Il
re dei ratti
Abraham
“Bram” Stoker (Dublino 1847
– Londra 1912) è
considerato fra i maggiori esponenti del gotico vittoriano.
Dopo
un’infanzia segnata da gravi malattie che lo costringono a
trascorrere a letto i primi sei anni della sua vita, guarisce
improvvisamente in un modo che i medici definiscono miracoloso. Fu
durante questi anni che sviluppò il suo amore per la lettura e per
il folclore gaelico, popolato da figure vampiresche come le
Leannansidhe. Si
laureò a pieni voti in matematica
al Trinity College di Dublino e vinse il campionato di atletica
all'università. Conobbe anche Oscar Wilde e fu assiduo frequentatore
della sua casa a Merrion Square. Nel
1877 lasciò il suo lavoro di impiegato presso il Dublin Castle per
diventare l'impresario dell'attore Henry Irving. Nel 1878 sposò
Florence Balcombe, raffinata
bellezza preraffaellita,
già amata da Oscar Wilde. Intanto scrive racconti neo
gotici, anche per arrotondare i magri introiti. Nel 1897 pubblicò
Dracula (primo
titolo The Dead Undead).
La
stesura del suo capolavoro durò sette anni. Per documentarsi, lo
scrittore prese fiumi di appunti sul folclore locale delle varie
regioni inglesi, ma l'incontro più importante fu quello con lo
studioso ungherese Arminius Vambery, che consigliò a Stoker quali
testi leggere sulla figura storica di Vlad Tapes, detto Dracul
(figlio del drago o del diavolo), a cui attingerà per creare il suo
personaggio. La figura del vampiro aveva già fatto il suo ingresso
nella letteratura inglese nel 1819, anno della pubblicazione de Il
Vampiro di
John Polidori, medico personale di Lord Byron che sarà anche il
modello di questo primo vampiro dal fascino fatale
ma
molto mondano, e che stabilisce l'archetipo del vampiro come metafora
di quella seduzione sessuale di cui sarebbe stato impossibile parlare
apertamente a causa dell'ipocrita
morale
del tempo. Meno raffinato ma di gran successo fu il romanzo popolare
di autore incerto Varny
il vampiro (1847),
un penny
dreadful,
venduto a puntate nelle strade di Londra, al prezzo di un penny,
appunto.
Questo
vampiro ha molte delle caratteristiche del futuro Dracula: denti
aguzzi, di cui lascia i segni sul collo delle sue vittime, una forza
sovrumana, la capacità di ipnotizzare,
un'inestinguibile
sete di sangue. Ma l'autore che ha maggiormente influenzato Stoker è
un altro illustre irlandese, Sheridan Le Fanu, che nel 1872 pubblicò
il racconto Carmilla
(In
a Glass Darkly,1872),
ambientato in Austria, che ha come protagonista una misteriosa
vampira e il suo potere di seduzione su fanciulle giovani e
innocenti.
Grazie
al successo dei suoi romanzi e racconti, Stoker presto può dedicarsi
esclusivamente alla letteratura e compiere
lunghi
viaggi per il mondo. Muore a Londra nel 1912.
La
casa del giudice (The
Judge’s house)
è
pubblicato
per la prima volta nel 1891 nella rivista Illustrated
Sporting and Dramatic News.
Nel 1914, viene pubblicato
postumo
nella
raccolta Dracula's
Guest And Other Weird Stories.
Il
racconto narra la storia di Malcom Malcomson, uno studente di
matematica dell'università di Cambridge che, in cerca di
tranquillità
per
prepararsi all'esame di laurea, si reca in una sonnolenta cittadina
scelta a caso sull'orario ferroviario. Ma nemmeno la quiete della
locanda del posto è abbastanza per lui, così, andando a zonzo nei
dintorni del paese, viene attratto da una vetusta dimora ormai
disabitata, sorella minore dei terrificanti castelli gotici di
Walpole o Mrs. Radcliff, con mura spesse come una fortezza e una
campana d’allarme sul tetto. L'agente immobiliare è fin troppo
felice di affittargliela, anche per sfatare le non meglio specificate
'voci' che
girano sulla vecchia casa. Quando il giovane dice
alla
padrona della locanda dove andrà a stabilirsi, la donna ha una
reazione allarmata, ma non riesce a dire cosa esattamente c'è che
non va in
quel
luogo che tutti chiamano 'la
casa del giudice'
perché appartenuta, qualche secolo prima, a un
giudice spietato e vendicativo, che godeva nel dispensare a pioggia
condanne a morte e nel presenziare alle esecuzioni.
Il
giovane, forte del suo sapere scientifico, si fa burla di queste
paure irrazionali, e si stabilisce nella grande sala da pranzo della
casa. Intanto i topi, antichi abitatori della casa, abituatisi alla
presenza dello studente, riprendono a scorrazzare nella soffitta e
dietro i pannelli di legno che rivestono la sala. Il giovane,
divertito più che spaventato, va in giro per la stanza in cerca
delle tane
dei topi, che sembrano abitare ogni crepa di quelle vecchie mura. Due
cose, comunque, attirano la sua attenzione, i quadri appesi alle
pareti ormai così anneriti da essere indistinguibili e la lunga
corda della campana di allarme che pende dal soffitto, proprio vicino
ad un'antica seggiola di legno intagliato accanto
al
focolare. Ed è proprio su quella seggiola che, preannunciato da un
improvviso silenzio, scenderà, calandosi
lungo
la corda della campana, un enorme ratto dagli occhi malevoli, che
fugge solo quando il giovane lo minaccia con lo spiedo e sparisce in
un buco nel
quadro
che,
dopo
essere stato ripulito dalla fuliggine, risulta essere il
ritratto del defunto
giudice, seduto sulla vecchia seggiola di legno accanto al focolare,
con la corda della campana dietro e lo stesso sguardo malefico di
quello che
sembra essere la sua reincarnazione topesca.
LA CASA DEL GIUDICE (1891)
DI
BRAM STOKER
Quando la data del suo esame
si avvicinò, Malcolm Malcolmson decise di andare a studiare da
qualche parte da solo. Temeva allo stesso modo sia le distrazioni del
mare che il completo isolamento della campagna, perché un tempo ne
aveva conosciuto le attrattive, così decise di trovare una piccola
città senza pretese, dove non ci fosse nulla che lo distraesse. Si
trattenne dal chiedere suggerimenti a qualcuno dei suoi amici, perché
arguiva che ciascuno gli avrebbe raccomandato un posto che aveva già
frequentato e dove aveva delle conoscenze. Dal momento che Malcolmson
desiderava evitare gli amici, non aveva alcuna intenzione di
sobbarcarsi le attenzioni degli amici degli amici, così decise di
andare a cercarsi un posto per conto suo. Riempì una valigia con
alcuni abiti e tutti i libri che gli servivano, quindi prese un
biglietto per la prima località dell'orario ferroviario che non
conoscesse.
Quando alla fine di un
viaggio di tre ore scese a Benchurch, si sentì soddisfatto di aver
cancellato le sue traccie tanto quanto bastava per essere sicuro di
potersi dedicare ai suoi studi in pace. Andò dritto all'unica
locanda di quella sonnolenta cittadina e vi si fermò per la notte.
Benchurch era sede di mercato e una volta ogni tre settimane si
riempiva di gente fino all'inverosimile, ma per i restanti ventuno
giorni era attraente quanto un deserto. Malcolmson si guardò intorno
il giorno dopo il suo arrivo nel tentativo di trovare un alloggio
ancora più isolato di quello che poteva offrirgli una locanda
tranquilla come “Il buon viaggiatore”. Ci fu un solo posto che
colpì la sua immaginazione e che di sicuro soddisfaceva le sue più
ardite idee riguardo alla tranquillità, infatti, tranquillità non
era la parola giusta per descriverlo – desolazione era l'unico
termine che potesse in qualche misura dare la giusta idea del suo
isolamento. Era una vecchia casa di stile giacobita 1,
sconnessa e massiccia con pesanti frontoni e finestre insolitamente
piccole e poste più in alto di quanto accada in costruzioni di quel
tipo, circondata da un alto muro di mattoni di costruzione
altrettanto massiccia. Infatti, a ben guardare, era più simile ad un
edificio fortificato che ad una normale abitazione. Ma tutto ciò
incontrò il favore di Malcomson. “Qui,” pensò, “è proprio il
posto che stavo cercando e se avrò l'opportunità di servirmene, ne
sarò felice.” La sua gioa crebbe quando constatò che, senza ombra
di dubbio, la casa non era al momento abitata.
Dall'ufficio postale ottenne
il nome dell'agente immobiliare, che rimase eccezionalmente sorpreso
alla richiesta di affittare una parte della vecchia casa. Mr.
Cranford, l'avvocato del posto e agente immobiliare, era un vecchio
gentiluomo dal carattere cordiale e confessò francamente di essere
deliziato dal fatto che qualcuno volesse vivere nella casa. “Per
dirvi la verità,” disse, “sarei fin troppo felice, da parte dei
proprietari, di dare a qualcuno la casa in affitto gratuito per
qualche anno al solo scopo di abituare la gente di qua a vederla
abitata. E' stata vuota per così tanto tempo che intorno ad essa è
cresciuta una sorta di assurdo pregiudizio che può essere meglio
abbattuto facendola occupare – magari,” aggiunse lanciando uno
sguardo sornione verso Malcomson, “da uno studioso par vostro, che
ne desidera la quiete per un certo tempo.”
Malcomson pensò che non
fosse necessario interrogare l'agente riguardo all' “assurdo
pregiudizio;” sapeva che, se ne avesse avuto bisogno, avrebbe
potuto ottenere altrove maggiori informazioni sull'argomento. Pagò
l'affitto per tre mesi e ottenne la ricevuta insieme al nome di
un'anziana donna che avrebbe probabilmente accettato di fare le
faccende per lui, quindi, se ne venne via con le chiavi in tasca.
Andò poi dalla padrona della locanda, che era persona allegra e
gentilissima, e le chiese consiglio riguardo alle provviste e a tutto
quello di cui avrebbe potuto aver bisogno. La donna alzò le mani per
lo stupore quando le disse dove aveva intenzione di sistemarsi. “Non
nella casa del Giudice!” esclamò, impallidendo mentre parlava. Lui
spiegò in che località si trovava la casa, dicendo di non
conoscerne il nome. Quando ebbe finito, lei rispose: “Sì, di
sicuro – di sicuro è proprio quello il posto! E' la casa del
Giudice di sicuro.” Le chiese allora di parlargli del posto, perché
fosse chiamato in quel modo e cosa c'era contro di esso.
Gli disse
che era chiamato in quel modo dalla gente del posto perché molti
anni prima – quanti non avrebbe saputo dirlo, dal momento che lei
stessa veniva da un'altra parte della regione, ma pensava che
dovevano essere stati un cento anni o più – il posto era stato la
residenza di un giudice che era considerato con grande terrore a
causa delle sue dure sentenze e della sua ostilità verso i
prigionieri alle assise. Per quanto riguardava quello che c'era
contro la casa stessa, non sapeva che dire. Aveva chiesto spesso, ma
nessuno sapeva darle informazioni, tuttavia, il sentimento generale
era che ci fosse qualcosa, e da parte sua non avrebbe accettato tutto
il denaro nella banca di Drinkwater per stare da sola in quella casa
nemmeno per un'ora. Quindi si scusò con Malcomson per le sue
chiacchiere allarmiste. “E' una pessima cosa da parte mia, signore,
ma anche da parte vostra - che siete per di più un giovane
gentiluomo – se mi perdonate l'ardire, andarvene a vivere là tutto
da solo. Se foste mio figlio – e mi scuserete se lo dico – non
dormireste là una notte, nemmeno se dovessi andarci io stessa a
tirare la corda della grande campana d'allarme che c'è sul tetto!”
La brava donna era così palesemente sincera e così premurosa nelle
sue intenzioni, che Malcomson, sebbene divertito, ne fu commosso. Le
disse con gentilezza quanto apprezzasse il suo interesse per lui e
aggiunse: “Ma, mia cara Mrs. Witham, davvero non avete bisogno di
preoccuparvi per me! Un uomo che sta studiando per l'esame finale di
matematica 2 ha troppo a cui pensare per essere turbato da
qualcuno di questi misteriosi “qualcosa,” e il suo lavoro è di
un genere troppo preciso e prosaico per permettergli di avere anche
un solo angolo della sua mente dedicato a misteri di questo tipo.
Progressioni armoniche, permutazioni, combinazioni e funzioni
ellittiche hanno per me sufficienti misteri!”
Mrs. Witham si incaricò
gentilmente di badare alle sue commissioni, mentre lui andava a
cercare l'anziana donna che gli era stata raccomandata. Quando
ritornò alla casa del Giudice con lei, dopo un intervallo di un paio
di ore, trovò Mrs. Witham che lo aspettava con alcuni uomini e
ragazzi che trasportavano dei pacchi e un operaio del mobiliere con
un letto in un carro, perché, disse lei, sebbene i tavoli e le sedie
fossero tutti in ottime condizioni, un letto che probabilmente non
era stato arieggiato per cinquanta anni non era certo adatto a farci
dormire delle giovani ossa. Era evidentemente curiosa di vedere
l'interno dell'edificio, e se ne andò in giro per tutta la casa
anche se era manifestamente così spaventata dai “qualcosa” che
al minimo rumore si aggrappava a Malcomson che non lasciò nemmeno
per un attimo. Dopo aver esaminato il posto, Malcomson decise di
stabilirsi nell'ampia stanza da pranzo, che era grande abbastanza da
soddisfare tutte le sue esigenze.
Mentre Mrs. Witham, con
l'aiuto della donna della pulizia, Mrs. Dempster, procedette ad
organizzare le cose. Quando i pacchi furono portati dentro e
disfatti, Malcomson vide che, con molta premurosa previdenza, lei gli
aveva mandato dalla propria cucina provviste sufficienti per almeno
qualche giorno. Prima di andarsene, gli espresse ogni sorta di
cortese augurio e, arrivata alla porta, si girò e disse: “E forse,
signore, dal momento che la stanza è grande e piena di spifferi,
potrebbe essere bene sistemare uno di quei grandi paraventi intorno
al vostro letto per la notte – sebbene, a dire la verità, morirei
se dovessi essere chiusa qui dentro con tutte quelle specie di – di
“cose” con le loro teste che sbucano dai lati o su in cima e mi
guardano!” L'immagine che aveva evocato era troppo per i suoi
nervi, così fuggì via all'istante. Mrs. Dempster sbuffò con aria
di superiorità mentre la locandiera spariva, e rimarcò che, da
parte sua, non era spaventata da tutti gli spiriti maligni del regno.
“Vi racconto io come stanno le cose, signore,” disse, “gli
spettri 3 sono ogni specie e sorta di cose, tranne che
spettri! I ratti e i topi, gli scarafaggi, le porte che
scricchiolano, le tegole sconnesse, i vetri rotti e le maniglie
rigide dei cassetti, che stanno su quando le tirate e poi cadono giù
nel mezzo della notte. Guardate la pannellatura di legno di questa
stanza. E' vecchia, ha centinaia di anni! Pensate che non ci siano
ratti e scarafaggi lì! E pensate forse che non ne vedrete nessuno? I
ratti sono spettri, vi dico, e gli spettri sono ratti, e che non vi
venga in mente niente altro!” "Mrs. Dempster," disse
Malcolmson con tono grave, facendole un inchino educato, “voi ne
sapete più del primo della classe! 4 E lasciatemi dire che,
come segno di stima per la vostra incontestabile bontà di testa e di
cuore, quando me ne andrò, vi darò il possesso di questa casa e vi
lascerò stare qui da sola per gli ultimi due mesi della mia
affittanza, perché quattro settimane saranno sufficienti per i miei
scopi.” “Grazie di cuore, signore!” rispose lei, “ma non
potrei dormire lontano da casa una sola notte. Io vivo nell'opera pia
5 di Greenhow, e se per una notte non dormissi nella
mia stanza, perderei tutto quello che ho per vivere. Le regole sono
molto severe e ce ne sono fin troppi in attesa che si liberi un posto
perché io corra alcun rischio al riguardo. Altrimenti, signore,
sarei felice di venire qui e servirvi in tutto durante il vostro
soggiorno.” “Mia buona donna,” si affrettò a dire Malcomson,
“Sono venuto qui allo scopo di starmene in solitudine, e credetemi
che sono grato al defunto Greenhow per avere organizzato la sua
encomiabile opera pia- qualunque essa sia – in modo tale che mi sia
di conseguenza negata l'opportunità di essere esposto ad una tale
forma di tentazione! Sant'Antonio stesso non potrebbe essere più
rigido al riguardo!” 6
L'anziana donna ebbe una risata
rauca. “Ah, voi giovani gentiluomini,” disse, ”non avete paura
di niente, e probabilmente qui avrete tutta la solitudine che
volete.” Si mise a lavoro per ripulire la casa, e al calar della
notte, quando Malcomson ritornò dalla sua passeggiata – aveva
sempre uno dei suoi libri da studiare quando passeggiava – trovò
la stanza spazzata e riordinata, il fuoco che ardeva nel vecchio
caminetto, la lampada accesa e la tavola apparecchiata per la cena
con le eccellenti pietanze di Mrs. Witham. “Questo sì, che è
accogliente,” disse, sfregandosi le mani.
Quando ebbe finito di cenare
ed ebbe spostato il vassoio all'altra estremità del grande tavolo di
quercia, prese di nuovo i suoi libri, aggiunse altra legna al fuoco,
regolò la lampada e si mise giù a lavorare sodo per un pezzo.
Continuò senza pausa fin quasi alle undici, quando lasciò andare
per un attimo allo scopo di sistemare il fuoco e la lampada e
prepararsi una tazza di tè. Era sempre stato un gran bevitore di tè,
e durante la sua vita al college aveva studiato fino a tarda ora
bevendo tè. Quella sosta fu per lui un gran lusso, e se la godette
con un delizioso senso di rilassata voluttà. Il fuoco riattizzato
saltellava e scoppiettava, lanciando strane ombre in tutto quel
vecchio stanzone, mentre lui sorseggiava il suo tè bollente e si
godeva il senso di isolamento dagli altri esseri umani. Fu proprio
allora che incominciò a notare per la prima volta quale rumore
stessero facendo i ratti. “Di sicuro,” pensò, “non possono
averne fatto mentre studiavo. Diversamente, me ne sarei accorto!”
Poco dopo, quando il rumore aumentò, si convinse che era veramente
un fenomeno nuovo. Era evidente che dapprincipio i ratti erano stati
spaventati dalla presenza di uno straniero, e dalla luce del fuoco e
della lampada, ma, con l'andare del tempo, erano diventati sempre più
audaci ed ora si comportavano come era loro abitudine.
E come si davano da fare! E
senti che strani rumori! Su e giù dietro i vecchi pannelli di legno,
sul soffitto e sotto il pavimento, correvano, rosicchiavano e
graffiavano! Malcomson sorrise fra sé quando gli vennero in mente le
parole di Mrs. Dempster, “Gli spettri sono ratti e i ratti sono
spettri!” Il tè incominciava ad avere il suo effetto di stimolante
intellettuale e nervoso, vide con gioia un altro lungo periodo di
lavoro da portare a termine prima del finire della notte e grazie al
senso di sicurezza che questo gli diede, si concesse il lusso di dare
una bella occhiata alla stanza. Prese la lampada in una mano e andò
in giro ad ispezionarla, meravigliandosi del fatto che un'antica
dimora così particolare e bella fosse stata trascurata per tanto
tempo. Gli intagli dei pannelli di quercia erano davvero raffinati, e
quelli intorno alle porte e alle finestre erano belli e di rara
fattura. C'erano anche alcuni vecchi dipinti alle pareti, ma erano
ricoperti da uno strato di polvere e sporco così spesso che non
riuscì a distinguerne alcun dettaglio, benché tenesse la lampada
più in alto che poteva sulla sua testa.
Mentre ispezionava la
stanza, gli capitò di vedere qui e là delle crepe o dei buchi
riempiti per un istante dal muso di un ratto con gli occhietti che
brillavano nella luce, per poi sparire immediatamente, lasciandosi
dietro uno squittio e un trapestio. La cosa che più lo colpì,
comunque, fu la corda della grande campana d'allarme sul tetto, che
pendeva giù in un angolo della stanza, sulla destra del focolare.
Avvicinò al caminetto una grande sedia di quercia intagliata con un
alto schienale e si sedette per bere la sua ultima tazza di tè.
Quando ebbe finito, riattizzò il fuoco e si rimise a studiare,
sedendosi all'angolo del tavolo, con il fuoco alla sua sinistra. Per
un po' i ratti lo disturbarono alquanto con il loro perpetuo
trapestio, ma si abituò al rumore come si fa con il ticchettio di un
orologio o il cupo mormorio dell'acqua in movimento, e si immerse a
tal punto nel suo lavoro che ogni cosa al mondo, eccetto il problema
che stava cercando di risolvere, si allontanò da lui.
Improvvisamente alzò lo sguardo, il suo problema non era ancora
risolto e c'era nell'aria quella sensazione tipica dell'ora che
precede l'alba, che è così spaventosa per le persone facilmente
impressionabili. Il fracasso dei ratti era cessato. In effetti, gli
sembrava che dovesse essere cessato di recente ed era proprio la sua
improvvisa interruzione che lo aveva disturbato. Il fuoco si era
abbassato, ma emanava ancora un cupo bagliore rossastro. Mentre
guardava, ebbe un brivido a dispetto del suo sangue freddo. Lì,
sulla grande sedia di quercia intagliata con l'alto schienale alla
destra del focolare, sedeva un enorme ratto, che lo fissava
insistentemente con occhi malefici.
Fece cenno di muoversi verso
di lui come per cacciarlo via, ma quello non si mosse. Quindi finse
di tirargli contro qualcosa. Di nuovo non si mosse, ma digrignò
rabbiosamente i suoi grandi denti bianchi, mentre i suoi occhi
crudeli brillavano alla luce della lampada con accresciuta malignità.
Malcomson era stupito, e, afferrando l'attizzatoio dal focolare,
corse verso di lui per ucciderlo. Ma prima che potesse colpirlo, il
ratto, con uno squittio che suonava come un concentrato di odio,
saltò sul pavimento e, correndo su per la corda della campana
d'allarme, sparì nelle tenebre oltre il cono di luce della lampada
schermata da un paralume verde. Istantaneamente, strano a dirsi,
dietro alla pannellatura di legno ricominciò il rumoroso trapestio
dei ratti. Ma ormai la mente di Malcomson si era completamente
allontanata dal problema, e quando dall'esterno il canto acuto di un
gallo gli annunziò l'approssimarsi del mattino, se ne andò a letto
a dormire.
Dormiva così profondamente
che non fu svegliato nemmeno dall'arrivo di Mrs. Dampster, che era
venuta per rassettare la stanza. Si svegliò solamente dopo che la
donna, avendo messo in ordine il posto e preparato la colazione,
bussò sul paravento che circondava il letto. Era ancora un po'
stanco dopo la notte di duro lavoro, ma una tazza di tè forte lo
rimise in sesto e, dopo aver preso il suo libro, uscì per fare la
sua passeggiata quotidiana, portando con sé alcuni sandwich per non
doversi preoccupare di tornare a casa fino all'ora di cena. Poco
distante dal paese, trovò una tranquilla passeggiata tra alti olmi e
qui spese la maggior parte della giornata studiando il suo Laplace.
Sulla strada del ritorno passò a trovare Mrs. Witham per
ringraziarla della sua gentilezza. Quando lei lo vide arrivare
guardando attraverso i vetri a losanga della finestra a bovindo della
sua camera, 7 uscì ad incontrarlo e lo invitò ad
entrare. Lo osservò con aria indagatrice, poi, scuotendo la testa,
gli disse:”Non dovete esagerare, signore. Questa mattina siete più
pallido di quello che dovreste essere. Troppe ore piccole e troppo
impegno per il cervello non è un bene per nessuno! Ma ditemi,
signore, come avete trascorso la notte? Bene, spero? Ma in tutta
sincerità, signore, sono stata felice quando questa mattina Mrs,
Dempster mi ha detto che stavate bene e che dormivate sodo quando è
entrata.”
“Oh, stavo benissimo,” rispose,
sorridendo, “il “qualcosa” non mi ha dato fastidio, finora.
Solo i topi, e hanno fatto un tale parapiglia, vi dico, per tutta la
casa. C'era un vecchio diavolo con un'aria malvagia seduto sulla mia
sedia accanto al fuoco, e non si è mosso finché non l'ho minacciato
con l'attizzatoio, allora è corso su lungo la corda della campana
d'allarme e si è nascosto da qualche parte in alto nel muro o sul
soffitto – non sono riuscito a vedere dove, era così buio.”
“Pietà di noi,” disse Mrs. Witham, “un vecchio diavolo, e
seduto su una sedia vicino al focolare!
State attento, signore!
State attento! Ci sono molte parole di verità nelle vostre celie.”
“Cosa volete dire? Parola mia, non capisco.” “Un vecchio
diavolo! Il vecchio diavolo, forse. Via! Signore, non dovete ridere,”
perché Malcomson era scoppiato in una fragorosa risata. “Voi
giovani pensate che sia facile ridere della cose che fanno
rabbrividire i vecchi. Non importa, signore! Non importa! Piaccia a
Dio, che voi ridiate sempre. Ve lo auguro di cuore!” e la buona
signora ebbe un sorriso raggiante in armonia con l'allegria di lui,
essendo le sue paure sparite per un momento. “Oh, perdonatemi!”
si affrettò a dire Malcomson.” Non pensate che sia scortese, ma
l'idea era troppo per me – che il diavolo in persona fosse sulla
mia sedia la scorsa notte!” E a questo pensiero rise di nuovo.
Quindi andò a casa a cenare.
Quella sera il trapestio dei
ratti iniziò prima, in effetti era già in corso prima del suo
arrivo e cessò solo per un breve lasso di tempo, perché disturbati
dalla novità della sua presenza. Dopo cena, si sedette accanto al
fuoco per un po' a fumare, e poi, dopo aver sparecchiato, riprese il
suo lavoro. Quella notte i ratti lo disturbarono molto più di quanto
avessero fatto la notte recedente. Come scorrazzavano su e giù,
sopra e sotto! E come squittivano, e graffiavano, e rosicchiavano! E
come, fattisi pian piano più audaci, si avvicinarono all'orlo dei
loro buchi, delle crepe e delle fessure nella pannellatura di legno,
finché i loro occhi brillarono come piccole lampade mentre le fiamme
del focolare si alzavano e si abbassavano. Ma per lui, che senza
dubbio si era ormai abituato a loro, quegli occhi non erano malvagi,
era soltanto colpito dalla loro vivacità. A volte, i più baldanzosi
facevano incursioni sul pavimento o lungo la cornice della
pannellatura. Ogni tanto, quando lo disturbavano, Malcomson faceva
rumore per spaventarli, colpendo il tavolo con le mani o emettendo
dei furiosi “Sciò sciò,” così che quelli fuggivano di gran
carriera nei loro buchi. In questo modo trascorse la prima parte
della notte, e a dispetto del rumore, Malcomson si immerse sempre di
più nel suo lavoro. Tutto d'un tratto si fermò, come la notte
precedente, improvvisamente sopraffatto da una sensazione di silenzio
assoluto. Non si sentiva più rosicchiare, graffiare o squittire.
C'era un silenzio di tomba. Ricordò lo strano episodio della notte
precedente e istintivamente guardò verso la sedia accanto al
focolare. E quindi una stranissima sensazione lo fece rabbrividire da
capo a piedi.
Lì, accanto al focolare,
sulla grande sedia di legno intagliato con l'alto schienale, sedeva
lo stesso enorme ratto, che lo fissava insistentemente con occhi
malevoli. Istintivamente, Malcomson afferrò la cosa più a portata
di mano, un libro di logaritmi, e la tirò nella sua direzione. Il
libro era stato mirato malamente, così il ratto non si mosse, allora
si ripeté la stessa scena dell'attizzatoio della sera precedente, e
di nuovo il ratto, vedendosi attaccato da vicino, fuggì su per la
corda della campana d'allarme. Altrettanto stranamente, la fuga di
quel ratto fu istantaneamente seguita dalla ripresa del rumore da
parte di tutta la comunità dei ratti. In questa occasione, come in
quella precedente, Malcomson non riuscì a vedere in che punto della
stanza il ratto si andava a nascondere, perché il paralume verde
della lampada lasciava al buio la parte superiore della stanza, per
di più, il fuoco si era abbassato. Guardando il suo orologio, si
accorse che era quasi mezzanotte, allora, per niente dispiaciuto del
divertente intermezzo, riattizzò il fuoco e preparò il tè per la
notte. Aveva fatto un bel po' di lavoro, quando decise che si
meritava una sigaretta, così si mise a sedere sulla grande sedia di
quercia davanti al fuoco e se la fumò. Mentre fumava, incominciò a
pensare che gli sarebbe piaciuto sapere dove andava a nascondersi il
ratto, perché aveva dei progetti per il giorno dopo non del tutto
estranei all'acquisto di una trappola per topi. Di conseguenza,
accese un'altra lampada e la sistemò in modo da poter illuminare
l'angolo della parete a destra del focolare. Poi, prese tutti i libri
che aveva con sé e li piazzò a portata di mano con l'intenzione di
tirarli contro quell'animale molesto. Per ultimo, sollevò la parte
finale della corda della campana d'allarme e ne sistemò l'estremità
sul tavolo, fissandola sotto la lampada. Mentre la maneggiava, non
poté fare a meno di notare quanto fosse flessibile, pur essendo una
corda così robusta e in disuso. “Ci si potrebbe impiccare un
uomo,” pensò fra sé e sé. Quando ebbe finito i suoi preparativi,
si guardò intorno e disse compiaciuto: “Ecco fatto, amico, vedrai
che questa volta scopriremo qualcosa sul tuo conto!” Riprese a
studiare, e sebbene, come prima, all'inizio fosse alquanto disturbato
dal rumore dei ratti, ben presto si immerse completamente nei suoi
teoremi e nei suoi problemi. Di nuovo, l'ambiente circostante lo
distolse improvvisamente dai suoi studi. Questa volta non poteva
essere stato soltanto l'improvviso silenzio ad attirare la sua
attenzione: c'era un lieve dondolio della corda e la lampada si era
spostata. Senza fare un movimento, guardò per vedere se la sua pila
di libri era a portata di mano, e poi lanciò un occhiata alla corda.
Mentre osservava, vide il grande ratto saltare dalla corda alla
poltrona di quercia, dove si sedette tenendo lo sguardo fisso su di
lui. Sollevò un libro con la mano destra, e prendendo attentamente
la mira, lo scaraventò contro il ratto. Quest'ultimo, con un rapido
movimento, saltò di lato e scansò il missile. Prese allora un altro
libro, e poi un terzo, e li scagliò uno dietro l'altro contro il
ratto, ma ogni volta senza successo. Alla fine, mentre era in piedi
tenendo in mano il prossimo libro da lanciare, il ratto squittì e
sembrò spaventato. Questo incitò ancora di più Malcomson a
colpirlo, e il libro volò e colpì il ratto con un gran fracasso.
Quello squittì terrorizzato, e dopo aver lanciato al suo persecutore
uno sguardo di tremenda malvagità, corse in cima allo schienale, con
un grande salto arrivò alla corda della campana d'allarme e la
risalì come un fulmine. La lampada dondolò a causa di quella
improvvisa sollecitazione, ma era pesante e non si rovesciò.
Malcomson continuò a tenere gli occhi fissi sul ratto, e alla luce
della seconda lampada, lo vide saltare sulla cornice della
pannellatura per poi sparire attraverso un buco in uno dei grandi
quadri appesi al muro, annerito e invisibile a causa della crosta di
sporco e polvere.
“Controllerò l'abitazione
del mio amico domani mattina,” disse lo studente, mentre andava i
giro a raccattare i suoi libri. “Il terzo quadro a partire dal
focolare, non lo dimenticherò.” Raccolse i libri uno ad uno,
commentandoli man mano che li prendeva. “Non gli importa né delle
sezioni coniche, né delle oscillazioni cicloidali, né dei principi,
né del quaternione , né della termodinamica. Adesso vediamo il
libro che lo ha beccato!” Malcomson lo prese e lo guardò. In quel
momento ebbe un sussulto e il volto gli divenne improvvisamente
pallido. Si guardò intorno a disagio e fu scosso da un lieve tremore
mentre mormorava a sé stesso. “La Bibbia che mi ha dato mia madre!
Che strana coincidenza.” Si sedette di nuovo a studiare, mentre i
ratti dietro i pannelli di legno riprendevano la loro sarabanda.
Comunque, non lo disturbavano, in un certo senso, la loro presenza
gli faceva compagnia. Ma non riuscì ad applicarsi allo studio, e
dopo essersi sforzato di padroneggiare l'argomento su cui si era
impegnato, disperato, si arrese e andò a letto mentre le prime luci
dell'alba si insinuavano attraverso le finestre situate ad est. Dormì
un sonno pesante ma inquieto e sognò molto. Quando Mrs. Dempster lo
svegliò la mattina tardi, sembrò a disagio, e per alcuni minuti
sembrò che non riuscisse a capire dove si trovasse esattamente. La
sua prima richiesta sorprese alquanto la domestica.
"Mrs. Dempster, quando
sarò fuori, potreste prendere la scala e spolverare, o lavare, quei
quadri - specialmente il terzo a
partire dal focolare – mi piacerebbe vedere come sono.” Nel tardo
pomeriggio Malcomson lavorò sui suoi libri nella passeggiata
ombreggiata, e con l'approssimarsi del tramonto, gli ritornò
l'allegria del giorno precedente. Aveva risolto in maniera
soddisfacente i problemi che lo avevano fino ad allora tenuto in
scacco e fu in uno stato di euforia che fece visita a Mrs, Witham a
“Il buon viaggiatore.”
Nell'accogliente salottino,
trovò la proprietaria in compagnia di uno straniero che gli fu
presentato come Dr. Thornhill. La signora non era completamente a suo
agio, e questo, insieme al fatto che il dottore si tuffò
immediatamente a porgli una serie di domande, fece pervenire
Malcomson alla conclusione che la sua presenza non era accidentale,
così, senza molti preamboli, disse: "Dr. Thornhill, risponderò
con piacere a qualunque domanda deciderete di farmi, a patto che
prima rispondiate alla mia domanda.” Il dottore sembrò
sorpreso, ma sorrise e rispose prontamente, “Accettato! Chiedete
pure.” “E' stata Mrs. Witham a chiedervi di venire qui per
incontrarmi e consigliarmi?” Per un attimo, il Dr. Thornhill fu
preso alla sprovvista, e Mrs. Witham diventò rossa come il fuoco e
si girò di spalle, ma il dottore, da uomo franco e sveglio qual era,
rispose senza tentennamenti e con sincerità. “E' così, ma non
voleva che lo sapeste. Suppongo che sia stata la mia fretta maldestra
che vi ha fatto sospettare. Mi ha detto che non le piace l'idea di
sapervi tutto solo in quella casa, inoltre pensava che bevete troppo
tè forte. Infatti, desidera che io vi consigli, se possibile, di
smetterla col tè e con le ore piccole. Anche io ero uno studente
universitario diligente ai miei tempi, così suppongo di potermi
prendere la libertà di considerarmi un vostro collega, e senza che
vi offendiate, consigliarvi come se non vi fossi del tutto estraneo.”
Malcomson gli tese la mano con un sorriso smagliante. “Qua la mano!
Come dicono in America,” disse. “Devo ringraziarvi per la vostra
gentilezza, e anche Mrs Witham, e la vostra gentilezza merita di
essere ricambiata da parte mia, così prometto di non bere più tè
forte – niente più tè finché voi non me lo permetterete – e
stanotte andrò a letto al più tardi alle una. Va bene così?”
“Ottimo!” disse il
dottore. “Ora ditemi tutto ciò che avete notato in quella vecchia
casa,“ e così Malcomson gli narrò immediatamente e nei minimi
dettagli quanto era accaduto nelle ultime due notti. Di tanto in
tanto veniva interrotto dalle esclamazioni di Mrs. Witham, ma quando
alla fine raccontò l'episodio della Bibbia, la signora sfogò le sue
emozioni represse con un urlo e recuperò la calma solo dopo che le
fu somministrato un bel bicchiere di acqua e brandy 8. Il
dottor Thornhill ascoltava con un'espressione di crescente
preoccupazione e quando il racconto ebbe termine e Mrs Witham si fu
del tutto ripresa, chiese: “Il ratto si spostava sempre sulla corda
della campana di allarme?” “Sempre.” Dopo una pausa, il dottore
disse, “Suppongo che sappiate di che corda si tratta?” “No.”
“Si tratta,” disse il dottore lentamente, “di quella stessa
corda che il boia usava per tutte le vittime del rancore giudiziario
del Giudice!” A questo punto fu interrotto da un altro urlo di Mr.
Witham, e si dovettero prendere delle misure per farla ritornare in
sé. Dopo aver guardato l'orologio, Malcomson si accorse che era
quasi ora di cena e se ne andò prima che la donna si fosse
completamente ristabilita. Quando Mrs. Witham fu di nuovo in sé,
quasi assalì il dottore chiedendogli con tono irato dove voleva
arrivare mettendo certe orribili idee nella testa di quel povero
giovane. “Lì dentro ci sono già abbastanza cose che lo turbano,”
aggiunse. Il dottor Thornhill rispose: “Mia cara signora, agendo i
quel modo, avevo uno scopo ben preciso! Volevo attirare e la sua
attenzione sulla corda della campana e tenervela ben ferma. E'
possibile che egli sia estremamente logorato per il troppo studio,
sebbene mi corre l'obbligo di dire che egli, secondo il mio parere,
sembra sano e in buona salute, sia mentalmente che fisicamente - ma
poi i ratti - e quella suggestione del diavolo.” Il dottore scosse
la testa e continuò. “Avrei voluto offrirmi per andare andare a
stare con lui questa prima notte, ma ero sicuro che si sarebbe
offeso. Durante la notte potrebbe essere vittima di strane paure o
allucinazioni, se ciò dovesse accadere, voglio che tiri quella
corda. Essendo completamente solo, in questo modo potrà avvisarci e
noi potremo raggiungerlo in tempo per aiutarlo. Andrò a letto molto
tardi stanotte, nel frattempo, terrò le orecchie ben aperte. Non vi
allarmate se a Benchurch accadrà qualcosa di sorprendente prima che
faccia giorno.” “Oh, dottore, cosa volete dire?” “Voglio dire
questo: che probabilmente – sì, più che probabilmente –
stanotte sentiremo suonare la grande campana di allarme della casa
del Giudice,” e con questo, il dottore fece un'uscita di scena che
più efficace non avrebbe potuto essere immaginata.
Quando Malcomson arrivò a
casa si avvide che aveva fatto più tardi del solito e che Mrs.
Dempster se ne era andata – le regole dell'opera pia di Greenhow
non potevano essere disattese. Fu felice di vedere che il posto era
lindo e ordinato, con un allegro fuoco e la lampada ben regolata. La
sera era più fredda di quanto ci si potesse aspettare in aprile,
mentre un forte vento soffiava con una forza che aumentava così
rapidamente che nell'aria c'erano tutti i segni dell'approssimarsi di
un temporale notturno. Per alcuni minuti dopo il suo ingresso il
rumore dei topi cessò, ma quelli ricominciarono non appena si furono
abituati alla sua presenza. Fu contento di udirli, perché ancora una
volta il loro rumore lo faceva sentire in compagnia, e la sua mente
ritornò al fatto strano che smettevano di fare baccano soltanto
quando quell'altro – il grande ratto dagli occhi malvagi –
arrivava sulla scena. Era accesa solo la lampada da lettura e il suo
paralume verde lasciava al buio il soffitto e la parte alta della
stanza, così che l'allegra luce del focolare si spargeva calda e
gioiosa sul pavimento e sulla tovaglia bianca stesa su una estremità
del tavolo. Malcomson si accinse a cenare di buon appetito e di
ottimo umore. Dopo aver cenato e fumato una sigaretta, si mise a
studiare alacremente, determinato a non permettere che alcuna cosa lo
disturbasse, perché ricordava la promessa fatta al dottore e decise
di sfruttare al meglio il tempo a sua disposizione. Il lavoro
procedette senza intoppi per circa un'ora, poi i suoi pensieri
iniziarono a divagare lontano dai libri. La realtà circostante, i
richiami rivolti alla sua attenzione fisica e la sua suscettibilità
nervosa non potevano essere negati. Il vento era ormai diventato una
burrasca e la burrasca un temporale. La vecchia casa, per quanto
fosse solida, sembrava tremare fin dalle fondamenta, mentre il
temporale ululava e infuriava attraverso i tanti camini e i vecchi
frontoni stravaganti, producendo rumori strani e sinistri nelle
camere vuote e i corridoi. Perfino la grande campana di allarme sul
tetto doveva aver subito la forza del vento, perché la corda si
alzava e si abbassava lievemente, come se la campana si muovesse un
po' di tanto in tanto, e la corda flessibile cadeva sul pavimento con
un tonfo pesante.
Mentre Malcomson ascoltava,
gli ritornarono in mente le parole del dottore, “E' la corda che il
boia usava per le vittime del rancore giudiziario del Giudice,”
così si avvicinò all'angolo del focolare e la prese tra le mani per
osservarla. Sembrava possedere una sorta di fascino mortale, e
continuando a guardarla, si perse per un attimo in speculazioni su
chi fossero le vittime e sul bieco desiderio del Giudice di avere una
così macabra reliquia sempre sotto gli occhi. Intanto, le
oscillazioni della campana sul tetto, di tanto in tanto, continuavano
a sollevare la corda, ma dopo un po', ci fu una nuova sensazione –
una sorta di tremore nella corda, come se qualcosa vi si stesse
muovendo sopra.
Guardando istintivamente verso l'alto, Malcomson,
vide il grande ratto scendere lentamente verso di lui, fissandolo con
insistenza. Lasciò cadere la corda e fece un balzo all'indietro
borbottando un'imprecazione, mentre il ratto, voltandosi, risalì la
corda e sparì. In quello stesso momento, Malcomson si rese conto che
il rumore dei ratti, dopo un attimo di sosta, era ricominciato.
Tutto ciò lo fece
riflettere e gli ritornò in mente che non aveva ancora esaminato la
tana del ratto, né aveva dato un'occhiata ai quadri, come era stata
sua intenzione. Accese la lampada senza paralume e, tenendola in
alto, si andò a piazzare di fronte al terzo quadro a destra del
focolare, proprio dove aveva visto sparire il ratto la notte
precedente. Dopo una prima occhiata, balzò all'indietro così
repentinamente, che quasi lasciò cadere la lampada, mentre un
pallore cadaverico gli ricopriva il volto. Gli tremarono le
ginocchia, grosse gocce di sudore gli bagnarono la fronte e
incominciò a tremare come un fuscello. Ma era giovane e audace e si
ricompose e dopo una sosta di pochi secondi avanzò di nuovo, sollevò
la lampada ed esaminò il quadro che era stato spolverato e lavato,
così che ora si vedeva chiaramente.
Era il ritratto di un
giudice vestito con la sua toga scarlatta bordata di ermellino. La
sua faccia era forte e spietata, cattiva, astuta e vendicativa, con
una bocca sensuale, un naso ad uncino di color rosso, modellato come
il becco di un uccello da preda. Il resto della faccia era di un
colore cadaverico. Gli occhi avevano una brillantezza particolare ed
un'espressione terribilmente malvagia. Mentre li guardava, Malcomson
si sentì raggelare, perché ci vedeva l'esatta copia degli occhi del
grande ratto.
La lampada quasi gli cadde
di mano quando vide il ratto con i suoi occhi malefici sbucare fuori
dal buco nell'angolo del quadro e notò che il rumore fatto dagli
altri ratti era cessato. Comunque, si ricompose e continuò ad
esaminare il quadro. Il Giudice era seduto su una sedia di quercia
intagliata con un alto schienale, posta a destra di un grande
focolare di pietra dove, nell'angolo, una corda pendeva giù dal
soffitto, con la parte finale arrotolata sul pavimento. Con un
sentimento molto simile all'orrore, Malcomson riconobbe
la scena della stanza, così com'era, e si guardò intorno con
sgomento, come se si aspettasse di trovare una strana presenza dietro
di sé. Quindi, guardò verso l'angolo del focolare – e con un urlo
lacerante lasciò che la lampada gli cadesse di mano.
Lì, nella sedia a braccioli
del Giudice, con la corda che penzolava dietro, sedeva il ratto con
gli stessi occhi malvagi del Giudice, ora ancora più intensi, e con
un ghigno demoniaco. Fatta eccezione per l'ululato del vento
all'esterno, la casa era silenziosa. Il fragore della lampada caduta
fece ritornare Malcomson in sé. Fortunatamente, era di metallo, così
l'olio non si era versato. Comunque, l'esigenza pratica di
occuparsene, calmò immediatamente la sua inquietudine nervosa. Dopo
che la ebbe spenta, si asciugò la fronte e si fermò a pensare per
un attimo. “Così non va bene,” si disse. “Se vado avanti in
questo modo, diventerò un povero pazzo. Tutto questo deve finire! Ho
promesso al dottore che non avrei bevuto tè. Parola mia, aveva
proprio ragione! I miei nervi devono essersi ridotti in uno stato
veramente preoccupante. Strano. Non me ne sono accorto. Non mi sono
mai sentito meglio in vita mia. Comunque, adesso va tutto bene, e non
sarò mai più così sciocco.” Quindi, si preparò un bel bicchiere
di acqua e brandy e si mise risolutamente a lavorare. Era passata
quasi un'ora quando alzò la testa dai libri, disturbato da una calma
improvvisa. Fuori il vento ululava e ruggiva più forte che mai,
mentre la pioggia cadeva a scrosci contro le finestre, battendo sui
vetri come grandine, ma dentro non c'era alcun rumore, ad eccezione
dell'eco del vento che rimbombava nel grande comignolo, e ogni tanto,
in una pausa del temporale, si udiva un sibilo quando qualche goccia
di pioggia si faceva strada giù per il camino. Il fuoco ardeva basso
e senza più fiamme, sebbene diffondesse ancora un bagliore
rossastro, Malcomson ascoltava attentamente, e dopo un po' sentì il
suono debolissimo di un leggero squittio. Proveniva dall'angolo della
stanza dove pendeva la corda, e pensò che fosse il crepitio della
corda che batteva sul pavimento ogni volta che il dondolio della
campana la faceva alzare e abbassare. Guardando su, comunque,
intravide in quella debole luce il grande ratto aggrapparsi alla
corda e rosicchiarla.
La corda era stata
rosicchiata quasi del tutto – ne poteva vedere il colore più
chiaro là dove i fili erano stati messi a nudo. Mentre guardava, il
lavoro fu portato a termine e quella parte della corda che era stata
recisa cadde rumorosamente sul pavimento di quercia, mentre, per un
istante, il grande ratto rimase attaccato all'altra estremità, che
ora dondolava avanti e indietro, simile ad un pomello o ad una nappa.
Per un attimo, Malcomson avvertì un'altra fitta di terrore non
appena si rese conto che ora era stata recisa anche la possibilità
di chiamare il mondo esterno in suo aiuto, subito dopo subentrò
un'intensa rabbia e afferrando il libro che stava leggendo, lo
scagliò contro il ratto. Il colpo era stato ben mirato, ma prima che
il missile potesse raggiungerlo, il ratto si lasciò cadere e colpì
il pavimento con un tonfo leggero. Malcomson gli si slanciò
immediatamente contro, ma quello schizzò via e sparì nelle tenebre
delle ombre della stanza. Malcomson capì che il suo lavoro per
quella notte era finito, e decise su due piedi di variare la
monotonia della situazione con una caccia al ratto, così rimosse il
paralume verde della lampada in modo da assicurarsi una più ampia
diffusione della luce. La conseguenza fu che l'oscurità della parte
superiore della stanza fu rischiarata, e nella nuova ondata di luce,
grande a paragone delle tenebre precedenti, i quadri sul muro
risaltarono con nettezza. Malcomson vide proprio davanti a sé il
terzo quadro sulla parete a destra del focolare. Si stropicciò gli
occhi per la sorpresa e poi una grande paura scese su di lui.
Al centro del quadro c'era
un' ampia superficie di tela marrone dai contorni irregolari che
sembrava nuova come quando era stata fissata alla cornice. Il resto
del quadro era come sempre, con la sedia, l'angolo del focolare e la
corda, ma la figura del giudice era sparita. Malcomson, quasi
raggelato dall'orrore, si girò lentamente e subito iniziò ad
agitarsi e tremare come un uomo colpito da paralisi. Sembrava che le
forze gli fossero venute meno al punto che era incapace di agire o di
muoversi e gli riusciva persino difficile pensare. Poteva solo vedere
e sentire. Là, sulla grande sedia di quercia intagliata con l'alto
schienale sedeva il giudice con la sua toga scarlatta bordata di
ermellino, gli occhi malefici che lo fissavano desiderosi di vendetta
e un sorriso di trionfo sulla bocca crudele e risoluta, mentre
sollevava tra le mani un berretto nero. Malcomson sentiva come se il
sangue gli defluisse dal cuore, proprio come succede nei momenti di
prolungata tensione. Le orecchie gli fischiavano. Fuori, poteva udire
il ruggito e l'ululato della tempesta, e trasportati dalle raffiche
del vento, gli giunsero anche i rintocchi della mezzanotte delle
grandi campane dell'orologio della piazza del mercato. Per un
intervallo di tempo che gli sembrò infinito, rimase immobile come
una statua, con gli occhi spalancati e colmi di terrore, mentre il
respiro gli veniva meno. Man mano che l'orologio suonava, il sorriso
di trionfo sulla faccia del giudice diventava più intenso e
all'ultimo rintocco della mezzanotte si mise in testa il berretto
nero.9
Il giudice Coleridge
indossa il suo berretto nero – XVIII secolo
Con lentezza e
determinazione, il giudice si alzò dalla sedia e raccolse il pezzo
di corda della campana di allarme caduto sul pavimento, se lo fece
scivolare tra le mani come se provasse piacere a toccarlo, e poi, con
decisione, incominciò a legarne un'estremità dandogli la forma di
un cappio. Lo Strinse e lo provò passandoci dentro il piede e poi
tirò finché non fu soddisfatto e alla fine ne ricavò un capestro,
che tenne nelle mani. Quindi iniziò a muoversi lungo il tavolo dal
lato opposto a quello di Malcomson, tenendo gli occhi su di lui
finché non lo ebbe oltrepassato, allora, con un balzo fulmineo, si
mise con le spalle alla porta. In quel momento, Malcomson incominciò
a intuire di essere in trappola e cercò di capire cosa avrebbe
dovuto fare. C'era una sorta di fascino magnetico negli occhi del
Giudice, che non glieli tolse mai di dosso e che, di conseguenza, era
costretto a guardare. Vide il Giudice avvicinarsi - continuando a
tenersi fra lui e la porta – alzare il capestro e lanciarlo verso
di lui, come per catturarlo. Con un rapido movimento, si spostò
velocemente di lato e vide la corda cadere accanto a lui e la sentì
colpire il pavimento di quercia. Di nuovo il Giudice raccolse il
capestro e cercò di intrappolarlo, continuando a tenere i suoi
malefici occhi fissi su di lui, e ogni volta, con uno sforzo
inaudito, lo studente riusciva a schivarlo per un soffio. La cosa
andò avanti in quel modo diverse volte, e mai il Giudice sembrò
scoraggiarsi o scomporsi per il fallimento, ma continuò a giocare
come il gatto fa col topo. Alla fine, preso dalla disperazione, che
aveva raggiunto ormai il culmine, Malcomson diede una rapida occhiata
in giro. La lampada sembrava splendere al massimo della sua
luminosità, e nella stanza c'era una luce molto intensa. Poteva
vedere gli occhi dei ratti affacciarsi alle loro tane e nelle fessure
e nelle crepe della pannellatura di legno, e questa aspetto della
situazione, che era puramente fisico, gli diede un barlume di
conforto. Si guardò intorno e vide che la corda che penzolava dalla
grande campana di allarme era ricoperta di ratti. Ogni centimetro ne
era ricoperto, e sempre di più ne calavano giù attraverso il
piccolo foro circolare nel soffitto da cui sbucava la corda; così, a
causa del loro peso, la campana iniziò ad oscillareAttenzione! Aveva oscillato
finché il batacchio aveva toccato la campana. Non era altro che un
debole suono, ma la campana aveva solo iniziato ad oscillare, e
presto sarebbe aumentato di intensità. A quel suono il Giudice, che
aveva continuato a tenere gli occhi fissi su Malcomson, guardò su e
una diabolica smorfia di rabbia si diffuse su tutto il suo viso. I
suoi occhi ardevano come tizzoni, e batté a terra il piede con un
rumore che sembrò far tremare la casa. Un tuono spaventoso rimbombò
in cielo proprio mentre sollevava di nuovo la corda, intanto i ratti
continuavano a correre su e giù, come se stessero lottando contro il
tempo. Questa volta si avvicinò alla sua vittima tenendo il cappio
aperto, invece di lanciarlo. Man mano che si avvicinava sembrava
esserci qualcosa di paralizzante nella sua stessa presenza, e
Malcomson rimase rigido come un cadavere. Sentì le dita gelide del
Giudice toccargli la gola, mentre regolava la corda. Il cappio si
strinse, e poi si strinse ancora. Allora il Giudice, sollevando tra
le braccia il corpo rigido dello studente, lo trasportò fino alla
sedia di quercia e ve lo sistemò in piedi, poi gli salì affianco,
allungò la mano e afferrò l'estremità dondolante della corda della
campana d'allarme. Non appena alzò la mano, i ratti fuggirono via
squittendo e sparirono attraverso il buco nel soffitto. Prendendo
l'estremità del cappio che era intorno al collo di Malcomson, lo
legò alla corda penzolante della campana, poi scese giù e tirò via
la sedia.
Quando la campana di allarme
della casa del Giudice incominciò a suonare, una gran quantità di
persone si radunò immediatamente. Luci e torce di ogni genere
apparirono e subito dopo una folla silenziosa accorse sul posto.
Bussarono forte alla porta, ma non ci fu alcuna risposta. Allora
buttarono giù la porta e si riversarono nella grande sala da pranzo,
con il dottore alla testa. Là, all'estremità della corda della
grande campana di allarme, era appeso il corpo dello studente, e
sulla faccia del giudice, nel quadro, c'era un sorriso malefico.
FINE
1
Jacobean style – stile architettonico dominante in
Inghilterra durante il regno del re Giacomo I (1603-25), nel quale
prevalgono elementi rinascimentali che richiamano l'architettura
olandese.
2 Mathematical
Tripos – tripos è un termine specifico dell'Università
di Cambridge e indica l'esame finale sostenuto da uno studente che
aspira all'honours degree (titolo di laurea di livello
superiore che si ottiene scegliendo un piano di studi con un maggior
numero di materie). Originariamente riguardava solo la facoltà di
matematica, oggi è un esame che si sostiene in tutte le facoltà. Il
termine tripos deriva dal latino tripus, che indicava
lo sgabello a tre piedi sul quale in passato il candidato si sedeva
per discutere la sua tesi di laurea.
3
bogies – il termine
bogie,
scritto anche con le grafie bogey
e bogy,
può essere un “fantasma”, un “folletto”, oppure, come
abbreviazione di bogeyman,
un essere fantastico e pauroso che spesso viene nominato rivolgendosi
ai bambini per spaventarli. Può essere associato all'italiano “uomo
nero”, “babau”. A volte, con la lettera maiuscola, può anche
indicare il diavolo.
4 Senior Wrangler
– all'Università di Cambridge, è lo studente che ha ottenuto i
voti più alti al Mathematical Tripos. Wrangler deriva
ovviamente dal verbo to wrangle, che vuol dire “disputare”,
“affrontare”, “lottare”. Il Senior Wrangler è chi ha
affrontato meglio gli esami. Negli Stati Uniti, un wrangler è
invece un tipo di cowboy, capace di affrontare e domare, per esempio
nei rodei, gli animali. Questa accezione è all'origine del nome dato
ai jeans Wrangler.
5
Charity – oltre ai
significati di “carità” e “beneficenza”, charity
possiede anche quello di “ente di beneficenza”, “opera pia”.
6 Allusione,
chiaramente ironica, alle tentazioni di Sant' Antonio
abate, detto anche sant'Antonio il Grande, sant'Antonio
d'Egitto, sant'Antonio del Fuoco, sant'Antonio del
Deserto, sant'Antonio l'Anacoreta (Qumans, 251 circa –
deserto della Tebaide, 17 gennaio 357), fu un eremita egiziano,
considerato il fondatore del monachesimo cristiano e il primo degli
abati. Trascorse la vita isolato dal mondo a combattere contro i
propri dubbi e le tentazioni del demonio.
7 Un bay
window è un balcone finestrato sporgente dalla facciata
di un edificio, anche interamente vetrato, a pianta rettangolare o
semipoligonale, con una grossa finestra al centro e due sulle pareti
oblique. Una struttura simile è il bow window, che però ha
sempre una forma arrotondata.
8 Il
brandy, preso in dosi
moderate e allungato con l'acqua, era considerato alla stregua di un
blando medicamento o
cordiale.
9 Il
giudice metteva in testa un panno nero quando doveva emettere una
sentenza di morte. La pena capitale è stata abolita in Inghilterra
nel 1998.
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