AUGURI DI BUONE FESTE....
con un po' di mistero
Non è facile parlare di paradossi temporali, soprattutto per le sue inevitabili implicazioni etiche: siamo in grado di cambiare il nostro futuro cambiando il nostro passato (Ritorno al futuro), o qualunque sforzo è inutile perché il corso del tempo è immutabile (Samarcanda di Vecchioni)? La fisica quantistica sembra dare una terza possibilità se accettiamo la teoria dei molti mondi che vede il tempo come un fiume che si biforca in diversi rami, formando universi distinti (Sliding Doors).
Nella
Macchina del tempo (1895)
di H.G. Wells
la
scienza e la tecnologia forniscono per la prima volta gli strumenti per viaggiare
nel tempo.
Nel
1952 Ray Bradbury nel
breve racconto A Sound of Thunder anticipa il concetto di “effetto farfalla” (il
termine fu coniato dal metereologo del MIT Edward Lorenz nei primi
anni '60) secondo cui calpestare
accidentalmente una farfalla preistorica
durante un safari temporale,
può causare nel futuro effetti imprevedibili e drammatici.
Fredric
Brown, maestro del paradosso, nel breve racconto Experiment (1954) ha usato il tema dei viaggi nel tempo
per metterci
in guardia nei confronti di un progresso scientifico che viaggia a
velocità esponenziale superando limiti fino ad a ieri considerati
invalicabili. C'é poi
la grande paura degli anni '50, quella della catastrofe atomica
scatenata da un gesto inconsulto o, peggio, casuale: basta premere il
bottone sbagliato per scatenare l'inferno,
proprio
come accade
al professor Johnson e ai
suoi colleghi che portano
avanti il loro esperimento dimenticando quanto sia pricoloso
“giocare a dadi” con le leggi che regolano
il nostro universo.
Esperimento
FREDRIC BROWN
Illustrato
da STONE
“Signori, la prima macchina del tempo,” fu
l'orgoglioso annuncio del professor Johnson ai suoi colleghi. “In
effetti, è un modello in scala ridotta. Può operare solo con
oggetti che non pesino più di un chilo e mezzo e per distanze nel
futuro o nel passato non superiori ai dodici minuti. Ma funziona.”
Il modellino in scala ridotta rassomigliava ad una piccola bilancia –
come quelle per pesare la posta – se non per due quadranti posti proprio
sotto il vassoio. Il professor Johnson mostrò un piccolo cubo di
metallo. “L'oggetto del nostro esperimento,” disse, “è un cubo
di ottone che pesa mezzo chilo. Per prima cosa, lo manderò cinque
minuti avanti nel futuro.” Si chinò e regolò uno dei due
quadranti della macchina del tempo. “Controllate i vostri orologi,”
disse. Gli altri due controllarono i loro orologi. Il professor
Johnson sistemò delicatamente il cubo sul piatto della macchina.
Scomparso. Cinque minuti dopo, precisi al secondo, riapparve.
Il professor Johnson lo raccolse. “Ora, cinque
minuti indietro nel passato.” Regolò l'altro quadrante. Guardò
l'orolgio tenendo il cubo in mano. “Mancano sei minuti alle tre.
Attiverò il meccanismo alle tre in punto, sistemando il cubo sul
vassoio. Pertanto, alle tre meno cinque il cubo dovrebbe sparire
dalla mia mano per riapparire sul vassoio della macchina, cinque
minuti prima di quando ve lo posai.” “Come farete a mettercelo, allora?”
chiese uno dei suoi colleghi. “Appena avvicinerò la mano, sparirà
dal vassoio e apparirà nella mia mano per poi essere sistemato sulla
macchina del tempo. Sono le tre in punto. Osservate, prego.” Il
cubo sparì dalla sua mano. E riapparì sul vassoio della macchina
del tempo. “Visto? Cinque minuti prima di mettercelo, è già lì!”
L'altro suo collega fissò pensieroso il cubo. “Ma, ora che è
riapparso cinque minuti prima di essere sistemato lì, cosa
succederebbe se cambiaste idea e decideste di non mettercelo più
quando sono le tre? Non saremmo coinvolti in un qualche paradosso
temporale?” “Idea interessante,” disse il professor Johnson.
“Non ci avevo pensato. Bene, allora non lo...” Non ci fu
nessun paradosso. Il cubo rimase. Ma l'intero universo, professore
incluso, sparì.
FINE
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