tutti chiamano 'la casa del giudice' perché appartenuta, qualche secolo prima, a un giudice spietato e vendicativo, che godeva nel dispensare a pioggia condanne a morte e nel presenziare alle esecuzioni. Il giovane, forte del suo sapere scientifico, si fa burla di queste paure irrazionali, e si stabilisce nella grande sala da pranzo della casa. Intanto i topi, antichi abitatori della casa, abituatisi alla presenza dello studente, riprendono a scorrazzare nella soffitta e dietro i pannelli di legno che rivestono la sala. Il giovane, divertito più che spaventato, va in giro per la stanza in cerca delle tane dei topi, che sembrano abitare ogni crepa di quelle vecchie mura. Due cose, comunque, attirano la sua attenzione, i quadri appesi alle pareti ormai così anneriti da essere indistinguibili e la lunga corda della campana di allarme che pende dal soffitto, proprio vicino ad un'antica seggiola di legno intagliato accanto al focolare. Ed è proprio su quella seggiola che, preannunciato da un improvviso silenzio, scenderà, calandosi lungo la corda della campana, un enorme ratto dagli occhi malevoli, che fugge solo quando il giovane lo minaccia con lo spiedo e sparisce in un buco nel quadro che, dopo essere stato ripulito dalla fuliggine, risulta essere il ritratto del defunto giudice, seduto sulla vecchia seggiola di legno accanto al focolare, con la corda della campana dietro e lo stesso sguardo malefico di quello che sembra essere la sua reincarnazione topesca.








LA CASA DEL GIUDICE (1891)
DI
BRAM STOKER







Quando la data del suo esame si avvicinò, Malcolm Malcolmson decise di andare a studiare da qualche parte da solo. Temeva allo stesso modo sia le distrazioni del mare che il completo isolamento della campagna, perché un tempo ne aveva conosciuto le attrattive, così decise di trovare una piccola città senza pretese, dove non ci fosse nulla che lo distraesse. Si trattenne dal chiedere suggerimenti a qualcuno dei suoi amici, perché arguiva che ciascuno gli avrebbe raccomandato un posto che aveva già frequentato e dove aveva delle conoscenze. Dal momento che Malcolmson desiderava evitare gli amici, non aveva alcuna intenzione di sobbarcarsi le attenzioni degli amici degli amici, così decise di andare a cercarsi un posto per conto suo. Riempì una valigia con alcuni abiti e tutti i libri che gli servivano, quindi prese un biglietto per la prima località dell'orario ferroviario che non conoscesse.


Quando alla fine di un viaggio di tre ore scese a Benchurch, si sentì soddisfatto di aver cancellato le sue traccie tanto quanto bastava per essere sicuro di potersi dedicare ai suoi studi in pace. Andò dritto all'unica locanda di quella sonnolenta cittadina e vi si fermò per la notte. Benchurch era sede di mercato e una volta ogni tre settimane si riempiva di gente fino all'inverosimile, ma per i restanti ventuno giorni era attraente quanto un deserto. Malcolmson si guardò intorno il giorno dopo il suo arrivo nel tentativo di trovare un alloggio ancora più isolato di quello che poteva offrirgli una locanda tranquilla come “Il buon viaggiatore”. Ci fu un solo posto che colpì la sua immaginazione e che di sicuro soddisfaceva le sue più ardite idee riguardo alla tranquillità, infatti, tranquillità non era la parola giusta per descriverlo – desolazione era l'unico termine che potesse in qualche misura dare la giusta idea del suo isolamento. Era una vecchia casa di stile giacobita 1, sconnessa e massiccia con pesanti frontoni e finestre insolitamente piccole e poste più in alto di quanto accada in costruzioni di quel tipo, circondata da un alto muro di mattoni di costruzione altrettanto massiccia. Infatti, a ben guardare, era più simile ad un edificio fortificato che ad una normale abitazione. Ma tutto ciò incontrò il favore di Malcomson. “Qui,” pensò, “è proprio il posto che stavo cercando e se avrò l'opportunità di servirmene, ne sarò felice.” La sua gioa crebbe quando constatò che, senza ombra di dubbio, la casa non era al momento abitata.
Dall'ufficio postale ottenne il nome dell'agente immobiliare, che rimase eccezionalmente sorpreso alla richiesta di affittare una parte della vecchia casa. Mr. Cranford, l'avvocato del posto e agente immobiliare, era un vecchio gentiluomo dal carattere cordiale e confessò francamente di essere deliziato dal fatto che qualcuno volesse vivere nella casa. “Per dirvi la verità,” disse, “sarei fin troppo felice, da parte dei proprietari, di dare a qualcuno la casa in affitto gratuito per qualche anno al solo scopo di abituare la gente di qua a vederla abitata. E' stata vuota per così tanto tempo che intorno ad essa è cresciuta una sorta di assurdo pregiudizio che può essere meglio abbattuto facendola occupare – magari,” aggiunse lanciando uno sguardo sornione verso Malcomson, “da uno studioso par vostro, che ne desidera la quiete per un certo tempo.”
Malcomson pensò che non fosse necessario interrogare l'agente riguardo all' “assurdo pregiudizio;” sapeva che, se ne avesse avuto bisogno, avrebbe potuto ottenere altrove maggiori informazioni sull'argomento. Pagò l'affitto per tre mesi e ottenne la ricevuta insieme al nome di un'anziana donna che avrebbe probabilmente accettato di fare le faccende per lui, quindi, se ne venne via con le chiavi in tasca. Andò poi dalla padrona della locanda, che era persona allegra e gentilissima, e le chiese consiglio riguardo alle provviste e a tutto quello di cui avrebbe potuto aver bisogno. La donna alzò le mani per lo stupore quando le disse dove aveva intenzione di sistemarsi. “Non nella casa del Giudice!” esclamò, impallidendo mentre parlava. Lui spiegò in che località si trovava la casa, dicendo di non conoscerne il nome. Quando ebbe finito, lei rispose: “Sì, di sicuro – di sicuro è proprio quello il posto! E' la casa del Giudice di sicuro.” Le chiese allora di parlargli del posto, perché fosse chiamato in quel modo e cosa c'era contro di esso.
Gli disse che era chiamato in quel modo dalla gente del posto perché molti anni prima – quanti non avrebbe saputo dirlo, dal momento che lei stessa veniva da un'altra parte della regione, ma pensava che dovevano essere stati un cento anni o più – il posto era stato la residenza di un giudice che era considerato con grande terrore a causa delle sue dure sentenze e della sua ostilità verso i prigionieri alle assise. Per quanto riguardava quello che c'era contro la casa stessa, non sapeva che dire. Aveva chiesto spesso, ma nessuno sapeva darle informazioni, tuttavia, il sentimento generale era che ci fosse qualcosa, e da parte sua non avrebbe accettato tutto il denaro nella banca di Drinkwater per stare da sola in quella casa nemmeno per un'ora. Quindi si scusò con Malcomson per le sue chiacchiere allarmiste. “E' una pessima cosa da parte mia, signore, ma anche da parte vostra - che siete per di più un giovane gentiluomo – se mi perdonate l'ardire, andarvene a vivere là tutto da solo. Se foste mio figlio – e mi scuserete se lo dico – non dormireste là una notte, nemmeno se dovessi andarci io stessa a tirare la corda della grande campana d'allarme che c'è sul tetto!” La brava donna era così palesemente sincera e così premurosa nelle sue intenzioni, che Malcomson, sebbene divertito, ne fu commosso. Le disse con gentilezza quanto apprezzasse il suo interesse per lui e aggiunse: “Ma, mia cara Mrs. Witham, davvero non avete bisogno di preoccuparvi per me! Un uomo che sta studiando per l'esame finale di matematica 2 ha troppo a cui pensare per essere turbato da qualcuno di questi misteriosi “qualcosa,” e il suo lavoro è di un genere troppo preciso e prosaico per permettergli di avere anche un solo angolo della sua mente dedicato a misteri di questo tipo. Progressioni armoniche, permutazioni, combinazioni e funzioni ellittiche hanno per me sufficienti misteri!”
Mrs. Witham si incaricò gentilmente di badare alle sue commissioni, mentre lui andava a cercare l'anziana donna che gli era stata raccomandata. Quando ritornò alla casa del Giudice con lei, dopo un intervallo di un paio di ore, trovò Mrs. Witham che lo aspettava con alcuni uomini e ragazzi che trasportavano dei pacchi e un operaio del mobiliere con un letto in un carro, perché, disse lei, sebbene i tavoli e le sedie fossero tutti in ottime condizioni, un letto che probabilmente non era stato arieggiato per cinquanta anni non era certo adatto a farci dormire delle giovani ossa. Era evidentemente curiosa di vedere l'interno dell'edificio, e se ne andò in giro per tutta la casa anche se era manifestamente così spaventata dai “qualcosa” che al minimo rumore si aggrappava a Malcomson che non lasciò nemmeno per un attimo. Dopo aver esaminato il posto, Malcomson decise di stabilirsi nell'ampia stanza da pranzo, che era grande abbastanza da soddisfare tutte le sue esigenze.





Mentre Mrs. Witham, con l'aiuto della donna della pulizia, Mrs. Dempster, procedette ad organizzare le cose. Quando i pacchi furono portati dentro e disfatti, Malcomson vide che, con molta premurosa previdenza, lei gli aveva mandato dalla propria cucina provviste sufficienti per almeno qualche giorno. Prima di andarsene, gli espresse ogni sorta di cortese augurio e, arrivata alla porta, si girò e disse: “E forse, signore, dal momento che la stanza è grande e piena di spifferi, potrebbe essere bene sistemare uno di quei grandi paraventi intorno al vostro letto per la notte – sebbene, a dire la verità, morirei se dovessi essere chiusa qui dentro con tutte quelle specie di – di “cose” con le loro teste che sbucano dai lati o su in cima e mi guardano!” L'immagine che aveva evocato era troppo per i suoi nervi, così fuggì via all'istante. Mrs. Dempster sbuffò con aria di superiorità mentre la locandiera spariva, e rimarcò che, da parte sua, non era spaventata da tutti gli spiriti maligni del regno. “Vi racconto io come stanno le cose, signore,” disse, “gli spettri 3 sono ogni specie e sorta di cose, tranne che spettri! I ratti e i topi, gli scarafaggi, le porte che scricchiolano, le tegole sconnesse, i vetri rotti e le maniglie rigide dei cassetti, che stanno su quando le tirate e poi cadono giù nel mezzo della notte. Guardate la pannellatura di legno di questa stanza. E' vecchia, ha centinaia di anni! Pensate che non ci siano ratti e scarafaggi lì! E pensate forse che non ne vedrete nessuno? I ratti sono spettri, vi dico, e gli spettri sono ratti, e che non vi venga in mente niente altro!” "Mrs. Dempster," disse Malcolmson con tono grave, facendole un inchino educato, “voi ne sapete più del primo della classe! 4 E lasciatemi dire che, come segno di stima per la vostra incontestabile bontà di testa e di cuore, quando me ne andrò, vi darò il possesso di questa casa e vi lascerò stare qui da sola per gli ultimi due mesi della mia affittanza, perché quattro settimane saranno sufficienti per i miei scopi.” “Grazie di cuore, signore!” rispose lei, “ma non potrei dormire lontano da casa una sola notte. Io vivo nell'opera pia 5 di Greenhow, e se per una notte non dormissi nella mia stanza, perderei tutto quello che ho per vivere. Le regole sono molto severe e ce ne sono fin troppi in attesa che si liberi un posto perché io corra alcun rischio al riguardo. Altrimenti, signore, sarei felice di venire qui e servirvi in tutto durante il vostro soggiorno.” “Mia buona donna,” si affrettò a dire Malcomson, “Sono venuto qui allo scopo di starmene in solitudine, e credetemi che sono grato al defunto Greenhow per avere organizzato la sua encomiabile opera pia- qualunque essa sia – in modo tale che mi sia di conseguenza negata l'opportunità di essere esposto ad una tale forma di tentazione! Sant'Antonio stesso non potrebbe essere più rigido al riguardo!” 6
L'anziana donna ebbe una risata rauca. “Ah, voi giovani gentiluomini,” disse, ”non avete paura di niente, e probabilmente qui avrete tutta la solitudine che volete.” Si mise a lavoro per ripulire la casa, e al calar della notte, quando Malcomson ritornò dalla sua passeggiata – aveva sempre uno dei suoi libri da studiare quando passeggiava – trovò la stanza spazzata e riordinata, il fuoco che ardeva nel vecchio caminetto, la lampada accesa e la tavola apparecchiata per la cena con le eccellenti pietanze di Mrs. Witham. “Questo sì, che è accogliente,” disse, sfregandosi le mani.




Quando ebbe finito di cenare ed ebbe spostato il vassoio all'altra estremità del grande tavolo di quercia, prese di nuovo i suoi libri, aggiunse altra legna al fuoco, regolò la lampada e si mise giù a lavorare sodo per un pezzo. Continuò senza pausa fin quasi alle undici, quando lasciò andare per un attimo allo scopo di sistemare il fuoco e la lampada e prepararsi una tazza di tè. Era sempre stato un gran bevitore di tè, e durante la sua vita al college aveva studiato fino a tarda ora bevendo tè. Quella sosta fu per lui un gran lusso, e se la godette con un delizioso senso di rilassata voluttà. Il fuoco riattizzato saltellava e scoppiettava, lanciando strane ombre in tutto quel vecchio stanzone, mentre lui sorseggiava il suo tè bollente e si godeva il senso di isolamento dagli altri esseri umani. Fu proprio allora che incominciò a notare per la prima volta quale rumore stessero facendo i ratti. “Di sicuro,” pensò, “non possono averne fatto mentre studiavo. Diversamente, me ne sarei accorto!” Poco dopo, quando il rumore aumentò, si convinse che era veramente un fenomeno nuovo. Era evidente che dapprincipio i ratti erano stati spaventati dalla presenza di uno straniero, e dalla luce del fuoco e della lampada, ma, con l'andare del tempo, erano diventati sempre più audaci ed ora si comportavano come era loro abitudine.
E come si davano da fare! E senti che strani rumori! Su e giù dietro i vecchi pannelli di legno, sul soffitto e sotto il pavimento, correvano, rosicchiavano e graffiavano! Malcomson sorrise fra sé quando gli vennero in mente le parole di Mrs. Dempster, “Gli spettri sono ratti e i ratti sono spettri!” Il tè incominciava ad avere il suo effetto di stimolante intellettuale e nervoso, vide con gioia un altro lungo periodo di lavoro da portare a termine prima del finire della notte e grazie al senso di sicurezza che questo gli diede, si concesse il lusso di dare una bella occhiata alla stanza. Prese la lampada in una mano e andò in giro ad ispezionarla, meravigliandosi del fatto che un'antica dimora così particolare e bella fosse stata trascurata per tanto tempo. Gli intagli dei pannelli di quercia erano davvero raffinati, e quelli intorno alle porte e alle finestre erano belli e di rara fattura. C'erano anche alcuni vecchi dipinti alle pareti, ma erano ricoperti da uno strato di polvere e sporco così spesso che non riuscì a distinguerne alcun dettaglio, benché tenesse la lampada più in alto che poteva sulla sua testa.
Mentre ispezionava la stanza, gli capitò di vedere qui e là delle crepe o dei buchi riempiti per un istante dal muso di un ratto con gli occhietti che brillavano nella luce, per poi sparire immediatamente, lasciandosi dietro uno squittio e un trapestio. La cosa che più lo colpì, comunque, fu la corda della grande campana d'allarme sul tetto, che pendeva giù in un angolo della stanza, sulla destra del focolare. Avvicinò al caminetto una grande sedia di quercia intagliata con un alto schienale e si sedette per bere la sua ultima tazza di tè. Quando ebbe finito, riattizzò il fuoco e si rimise a studiare, sedendosi all'angolo del tavolo, con il fuoco alla sua sinistra. Per un po' i ratti lo disturbarono alquanto con il loro perpetuo trapestio, ma si abituò al rumore come si fa con il ticchettio di un orologio o il cupo mormorio dell'acqua in movimento, e si immerse a tal punto nel suo lavoro che ogni cosa al mondo, eccetto il problema che stava cercando di risolvere, si allontanò da lui. Improvvisamente alzò lo sguardo, il suo problema non era ancora risolto e c'era nell'aria quella sensazione tipica dell'ora che precede l'alba, che è così spaventosa per le persone facilmente impressionabili. Il fracasso dei ratti era cessato. In effetti, gli sembrava che dovesse essere cessato di recente ed era proprio la sua improvvisa interruzione che lo aveva disturbato. Il fuoco si era abbassato, ma emanava ancora un cupo bagliore rossastro. Mentre guardava, ebbe un brivido a dispetto del suo sangue freddo. Lì, sulla grande sedia di quercia intagliata con l'alto schienale alla destra del focolare, sedeva un enorme ratto, che lo fissava insistentemente con occhi malefici.




Fece cenno di muoversi verso di lui come per cacciarlo via, ma quello non si mosse. Quindi finse di tirargli contro qualcosa. Di nuovo non si mosse, ma digrignò rabbiosamente i suoi grandi denti bianchi, mentre i suoi occhi crudeli brillavano alla luce della lampada con accresciuta malignità. Malcomson era stupito, e, afferrando l'attizzatoio dal focolare, corse verso di lui per ucciderlo. Ma prima che potesse colpirlo, il ratto, con uno squittio che suonava come un concentrato di odio, saltò sul pavimento e, correndo su per la corda della campana d'allarme, sparì nelle tenebre oltre il cono di luce della lampada schermata da un paralume verde. Istantaneamente, strano a dirsi, dietro alla pannellatura di legno ricominciò il rumoroso trapestio dei ratti. Ma ormai la mente di Malcomson si era completamente allontanata dal problema, e quando dall'esterno il canto acuto di un gallo gli annunziò l'approssimarsi del mattino, se ne andò a letto a dormire.
Dormiva così profondamente che non fu svegliato nemmeno dall'arrivo di Mrs. Dampster, che era venuta per rassettare la stanza. Si svegliò solamente dopo che la donna, avendo messo in ordine il posto e preparato la colazione, bussò sul paravento che circondava il letto. Era ancora un po' stanco dopo la notte di duro lavoro, ma una tazza di tè forte lo rimise in sesto e, dopo aver preso il suo libro, uscì per fare la sua passeggiata quotidiana, portando con sé alcuni sandwich per non doversi preoccupare di tornare a casa fino all'ora di cena. Poco distante dal paese, trovò una tranquilla passeggiata tra alti olmi e qui spese la maggior parte della giornata studiando il suo Laplace. Sulla strada del ritorno passò a trovare Mrs. Witham per ringraziarla della sua gentilezza. Quando lei lo vide arrivare guardando attraverso i vetri a losanga della finestra a bovindo della sua camera, 7 uscì ad incontrarlo e lo invitò ad entrare. Lo osservò con aria indagatrice, poi, scuotendo la testa, gli disse:”Non dovete esagerare, signore. Questa mattina siete più pallido di quello che dovreste essere. Troppe ore piccole e troppo impegno per il cervello non è un bene per nessuno! Ma ditemi, signore, come avete trascorso la notte? Bene, spero? Ma in tutta sincerità, signore, sono stata felice quando questa mattina Mrs, Dempster mi ha detto che stavate bene e che dormivate sodo quando è entrata.”
“Oh, stavo benissimo,” rispose, sorridendo, “il “qualcosa” non mi ha dato fastidio, finora. Solo i topi, e hanno fatto un tale parapiglia, vi dico, per tutta la casa. C'era un vecchio diavolo con un'aria malvagia seduto sulla mia sedia accanto al fuoco, e non si è mosso finché non l'ho minacciato con l'attizzatoio, allora è corso su lungo la corda della campana d'allarme e si è nascosto da qualche parte in alto nel muro o sul soffitto – non sono riuscito a vedere dove, era così buio.” “Pietà di noi,” disse Mrs. Witham, “un vecchio diavolo, e seduto su una sedia vicino al focolare!
State attento, signore! State attento! Ci sono molte parole di verità nelle vostre celie.” “Cosa volete dire? Parola mia, non capisco.” “Un vecchio diavolo! Il vecchio diavolo, forse. Via! Signore, non dovete ridere,” perché Malcomson era scoppiato in una fragorosa risata. “Voi giovani pensate che sia facile ridere della cose che fanno rabbrividire i vecchi. Non importa, signore! Non importa! Piaccia a Dio, che voi ridiate sempre. Ve lo auguro di cuore!” e la buona signora ebbe un sorriso raggiante in armonia con l'allegria di lui, essendo le sue paure sparite per un momento. “Oh, perdonatemi!” si affrettò a dire Malcomson.” Non pensate che sia scortese, ma l'idea era troppo per me – che il diavolo in persona fosse sulla mia sedia la scorsa notte!” E a questo pensiero rise di nuovo. Quindi andò a casa a cenare.
Quella sera il trapestio dei ratti iniziò prima, in effetti era già in corso prima del suo arrivo e cessò solo per un breve lasso di tempo, perché disturbati dalla novità della sua presenza. Dopo cena, si sedette accanto al fuoco per un po' a fumare, e poi, dopo aver sparecchiato, riprese il suo lavoro. Quella notte i ratti lo disturbarono molto più di quanto avessero fatto la notte recedente. Come scorrazzavano su e giù, sopra e sotto! E come squittivano, e graffiavano, e rosicchiavano! E come, fattisi pian piano più audaci, si avvicinarono all'orlo dei loro buchi, delle crepe e delle fessure nella pannellatura di legno, finché i loro occhi brillarono come piccole lampade mentre le fiamme del focolare si alzavano e si abbassavano. Ma per lui, che senza dubbio si era ormai abituato a loro, quegli occhi non erano malvagi, era soltanto colpito dalla loro vivacità. A volte, i più baldanzosi facevano incursioni sul pavimento o lungo la cornice della pannellatura. Ogni tanto, quando lo disturbavano, Malcomson faceva rumore per spaventarli, colpendo il tavolo con le mani o emettendo dei furiosi “Sciò sciò,” così che quelli fuggivano di gran carriera nei loro buchi. In questo modo trascorse la prima parte della notte, e a dispetto del rumore, Malcomson si immerse sempre di più nel suo lavoro. Tutto d'un tratto si fermò, come la notte precedente, improvvisamente sopraffatto da una sensazione di silenzio assoluto. Non si sentiva più rosicchiare, graffiare o squittire. C'era un silenzio di tomba. Ricordò lo strano episodio della notte precedente e istintivamente guardò verso la sedia accanto al focolare. E quindi una stranissima sensazione lo fece rabbrividire da capo a piedi.
Lì, accanto al focolare, sulla grande sedia di legno intagliato con l'alto schienale, sedeva lo stesso enorme ratto, che lo fissava insistentemente con occhi malevoli. Istintivamente, Malcomson afferrò la cosa più a portata di mano, un libro di logaritmi, e la tirò nella sua direzione. Il libro era stato mirato malamente, così il ratto non si mosse, allora si ripeté la stessa scena dell'attizzatoio della sera precedente, e di nuovo il ratto, vedendosi attaccato da vicino, fuggì su per la corda della campana d'allarme. Altrettanto stranamente, la fuga di quel ratto fu istantaneamente seguita dalla ripresa del rumore da parte di tutta la comunità dei ratti. In questa occasione, come in quella precedente, Malcomson non riuscì a vedere in che punto della stanza il ratto si andava a nascondere, perché il paralume verde della lampada lasciava al buio la parte superiore della stanza, per di più, il fuoco si era abbassato. Guardando il suo orologio, si accorse che era quasi mezzanotte, allora, per niente dispiaciuto del divertente intermezzo, riattizzò il fuoco e preparò il tè per la notte. Aveva fatto un bel po' di lavoro, quando decise che si meritava una sigaretta, così si mise a sedere sulla grande sedia di quercia davanti al fuoco e se la fumò. Mentre fumava, incominciò a pensare che gli sarebbe piaciuto sapere dove andava a nascondersi il ratto, perché aveva dei progetti per il giorno dopo non del tutto estranei all'acquisto di una trappola per topi. Di conseguenza, accese un'altra lampada e la sistemò in modo da poter illuminare l'angolo della parete a destra del focolare. Poi, prese tutti i libri che aveva con sé e li piazzò a portata di mano con l'intenzione di tirarli contro quell'animale molesto. Per ultimo, sollevò la parte finale della corda della campana d'allarme e ne sistemò l'estremità sul tavolo, fissandola sotto la lampada. Mentre la maneggiava, non poté fare a meno di notare quanto fosse flessibile, pur essendo una corda così robusta e in disuso. “Ci si potrebbe impiccare un uomo,” pensò fra sé e sé. Quando ebbe finito i suoi preparativi, si guardò intorno e disse compiaciuto: “Ecco fatto, amico, vedrai che questa volta scopriremo qualcosa sul tuo conto!” Riprese a studiare, e sebbene, come prima, all'inizio fosse alquanto disturbato dal rumore dei ratti, ben presto si immerse completamente nei suoi teoremi e nei suoi problemi. Di nuovo, l'ambiente circostante lo distolse improvvisamente dai suoi studi. Questa volta non poteva essere stato soltanto l'improvviso silenzio ad attirare la sua attenzione: c'era un lieve dondolio della corda e la lampada si era spostata. Senza fare un movimento, guardò per vedere se la sua pila di libri era a portata di mano, e poi lanciò un occhiata alla corda. Mentre osservava, vide il grande ratto saltare dalla corda alla poltrona di quercia, dove si sedette tenendo lo sguardo fisso su di lui. Sollevò un libro con la mano destra, e prendendo attentamente la mira, lo scaraventò contro il ratto. Quest'ultimo, con un rapido movimento, saltò di lato e scansò il missile. Prese allora un altro libro, e poi un terzo, e li scagliò uno dietro l'altro contro il ratto, ma ogni volta senza successo. Alla fine, mentre era in piedi tenendo in mano il prossimo libro da lanciare, il ratto squittì e sembrò spaventato. Questo incitò ancora di più Malcomson a colpirlo, e il libro volò e colpì il ratto con un gran fracasso. Quello squittì terrorizzato, e dopo aver lanciato al suo persecutore uno sguardo di tremenda malvagità, corse in cima allo schienale, con un grande salto arrivò alla corda della campana d'allarme e la risalì come un fulmine. La lampada dondolò a causa di quella improvvisa sollecitazione, ma era pesante e non si rovesciò. Malcomson continuò a tenere gli occhi fissi sul ratto, e alla luce della seconda lampada, lo vide saltare sulla cornice della pannellatura per poi sparire attraverso un buco in uno dei grandi quadri appesi al muro, annerito e invisibile a causa della crosta di sporco e polvere.
“Controllerò l'abitazione del mio amico domani mattina,” disse lo studente, mentre andava i giro a raccattare i suoi libri. “Il terzo quadro a partire dal focolare, non lo dimenticherò.” Raccolse i libri uno ad uno, commentandoli man mano che li prendeva. “Non gli importa né delle sezioni coniche, né delle oscillazioni cicloidali, né dei principi, né del quaternione , né della termodinamica. Adesso vediamo il libro che lo ha beccato!” Malcomson lo prese e lo guardò. In quel momento ebbe un sussulto e il volto gli divenne improvvisamente pallido. Si guardò intorno a disagio e fu scosso da un lieve tremore mentre mormorava a sé stesso. “La Bibbia che mi ha dato mia madre! Che strana coincidenza.” Si sedette di nuovo a studiare, mentre i ratti dietro i pannelli di legno riprendevano la loro sarabanda. Comunque, non lo disturbavano, in un certo senso, la loro presenza gli faceva compagnia. Ma non riuscì ad applicarsi allo studio, e dopo essersi sforzato di padroneggiare l'argomento su cui si era impegnato, disperato, si arrese e andò a letto mentre le prime luci dell'alba si insinuavano attraverso le finestre situate ad est. Dormì un sonno pesante ma inquieto e sognò molto. Quando Mrs. Dempster lo svegliò la mattina tardi, sembrò a disagio, e per alcuni minuti sembrò che non riuscisse a capire dove si trovasse esattamente. La sua prima richiesta sorprese alquanto la domestica.
"Mrs. Dempster, quando sarò fuori, potreste prendere la scala e spolverare, o lavare, quei quadri - specialmente il terzo a partire dal focolare – mi piacerebbe vedere come sono.” Nel tardo pomeriggio Malcomson lavorò sui suoi libri nella passeggiata ombreggiata, e con l'approssimarsi del tramonto, gli ritornò l'allegria del giorno precedente. Aveva risolto in maniera soddisfacente i problemi che lo avevano fino ad allora tenuto in scacco e fu in uno stato di euforia che fece visita a Mrs, Witham a “Il buon viaggiatore.”



Nell'accogliente salottino, trovò la proprietaria in compagnia di uno straniero che gli fu presentato come Dr. Thornhill. La signora non era completamente a suo agio, e questo, insieme al fatto che il dottore si tuffò immediatamente a porgli una serie di domande, fece pervenire Malcomson alla conclusione che la sua presenza non era accidentale, così, senza molti preamboli, disse: "Dr. Thornhill, risponderò con piacere a qualunque domanda deciderete di farmi, a patto che prima rispondiate alla mia domanda.” Il dottore sembrò sorpreso, ma sorrise e rispose prontamente, “Accettato! Chiedete pure.” “E' stata Mrs. Witham a chiedervi di venire qui per incontrarmi e consigliarmi?” Per un attimo, il Dr. Thornhill fu preso alla sprovvista, e Mrs. Witham diventò rossa come il fuoco e si girò di spalle, ma il dottore, da uomo franco e sveglio qual era, rispose senza tentennamenti e con sincerità. “E' così, ma non voleva che lo sapeste. Suppongo che sia stata la mia fretta maldestra che vi ha fatto sospettare. Mi ha detto che non le piace l'idea di sapervi tutto solo in quella casa, inoltre pensava che bevete troppo tè forte. Infatti, desidera che io vi consigli, se possibile, di smetterla col tè e con le ore piccole. Anche io ero uno studente universitario diligente ai miei tempi, così suppongo di potermi prendere la libertà di considerarmi un vostro collega, e senza che vi offendiate, consigliarvi come se non vi fossi del tutto estraneo.” Malcomson gli tese la mano con un sorriso smagliante. “Qua la mano! Come dicono in America,” disse. “Devo ringraziarvi per la vostra gentilezza, e anche Mrs Witham, e la vostra gentilezza merita di essere ricambiata da parte mia, così prometto di non bere più tè forte – niente più tè finché voi non me lo permetterete – e stanotte andrò a letto al più tardi alle una. Va bene così?”
“Ottimo!” disse il dottore. “Ora ditemi tutto ciò che avete notato in quella vecchia casa,“ e così Malcomson gli narrò immediatamente e nei minimi dettagli quanto era accaduto nelle ultime due notti. Di tanto in tanto veniva interrotto dalle esclamazioni di Mrs. Witham, ma quando alla fine raccontò l'episodio della Bibbia, la signora sfogò le sue emozioni represse con un urlo e recuperò la calma solo dopo che le fu somministrato un bel bicchiere di acqua e brandy 8. Il dottor Thornhill ascoltava con un'espressione di crescente preoccupazione e quando il racconto ebbe termine e Mrs Witham si fu del tutto ripresa, chiese: “Il ratto si spostava sempre sulla corda della campana di allarme?” “Sempre.” Dopo una pausa, il dottore disse, “Suppongo che sappiate di che corda si tratta?” “No.” “Si tratta,” disse il dottore lentamente, “di quella stessa corda che il boia usava per tutte le vittime del rancore giudiziario del Giudice!” A questo punto fu interrotto da un altro urlo di Mr. Witham, e si dovettero prendere delle misure per farla ritornare in sé. Dopo aver guardato l'orologio, Malcomson si accorse che era quasi ora di cena e se ne andò prima che la donna si fosse completamente ristabilita. Quando Mrs. Witham fu di nuovo in sé, quasi assalì il dottore chiedendogli con tono irato dove voleva arrivare mettendo certe orribili idee nella testa di quel povero giovane. “Lì dentro ci sono già abbastanza cose che lo turbano,” aggiunse. Il dottor Thornhill rispose: “Mia cara signora, agendo i quel modo, avevo uno scopo ben preciso! Volevo attirare e la sua attenzione sulla corda della campana e tenervela ben ferma. E' possibile che egli sia estremamente logorato per il troppo studio, sebbene mi corre l'obbligo di dire che egli, secondo il mio parere, sembra sano e in buona salute, sia mentalmente che fisicamente - ma poi i ratti - e quella suggestione del diavolo.” Il dottore scosse la testa e continuò. “Avrei voluto offrirmi per andare andare a stare con lui questa prima notte, ma ero sicuro che si sarebbe offeso. Durante la notte potrebbe essere vittima di strane paure o allucinazioni, se ciò dovesse accadere, voglio che tiri quella corda. Essendo completamente solo, in questo modo potrà avvisarci e noi potremo raggiungerlo in tempo per aiutarlo. Andrò a letto molto tardi stanotte, nel frattempo, terrò le orecchie ben aperte. Non vi allarmate se a Benchurch accadrà qualcosa di sorprendente prima che faccia giorno.” “Oh, dottore, cosa volete dire?” “Voglio dire questo: che probabilmente – sì, più che probabilmente – stanotte sentiremo suonare la grande campana di allarme della casa del Giudice,” e con questo, il dottore fece un'uscita di scena che più efficace non avrebbe potuto essere immaginata.
Quando Malcomson arrivò a casa si avvide che aveva fatto più tardi del solito e che Mrs. Dempster se ne era andata – le regole dell'opera pia di Greenhow non potevano essere disattese. Fu felice di vedere che il posto era lindo e ordinato, con un allegro fuoco e la lampada ben regolata. La sera era più fredda di quanto ci si potesse aspettare in aprile, mentre un forte vento soffiava con una forza che aumentava così rapidamente che nell'aria c'erano tutti i segni dell'approssimarsi di un temporale notturno. Per alcuni minuti dopo il suo ingresso il rumore dei topi cessò, ma quelli ricominciarono non appena si furono abituati alla sua presenza. Fu contento di udirli, perché ancora una volta il loro rumore lo faceva sentire in compagnia, e la sua mente ritornò al fatto strano che smettevano di fare baccano soltanto quando quell'altro – il grande ratto dagli occhi malvagi – arrivava sulla scena. Era accesa solo la lampada da lettura e il suo paralume verde lasciava al buio il soffitto e la parte alta della stanza, così che l'allegra luce del focolare si spargeva calda e gioiosa sul pavimento e sulla tovaglia bianca stesa su una estremità del tavolo. Malcomson si accinse a cenare di buon appetito e di ottimo umore. Dopo aver cenato e fumato una sigaretta, si mise a studiare alacremente, determinato a non permettere che alcuna cosa lo disturbasse, perché ricordava la promessa fatta al dottore e decise di sfruttare al meglio il tempo a sua disposizione. Il lavoro procedette senza intoppi per circa un'ora, poi i suoi pensieri iniziarono a divagare lontano dai libri. La realtà circostante, i richiami rivolti alla sua attenzione fisica e la sua suscettibilità nervosa non potevano essere negati. Il vento era ormai diventato una burrasca e la burrasca un temporale. La vecchia casa, per quanto fosse solida, sembrava tremare fin dalle fondamenta, mentre il temporale ululava e infuriava attraverso i tanti camini e i vecchi frontoni stravaganti, producendo rumori strani e sinistri nelle camere vuote e i corridoi. Perfino la grande campana di allarme sul tetto doveva aver subito la forza del vento, perché la corda si alzava e si abbassava lievemente, come se la campana si muovesse un po' di tanto in tanto, e la corda flessibile cadeva sul pavimento con un tonfo pesante.
Mentre Malcomson ascoltava, gli ritornarono in mente le parole del dottore, “E' la corda che il boia usava per le vittime del rancore giudiziario del Giudice,” così si avvicinò all'angolo del focolare e la prese tra le mani per osservarla. Sembrava possedere una sorta di fascino mortale, e continuando a guardarla, si perse per un attimo in speculazioni su chi fossero le vittime e sul bieco desiderio del Giudice di avere una così macabra reliquia sempre sotto gli occhi. Intanto, le oscillazioni della campana sul tetto, di tanto in tanto, continuavano a sollevare la corda, ma dopo un po', ci fu una nuova sensazione – una sorta di tremore nella corda, come se qualcosa vi si stesse muovendo sopra.
Guardando istintivamente verso l'alto, Malcomson, vide il grande ratto scendere lentamente verso di lui, fissandolo con insistenza. Lasciò cadere la corda e fece un balzo all'indietro borbottando un'imprecazione, mentre il ratto, voltandosi, risalì la corda e sparì. In quello stesso momento, Malcomson si rese conto che il rumore dei ratti, dopo un attimo di sosta, era ricominciato.
Tutto ciò lo fece riflettere e gli ritornò in mente che non aveva ancora esaminato la tana del ratto, né aveva dato un'occhiata ai quadri, come era stata sua intenzione. Accese la lampada senza paralume e, tenendola in alto, si andò a piazzare di fronte al terzo quadro a destra del focolare, proprio dove aveva visto sparire il ratto la notte precedente. Dopo una prima occhiata, balzò all'indietro così repentinamente, che quasi lasciò cadere la lampada, mentre un pallore cadaverico gli ricopriva il volto. Gli tremarono le ginocchia, grosse gocce di sudore gli bagnarono la fronte e incominciò a tremare come un fuscello. Ma era giovane e audace e si ricompose e dopo una sosta di pochi secondi avanzò di nuovo, sollevò la lampada ed esaminò il quadro che era stato spolverato e lavato, così che ora si vedeva chiaramente.
Era il ritratto di un giudice vestito con la sua toga scarlatta bordata di ermellino. La sua faccia era forte e spietata, cattiva, astuta e vendicativa, con una bocca sensuale, un naso ad uncino di color rosso, modellato come il becco di un uccello da preda. Il resto della faccia era di un colore cadaverico. Gli occhi avevano una brillantezza particolare ed un'espressione terribilmente malvagia. Mentre li guardava, Malcomson si sentì raggelare, perché ci vedeva l'esatta copia degli occhi del grande ratto.




La lampada quasi gli cadde di mano quando vide il ratto con i suoi occhi malefici sbucare fuori dal buco nell'angolo del quadro e notò che il rumore fatto dagli altri ratti era cessato. Comunque, si ricompose e continuò ad esaminare il quadro. Il Giudice era seduto su una sedia di quercia intagliata con un alto schienale, posta a destra di un grande focolare di pietra dove, nell'angolo, una corda pendeva giù dal soffitto, con la parte finale arrotolata sul pavimento. Con un sentimento molto simile all'orrore, Malcomson riconobbe la scena della stanza, così com'era, e si guardò intorno con sgomento, come se si aspettasse di trovare una strana presenza dietro di sé. Quindi, guardò verso l'angolo del focolare – e con un urlo lacerante lasciò che la lampada gli cadesse di mano.
Lì, nella sedia a braccioli del Giudice, con la corda che penzolava dietro, sedeva il ratto con gli stessi occhi malvagi del Giudice, ora ancora più intensi, e con un ghigno demoniaco. Fatta eccezione per l'ululato del vento all'esterno, la casa era silenziosa. Il fragore della lampada caduta fece ritornare Malcomson in sé. Fortunatamente, era di metallo, così l'olio non si era versato. Comunque, l'esigenza pratica di occuparsene, calmò immediatamente la sua inquietudine nervosa. Dopo che la ebbe spenta, si asciugò la fronte e si fermò a pensare per un attimo. “Così non va bene,” si disse. “Se vado avanti in questo modo, diventerò un povero pazzo. Tutto questo deve finire! Ho promesso al dottore che non avrei bevuto tè. Parola mia, aveva proprio ragione! I miei nervi devono essersi ridotti in uno stato veramente preoccupante. Strano. Non me ne sono accorto. Non mi sono mai sentito meglio in vita mia. Comunque, adesso va tutto bene, e non sarò mai più così sciocco.” Quindi, si preparò un bel bicchiere di acqua e brandy e si mise risolutamente a lavorare. Era passata quasi un'ora quando alzò la testa dai libri, disturbato da una calma improvvisa. Fuori il vento ululava e ruggiva più forte che mai, mentre la pioggia cadeva a scrosci contro le finestre, battendo sui vetri come grandine, ma dentro non c'era alcun rumore, ad eccezione dell'eco del vento che rimbombava nel grande comignolo, e ogni tanto, in una pausa del temporale, si udiva un sibilo quando qualche goccia di pioggia si faceva strada giù per il camino. Il fuoco ardeva basso e senza più fiamme, sebbene diffondesse ancora un bagliore rossastro, Malcomson ascoltava attentamente, e dopo un po' sentì il suono debolissimo di un leggero squittio. Proveniva dall'angolo della stanza dove pendeva la corda, e pensò che fosse il crepitio della corda che batteva sul pavimento ogni volta che il dondolio della campana la faceva alzare e abbassare. Guardando su, comunque, intravide in quella debole luce il grande ratto aggrapparsi alla corda e rosicchiarla.
La corda era stata rosicchiata quasi del tutto – ne poteva vedere il colore più chiaro là dove i fili erano stati messi a nudo. Mentre guardava, il lavoro fu portato a termine e quella parte della corda che era stata recisa cadde rumorosamente sul pavimento di quercia, mentre, per un istante, il grande ratto rimase attaccato all'altra estremità, che ora dondolava avanti e indietro, simile ad un pomello o ad una nappa. Per un attimo, Malcomson avvertì un'altra fitta di terrore non appena si rese conto che ora era stata recisa anche la possibilità di chiamare il mondo esterno in suo aiuto, subito dopo subentrò un'intensa rabbia e afferrando il libro che stava leggendo, lo scagliò contro il ratto. Il colpo era stato ben mirato, ma prima che il missile potesse raggiungerlo, il ratto si lasciò cadere e colpì il pavimento con un tonfo leggero. Malcomson gli si slanciò immediatamente contro, ma quello schizzò via e sparì nelle tenebre delle ombre della stanza. Malcomson capì che il suo lavoro per quella notte era finito, e decise su due piedi di variare la monotonia della situazione con una caccia al ratto, così rimosse il paralume verde della lampada in modo da assicurarsi una più ampia diffusione della luce. La conseguenza fu che l'oscurità della parte superiore della stanza fu rischiarata, e nella nuova ondata di luce, grande a paragone delle tenebre precedenti, i quadri sul muro risaltarono con nettezza. Malcomson vide proprio davanti a sé il terzo quadro sulla parete a destra del focolare. Si stropicciò gli occhi per la sorpresa e poi una grande paura scese su di lui.
Al centro del quadro c'era un' ampia superficie di tela marrone dai contorni irregolari che sembrava nuova come quando era stata fissata alla cornice. Il resto del quadro era come sempre, con la sedia, l'angolo del focolare e la corda, ma la figura del giudice era sparita. Malcomson, quasi raggelato dall'orrore, si girò lentamente e subito iniziò ad agitarsi e tremare come un uomo colpito da paralisi. Sembrava che le forze gli fossero venute meno al punto che era incapace di agire o di muoversi e gli riusciva persino difficile pensare. Poteva solo vedere e sentire. Là, sulla grande sedia di quercia intagliata con l'alto schienale sedeva il giudice con la sua toga scarlatta bordata di ermellino, gli occhi malefici che lo fissavano desiderosi di vendetta e un sorriso di trionfo sulla bocca crudele e risoluta, mentre sollevava tra le mani un berretto nero. Malcomson sentiva come se il sangue gli defluisse dal cuore, proprio come succede nei momenti di prolungata tensione. Le orecchie gli fischiavano. Fuori, poteva udire il ruggito e l'ululato della tempesta, e trasportati dalle raffiche del vento, gli giunsero anche i rintocchi della mezzanotte delle grandi campane dell'orologio della piazza del mercato. Per un intervallo di tempo che gli sembrò infinito, rimase immobile come una statua, con gli occhi spalancati e colmi di terrore, mentre il respiro gli veniva meno. Man mano che l'orologio suonava, il sorriso di trionfo sulla faccia del giudice diventava più intenso e all'ultimo rintocco della mezzanotte si mise in testa il berretto nero.9



Il giudice Coleridge indossa il suo berretto nero – XVIII secolo

Con lentezza e determinazione, il giudice si alzò dalla sedia e raccolse il pezzo di corda della campana di allarme caduto sul pavimento, se lo fece scivolare tra le mani come se provasse piacere a toccarlo, e poi, con decisione, incominciò a legarne un'estremità dandogli la forma di un cappio. Lo Strinse e lo provò passandoci dentro il piede e poi tirò finché non fu soddisfatto e alla fine ne ricavò un capestro, che tenne nelle mani. Quindi iniziò a muoversi lungo il tavolo dal lato opposto a quello di Malcomson, tenendo gli occhi su di lui finché non lo ebbe oltrepassato, allora, con un balzo fulmineo, si mise con le spalle alla porta. In quel momento, Malcomson incominciò a intuire di essere in trappola e cercò di capire cosa avrebbe dovuto fare. C'era una sorta di fascino magnetico negli occhi del Giudice, che non glieli tolse mai di dosso e che, di conseguenza, era costretto a guardare. Vide il Giudice avvicinarsi - continuando a tenersi fra lui e la porta – alzare il capestro e lanciarlo verso di lui, come per catturarlo. Con un rapido movimento, si spostò velocemente di lato e vide la corda cadere accanto a lui e la sentì colpire il pavimento di quercia. Di nuovo il Giudice raccolse il capestro e cercò di intrappolarlo, continuando a tenere i suoi malefici occhi fissi su di lui, e ogni volta, con uno sforzo inaudito, lo studente riusciva a schivarlo per un soffio. La cosa andò avanti in quel modo diverse volte, e mai il Giudice sembrò scoraggiarsi o scomporsi per il fallimento, ma continuò a giocare come il gatto fa col topo. Alla fine, preso dalla disperazione, che aveva raggiunto ormai il culmine, Malcomson diede una rapida occhiata in giro. La lampada sembrava splendere al massimo della sua luminosità, e nella stanza c'era una luce molto intensa. Poteva vedere gli occhi dei ratti affacciarsi alle loro tane e nelle fessure e nelle crepe della pannellatura di legno, e questa aspetto della situazione, che era puramente fisico, gli diede un barlume di conforto. Si guardò intorno e vide che la corda che penzolava dalla grande campana di allarme era ricoperta di ratti. Ogni centimetro ne era ricoperto, e sempre di più ne calavano giù attraverso il piccolo foro circolare nel soffitto da cui sbucava la corda; così, a causa del loro peso, la campana iniziò ad oscillareAttenzione! Aveva oscillato finché il batacchio aveva toccato la campana. Non era altro che un debole suono, ma la campana aveva solo iniziato ad oscillare, e presto sarebbe aumentato di intensità. A quel suono il Giudice, che aveva continuato a tenere gli occhi fissi su Malcomson, guardò su e una diabolica smorfia di rabbia si diffuse su tutto il suo viso. I suoi occhi ardevano come tizzoni, e batté a terra il piede con un rumore che sembrò far tremare la casa. Un tuono spaventoso rimbombò in cielo proprio mentre sollevava di nuovo la corda, intanto i ratti continuavano a correre su e giù, come se stessero lottando contro il tempo. Questa volta si avvicinò alla sua vittima tenendo il cappio aperto, invece di lanciarlo. Man mano che si avvicinava sembrava esserci qualcosa di paralizzante nella sua stessa presenza, e Malcomson rimase rigido come un cadavere. Sentì le dita gelide del Giudice toccargli la gola, mentre regolava la corda. Il cappio si strinse, e poi si strinse ancora. Allora il Giudice, sollevando tra le braccia il corpo rigido dello studente, lo trasportò fino alla sedia di quercia e ve lo sistemò in piedi, poi gli salì affianco, allungò la mano e afferrò l'estremità dondolante della corda della campana d'allarme. Non appena alzò la mano, i ratti fuggirono via squittendo e sparirono attraverso il buco nel soffitto. Prendendo l'estremità del cappio che era intorno al collo di Malcomson, lo legò alla corda penzolante della campana, poi scese giù e tirò via la sedia.
Quando la campana di allarme della casa del Giudice incominciò a suonare, una gran quantità di persone si radunò immediatamente. Luci e torce di ogni genere apparirono e subito dopo una folla silenziosa accorse sul posto. Bussarono forte alla porta, ma non ci fu alcuna risposta. Allora buttarono giù la porta e si riversarono nella grande sala da pranzo, con il dottore alla testa. Là, all'estremità della corda della grande campana di allarme, era appeso il corpo dello studente, e sulla faccia del giudice, nel quadro, c'era un sorriso malefico.

FINE




1 Jacobean style – stile architettonico dominante in Inghilterra durante il regno del re Giacomo I (1603-25), nel quale prevalgono elementi rinascimentali che richiamano l'architettura olandese.
2 Mathematical Tripostripos è un termine specifico dell'Università di Cambridge e indica l'esame finale sostenuto da uno studente che aspira all'honours degree (titolo di laurea di livello superiore che si ottiene scegliendo un piano di studi con un maggior numero di materie). Originariamente riguardava solo la facoltà di matematica, oggi è un esame che si sostiene in tutte le facoltà. Il termine tripos deriva dal latino tripus, che indicava lo sgabello a tre piedi sul quale in passato il candidato si sedeva per discutere la sua tesi di laurea.
3 bogies – il termine bogie, scritto anche con le grafie bogey e bogy, può essere un “fantasma”, un “folletto”, oppure, come abbreviazione di bogeyman, un essere fantastico e pauroso che spesso viene nominato rivolgendosi ai bambini per spaventarli. Può essere associato all'italiano “uomo nero”, “babau”. A volte, con la lettera maiuscola, può anche indicare il diavolo.
4 Senior Wrangler – all'Università di Cambridge, è lo studente che ha ottenuto i voti più alti al Mathematical Tripos. Wrangler deriva ovviamente dal verbo to wrangle, che vuol dire “disputare”, “affrontare”, “lottare”. Il Senior Wrangler è chi ha affrontato meglio gli esami. Negli Stati Uniti, un wrangler è invece un tipo di cowboy, capace di affrontare e domare, per esempio nei rodei, gli animali. Questa accezione è all'origine del nome dato ai jeans Wrangler.
5 Charity – oltre ai significati di “carità” e “beneficenza”, charity possiede anche quello di “ente di beneficenza”, “opera pia”.
6 Allusione, chiaramente ironica, alle tentazioni di Sant' Antonio abate, detto anche sant'Antonio il Grande, sant'Antonio d'Egitto, sant'Antonio del Fuoco, sant'Antonio del Deserto, sant'Antonio l'Anacoreta (Qumans, 251 circa – deserto della Tebaide, 17 gennaio 357), fu un eremita egiziano, considerato il fondatore del monachesimo cristiano e il primo degli abati. Trascorse la vita isolato dal mondo a combattere contro i propri dubbi e le tentazioni del demonio.
7 Un bay window è un balcone finestrato sporgente dalla facciata di un edificio, anche interamente vetrato, a pianta rettangolare o semipoligonale, con una grossa finestra al centro e due sulle pareti oblique. Una struttura simile è il bow window, che però ha sempre una forma arrotondata.
8 Il brandy, preso in dosi moderate e allungato con l'acqua, era considerato alla stregua di un blando medicamento o cordiale.
9 Il giudice metteva in testa un panno nero quando doveva emettere una sentenza di morte. La pena capitale è stata abolita in Inghilterra nel 1998.

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