Un professore tra i fantasmi
Montague Rhodes James (Goodnestone Parsonage, 1º agosto
1862 – 12 giugno 1936) è stato uno scrittore, storico, noto
studioso medievalista e bibliofilo, ricordato oggi per i suoi racconti
vittoriani di fantasmi, firmati come M. R. James. Studiò
prima ad Eaton e poi al King's Colleddge di Cambridge, di cui fu poi
rettore. E sarà prorprio questo “uomo di Cambridge,” questo
raffinato antiquario che riuscirà a innovare e dare nuova linfa ai
racconti di fantasmi, che iniziò a scrivere per intrattenere gli
amici durante le feste natalizie. James capì che i fantasmi dovevano
lasciare i castelli desolati e i sotterranei bui del racconto gotico
per invadere il quotidiano. I suoi fantasmi non sono anime in pena,
ma entità melvole e demoniache che mettono l'uomo mederno e il suo
scetticismo di fronte all'inesplicabile. I fenomeni soprannaturali
invadono il quotidiano con gradualità, spesso stemperati da dettagli
di banale quotidianità o arricchiti di dettgli eruditi: rinuncia al
sensazinalismo per creare emozioni filtrate dall'intelletto e dalla
cultura. E la novità di questo approccio è stata colta e apprezzata
dallo stesso H.P. Lovecraft: “Pur impiegando un tocco
leggero, il dottr James sa evocare gli aspetti più atrocemente
impressionanti della paura e dell'orrore, e certamente, in questo
inquietante ambito, rimarrà sempre come uno dei pochi narratori
dotati di originale creatvità”
L'album del canonico Alberico (Canon Alberic's
Scrap-Book) è il primo racconto della prima collezione di storie
di fantasmi pubblicata da Montague Rhodes James, Storie di
fantasmi di un antiquario (Ghost Stories of an Antiquary).
Il libro apparve nel 1904, ma L'album del canonico Alberico
era stato scritto nel 1894 e pubblicato subito dopo sulla National
Review. La storia fu ispirata a James da un viaggio fatto qualche
anno prima a Saint-Bertrand-de-Comminges, ai piedi dei Pirenei
nel sud della Francia, per visitarne la cattedrale. L'aspetto
decadente di quella che una volta era stata una prestigiosa sede
vescovile deve aver colpito profondamente lo studioso di antichità
medievali, al punto di trsformarlo in uno scrittore di racconti
dell'orrore. Le condizioni di rovina della città gli forniscono la
perfetta ambientazione per un'apparizione diabolica: essa richiama
alla mente del protagonista, un inglese di nome Denniston
appassionato di libri antichi, le parole del profeta Isaia quando
parla dei mostri notturni che infestano le rovine di Babilonia. Ma il
vero protagonista della storia è prorio l'album del titolo, uno
pseudo-biblium (antenato del più famoso Neconomicon di H.P. Lovecraft) costruito con
i ritagli
di misteriosi
codici miniati che lo scrittore descrive con la perizia del
bibliofilo, creando un manufatto arricchito da
citazioni latine fasulle,
riferimenti ad episodi della Bibbia e
a personaggi realmente esistiti,
in un sapiente miscuglio di verosimile e vero, che
contribuisce a creare l'atmosfera spiazzante del
racconto. Lo stesso canonico
Alberico
è l'erede fittizio di un personaggio storico, quel Jaen de Mauleon
vescovo di Comiges nel
XVI secolo. E per dare
ancora più verosimiglianza
al tutto, l'autore veste i panni del
confidente: egli ci riferisce la terrificante avventura vissuta dal
suo amico Denniston, quasi a prendere egli stesso le distanze da ciò
che racconta.
L'ALBUM
DEL CANONICO ALBERICO
DI
M. R. JAMES, 1894
1850 for
"Les Pyrenees Monumentales Et Pittoresques" by
Andre Gorse.
St. Bertrand de Comminges è una cittadina in decadenza sui
contrafforti dei Pirenei, non lontana da Tolosa e ancora più vicina
a Bagnères-de-Luchon. Fu sede vescovile fino alla rivoluzione e ha
una cattedrale che è visitata a un certo numero di turisti. Nella
primavera del 1883 un inglese arrivò in questo luogo del vecchio
mondo –mi è difficile fregiarlo del nome di città, perché non vi
sono nemmeno mille abitanti. Era uno studioso di Cambridge, che era
venuto da Tolosa proprio per visitare la chiesa di san Bertrando e
aveva lasciato due amici, che erano archeologi meno appassionati di
lui, nel loro hotel a Tolosa, con la promessa di raggiungerlo il
giorno dopo. Una mezz'ora in chiesa sarebbe stata sufficiente per
loro e dopo tutti e tre avrebbero potuto proseguire il viaggio in
direzione di Auch.
Ma il nostro inglese era arrivato di buon ora il giorno in
questione, con il proposito di scrivere un taccuino e di usare
qualche dozzina di lastre allo scopo di descrivere e fotografare ogni
angolo della meravigliosa chiesa che domina la collinetta di
Comminges. Per portare a temine quel progetto in maniera
soddisfacente era necessario monopolizzare lo scaccino della chiesa
per tutto il giorno. Di conseguenza, lo scaccino o sacrestano
(preferisco quest'ultimo appellativo, per quanto possa essere
inaccurato) fu mandato a chiamare da una signora piuttosto brusca che
gestisce la locanda dello Chapeau Rouge. Quando questi
arrivò, l'inglese lo trovò un oggetto di studio inaspettatamente
interessante. L'interesse, tuttavia, non era nell'apparenza personale
di quel vecchio piccolo, asciutto e rugoso, perché era esattamente
uguale a dozzine di altri guardiani di chiesa francesi, ma in quella
sua aria curiosamente furtiva, o meglio oppressa e tormentata.
Lanciava continuamente delle occhiate furtive dietro di lui, i
muscoli della schiena e delle spalle sembravano incurvarsi in una
continua contrazione nervosa, come se si aspettasse di trovarsi da un
momento all'altro nelle grinfie di un nemico. L'inglese non sapeva se
considerarlo un uomo tormentato da una qualche fissazione, oppure
oppresso da una coscienza sporca o ancora un marito
insopportabilmente bistrattato dalla moglie. Le probabilità, una
volta elencate, puntavano certamente a quest'ultima idea; ma,
tuttavia, l'impressione che se ne riceveva era quella di un
persecutore ancora più formidabile di una moglie bisbetica.
Comunque, l'inglese – chiamiamolo Denniston – fu ben presto
troppo immerso nel suo taccuino e troppo affaccendato con la sua
macchina fotografica per dare al sacrestano più che un'occasionale
occhiata. Ogni volta che lo guardava, lo trovava a non grande
distanza, o rannicchiato contro il muro o accovacciato in uno dei
sontuosi scranni.
Dopo un po', Denniston iniziò ad agitarsi. Confusi sospetti
iniziarono a tormentarlo: che stava impedendo al vecchio di fare il
suo déjeuner, che fosse considerato capace di sottrarre
il pastorale di avorio di San Bertrando, o il polveroso coccodrillo
impagliato appeso sull'acquasantiera. “Perché non andate a casa?”
disse infine; “Sono perfettamente in grado di finire i miei appunti
da solo, potete chiudermi dentro, se vi pare. Mi ci vorranno almeno
altre due ore, e deve essere qui freddo per voi, vero?” “Santo
cielo!” disse l'ometto, che il suggerimento sembrava aver gettato
in uno stato di inenarrabile terrore, “una cosa del genere non può
essere presa in considerazione nemmeno per un momento. Lasciare
monsieur da solo in chiesa? No, no; due ore, tre ore, non cambia
niente per me. Ho fatto colazione e non ho per niente freddo, con
molti ringraziamenti per monsieur.” “Molto bene, mio piccolo
uomo,” disse Denniston fra sé, “sei stato avvisato, e dovrai
subirne le conseguenze.” Prima che fossero passate due ore, gli
scranni, l'enorme organo in rovina, la chiudenda del coro del vescovo
Jean de Mauléon, ciò che restava dei vetri e degli arazzi e gli
oggetti nella camera del tesoro, erano stati esaminati accuratamente;
il sacrestano continuava a stare alle calcagna di Denniston e ogni
tanto si torceva come se fosse stato punto, quando alcuni degli stani
rumore che disturbano un grande edificio vuoto cadevano sul suo
orecchio. A volte, questi rumori erano davvero strani. “Una volta,”
mi disse Denniston, “Avrei giurato di aver sentito una sottile voce
metallica ridere in cima alla torre. Lanciai un'occhiata inquisitiva
al mio sacrestano. Era bianco fino alle labbra. “E' lui – cioè –
non è nessuno, la porta è chiusa,” fu tutto ciò che disse, e
restammo a guardarci per un minuto intero.” Un altro piccolo
incidente sconcertò parecchio Denniston. Stava esaminando un grande
dipinto scuro appeso dietro all'altare, che faceva parte di una
serie di quadri che illustravano i miracoli di San Bertrando. Il
contenuto del dipinto era pressoché indecifrabile, ma sotto c'era
una scritta latina che diceva quanto segue:
Qualiter S. Bertrandus liberavit hominem quem diabolus diu
volebat strangulare. [Come San Bertrando liberò un uomo che il
diavolo aveva a lungo cercato di strangolare]
Denniston si stava voltando verso il
sacrestano con un sorriso e un commento alquanto scherzoso sulle
labbra, ma rimase sconcertato nel vedere il vecchio inginocchiato
mentre guardava il quadro con gli occhi di un supplice oppresso dal
dolore, le mani strettamente congiunte e una pioggia di lacrime sulle
guance. Denniston, naturalmente, finse di non aver notato niente, ma
la domanda non lo abbandonava, “Perché una tale crosta dovrebbe
commuovere qualcuno così profondamente?” Gli sembrava di
incominciare ad intravedere la ragione di quello strano sguardo che
lo aveva sconcertato tutto il giorno: l'uomo deve essere un
monomaniaco: ma quale era la sua monomania? Erano quasi le cinque, la
breve giornata si stava concludendo e la chiesa incominciava a
riempirsi di ombre, mentre strani rumori – passi attutiti e voci
distanti che parlavano tra loro percepiti durante il giorno –
sembravano diventare più frequenti e insistenti, senza dubbio a
causa della luce che andava scemando rendendo di conseguenza più
acuto il senso dell'udito. Per la prima volta, il sagrestano iniziò
a mostrare segni di fretta e impazienza. Emise un sospiro di sollievo
quando la macchina fotografica e il taccuino furono impacchettati e
riposti e fece un cenno frettoloso a Denniston di recarsi verso la
porta occidentale della chiesa, sotto la torre campanaria. Era tempo
di suonare l'Angelus. Qualche strattone alla fune riluttante e la
grande campana Bertranada, in cima alla torre, iniziò a parlare e a
lanciare la sua voce in alto fra i pini e giù nelle valli, sonora
come i torrenti di montagna, invitando gli abitanti di quelle colline
solitarie a ricordare e ripetere il saluto dell'angelo a colei che
chiamò Benedetta fra le donne. Con ciò, una profonda quiete sembrò
cadere per la prima volta sulla piccola città e Denniston e il
sagrestano uscirono dalla chiesa. Arrivati all'uscita, iniziarono a
conversare. “Monsieur sembrava interessato ai vecchi libri del coro
nella sagrestia.” “Certamente. Stavo per chiedervi se c'è una
biblioteca in città” “No, monsieur, ce n'era una che apparteneva
al Capitolo, ma ora questo posto è così piccolo-” A questo punto
ci fu una strana esitazione, o almeno così sembrava, quindi, con una
specie di impeto, continuò: “Ma se monsieur è amateur des
vieux livres, a casa ho
qualcosa che potrebbe interessarlo. Non
sono nemmeno cento metri.” Ad
un tratto, tutti i sogni di Denniston di trovare preziosi
manoscritti in angoli remoti della Francia si accesero, per spegnersi
di nuovo un momento dopo. Si trattava probabilmente di uno stupido
messale stampato da Palntin, intorno
al 1580. Quante
erano le possibilità che un luogo così vicino a Tolosa non fosse
stato saccheggiato dai collezionisti già da molto tempo? Comunque,
sarebbe stato sciocco non andare, se lo sarebbe rimproverato per
tutta la vita se avesse rifiutato. Così
si avviarono. Lungo la strada, la strana esitazione e l'improvvisa
determinazione del sacrestano tornarono in mente a Denniston, che
si chiese, con
una certa vergogna,
se stava per essere attirato in qualche luogo deserto per essere
rapinato, essendo creduto un ricco inglese. “Bene,”
disse con vivacità - “benissimo. Monsieur viaggerà in compagnia
dei suoi amici, gli staranno sempre vicino. E' una buona cosa
viaggiare in compagnia – a volte.” Quest'ultima parola sembrò
essere aggiunta dopo un attimo di riflessione, e sembrò
riprecipitare
il pover'uomo nella malinconia. Presto
arrivarono alla casa, che era decisamente
più grande delle sue vicine, costruita in pietra, con uno stemma
scolpito sulla porta,
lo stemma di Alberico di Mauleon, un discendente collaterale, mi
raccontò
Denniston, del vescovo Giovanni di Mauleon.
Casa del sacrestano a S. Bertrand de Comminges
Questo Alberico era un
canonico di Comminges dal 1680 al 1701. La finestra superiore del
palazzo era stata chiusa con delle assi e tutto l'edificio aveva un
aspetto decadente, come il resto di Comminges.
Arrivati sulla
soglia, il sacrestano si fermò un attimo. Forse,” disse, “forse,
dopo tutto, monsieur non ha tempo?” “Affatto -
un
mucchio di tempo -
niente da fare fino a domani. Vediamo quello che avete.” A
questo punto, la porta si aprì, e un volto si affacciò, un volto
più giovane di quello del sacrestano, ma che aveva uno sguardo quasi
altrettanto angoscioso: soltanto che là sembrava
essere il segno non tanto della paura per la propria sicurezza,
quanto di un'ansia profonda nei riguardi di qualcun altro.
Chiaramente, era la
faccia della figlia del sacrestano ed
era una ragazza
piuttosto bella, non fosse stato per l'espressione che ho descritto.
Si rasserenò molto nel vedere il padre accompagnato da uno straniero
così robusto. Padre
e figlia scambiarono alcune frasi,
di cui Denniston riuscì a cogliere
solo alcune parole, dette dal sacrestano, “Stava ridendo in
chiesa,” parole a cui la ragazza rispose solo con uno sguardo di
terrore. Ma un
minuto dopo furono nel soggiorno della casa, una camera piccola e
alta, con un pavimento di pietra, pieno di ombre in movimento
lanciate da un fuoco
di legna che ardeva
in un grande focolare. L'atmosfera
della stanza richiamava
quella di un oratorio, a causa di un alto crocefisso che arrivava
quasi fino al soffitto;
l'immagine era
dipinta a colori naturali, mentre la croce era nera. Sotto
di esso c'era una cassapanca piuttosto
vecchia e solida, e dopo che fu portata una lampada e sistemate le
sedie, il sacrestano andò alla cassapanca e ne trasse fuori, con
crescente eccitazione e nervosismo, come sembrò
a Denniston, un
grande libro, avvolto in un panno bianco, su cui c'era una croce
ricamata con filo rosso. Già prima che il panno fosse tolto,
Denniston iniziò ad interessarsi alla dimensione e alla forma del
volume. “Troppo
grande per essere un messale.” pensò, “e non ha certo la forma
di un antifonario, potrebbe essere qualcosa di buono, dopo tutto.”
Un attimo dopo, il
libro fu aperto e Denniston sentì di essersi finalmente imbattuto in
qualcosa di più che buono. Davanti
a lui c'era un grande folio, rilegato, forse, nel tardo
diciassettesimo secolo, con
lo stemma del canonico Alberico impresse in oro sui lati. Potevano
esserci circa centocinquanta fogli di carta nel libro e su quasi
ognuno di essi era attaccato un foglio preso da un manoscritto
miniato. Denniston
non aveva sognato una simile collezione nemmeno nei suoi momenti di
maggior esaltazione. Lì
c'erano dieci fogli da una copia della Genesi, con
illustrazioni, che
non potevano andare oltre il 700 d.C. Più avanti c'era
una serie completa di immagini da un Salterio, di fattura inglese,
della qualità più fine che il tredicesimo secolo potesse produrre,
e poi, superiori a tutti gli altri, c'erano venti fogli di scrittura
oncinale
in latino, che, come
alcune
parole lette qua e là gli
rivelarono immediatamente,
dovevano appartenere a qualche sconosciuto trattato di patristica
molto antico. Possibile
che fosse un frammento della copia di Papias “Sulle parole di
nostro Signore” che si sapeva esistere fin dal dodicesimo secolo a
Nimes? In ogni caso,
la sua decisione era presa: quel libro doveva ritornare a Cambridge
con lui, anche a costo di ritirare tutti
i suoi risparmi
dalla banca e di aspettare a san Bertrando fino all'arrivo del
denaro. Alzò lo
sguardo al
sagrestano per vedere se la sua faccia rivelasse qualche indizio che
il libro era in vendita. Il
sagrestano era pallido e le sue labbra si muovevano. “Se
monsieur vuole sfogliare fino alla fine,”
(1)
disse.
Così monsieur continuò a sfogliare, incontrando nuovi tesori ogni
volta che girava pagina; alla fine del libro trovò due fogli di
carta, molto più recenti di quelli che aveva già visti, che lo
confusero considerevolmente. Dovevano essere contemporanei, decise,
all'immorale
canonico Alberico, che aveva senza dubbio saccheggiato la biblioteca
del Capitolo di San Bertrando per mettere insieme questo album senza
prezzo. Sul primo dei due fogli c'era una piantina, disegnata con
cura e immediatamente riconoscibile da una persona che conoscesse il
sito, della navata sud e dei chiostri di San Bertrando. C'erano
degli strani segni che rassomigliavano a simboli planetari, e alcune
parole in ebraico; negli angoli e nel lato a nord ovest del chiostro
c'era una croce dipinta in oro. Sotto
la piantina c'erano alcune righe scritte in latino:
Responsa
12mi
Dec. 1694. Interrogatum est: Inveniamne? Responsum est: invenenies.
Fiamne dives? Fies. Vivamne invidendus? Vives. Moriarne in lecto meo?
Ita. [Risposte del
12 dicembre, 1694.
Fu chiesto: Lo troverò? Risposta: lo troverai. Diventerò ricco? Lo
diventerai. Sarò oggetto
di invidia? Lo sarai. Morirò nel mio letto? Sì.]
“Un
buon esemplare di documento da
cacciatore di tesori – mi ricorda quello del canonico minore Mr
Quatremain in
Old St Paul's,' fu
il commento di Denniston mentre girava il foglio. (Old
St. Pauls è
una romanzo
(1841) di
William Harrison Ainsworth. Quatremain è
un personaggio che usa l'astrologia per tentare di trovare un tesoro
nascosto)
Quello
che vide dopo lo impressionò,
come mi ha spesso detto, più di quanto avesse mai potuto credere che
un qualunque disegno o immagine ne
fosse capace. E,
sebbene il disegno che vide non esiste più, c'è la sua fotografia
(in mio possesso) che supporta in pieno quest'affermazione.
L'immagine in
questione era un disegno a seppia della fine del diciassettesimo
secolo che rappresentava, si sarebbe detto a prima vista, una scena
biblica,infatti l'architettura (era la rappresentazione di un
interno) e le figure erano circondate da quell'atmosfera semi
classica che gli artisti di duecento anni fa ritenevano appropriata
ad illustrare la Bibbia. Sulla
destra c'era un re sul trono, il trono era in cima a dodici gradini,
ricoperto da un baldacchino, con leoni su entrambi i lati -
evidentemente si trattava di re Salomone. Era
piegato in avanti con lo scettro teso,
in atteggiamento di comando, il suo volto esprimeva orrore e
disgusto, ma c'era anche il segno di una volontà imperiosa e di un
potere indiscusso. La
metà sinistra del disegno era, comunque, la più strana di tutto il
resto.
Lì era chiaramente
concentrato tutto l'interesse. Sul
pavimento davanti al trono erano raggruppati quattro soldati intorno
ad una figura rannicchiata che
sarà descritta fra poco. Un quinto soldato giaceva morto per terra,
con il collo torto e
gli occhi che gli uscivano dalla testa. Le quattro guardie in piedi
stavano guardando verso il re. Nelle loro facce il sentimento di
orrore era intensificato, sembrava, infatti, che fossero trattenuti
dal fuggire via solo dalla fede nel loro signore. Tutto
questo terrore era chiaramente suscitato dall'essere rannicchiato in
mezzo a loro. Dispero assolutamente di rendere a parole l'impressione
che questa figura fa su chiunque la guardi. Ricordo di aver mostrato
una volta la fotografia del disegno ad un professore
di morfologia – una persona, direi, dotato di un modo di pensare
oltremodo sano e privo di immaginazione. Rifiutò
categoricamente di rimanere da solo per il resto della serata, ed in
seguito mi disse che per molte notti non aveva osato spegnere la luce
prima di andare a dormire. Comunque,
posso almeno indicare i tratti principali della figura. Dapprincipio
si notava
solo una massa di peli
neri ispidi
e arruffati, subito dopo si vedeva
che questa ricopriva un corpo di una magrezza spaventosa, quasi
uno scheletro, ma con muscoli
che risaltavano come
fili di ferro.
Le mani erano di un
pallore cupo, coperte,
come il corpo, da lunghi peli ispidi e con
ripugnanti artigli.
Gli occhi, di un
giallo vivido, avevano pupille nerissime
e fissavano il re sul
trono con uno
sguardo
di odio bestiale. Immaginate
uno di quei tremendi ragni acchiappa-uccelli
del Sud America tradotti in forma umana, e avrete una pallida idea
del terrore ispirato da questa effige spaventosa. Un'osservazione è
universalmente fatta da coloro a cui ho mostrato l'immagine. “E'
tratta dal vero.” Appena
lo shock iniziale della sua incontenibile paura si fu placato,
Denniston diede un'occhiata furtiva ai suoi ospiti. Il sacrestano
aveva le mani premute sugli occhi, sua figlia, guardando alla croce
sulla parete, stava recitando il rosario con fervore. Finalmente fu
chiesto:”Il libro è in vendita?” Ci
fu la stessa esitazione, la stessa determinazione impulsiva che aveva
notato prima, e poi venne la gradita
risposta, “Se fa piacere a monsieur.” “Quanto chiedete?”
“Duecentocinquanta franchi.” Questa risposta lo lasciò
esterrefatto. Perfino la coscienza di un collezionista a volte si
commuove e la
coscienza di Denniston era più tenera di quella
di un
collezionista. “Mio
buon uomo!” ripeté più volte, “il
vostro libro vale molto di più di duecentocinquanta franchi, ve lo
assicuro molto di più,” Ma la risposta non cambiava: “Accetterò
duecentocinquanta franchi, niente di più.” Non c'era alcuna
possibilità di rifiutare una tale occasione. Il denaro fu pagato, la
ricevuta firmata, un bicchiere di vino fu bevuto per suggellare la
transazione, quindi il sacrestano sembrò diventare un altro uomo. Si
erse dritto, cessò di lanciare occhiate sospettose dietro di lui
e rise o cercò di
ridere. Denniston si alzò per andarsene.
“Posso avere
l'onore di accompagnare monsieur all'albergo?” disse il sacrestano.
“Oh no, grazie! Sono solo pochi metri. Conosco la strada
perfettamente e c'è la luna.” L'offerta fu ripetuta con una certa
insistenza tre o quattro volte e altrettante rifiutata. “Allora
monsieur mi manderà a chiamare se – se ne
avrà l'occasione;
si tenga al centro della strada, i lati sono così malmessi.”
“Certamente, certamente,”
disse Denniston, che era impaziente di esaminare il suo bottino da
solo, e
si avviò nel
corridoio con il libro sottobraccio. Qui gli fu
raggiunto dalla
figlia, che sembrava
ansiosa di concludere un affare per conto suo; forse, come Gehazi,
(si
riferisce al secondo libro dei re, cpitolo 5, dove Gehazi, servo di
Elisha, riscuote un pagamento che il suo padrone, avendo curato un
lebroso, non aveva voluto accettare. Il servo viene punito per il suo
comportamento.)
di
“prendere qualcosa” allo straniero che il padre aveva rifiutato.
“Un crocefisso e
una catena d'argento per il collo, monsieur sarebbe forse tanto
gentile da accettarlo?” In
realtà Denniston
non sapeva cosa farsene di quelle cose. Quanto voleva mademoiselle?
“Niente – assolutamente niente. Monsieur mi farebbe una grande
cortesia ad accettarlo.” Il tono in cui questo e molto altro fu
detto era indubbiamente
sincero, così che Denniston fu costretto a profondersi in
ringraziamenti e ad accettare di farsi mettere la catena intorno al
collo. Sembrava davvero
che avesse reso al padre e alla figlia un servizio che essi non
sapevano proprio come ripagare. Mentre
Denniston andava via con il suo libro sotto braccio, i due rimasero
sulla porta a guardarlo, e lo stavano ancora guardando quando con la
mano gli diede l'ultimo saluto dai gradini dello Chapeau Rouge. La
cena era finita e Denniston era nella sua camera, chiuso da solo con
il suo acquisto. La locandiera aveva manifestato un particolare
interesse in lui da quando le aveva raccontato di aver fatto visita
al sacrestano e di
aver comprato da lui
un vecchio libro. Gli sembrò, inoltre, di aver sentito un dialogo
frettoloso tra lei e il sacrestano nel corridoio fuori dalla salle
à manger; alcune parole
riguardo al fatto
che “Pierre e Bertrand avrebbero dormito nella locanda” avevano
concluso la
conversazione. Per
tutto questo tempo si era insinuato in lui un crescente senso di
disagio – una reazione nervosa, forse, dopo la gioia
della sua scoperta.
Qualunque cosa fosse, ebbe come risultato la convinzione che c'era
qualcuno dietro di lui e che si sentiva molto più a suo agio con la
schiena contro il muro. Tutto ciò, naturalmente, aveva poco peso
rispetto all'ovvio valore della collezione appena acquistata. E
adesso,
come ho detto, era solo nella sua camera mentre faceva l'inventario
dei tesori
del canonico Alberico, che ad ogni momento rivelavano
qualcosa di ancora
più affascinante.
“Benedetto il
canonico Alberico!” disse Denniston, che aveva l'inveterata
abitudine di parlare da solo, “Mi chiedo dove sia adesso. Dio mio!
Vorrei che la locandiera imparasse a ridere in maniera più allegra,
mi fa sentire come se ci fosse un morto in casa. Ancora mezza pipa,
dicevi? Mi sa che hai ragione. Cosa sarà quel crocefisso che la
ragazza ha insistito a donarmi? Del
secolo scorso, credo. Sì, probabilmente. E' proprio fastidioso
averlo intorno al collo – troppo pesante. Molto probabilmente. Si
era tolto il crocefisso e l'aveva posato sul tavolo, quando la sua
attenzione fu catturata da un oggetto che
stava sul panno
rosso proprio sotto il suo gomito sinistro. Due o tre idee su cosa
potesse essere gli balenarono in mente ad una velocità
incalcolabile. “Un nettapenne? No,
niente del genere qui dentro. Un sorcio? No, troppo nero. Un grosso
ragno? Prego Dio di no – no. Buon Dio! Un mano come quella nel
disegno!” In un altro infinitesimale baleno
ne aveva catturato ogni dettaglio. La pelle pallida e scura che
ricopriva niente altro che ossa e tendini di una forza spaventosa,
peli neri e ispidi, più lunghi di quelli che siano mai cresciuti su
una mano umana, unghie che spuntavano dalla punta delle dita
incurvandosi
giù e avanti grigie, cornee e rugose. Volò
via dalla sedia con il cuore attanagliato da un terrore cieco e
indescrivibile. La forma, la cui mano sinistra rimaneva sul tavolo,
si stava alzando in piedi dietro la sedia, con la mano destra piegata
sulla testa di Denniston.
Era
avvolto in un panno nero e lacero,
il pelo ispido lo
ricopriva come nel disegno. La
mascella inferiore era sottile – come posso dire?
- stretta,
come quella di una bestia, i denti si
vedevano dietro le
labbra nere; non
aveva naso; gli
occhi, di un giallo brillante, contro cui risaltavano le pupille
nere e intense, illuminate
da un odio esultante e dal desiderio di distruggere la vita, erano i
tratti più terrificanti di quella visione. In
essi c'era una sorta
di intelligenza – superiore a
quella di un bestia, inferiore a quella di un uomo.
I sentimenti
di terrore che si agitavano in Denniston erano la più intensa paura
fisica e il più profondo disgusto mentale. Cosa
fare? Cosa poteva fare? Non è mai stato completamente certo delle
parole che disse, ma sa che parlò, che si aggrappò ciecamente al
crocefisso d'argento, che era cosciente del
movimento del demone
verso di lui, e che gridò con la voce di un animale nell'agonia
del dolore. Pierre e
Bertrand, i due robusti servitori che
si precipitarono
nella stanza, non videro niente, ma si sentirono spinti da parte da
qualcosa che passò tra di loro e trovarono Denniston svenuto. Lo
vegliarono tutta la notte e i suoi due amici furono a San Bertrando
il giorno seguente per le nove del
mattino.
Egli stesso, sebbene
ancora scosso e nervoso, era quasi ritornato in sé per quell'ora; i
suoi amici credettero alla sua storia, ma
solo dopo aver visto il disegno e parlato col sacrestano. Poco
prima dell'alba, il sacrestano era venuto alla locanda con una scusa
e aveva ascoltato con il più profondo interesse la storia raccontata
dalla proprietaria. Non si mostrò sorpreso. “E' lui – è lui!
L'ho visto io stesso,” fu il suo unico commento e alle domande che
seguirono non diede che una sola risposta “Deux
fois je 1'ai vu; mille fois je 1'ai senti.'”
Non volle dire niente sulla provenienza del libro, né dare alcun
dettaglio delle sue esperienze. “Presto
mi addormenterò e il mio riposo sarà dolce. Perché dovresti
tormentarmi?”
(2)
disse. Non
sapremo mai cosa patirono il sacrestano o il Canonico Alberico de
Mauleon. Sul retro di quel fatale disegno vi era una scritta che
potrebbe fare luce sulla situazione:
Contradictio Salomonis cum demonio noctumo.
Albericus de Mauleone delineavit.
V. Deus in adiutorium. Ps. Qui habitat.
Sancte Bertrande, demoniorum effugator, intercede pro
me miserrimo.
Primum uidi nocte 12mi Dec. 1694: uidebo mox
ultimum. Peccaui et passus sum, plura adhuc
Non
ho mai veramente capito quale fosse la posizione di Denniston
riguardo agli eventi che ho narrato. Una volta mi citò un brano
dall'Ecclesiaste:
“Vi sono alcuni spiriti creati per la vendetta, e nella loro furia
infliggono colpi dolorosi.” In un'altra occasione disse: “Isaia
era un uomo molto saggio, non
dice qualcosa riguardo ai mostri notturni
che vivono tra le
rovine di Babilonia? Queste cose sono superate
attualmente.”
Un'altra sua
confidenza mi impressionò molto, e io la approvai. Eravamo stati,
l'anno scorso, a Comminges, per visitare la tomba del Canonico
Alberico. E' un grande monumento di marmo con un'effige del Canonico
che idossa una grande parrucca e la tonaca, mentre sotto di essa vi è
un'elaborato elogio della sua sapienza. Vidi Denniston parlare per
qualche tempo con il vicario di San Bertrando, e mentre andavamo via
mi disse: “Spero
che non sia sbagliato: sai che sono presbiteriano – ma io – io
credo che saranno dette messe e innalzati canti funebri per il riposo
di Alberico di Mauleon.” Quindi
aggiunse, con un tocco di
accento nordico, “Non pensavo che costassero tanto.”
L'album
fa parte della collezione Wentworth a Cambridge. Il disegno fu
fotografato e quindi bruciato da Denniston il giorno in cui lasciò
Comminges in occasione della sua prima visita.
1Ora
sappiamo che quei fogli contengono un cosiderevole frammento di quel
lavoro, se non addirittura la sua copia.
2Morì
quell'estate, sua figlia si sposò e si stabilì a St Papoul. Non
capì mai le circostanze dell'ossssione del padre.
3Disputa
tra Salomone e un demone notturno, diegnato da Alberico de Mauleon.
Versetto: O Signore affrettati a venire in mio
aiuto. Salmo: Chi così dimora (XCI)
San
Bertrando, tu che
mettesti in fuga il
diavolo, prega per me infelice. Lo vidi la prima volta la notte del
12 dicembre 1694; presto lo rivedrò per l'ultima volta. Ho peccato e
sofferto, e molto dovrò ancora soffrire. 29 dicembre 1701.
La
“Gallia Cristiana”, fissa la data della morte del Canonico al 31
dicembre 1701, “nel suo letto, colpito da un attacco improvviso.”
Dettagli di questo genere non sono comuni nel grande lavoro del
Sammartani.
(Nota del
traduttore: Gallia
Christiana = una cronaca, apparsa per la prima volta nel
diciassettesimo secolo, su vari aspetti delle istituzioni religiose
francesi. Smmarthani= derivato
da Sainte-Marthe, famiglia
di celebri umanisti ed eruditi fiorita in Francia fra il XVI e il
XVIII secolo, di cui
alcuni esponenti cooperarono con i benedettini Jean Chenu e Claude
Robert alla monumentale Gallia Christiana.
James, mescolando
ancora una volta realtà e fantasia,
sottolinea l'eccezionalità di un simile dettaglio in questo tipo
di cronache.)
FINE
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