domenica 27 ottobre 2013

L'album del canonico Alberico





Un professore tra i fantasmi



Montague Rhodes James (Goodnestone Parsonage, 1º agosto 1862 – 12 giugno 1936) è stato uno scrittore, storico, noto studioso medievalista e bibliofilo, ricordato oggi per i suoi racconti vittoriani di fantasmi, firmati come M. R. James. Studiò prima ad Eaton e poi al King's Colleddge di Cambridge, di cui fu poi rettore. E sarà prorprio questo “uomo di Cambridge,” questo raffinato antiquario che riuscirà a innovare e dare nuova linfa ai racconti di fantasmi, che iniziò a scrivere per intrattenere gli amici durante le feste natalizie. James capì che i fantasmi dovevano lasciare i castelli desolati e i sotterranei bui del racconto gotico per invadere il quotidiano. I suoi fantasmi non sono anime in pena, ma entità melvole e demoniache che mettono l'uomo mederno e il suo scetticismo di fronte all'inesplicabile. I fenomeni soprannaturali invadono il quotidiano con gradualità, spesso stemperati da dettagli di banale quotidianità o arricchiti di dettgli eruditi: rinuncia al sensazinalismo per creare emozioni filtrate dall'intelletto e dalla cultura. E la novità di questo approccio è stata colta e apprezzata dallo stesso H.P. Lovecraft: “Pur impiegando un tocco leggero, il dottr James sa evocare gli aspetti più atrocemente impressionanti della paura e dell'orrore, e certamente, in questo inquietante ambito, rimarrà sempre come uno dei pochi narratori dotati di originale creatvità”
L'album del canonico Alberico (Canon Alberic's Scrap-Book) è il primo racconto della prima collezione di storie di fantasmi pubblicata da Montague Rhodes James, Storie di fantasmi di un antiquario (Ghost Stories of an Antiquary). Il libro apparve nel 1904, ma L'album del canonico Alberico era stato scritto nel 1894 e pubblicato subito dopo sulla National Review. La storia fu ispirata a James da un viaggio fatto qualche anno prima a Saint-Bertrand-de-Comminges, ai piedi dei Pirenei nel sud della Francia, per visitarne la cattedrale. L'aspetto decadente di quella che una volta era stata una prestigiosa sede vescovile deve aver colpito profondamente lo studioso di antichità medievali, al punto di trsformarlo in uno scrittore di racconti dell'orrore. Le condizioni di rovina della città gli forniscono la perfetta ambientazione per un'apparizione diabolica: essa richiama alla mente del protagonista, un inglese di nome Denniston appassionato di libri antichi, le parole del profeta Isaia quando parla dei mostri notturni che infestano le rovine di Babilonia. Ma il vero protagonista della storia è prorio l'album del titolo, uno pseudo-biblium (antenato del più famoso Neconomicon di H.P. Lovecraft) costruito con i ritagli di misteriosi codici miniati che lo scrittore descrive con la perizia del bibliofilo, creando un manufatto arricchito da citazioni latine fasulle, riferimenti ad episodi della Bibbia e a personaggi realmente esistiti, in un sapiente miscuglio di verosimile e vero, che contribuisce a creare l'atmosfera spiazzante del racconto. Lo stesso canonico Alberico è l'erede fittizio di un personaggio storico, quel Jaen de Mauleon vescovo di Comiges nel XVI secolo. E per dare ancora più verosimiglianza al tutto, l'autore veste i panni del confidente: egli ci riferisce la terrificante avventura vissuta dal suo amico Denniston, quasi a prendere egli stesso le distanze da ciò che racconta.







L'ALBUM DEL CANONICO ALBERICO
DI M. R. JAMES, 1894




 1850 for "Les Pyrenees Monumentales Et Pittoresques" by Andre Gorse.


St. Bertrand de Comminges è una cittadina in decadenza sui contrafforti dei Pirenei, non lontana da Tolosa e ancora più vicina a Bagnères-de-Luchon. Fu sede vescovile fino alla rivoluzione e ha una cattedrale che è visitata a un certo numero di turisti. Nella primavera del 1883 un inglese arrivò in questo luogo del vecchio mondo –mi è difficile fregiarlo del nome di città, perché non vi sono nemmeno mille abitanti. Era uno studioso di Cambridge, che era venuto da Tolosa proprio per visitare la chiesa di san Bertrando e aveva lasciato due amici, che erano archeologi meno appassionati di lui, nel loro hotel a Tolosa, con la promessa di raggiungerlo il giorno dopo. Una mezz'ora in chiesa sarebbe stata sufficiente per loro e dopo tutti e tre avrebbero potuto proseguire il viaggio in direzione di Auch. 

Ma il nostro inglese era arrivato di buon ora il giorno in questione, con il proposito di scrivere un taccuino e di usare qualche dozzina di lastre allo scopo di descrivere e fotografare ogni angolo della meravigliosa chiesa che domina la collinetta di Comminges. Per portare a temine quel progetto in maniera soddisfacente era necessario monopolizzare lo scaccino della chiesa per tutto il giorno. Di conseguenza, lo scaccino o sacrestano (preferisco quest'ultimo appellativo, per quanto possa essere inaccurato) fu mandato a chiamare da una signora piuttosto brusca che gestisce la locanda dello Chapeau Rouge. Quando questi arrivò, l'inglese lo trovò un oggetto di studio inaspettatamente interessante. L'interesse, tuttavia, non era nell'apparenza personale di quel vecchio piccolo, asciutto e rugoso, perché era esattamente uguale a dozzine di altri guardiani di chiesa francesi, ma in quella sua aria curiosamente furtiva, o meglio oppressa e tormentata. Lanciava continuamente delle occhiate furtive dietro di lui, i muscoli della schiena e delle spalle sembravano incurvarsi in una continua contrazione nervosa, come se si aspettasse di trovarsi da un momento all'altro nelle grinfie di un nemico. L'inglese non sapeva se considerarlo un uomo tormentato da una qualche fissazione, oppure oppresso da una coscienza sporca o ancora un marito insopportabilmente bistrattato dalla moglie. Le probabilità, una volta elencate, puntavano certamente a quest'ultima idea; ma, tuttavia, l'impressione che se ne riceveva era quella di un persecutore ancora più formidabile di una moglie bisbetica. Comunque, l'inglese – chiamiamolo Denniston – fu ben presto troppo immerso nel suo taccuino e troppo affaccendato con la sua macchina fotografica per dare al sacrestano più che un'occasionale occhiata. Ogni volta che lo guardava, lo trovava a non grande distanza, o rannicchiato contro il muro o accovacciato in uno dei sontuosi scranni.





Dopo un po', Denniston iniziò ad agitarsi. Confusi sospetti iniziarono a tormentarlo: che stava impedendo al vecchio di fare il suo déjeuner, che fosse considerato capace di sottrarre il pastorale di avorio di San Bertrando, o il polveroso coccodrillo impagliato appeso sull'acquasantiera. “Perché non andate a casa?” disse infine; “Sono perfettamente in grado di finire i miei appunti da solo, potete chiudermi dentro, se vi pare. Mi ci vorranno almeno altre due ore, e deve essere qui freddo per voi, vero?” “Santo cielo!” disse l'ometto, che il suggerimento sembrava aver gettato in uno stato di inenarrabile terrore, “una cosa del genere non può essere presa in considerazione nemmeno per un momento. Lasciare monsieur da solo in chiesa? No, no; due ore, tre ore, non cambia niente per me. Ho fatto colazione e non ho per niente freddo, con molti ringraziamenti per monsieur.” “Molto bene, mio piccolo uomo,” disse Denniston fra sé, “sei stato avvisato, e dovrai subirne le conseguenze.” Prima che fossero passate due ore, gli scranni, l'enorme organo in rovina, la chiudenda del coro del vescovo Jean de Mauléon, ciò che restava dei vetri e degli arazzi e gli oggetti nella camera del tesoro, erano stati esaminati accuratamente; il sacrestano continuava a stare alle calcagna di Denniston e ogni tanto si torceva come se fosse stato punto, quando alcuni degli stani rumore che disturbano un grande edificio vuoto cadevano sul suo orecchio. A volte, questi rumori erano davvero strani. “Una volta,” mi disse Denniston, “Avrei giurato di aver sentito una sottile voce metallica ridere in cima alla torre. Lanciai un'occhiata inquisitiva al mio sacrestano. Era bianco fino alle labbra. “E' lui – cioè – non è nessuno, la porta è chiusa,” fu tutto ciò che disse, e restammo a guardarci per un minuto intero.” Un altro piccolo incidente sconcertò parecchio Denniston. Stava esaminando un grande dipinto scuro appeso dietro all'altare, che faceva parte di una serie di quadri che illustravano i miracoli di San Bertrando. Il contenuto del dipinto era pressoché indecifrabile, ma sotto c'era una scritta latina che diceva quanto segue:
Qualiter S. Bertrandus liberavit hominem quem diabolus diu volebat strangulare. [Come San Bertrando liberò un uomo che il diavolo aveva a lungo cercato di strangolare]
Denniston si stava voltando verso il sacrestano con un sorriso e un commento alquanto scherzoso sulle labbra, ma rimase sconcertato nel vedere il vecchio inginocchiato mentre guardava il quadro con gli occhi di un supplice oppresso dal dolore, le mani strettamente congiunte e una pioggia di lacrime sulle guance. Denniston, naturalmente, finse di non aver notato niente, ma la domanda non lo abbandonava, “Perché una tale crosta dovrebbe commuovere qualcuno così profondamente?” Gli sembrava di incominciare ad intravedere la ragione di quello strano sguardo che lo aveva sconcertato tutto il giorno: l'uomo deve essere un monomaniaco: ma quale era la sua monomania? Erano quasi le cinque, la breve giornata si stava concludendo e la chiesa incominciava a riempirsi di ombre, mentre strani rumori – passi attutiti e voci distanti che parlavano tra loro percepiti durante il giorno – sembravano diventare più frequenti e insistenti, senza dubbio a causa della luce che andava scemando rendendo di conseguenza più acuto il senso dell'udito. Per la prima volta, il sagrestano iniziò a mostrare segni di fretta e impazienza. Emise un sospiro di sollievo quando la macchina fotografica e il taccuino furono impacchettati e riposti e fece un cenno frettoloso a Denniston di recarsi verso la porta occidentale della chiesa, sotto la torre campanaria. Era tempo di suonare l'Angelus. Qualche strattone alla fune riluttante e la grande campana Bertranada, in cima alla torre, iniziò a parlare e a lanciare la sua voce in alto fra i pini e giù nelle valli, sonora come i torrenti di montagna, invitando gli abitanti di quelle colline solitarie a ricordare e ripetere il saluto dell'angelo a colei che chiamò Benedetta fra le donne. Con ciò, una profonda quiete sembrò cadere per la prima volta sulla piccola città e Denniston e il sagrestano uscirono dalla chiesa. Arrivati all'uscita, iniziarono a conversare. “Monsieur sembrava interessato ai vecchi libri del coro nella sagrestia.” “Certamente. Stavo per chiedervi se c'è una biblioteca in città” “No, monsieur, ce n'era una che apparteneva al Capitolo, ma ora questo posto è così piccolo-” A questo punto ci fu una strana esitazione, o almeno così sembrava, quindi, con una specie di impeto, continuò: “Ma se monsieur è amateur des vieux livres, a casa ho qualcosa che potrebbe interessarlo. Non sono nemmeno cento metri.” Ad un tratto, tutti i sogni di Denniston di trovare preziosi manoscritti in angoli remoti della Francia si accesero, per spegnersi di nuovo un momento dopo. Si trattava probabilmente di uno stupido messale stampato da Palntin, intorno al 1580. Quante erano le possibilità che un luogo così vicino a Tolosa non fosse stato saccheggiato dai collezionisti già da molto tempo? Comunque, sarebbe stato sciocco non andare, se lo sarebbe rimproverato per tutta la vita se avesse rifiutato. Così si avviarono. Lungo la strada, la strana esitazione e l'improvvisa determinazione del sacrestano tornarono in mente a Denniston, che si chiese, con una certa vergogna, se stava per essere attirato in qualche luogo deserto per essere rapinato, essendo creduto un ricco inglese. “Bene,” disse con vivacità - “benissimo. Monsieur viaggerà in compagnia dei suoi amici, gli staranno sempre vicino. E' una buona cosa viaggiare in compagnia – a volte.” Quest'ultima parola sembrò essere aggiunta dopo un attimo di riflessione, e sembrò riprecipitare il pover'uomo nella malinconia. Presto arrivarono alla casa, che era decisamente più grande delle sue vicine, costruita in pietra, con uno stemma scolpito sulla porta, lo stemma di Alberico di Mauleon, un discendente collaterale, mi raccontò Denniston, del vescovo Giovanni di Mauleon. 



                           Casa del sacrestano a S. Bertrand de Comminges

Questo Alberico era un canonico di Comminges dal 1680 al 1701. La finestra superiore del palazzo era stata chiusa con delle assi e tutto l'edificio aveva un aspetto decadente, come il resto di Comminges. Arrivati sulla soglia, il sacrestano si fermò un attimo. Forse,” disse, “forse, dopo tutto, monsieur non ha tempo?” “Affatto - un mucchio di tempo - niente da fare fino a domani. Vediamo quello che avete.” A questo punto, la porta si aprì, e un volto si affacciò, un volto più giovane di quello del sacrestano, ma che aveva uno sguardo quasi altrettanto angoscioso: soltanto che là sembrava essere il segno non tanto della paura per la propria sicurezza, quanto di un'ansia profonda nei riguardi di qualcun altro. Chiaramente, era la faccia della figlia del sacrestano ed era una ragazza piuttosto bella, non fosse stato per l'espressione che ho descritto. Si rasserenò molto nel vedere il padre accompagnato da uno straniero così robusto. Padre e figlia scambiarono alcune frasi, di cui Denniston riuscì a cogliere solo alcune parole, dette dal sacrestano, “Stava ridendo in chiesa,” parole a cui la ragazza rispose solo con uno sguardo di terrore. Ma un minuto dopo furono nel soggiorno della casa, una camera piccola e alta, con un pavimento di pietra, pieno di ombre in movimento lanciate da un fuoco di legna che ardeva in un grande focolare. L'atmosfera della stanza richiamava quella di un oratorio, a causa di un alto crocefisso che arrivava quasi fino al soffitto; l'immagine era dipinta a colori naturali, mentre la croce era nera. Sotto di esso c'era una cassapanca piuttosto vecchia e solida, e dopo che fu portata una lampada e sistemate le sedie, il sacrestano andò alla cassapanca e ne trasse fuori, con crescente eccitazione e nervosismo, come sembrò a Denniston, un grande libro, avvolto in un panno bianco, su cui c'era una croce ricamata con filo rosso. Già prima che il panno fosse tolto, Denniston iniziò ad interessarsi alla dimensione e alla forma del volume. “Troppo grande per essere un messale.” pensò, “e non ha certo la forma di un antifonario, potrebbe essere qualcosa di buono, dopo tutto.” Un attimo dopo, il libro fu aperto e Denniston sentì di essersi finalmente imbattuto in qualcosa di più che buono. Davanti a lui c'era un grande folio, rilegato, forse, nel tardo diciassettesimo secolo, con lo stemma del canonico Alberico impresse in oro sui lati. Potevano esserci circa centocinquanta fogli di carta nel libro e su quasi ognuno di essi era attaccato un foglio preso da un manoscritto miniato. Denniston non aveva sognato una simile collezione nemmeno nei suoi momenti di maggior esaltazione. Lì c'erano dieci fogli da una copia della Genesi, con illustrazioni, che non potevano andare oltre il 700 d.C. Più avanti c'era una serie completa di immagini da un Salterio, di fattura inglese, della qualità più fine che il tredicesimo secolo potesse produrre, e poi, superiori a tutti gli altri, c'erano venti fogli di scrittura oncinale in latino, che, come alcune parole lette qua e là gli rivelarono immediatamente, dovevano appartenere a qualche sconosciuto trattato di patristica molto antico. Possibile che fosse un frammento della copia di Papias “Sulle parole di nostro Signore” che si sapeva esistere fin dal dodicesimo secolo a Nimes? In ogni caso, la sua decisione era presa: quel libro doveva ritornare a Cambridge con lui, anche a costo di ritirare tutti i suoi risparmi dalla banca e di aspettare a san Bertrando fino all'arrivo del denaro. Alzò lo sguardo al sagrestano per vedere se la sua faccia rivelasse qualche indizio che il libro era in vendita. Il sagrestano era pallido e le sue labbra si muovevano. “Se monsieur vuole sfogliare fino alla fine,” (1) disse. Così monsieur continuò a sfogliare, incontrando nuovi tesori ogni volta che girava pagina; alla fine del libro trovò due fogli di carta, molto più recenti di quelli che aveva già visti, che lo confusero considerevolmente. Dovevano essere contemporanei, decise, all'immorale canonico Alberico, che aveva senza dubbio saccheggiato la biblioteca del Capitolo di San Bertrando per mettere insieme questo album senza prezzo. Sul primo dei due fogli c'era una piantina, disegnata con cura e immediatamente riconoscibile da una persona che conoscesse il sito, della navata sud e dei chiostri di San Bertrando. C'erano degli strani segni che rassomigliavano a simboli planetari, e alcune parole in ebraico; negli angoli e nel lato a nord ovest del chiostro c'era una croce dipinta in oro. Sotto la piantina c'erano alcune righe scritte in latino:
Responsa 12mi Dec. 1694. Interrogatum est: Inveniamne? Responsum est: invenenies. Fiamne dives? Fies. Vivamne invidendus? Vives. Moriarne in lecto meo? Ita. [Risposte del 12 dicembre, 1694. Fu chiesto: Lo troverò? Risposta: lo troverai. Diventerò ricco? Lo diventerai. Sarò oggetto di invidia? Lo sarai. Morirò nel mio letto? Sì.]
Un buon esemplare di documento da cacciatore di tesori – mi ricorda quello del canonico minore Mr Quatremain in Old St Paul's,' fu il commento di Denniston mentre girava il foglio. (Old St. Pauls è una romanzo (1841) di William Harrison Ainsworth. Quatremain è un personaggio che usa l'astrologia per tentare di trovare un tesoro nascosto)
Quello che vide dopo lo impressionò, come mi ha spesso detto, più di quanto avesse mai potuto credere che un qualunque disegno o immagine ne fosse capace. E, sebbene il disegno che vide non esiste più, c'è la sua fotografia (in mio possesso) che supporta in pieno quest'affermazione. L'immagine in questione era un disegno a seppia della fine del diciassettesimo secolo che rappresentava, si sarebbe detto a prima vista, una scena biblica,infatti l'architettura (era la rappresentazione di un interno) e le figure erano circondate da quell'atmosfera semi classica che gli artisti di duecento anni fa ritenevano appropriata ad illustrare la Bibbia. Sulla destra c'era un re sul trono, il trono era in cima a dodici gradini, ricoperto da un baldacchino, con leoni su entrambi i lati - evidentemente si trattava di re Salomone. Era piegato in avanti con lo scettro teso, in atteggiamento di comando, il suo volto esprimeva orrore e disgusto, ma c'era anche il segno di una volontà imperiosa e di un potere indiscusso. La metà sinistra del disegno era, comunque, la più strana di tutto il resto. Lì era chiaramente concentrato tutto l'interesse. Sul pavimento davanti al trono erano raggruppati quattro soldati intorno ad una figura rannicchiata che sarà descritta fra poco. Un quinto soldato giaceva morto per terra, con il collo torto e gli occhi che gli uscivano dalla testa. Le quattro guardie in piedi stavano guardando verso il re. Nelle loro facce il sentimento di orrore era intensificato, sembrava, infatti, che fossero trattenuti dal fuggire via solo dalla fede nel loro signore. Tutto questo terrore era chiaramente suscitato dall'essere rannicchiato in mezzo a loro. Dispero assolutamente di rendere a parole l'impressione che questa figura fa su chiunque la guardi. Ricordo di aver mostrato una volta la fotografia del disegno ad un professore di morfologia – una persona, direi, dotato di un modo di pensare oltremodo sano e privo di immaginazione. Rifiutò categoricamente di rimanere da solo per il resto della serata, ed in seguito mi disse che per molte notti non aveva osato spegnere la luce prima di andare a dormire. Comunque, posso almeno indicare i tratti principali della figura. Dapprincipio si notava solo una massa di peli neri ispidi e arruffati, subito dopo si vedeva che questa ricopriva un corpo di una magrezza spaventosa, quasi uno scheletro, ma con muscoli che risaltavano come fili di ferro. Le mani erano di un pallore cupo, coperte, come il corpo, da lunghi peli ispidi e con ripugnanti artigli. Gli occhi, di un giallo vivido, avevano pupille nerissime e fissavano il re sul trono con uno sguardo di odio bestiale. Immaginate uno di quei tremendi ragni acchiappa-uccelli del Sud America tradotti in forma umana, e avrete una pallida idea del terrore ispirato da questa effige spaventosa. Un'osservazione è universalmente fatta da coloro a cui ho mostrato l'immagine. “E' tratta dal vero.” Appena lo shock iniziale della sua incontenibile paura si fu placato, Denniston diede un'occhiata furtiva ai suoi ospiti. Il sacrestano aveva le mani premute sugli occhi, sua figlia, guardando alla croce sulla parete, stava recitando il rosario con fervore. Finalmente fu chiesto:”Il libro è in vendita?” Ci fu la stessa esitazione, la stessa determinazione impulsiva che aveva notato prima, e poi venne la gradita risposta, “Se fa piacere a monsieur.” “Quanto chiedete?” “Duecentocinquanta franchi.” Questa risposta lo lasciò esterrefatto. Perfino la coscienza di un collezionista a volte si commuove e la coscienza di Denniston era più tenera di quella di un collezionista. “Mio buon uomo!” ripeté più volte, “il vostro libro vale molto di più di duecentocinquanta franchi, ve lo assicuro molto di più,” Ma la risposta non cambiava: “Accetterò duecentocinquanta franchi, niente di più.” Non c'era alcuna possibilità di rifiutare una tale occasione. Il denaro fu pagato, la ricevuta firmata, un bicchiere di vino fu bevuto per suggellare la transazione, quindi il sacrestano sembrò diventare un altro uomo. Si erse dritto, cessò di lanciare occhiate sospettose dietro di lui e rise o cercò di ridere. Denniston si alzò per andarsene. “Posso avere l'onore di accompagnare monsieur all'albergo?” disse il sacrestano. “Oh no, grazie! Sono solo pochi metri. Conosco la strada perfettamente e c'è la luna.” L'offerta fu ripetuta con una certa insistenza tre o quattro volte e altrettante rifiutata. “Allora monsieur mi manderà a chiamare se – se ne avrà l'occasione; si tenga al centro della strada, i lati sono così malmessi.” “Certamente, certamente,” disse Denniston, che era impaziente di esaminare il suo bottino da solo, e si avviò nel corridoio con il libro sottobraccio. Qui gli fu raggiunto dalla figlia, che sembrava ansiosa di concludere un affare per conto suo; forse, come Gehazi, (si riferisce al secondo libro dei re, cpitolo 5, dove Gehazi, servo di Elisha, riscuote un pagamento che il suo padrone, avendo curato un lebroso, non aveva voluto accettare. Il servo viene punito per il suo comportamento.)
di “prendere qualcosa” allo straniero che il padre aveva rifiutato. “Un crocefisso e una catena d'argento per il collo, monsieur sarebbe forse tanto gentile da accettarlo?” In realtà Denniston non sapeva cosa farsene di quelle cose. Quanto voleva mademoiselle? “Niente – assolutamente niente. Monsieur mi farebbe una grande cortesia ad accettarlo.” Il tono in cui questo e molto altro fu detto era indubbiamente sincero, così che Denniston fu costretto a profondersi in ringraziamenti e ad accettare di farsi mettere la catena intorno al collo. Sembrava davvero che avesse reso al padre e alla figlia un servizio che essi non sapevano proprio come ripagare. Mentre Denniston andava via con il suo libro sotto braccio, i due rimasero sulla porta a guardarlo, e lo stavano ancora guardando quando con la mano gli diede l'ultimo saluto dai gradini dello Chapeau Rouge. La cena era finita e Denniston era nella sua camera, chiuso da solo con il suo acquisto. La locandiera aveva manifestato un particolare interesse in lui da quando le aveva raccontato di aver fatto visita al sacrestano e di aver comprato da lui un vecchio libro. Gli sembrò, inoltre, di aver sentito un dialogo frettoloso tra lei e il sacrestano nel corridoio fuori dalla salle à manger; alcune parole riguardo al fatto che “Pierre e Bertrand avrebbero dormito nella locanda” avevano concluso la conversazione. Per tutto questo tempo si era insinuato in lui un crescente senso di disagio – una reazione nervosa, forse, dopo la gioia della sua scoperta. Qualunque cosa fosse, ebbe come risultato la convinzione che c'era qualcuno dietro di lui e che si sentiva molto più a suo agio con la schiena contro il muro. Tutto ciò, naturalmente, aveva poco peso rispetto all'ovvio valore della collezione appena acquistata. E adesso, come ho detto, era solo nella sua camera mentre faceva l'inventario dei tesori del canonico Alberico, che ad ogni momento rivelavano qualcosa di ancora più affascinante. “Benedetto il canonico Alberico!” disse Denniston, che aveva l'inveterata abitudine di parlare da solo, “Mi chiedo dove sia adesso. Dio mio! Vorrei che la locandiera imparasse a ridere in maniera più allegra, mi fa sentire come se ci fosse un morto in casa. Ancora mezza pipa, dicevi? Mi sa che hai ragione. Cosa sarà quel crocefisso che la ragazza ha insistito a donarmi? Del secolo scorso, credo. Sì, probabilmente. E' proprio fastidioso averlo intorno al collo – troppo pesante. Molto probabilmente. Si era tolto il crocefisso e l'aveva posato sul tavolo, quando la sua attenzione fu catturata da un oggetto che stava sul panno rosso proprio sotto il suo gomito sinistro. Due o tre idee su cosa potesse essere gli balenarono in mente ad una velocità incalcolabile. “Un nettapenne? No, niente del genere qui dentro. Un sorcio? No, troppo nero. Un grosso ragno? Prego Dio di no – no. Buon Dio! Un mano come quella nel disegno!” In un altro infinitesimale baleno ne aveva catturato ogni dettaglio. La pelle pallida e scura che ricopriva niente altro che ossa e tendini di una forza spaventosa, peli neri e ispidi, più lunghi di quelli che siano mai cresciuti su una mano umana, unghie che spuntavano dalla punta delle dita incurvandosi giù e avanti grigie, cornee e rugose. Volò via dalla sedia con il cuore attanagliato da un terrore cieco e indescrivibile. La forma, la cui mano sinistra rimaneva sul tavolo, si stava alzando in piedi dietro la sedia, con la mano destra piegata sulla testa di Denniston.





Era avvolto in un panno nero e lacero, il pelo ispido lo ricopriva come nel disegno. La mascella inferiore era sottile – come posso dire? - stretta, come quella di una bestia, i denti si vedevano dietro le labbra nere; non aveva naso; gli occhi, di un giallo brillante, contro cui risaltavano le pupille nere e intense, illuminate da un odio esultante e dal desiderio di distruggere la vita, erano i tratti più terrificanti di quella visione. In essi c'era una sorta di intelligenza – superiore a quella di un bestia, inferiore a quella di un uomo. I sentimenti di terrore che si agitavano in Denniston erano la più intensa paura fisica e il più profondo disgusto mentale. Cosa fare? Cosa poteva fare? Non è mai stato completamente certo delle parole che disse, ma sa che parlò, che si aggrappò ciecamente al crocefisso d'argento, che era cosciente del movimento del demone verso di lui, e che gridò con la voce di un animale nell'agonia del dolore. Pierre e Bertrand, i due robusti servitori che si precipitarono nella stanza, non videro niente, ma si sentirono spinti da parte da qualcosa che passò tra di loro e trovarono Denniston svenuto. Lo vegliarono tutta la notte e i suoi due amici furono a San Bertrando il giorno seguente per le nove del mattino. Egli stesso, sebbene ancora scosso e nervoso, era quasi ritornato in sé per quell'ora; i suoi amici credettero alla sua storia, ma solo dopo aver visto il disegno e parlato col sacrestano. Poco prima dell'alba, il sacrestano era venuto alla locanda con una scusa e aveva ascoltato con il più profondo interesse la storia raccontata dalla proprietaria. Non si mostrò sorpreso. “E' lui – è lui! L'ho visto io stesso,” fu il suo unico commento e alle domande che seguirono non diede che una sola risposta “Deux fois je 1'ai vu; mille fois je 1'ai senti.'” Non volle dire niente sulla provenienza del libro, né dare alcun dettaglio delle sue esperienze. “Presto mi addormenterò e il mio riposo sarà dolce. Perché dovresti tormentarmi?” (2) disse. Non sapremo mai cosa patirono il sacrestano o il Canonico Alberico de Mauleon. Sul retro di quel fatale disegno vi era una scritta che potrebbe fare luce sulla situazione:
Contradictio Salomonis cum demonio noctumo.
Albericus de Mauleone delineavit.
V. Deus in adiutorium. Ps. Qui habitat.
Sancte Bertrande, demoniorum effugator, intercede pro me miserrimo.
Primum uidi nocte 12mi Dec. 1694: uidebo mox
ultimum. Peccaui et passus sum, plura adhuc
passurus. Dec. 29, 1701.(3)
Non ho mai veramente capito quale fosse la posizione di Denniston riguardo agli eventi che ho narrato. Una volta mi citò un brano dall'Ecclesiaste: “Vi sono alcuni spiriti creati per la vendetta, e nella loro furia infliggono colpi dolorosi.” In un'altra occasione disse: “Isaia era un uomo molto saggio, non dice qualcosa riguardo ai mostri notturni che vivono tra le rovine di Babilonia? Queste cose sono superate attualmente.” Un'altra sua confidenza mi impressionò molto, e io la approvai. Eravamo stati, l'anno scorso, a Comminges, per visitare la tomba del Canonico Alberico. E' un grande monumento di marmo con un'effige del Canonico che idossa una grande parrucca e la tonaca, mentre sotto di essa vi è un'elaborato elogio della sua sapienza. Vidi Denniston parlare per qualche tempo con il vicario di San Bertrando, e mentre andavamo via mi disse: “Spero che non sia sbagliato: sai che sono presbiteriano – ma io – io credo che saranno dette messe e innalzati canti funebri per il riposo di Alberico di Mauleon.” Quindi aggiunse, con un tocco di accento nordico, “Non pensavo che costassero tanto.”
L'album fa parte della collezione Wentworth a Cambridge. Il disegno fu fotografato e quindi bruciato da Denniston il giorno in cui lasciò Comminges in occasione della sua prima visita.


1Ora sappiamo che quei fogli contengono un cosiderevole frammento di quel lavoro, se non addirittura la sua copia.
2Morì quell'estate, sua figlia si sposò e si stabilì a St Papoul. Non capì mai le circostanze dell'ossssione del padre.
3Disputa tra Salomone e un demone notturno, diegnato da Alberico de Mauleon. Versetto: O Signore affrettati a venire in mio aiuto. Salmo: Chi così dimora (XCI)
San Bertrando, tu che mettesti in fuga il diavolo, prega per me infelice. Lo vidi la prima volta la notte del 12 dicembre 1694; presto lo rivedrò per l'ultima volta. Ho peccato e sofferto, e molto dovrò ancora soffrire. 29 dicembre 1701.
La “Gallia Cristiana”, fissa la data della morte del Canonico al 31 dicembre 1701, “nel suo letto, colpito da un attacco improvviso.” Dettagli di questo genere non sono comuni nel grande lavoro del Sammartani.
(Nota del traduttore: Gallia Christiana = una cronaca, apparsa per la prima volta nel diciassettesimo secolo, su vari aspetti delle istituzioni religiose francesi. Smmarthani= derivato da Sainte-Marthe, famiglia di celebri umanisti ed eruditi fiorita in Francia fra il XVI e il XVIII secolo, di cui alcuni esponenti cooperarono con i benedettini Jean Chenu e Claude Robert alla monumentale Gallia Christiana. James, mescolando ancora una volta realtà e fantasia, sottolinea l'eccezionalità di un simile dettaglio in questo tipo di cronache.)


FINE





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