lunedì 10 febbraio 2014

LE PORTE DELLA PERCEZIONE



La porta nel muro (The Door in the Wall) è un racconto breve di H. G.Wells, pubblicato per la prima volta nel 1911 nella raccolta intitolata The Door in the Wall, and Other Stories.

Protagonista della storia è Lionel Wallace, uomo politico brillante e ambizioso che muore in circostanze poco chiare alla vigilia del suo quarantesimo compleanno. La storia è narrata dal suo antico compagno di scuola Redmond (reliable narrator), che riporta al lettore le confidenze ricevute tre mesi prima dal suo amico durante una cena a quattr'occhi, in cui Wallace (unreliable narrator), sotto forma di un lungo flashback, rivela di aver perso ogni interesse in quello che fa a causa di una preoccupazione che lo ossessiona: “Io sono ossessionato. Ossessionato da qualcosa – che toglie al mondo ogni luce e mi riempie di un desiderio inappagabile...” Quella ossessione ha radici lontane e risale alla sua prima infanzia. Il bambino, orfano di madre, affidato da un padre severo e assente alle cure poco amorevoli di bambinaie e governanti, quando aveva poco più di cinque anni era sfuggito alla sorveglianza degli adulti e vagando per gli squallidi sobborghi della città si era ritrovato davanti ad una misteriosa porta verde in un muro bianco. Cedendo ad un richiamo irresistibile, aveva varcato quella porta per ritrovarsi in un giardino incantato di una bellezza ultraterrena: i fiori erano spontanei, non c'erano erbacce, la luce aveva un riflesso di eternità e perfino gli animali più feroci erano docili e socievoli. In quel giardino non c'era posto per il serpente. Per la prima volta il bambino è felice, lontano dalla ferrea disciplina paterna e dalla bruttezza del mondo esterno. Egli sente di appartenere a quel luogo: “Nella mia mente c'era la profonda sensazione di essere a casa. In un primo momento gli aveva fatto da guida una fanciulla bionda, affettuosa e gioiosa, forse la madre che gli era sempre mancata. E soprattutto vi aveva trovato dei compagni di gioco che per un momento avevano alleviato la sua solitudine. Poi era arrivata una donna bruna e severa, dallo sguardo pieno di tristezza, perché consapevole che il bambino avrebbe dovuto lasciare il giardino incantato e ritornare alla vita di tutti i giorni. La donna lo aveva separato dai suoi amici e attraverso le pagine viventi di un libro magico gli aveva fatto rivivere la storia della sua vita, proprio come in un film, fino al momento in cui il bambino si era rivisto davanti alla porta nel muro. A questo punto la magia era finita ed egli si era trovato di nuovo nel mondo reale. Al dolore per la perdita del giardino incantato si aggiunsero anche l'incomprensione del padre e dei suoi famigliari che non credettero al suo racconto e lo punirono perché troppo “fantasioso”. Col passare del tempo Wallace incominciò a dimenticare il giardino e i suoi meravigliosi abitanti, adeguandosi sempre più al mondo circostante e al modo di pensare del padre, di cui finalmente riceverà il plauso e la stima. Si imbatté altre cinque volte nella porta verde senza mai oltrepassarla, da adolescente perché troppo preso dagli impegni scolastici, da adulto perché troppo preso dalla sua vita sentimentale e personale, ma soprattutto perché troppo impegnato a costruire la sua brillante carriera politica, a cui ha sacrificato tutto, anche la meravigliosa visione del giardino incantato. Ma proprio quando ha ormai raggiunto il successo inseguito per tutta la vita, si rende conto che l'unica cosa veramente importante per lui è quella perduta felicità a cui aveva avuto accesso attraverso la porta verde “Tre volte in un anno la porta si è offerta a me – la porta che conduce alla pace, alla gioia, ad una bellezza inimmaginabile, ad una dolcezza che nessun uomo sulla terra conosce. E l'ho rifiutata, Redmond, e se ne è andata... Così rivela all'incredulo Redmond che ogni notte vaga per la città alla ricerca di quel muro e di quella porta. Il mattino dopo Redmond pensa che l'amico lo abbia preso in giro, ma poi il tono sincero di quelle confidenze gli fanno sorgere il dubbio che, in realtà “quei ricordi, in qualche modo, evocavano, proponevano, suggerivano – non saprei che termmine usare – esperienze altrimenti impossibili da raccontare. E' sicuro che il suo amico fosse sincero, ma non sa dire se “ Egli vide davvero o credette di vedere, se egli veramente possedeva un inestimabile privilegio o era la vittima di un sogno fantastico. Tre mesi dopo questa incredibile confessione i giornali riportano la morte dell'importante uomo politico avvenuta in circostanze poco chiare: Wallace ha per errore oltrepassato una porticina verde che serviva da ingresso agli operai che stavano ampliando la linea ferroviaria di East Kensington, precipitando in un pozzo di collegamento. Questo è ciò che pensa la gente comune, ma Wallace apparteneva a quella categoria speciale che “sono i sognatori, questi uomini di visione e immaginazione” e Redmond si chiede “Ma lui ha visto le cose allo stesso modo?


Con questo interrogativo termina quella che è, a ragione, considerata una delle migliori short story di Wells, in cui l'autore ripropone l'eterno dissidio fra ragione e immaginazione, ma in realtà gli spunti di questo racconto sono molteplici.



Individuo e società: Wallace è definito un “sognatore” che grazie alla sua immaginazione ha il potere di evocare visioni di mondi meravigliosi, ma perché decide di rinunciare a questo “potere” che avrebbe potuto fare di lui un artista o un letterato? Le ragioni vanno trovate nel contesto culturale, sociale e morale di quel particolare periodo storico. Siamo alla fine del periodo edoardiano, che va dalla morte della reggina Vittoria (1901) alla morte di suo figlio Edoardo VII (1911). E' il periodo della Bella Epoque, Edoardo porta nella severa società vittoriana un tocco di eleganza e di gioia di vivere mutuate dal continente e in particolare dalla Francia. Perché se Londra è il cuore di un impero sconfinato, Parigi è la capitale culturale del mondo occidentale. Ma la middle class inglese è ancora legata a quei valori di decoro, dovere e sacrificio che avevano dominato durante tutto il periodo vittoriano e così ben rappresentate dal padre del protagonista. Wallace sente il “peso” del suo ruolo sociale, sente che seguire le sue visioni sarebbe come “tradire” i valori in cui è stato cresciuto dal padre e che pure gli hanno procurato tanta sofferenza. Ancora brucia in lui il ricordo delle punizioni subite in famiglia quando ha cercato di condividere con loro il suo meraviglioso segreto. E così mette il suo genio al servizio della sua carriera, gira le spalle alla porta nel muro, ma questo genera dentro di lui un conflitto che lo consuma e gli preclude ogni felicità, fino alla tragedia finale.



Declino del positivismo: Lo scrittore attraverso la figura di Wallace, rivendica i diritti del singolo a seguire i propri sogni, ad avere una visione autonoma e personale della realtà. L'età edoardiana è un'epoca di sviluppo tecnologico sempre più veloce, come possiamo osservare anche in questo racconto: nell'adolescenza Wallace si muove in carrozza e col treno, nell'età adulta con la macchina, le notizie vengono comunicate in tempo reale attraverso il telefono, il libro magico della donna bruna ci ricorda la scoperta del cinematografo (1895). Il pensiero filosofico dominante è il positivismo che fa coincidere il progresso della società con il progresso della scienza, al concetto di qualità viene sostituito quello della quantità, è la società di massa a scapito del singolo, delle sue istanze, dei suoi sogni e dei suoi desideri. Ma quando il racconto è pubblicato questo modello è stato già messo in crisi dalla psicoanalisi di Freud (1900) che rimette l'individuo al centro dell'attenzione, mentre la fisica newtoniana, che è alla base del pensiero scientifico ottocentesco, è superato dalla fisica quantistica (1900) e dalla relatività di Einstein (1905). Le antiche certezze si vanno sgretolando e Wells, che è anche uno scienziato, ne è ben consapevole. Fra pochi anni lo stesso assetto politico dell'Europa sarà stravolto dalla prima guerra mondiale, che secondo Wells avrebbe dovuto essere l'ultima.

Società industriale vs. natura: La porta nel muro sembra essere un punto di cesura tra la “ugliness” della società industriale e la bellezza della natura e dell'arte. Non a caso, infatti, la porta verde compare per la prima volta in un contesto urbano povero, degradato e caotico. La rivoluzione industriale ha creato delle città tentacolari, dove prima c'era la campagna, ora sorgono squallidi slums. Nel giardino di Wallace, invece, regna la bellezza e l'armonia fra uomo, natura e arte. E in tutta questa perfezione la gente non può che essere felice e amorevole. Certo una visione utopistica dell'uomo e del suo rapporto con la natura, ma necessaria all'economia del racconto, per spiegare quanto grande sia il rimpianto di Wallace, che grazie alle sue capacità di sognatore era riuscito ad andare oltre il muro del materialismo trionfante.

L'eredità del romanticismo: nel racconto ritroviamo molte tematiche ereditate dal romanticismo. La scoperta dell'infanzia come età fondamentale per la formazione dell'adulto: “The Child is father of the Man” asseriva Wordsworth (My heart leaps up...). La contrapposizione immaginazione/ragione “What is now proved was once only imagined.” (William Blake, The Marriage of Heaven and Hell (1790-93). Proverbs of Hell), la visione idealizzata del bambino, che non ancora corrotto dalla società degli adulti, conserva intatte le sua capacità visionarie, destinate a scomparire nell'età adulta: “The things which I have seen I now can see no more.” (Wordsworth, Ode all'immortalità). Al contrario, Wallace conserva le sue capacità visionarie, ma crescendo le rinnega, per omologarsi al modo di pensare comune, intimorito dalla reazione violenta e repressiva degli adulti, finché la metamorfosi è completata ed egli diventa un uomo di successo. “If the doors of perception were cleansed every thing would appear to man as it is, Infinite.” diceva William Blake in uno dei suoi proverbi più famosi (The Marriage of Heaven and Hell). Se Wallace avesse avuto il coraggio di purificare le porte della percezione da ogni pregiudizio, egli sarebbe stato capace di usare la forza dell'immaginazione per spalancare le porte dell'universo: “La conoscenza è limitata, l'immaginazione abbraccia il mondo.” (Albert Einstein)




Background letterario: Il tema del giardino segreto o dell'isola incantata è un tema caro alla letteratura per l'infanzia del primo novecento, il più famoso è sicuramente Peter Pan e la sua isola che non c'è, capolavoro di James Barrie. Il personaggio di Peter ebbe un lunga elaborazione. La prima versione va sotto il titolo di Peter Pan nei giardini di Kensington, tratto da The Little White Bird (1902). Nel 1904 c'è l'edizione teatrale sotto il titolo di Peter Pan, o il ragazzo che non voleva crescere. Questa storia fu poi adattata, ingrandita e trasformata da Barrie in un romanzo pubblicato nel 1911 con il titolo Peter e Wendy, poi Peter Pan e Wendy e infine semplicemente Peter Pan.

Meno conosciuto, forse, ma non meno bello è Il giardino segreto (1910) di Frances Hodgson Burnett, la stesa autrice di Piccolo lord.
























































































     La porta nel muro
          H.G. Wells (1911)

                                                    

                                La porta verde – Giorgio Kienerk, 1920?

                                                            
 1

Durante una serata di confidenze, meno di tre mesi fa, Lionel Wallace mi raccontò la storia della porta nel muro. E quella volta pensai che, per quello che lo riguardava, fosse una storia vera. Me la raccontò con tanta sincera convinzione che non potei far altro che credergli.  Ma la mattina,  nel mio appartamento, mi svegliai in un diverso stato d'animo e, mentre ero a letto e mi ritornava alla mente tutto quello che mi aveva detto, considerai quella storia francamente incredibile, una volta spogliata del fascino della sua voce sincera e pacata, senza la luce avvolgente della lampada velata e la penombra che circondava lui e i piacevoli oggetti brillanti sul tavolo: le posate e i bicchieri e la tovaglia della cena che avevamo condiviso e che formavano un piccolo mondo splendente separato dalla realtà quotidiana. “Era tutto una mistificazione!” mi dissi, e aggiunsi: “E come l'ha congegnata bene...! E' l'ultima persona al mondo che avrei  ritenuto capace di una cosa del genere.”


      Dopo, mentre sedevo nel letto sorseggiando il tè della mattina, tentai di trovare una spiegazione per il fatto che i suoi improbabili ricordi avevano un sapore di verità che  mi rendeva perplesso. Pensai che quei ricordi, in qualche modo,  evocavano, proponevano, suggerivano – non saprei che termine usare – esperienze altrimenti impossibili da raccontare. Comunque, ormai non faccio più ricorso a questa spiegazione. Ho superato i miei antichi dubbi. Adesso credo, come ho creduto al momento del racconto, che Wallace fece del suo meglio per svelarmi il suo segreto. Ma non posso dire se egli vide davvero o credette di vedere, se egli veramente godesse di un inestimable privilegio o fosse la vittima di un sogno fantastico. Nemmeno le circostanze della sua morte, che misero fine ai miei dubbi per sempre, hanno fatto luce su questo mistero. Tutto ciò il lettore deve giudicarlo per conto suo. Ho dimenticato quale mio casuale commento o critica mosse un uomo così discreto a confidarsi con me. Credo che volesse difendersi dall'accusa di negligenza e inaffidabilità che gli avevo mosso in relazione ad un grande movimento pubblico al cui riguardo mi aveva deluso. Ma improvvisamente si lasciò andare. “Ho avuto” disse, “una preoccupazione...” “Lo so,” proseguì, dopo una pausa spesa a studiare la cenere del suo sigaro, “sono stato negligente. Il fatto è – non si tratta di fantasmi o apparizioni – ma – è strano a dirsi, Redmond – Io sono ossessionato. Ossessionato da qualcosa – che toglie al mondo ogni luce e mi riempie di un desiderio inappagabile...” Si fermò, frenato da quella riservatezza inglese da cui così spesso veniamo sopraffatti quando parliamo di cose commoventi o solenni o belle. “Tu hai fatto i tuoi studi al Saint Althelstan,” disse, e per un momento la cosa mi sembrò irrilevante. “Ebbene...” e fece una pausa. Quindi, dapprincipio in maniera molto esitante, poi con più sicurezza, iniziò a parlarmi di ciò che aveva tenuto segreto per tutta la sua vita, l'ossessivo ricordo di una perduta bellezza e felicità che gli riempiva cuore di un'inanszabile desiderio che gli faceva sembrare tutte le attrattive e lo splendore del mondo terreno grigi, tediosi e vani.
     Ora che ho la chiave del mistero, la cosa sembra scritta a chiare lettre nel suo viso. Ho una fotografia in cui quello sguardo distaccato è stato catturato e reso più intenso. Mi fa tornare alla mente quello che una donna mi disse una volta di lui – una donna che lo aveva amato molto. “Improvvisamente,” disse, “il suo interesse svanisce. Si dimentca di te. Non gliene importa un fico secco di te – senza che neanche se ne renda conto...”
    Tuttavia, l'interesse non lo abbandonava sempre, e quando prestava attenzione a qualcosa, Wallace riusciva ad essere un uomo di grande successo. La sua carriera, infatti, è caratterizzata dal successo. Mi ha lasciato dietro di sé tanto tempo fa, mi ha superato di gran lunga, e si è conquistato una reputazione che io non sono riuscito farmi in nessun modo. Gli mancava un anno al suo quarantesimo compleanno, e ora dicono che se fosse vissuto avrebbe avuto una carica politica e molto probabilmente avrebbe fatto parte del nuovo governo. A scuola mi ha sempre battuto senza sforzo – come era nella sua natura. Siamo stati a scuola insieme al colleggio di Saint Althelstaniii, in West Kensington, per quasi tutto il nostro corso di studi. Quando arrivò a scuola eravamo sullo stesso livello, ma salì molto al di sopra di me, in un glorioso susseguirsi di borse di studio e brillanti risultati. Eppure penso che la mia carriera scolastica sia stato abbastanza buona. E fu a scuola che sentii palare per la prima volta della “porta nel muro” - di cui avrei sentito parlare una seconda volta solo un mese prima della sua morte. Almeno per lui, la porta nel muro era una porta reale che, attraverso un muro reale, conduceva a realtà immortali. Di questo oramai sono sicuro. E arrivò nella sua vita molto presto, quando era un bambino fra i cinque e i sei anni. Ricordo il ragionamento che fece per calcolare la data di quell'avvenimento, mentre stando a sedere mi rendeva la sua confessione con pacata solennità. “Su un muro bianco,” disse, “c'era una vite americana – di un rosso uniforme e brillante nella luce ambrata e cristallina del sole. Quella scena mi è rimasta impressa, sebbene non riesca a ricordarmi chiaramente come, e c'erano delle foglie di ippocastano sul marciapiede pulito davanti alla porta verde. Erano punteggiate di giallo e verde, ma non erano secche o polverose, cosicché dovevano essere cadute da poco. Pertanto doveva essere ottobre. Ogni anno vado in giro ad osservare le foglie di ippocastano, quindi dovrei saperlo.”
 




     “Se ho ragione, dovevo avere cinque anni e quattro mesi.” Era stato, disse, un bambino piuttosto precoce – aveva imparato a parlare incredibilmente presto, ed era così saggio e “all'antica”, come si dice, che gli era consentito di fare tante cose che alla maggior parte dei bembini sono a male pena conceesse a sette o otto anni. Sua madre era morta dandolo alla luce, e fu affidato alle cure meno vigili e autorevoli di una governante. Suo padre era un severo avvocato sempre immerso nel suo lavoro, che gli dedicava poca attenzione e si aspettava grandi cose da lui. Penso che fosse una vita grigia e monotona per un bambino così brillante. E un giorno fuggì. Non riusciva a ricordare quale negligenza gli aveva reso possibile la fuga, né quale direzione prese tra le strade di West Kensington. Tutto svaniva tra le impenetrabili nebbie della memoria. Ma il muro bianco e la porta verde rimanevano indelebili.
    Secondo quello che ricordava di quell'esperienza infantile, appena vide la porta, provò una particolare emozione, un'attrazione, un desiderio di avvicinarsi, di aprirla ed  entrare. Allo stesso tempo ebbe la netta sensazione che cedere a quel richiamo fosse imprudente o sbagliato – non sapeva dire quale delle due cose. Insistette a sottolineare la stranezza del fatto che sapeva fin dall'inizio – a meno che la memoria non gli stesse giocando un brutto scherzo – che la porta non era chiusa e che poteva entrare se voleva. Mi sembra di vedere quel ragazzino, attratto e respinto. Inoltre, si rendeva ben conto, anche se non spiegò mai il perché, che suo padre si sarebbe arrabbiato molto se avesse attraversato quella porta. Wallace mi descrisse tutti quei momenti di esitazione con grande precisione. Si allontanò dalla porta e quindi con le mani in tasca e facendo un infantile tentativo di fischiare, iniziò a passeggiare arrivando fin oltre il muro. Qui si ricorda di aver visto alcune botteghe misere e sporche, in particolare quelle di un idraulico e di un imbianchino, con un polveroso disordine di tubi di terracotta, lastre di piombo, galleggianti, campionari di carte da parato e lattine di smalto. Rimase lì facendo finta di osservare le vetrine, mentre desiderava ardentemente la porta verde. Poi, disse, fu preso da un impulso improvviso. Incominciò a correre verso la porta, per paura che il dubbio lo assalisse di nuovo, e andò di filato con la mano tesa verso la porta verde che si aprì per farlo passare  e si richiuse di colpo dietro di lui. E così, in men che non si dica, arrivò nel giardino che lo aveva ossesionato per tutta la vita. Era molto difficile per Wallace rendermi in pieno il senso di ciò che provò in quel giardino.  C'era qualcosa nella stessa aria che lo rallegrava, gli dava un senso di leggerezza e di ottimismo e di benessere; c'era qualcosa nel suo aspetto che rendeva i colori puri e perfetti e sottilmente luminosi. Nello stesso istante in cui si entrava lì dentro si diventava meravigliosamente felici – come si può essere felici in questo mondo solo in rari momenti e quando si è giovani e pieni di gioia. E là tutto era bellissimo...



                          Giardino di lillà a Giverny – Claude Monet, 1900

      Wallace si fermò a pensare prima di continuare a raccontare. “Vedi,” disse, con il tono  esitante di chi si arresta di fronte a cose incredibili, “C'erano due grandi pantereiv... Sì, pantere maculate. E non ero spaventato. C'era un sentiero lungo e ampio, delimitato sui due lati da aiuole di fiori orlate di marmo, e queste due grandi bestie dal manto vellutato vi stavano giocando con una palla. Una mi vide e venne verso di me, sembrava alquanto incuriosita. Mi si accostò, strofinò le sue morbide orecchie tonde contro la mia piccola mano tesa e fece le fusa. Ti assicuro che era un giardino incantato. Ne sono certo. E la grandezza? Oh! Si estendeva in lungo e in largo, in ogni direzione. Credo che in lontananza ci fossero delle colline. Il cielo solo lo sa dove fosse improvvisamente andata a finire West Kensington. E in qualche modo era proprio come tornare a casa.”
     “Vedi, nello stesso istante in cui la porta si chiuse dietro di me, dimenticai le foglie di ippocastano cadute sulla strada, le carrozze e i carretti carichi di merci, dimenticai quella sorte di attrazione gravitazionale verso la disciplina e l'obbedienza di casa mia, dimenticai ogni esitazione e paura, dimentcai la discrezione, e dimenticai le realtà stringenti e necessarie di questa vita. In un momento diventai un ragazzino pieno di gioia e incredbilmente felice...in un altro mondo. Era un mondo con una luce di qualità differente,  più calda, più penetrante, più morbida, con una soave felicità nell'aria, e ciuffi di nuvole dorate nell'azzurro del suo cielo. E davanti a me correva quel lungo viale, invitante, con aiuole senza erbacce ai due lati, ricolme di fiori spontanei, e queste due grandi pantere. Poggiai senza timore la mia manina sulla loro morboda pelliccia e carezzai le loro orecchie tonde e gli angoli sensibili sotto di esse e giocai con loro, e sembrava che mi stessero dando il benvenuto a casa. Nella mia mente c'era la profonda sensazione di essere a casa, e quando di lì a poco una fanciulla bionda e alta apparve nel sentiero e mi venne incontro, sorridente, e mi disse, “Allora?” e mi sollevò e mi baciò e mi mise giù e mi prese per mano, non ne fui stupito, ebbi solo la sensazione che fosse deliziosamente giusto, che mi stessero ritornando alla mente cose felici che stranamente avevo rimosso. C'erano anche degli ampi scalini, ricordo, che ci apparvero tra spighe di delphinium, li salimmo e arrivammo ad un grande viale tra antichi alberi ombrosi. Lungo tutto il viale, tra i ruvidi tronchi rossi, c'erano magnifici sedili di marmo e statue e colombe bianche addomesticate e socievoli...”
     “E  la mia amica mi condusse lungo questo viale, con lo sguardo rivolto vero di me - ricordo i bei lineamenti, il mento finemente modellato del suo volto dolce e gentile – e mi poneva domande con la sua voce tenera e piacevole, e mi raccontava cose, cose piacevoli ne sono sicuro, anche se non riesco a ricordarle... E poi una piccola scimmia cappuccina, tutta pulita, con un pelo rossiccio e gentili occhi nocciola, scese giù da un albero e corse al mio fianco, mentre mi guardava sorridente,  e subito mi saltò sulla spalla.  Così continuammo a camminare in grande allegia...” Fece una pausa. “Continua,” dissi. “Ricordo piccoli dettagli. Ricordo che oltrepassammo un vecchio assorto in meditazione tra cespugli di alloro, e un posto rallegrato da pappagallini, e passammo attraverso un ampio colonnato ombroso fino ad arrivare in un fresco palazzo spazioso, pieno di piacevoli fontane, pieno di belle cose, pieno dell'essenza e delle promesse dei desideri del cuore. E c'erano molte cose e molte persone, alcune le ricordo chiaramente, altre restano un po' vaghe, ma quelle persone erano tutte belle e gentili. In qualche modo, non so come, percepivo che erano tutti gentili nei miei confronti, felici di avermi là, e mi riempivano di felicità con i loro gesti, col tocco delle loro mani, con i loro sguardi di amorevole benvenuto. Sì...”



           La passeggiata (Camille Monet con il figlio Jean) - Claude Monet, 1875


     “Ma, è strano, c'è un vuoto nella mia memoria. Non riesco a ricordare i giochi che facevamo. Non ci sono mai riuscito. Dopo, durante tutta la mia infanzia, ho trascorso molto tempo, sforzandomi, fino alla lacrime, di ricordare quali giochi mi dessero tanta felicità. Avrei voluto giocarli di nuovo, nella mia camera, tutto da solo. No! Tutto ciò che ricordo è quella felicità e due cari compagni che giocarono con me più degli altri ...  Poi arrivò una donna bruna e triste, con occhi sognanti in un volto pallido e severo, che vestiva una lunga e ampia tunica di un viola pallido, e aveva con sé un libro e mi fece segno di seguirla e mi condusse con lei nella galleria di una grande sala – anche se i miei compagni di gioco erano contrariati dalla mia partenza, e smisero di giocare e rimasero fermi a guardarmi mentre venivo portato via. “Torna da noi!” gridavano. “Torna presto da noi!” Io la guardai negli occhi, ma lei non fece nessun caso alle loro proteste. Il suo volto era gentile e severo. Mi condusse nella galleria dove si mise a sedere ed io rimasi in piedi al suo fianco, impaziente di guardare il  libro che veva sistemato sulle sue ginocchia. Le pagine si aprirono. Ella me le indicava e io guardavo, meravigliato, perché nelle pagine viventi di quel libro vidi me stesso; era la mia storia, e c'era tutto quello che mi era successo da quando ero nato...”
      “Era incredibile, perché le immagini di quel libro non erano statiche, ma vive.” Wallace si fermò pensieroso – e mi guardò dubbioso. “Vai avanti,” dissi. “Capisco quello che vuoi dire.” “Erano vive,  sì, deve essere stato così, le persone si muovevano entrando e uscendo dalle pagine, la mia cara mamma, che avevo quasi dimenticato, e mio padre, severo e rigido, la servtù, la mia camera, tutti i gli oggetti della mia casa a me così familiari. Infine la porta d'ingresso e le strade affollate, con il viavai del traffico: guardavo meravigliato, e di nuovo fissai negli occhi la donna con uno sguardo incredulo mentre continuavo a girare le pagine, saltandone alcune qua e là, per andare avanti quanto più potevo, e così alla fine arrivai a me stesso mentre  esitavo davanti alla porta verde nel lungo muro bianco, e di nuovo provai lo stesso conflitto interiore e la stessa paura.” “E poi?” gridai, e avrei voluto girare la pagina, ma la gelida mano della donna mi trattenne. “Poi?” insistetti, e mi sforzavo di liberarmi dalla sua mano con delicatezza, sollevando le sue dita con la mia forza infantile, e quando alla fine cedette e la pagina si girò, si chinò su di me come un'ombra e mi baciò. “Ma la pagina non mostrava il giardino incantato, né le pantere, né la ragazza che mi aveva condotto per mano, né i compagni di gioco che mi avevano lasciato andare così a malincuore. Mostrava una  lunga strada grigia di West Kensington, in quella fredda ora del pomeriggio prima che i lampioni vengano accesi, ed io ero là, infelice creatura, e piangevo a dirotto, nonostante i miei sforzi per trattenermi, e stavo piangendo perché non potevo tornare ai miei cari compagni di gioco che mi  avevano gridato dietro, “Torna da noi! Torna  presto da noi!” Io ero là. Quella non era una pagina del libro, ma la cruda realtà; quel posto incantato, e quella madre austera che con la sua mano aveva cercato di trattenermi e alle cui ginocchia mi ero appoggiato erano spariti – dove sono andati?”



                                              Paesaggio - Maurice Utrillo



      Si fermò di nuovo, e  per un po' rimase a fissare il fuoco. “Oh! Quanto fu infelice il mio ritorno!” mormorò. “Ebbene?” dissi dopo circa un minuto. “Come ero disperato! Ricondotto in questo grigio mondo! Quando compresi in pieno quello che mi era successo, fui sopraffatto da un dolore senza fine. E la vergogna e l'umiliazione di piangere davanti a tutti e il mio ignominioso ritorno a casa sono sempre presenti nella mia mente. Rivedo ancora lo sguardo benevolo  del vcchio gentiluomo con gli occhiali d'oro che si fermò a parlarmi – dopo aver attirato la mia attenzione con un colpetto del suo ombrello. “Povero piccolo,” disse; “e così ti sei perso...?” E rivedo me stesso, un bimbetto di poco più di cinque anni perso nella grande Londra! E il vecchio gentiluomo dovette di conseguenza chiamare un giovane poliziotto cortese e formammo così un piccolo corteo e marcammo verso casa. Singhiozzando abbondandemente per lo spavento, arrivai dal giardino incantato ai gradini  della casa di mio padre.”
   “Questo è quanto riesco a ricordare della mia visione del giardino – il giardino che ancora mi ossessiona. Naturalmente, non riesco nemmeno a suggerire l'indescrivibile qualità di quella traslucente irrealtà essendo così profondamente diversa dalle cose comuni dell'esperienza; ma questo... questo è quanto accadde. E se era un sogno, sono sicuro che era un sogno ad occhi aperti assolutamente straordinario...Hum...! Naturalmente ne seguì un terrible interrogatorio da parte di mia zia, mio padre, la bambinaia, la governante – tutti... Tentai di raccontargli la mia storia, e mio padre mi picchiò per la prima volta perché raccontavo buggie. Quando in seguito tentai di raccontarlo a mia zia, questa mi punì di nuovo per la mia malvagia ostinazione. Allora, come dicevo, fu  proibito a tutti di starmi a sentire, di ascoltare anche una sola parola al riguardo. Per un certo tempo, fui privato perfino dei miei libri di favole – perché ero troppo “fantasioso”! Eh? Sì, hanno fatto questo! Mio padre apparteneva alla vecchia scuola... E la mia storia fu ricacciata dentro di me. La sussurravo al mio cuscino – e mentre  la raccontavo bagnavo spesso il cuscino con le mie lacrime infantili. E alle mie preghiere ufficiali e poco ferventi aggiungevo sempre questa richiesta dal profondo del cuore: “Ti pego Signore, fa che possa sognare il giardino. Oh! Riportami al mio giardino! Riportami al mio giardino!” Sognavo spesso del giardino. E' possibile che vi abbia aggiunto qualcosa, posso averlo modificato, non lo so... Tutto questo, capisci, è il tentativo di ricostruire quegli avvenimenti attingendo ai ricordi frammentari di un'esperienza molto precoce. Fra questi e i successivi ricordi della mia adolescenza c'è un abisso. E venne un momento in cui sembrò impossibile che potessi parlare di nuovo di quella visione meravigliosa.” Gli feci una domanda ovvia. “No,” disse. “Non ricordo di aver mai tentato di ritrovale la strada che riconduceva al giardino in quegli anni. Sembra strano ora, ma penso che molto probabilmente dopo quella disavventura i miei movimenti furono controllati più da vicino per prevenire una mia eventuale fuga. No, fu solo dopo che che ti conobbi che tentai di ritrovare il giardino. E credo che ci fu un periodo – per quanto ora possa sembrare incredbile – in  cui dimenticai completamente il giardino – può essere stato quando avevo circa otto o nove anni. Ti ricordi di me bambino al colleggio di Saint Athelstan” “Certamente!” “Mostravo forse alcun segno di avere un sogno segreto allora?”

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     Mi fissò con un improvviso sorriso. “Hai mai giocato a trovare il passaggio a nord-ovest v insieme a me...? No, naturalmente, non facevamo la stessa strada! Era il tipo di gioco,” proseguì, “amato dai bambini dotati di immaginazione. L'idea era quella di trovare un passaggio a nord-ovest per arrivare a scuola. La strada per arrivare a scuola era abbastanza semplice, il gioco consisteva nel trovare una strada che non fosse così semplice, uscendo di casa dieci minuti prima per prendere una direzione piuttosto improbabile, e arrivare alla meta attraverso strade sconosciute. E un giorno rimasi intrappolato in alcune squallide strade  dall'altra parte di Campden Hill, e incominciai a pensare che per una volta il gioco non si sarebbe concluso a mio favore e sarei arrivato tardi a scuola. Preso dalla disperazione, imboccai una strada che sembrava senza uscita, e alla fine trovai un passaggio. Lo attraversai di corsa con rinnovata speranza. “Ce la posso ancora fare,” dissi, e passai davanti ad una fila di misere bottegucce che mi erano inspiegabilmente familiri, e vedi un po'! Ecco là, la mia lunga parete bianca e la porta verde che conduceva al giardino incantato!” “Fu un colpo inaspettato. Quindi, dopo tutto, quel giardino, quel meraviglioso giardino, non era un sogno...” Fece una pausa. “Suppongo che la mia seconda esperienza con la porta verde segni il mondo di differenza che c'è tra la vita piena di impegni di un adololescente e l'infinita tranquillità di un bambino. Comunque questa seconda volta non pensai nemmeno per un istante di infilarmi là dentro. Vedi, prima di ogni altra cosa, la mia mente era occupata dall'idea di arrivare a scuola in tempo, di non perdere il mio record di puntualità. Devo sicuramente aver provato almeno un po' di desiderio di aprire quella porta – sì, devo averlo provato... Ma mi semba di ricordare che l'attrazione verso la porta era soprattutto un ostacolo alla mia inflessibile deteminazione di arrivare a scuola. Come puoi immaginare, quella scoperta non mi lasciò indifferente – proseguii con quel pensiero fisso in testa, ma prosegii. Non mi fermò. Corsi oltre consultando il mio orologio, scoprii che mi rimanevano altri dieci minuti e che stavo scendendo verso luoghi più familiari. Arrivai a scuola, senza fiato, è vero, e bagnato di sudore, ma in tempo. Ancora mi vedo mentre appendevo il cappotto e il cappello...Passare lì davanti e andare oltre. Strano, eh”
     Mi guardò pensieroso. “Nautarlmente, allora non sapevo che non sarebbe rimasta là per sempre. Gli adolesenti hanno un'immaginazione limitata. Credo che pensassi che fosse una cosa incredibilmente  bella averla lì, conoscere la strada per ritornarci, ma c'era la scuola che mi premeva. Credo che quella mattina fui molto turbato e disattento, mentre cercavo di ricordare quelle belle e strane persone che ora avrei potuto rivdere. Può sembrare strano, ma non avevo dubbi che sarebbero stati felici di rivdermi... Sì, quella mattina devo aver pensato al giardino solo come ad un bel posto dove rifuggiarmi negli interludi di una faticosa carriera scolastica.”
    “Quel giorno non ci andai. Il giorno successivo avevamo lezione solo al mattino, e questo può aver influenzato le mie decisioni. Inoltre, la mia disattenzione mi aveva procurato delle punizioni, cosa che restrinse il margine di tempo necessario per fare la deviazione. Non lo so. Quello che so è che nel frattempo il giardino incantato mi ossessionò a tal punto che non ce la feci a tenerlo per me. Lo raccontai a... come si chiamava...? Un ragazzotto con la faccia da furetto che chiamavamo Squiff.” “Il giovane Hopkins,” dissi. “Hopkins, proprio lui. Non avrei voluto dirglielo, avevo la snsazione che in qualche modo fosse contro le regole, ma lo feci. Stavamo percorrendo parte della strada per casa insieme, e se non avessimo parlato del giardino incantato, avremmo parlato di qulcos'altro, e io non riuscivo a pensare a niente altro. Così, spifferai tutto. Bene, andò a raccontre in giro il mio segreto. Il giorno dopo durante l'intervallo mi trovai circondato da una mezza dozzina di ragazzi più grandi, che un po' mi canzonarono, un po' erano sinceramente curiosi di saperne di più sul giardino incantato. C'era quel grosso Fawcett – te lo ricordi? - E  Carnaby e Morley Reynolds. C'eri anche tu, per caso? No, penso che me ne sarei ricordato... I ragazzi sono creature dagli strani sentimenti. Io ero, ne sono certo, un po' compiaciuto di avere l'attenzione di quei compagni più grandi, a dispetto del fatto che dentro di me ne ero disgutato. Ricordo in particolare il piacere che provai per l'apprezzamento di Crawshaw – ricordi il più grande dei Crawshaw, il figlio del compositore Crawshaw ? - Mi disse che era la migliore bugia che aveva mai sentito. Quella bestia di Fawcett fece una battutaccia sulla ragazza vestita di verde...” La voce si velò al ricordo bruciante di quella vergogna. “Feci finta di non sentire,” disse. “Bene, allora Carnaby saltò su a dire che ero un bugiardello e iniziò a litigare con me quando dissi che era una storia vera. Dissi che sapevo dov'era la porta verde, che potevo portarceli in dieci minuti. Carnaby divenne pericolosamente serio e disse che avrei dovuto farlo – e mantenere la mia parola o soffrire. Ti è mai capitato che Carnaby ti torcesse il braccio? Allora forse puoi capire l'effetto che quella minaccia ebbe su di me. Giurai che la mia storia era vera. Crawshaw obbiettò qualcosa ma non c'era nessuno a scuola che potesse salvare un ragazzo da Carnaby.  Così l'ebbe vinta lui. Ero rosso fino alle orecchie per l'eccitazione, e anche un po' spaventato, mi comportai come un vero stupido, e il risultato di tutto questo fu che invece invece di partire da solo alla volta del mio giardino incantato, mi avviai – guance rosse, orecchie infuocate, occhi che bruciavano, e la mia anima un'unica vampata di vergogna e infelicità – alla testa di un gruppo di sei compagni di scuola beffardi, curiosi e minacciosi.”



                                      George Mears – Wales Schoolboys


    “Non trovammo mai la parete bianca e la porta verde...” “Vuoi dire...?” “Voglio dire che non riuscii a trovarla. Lo avrei fatto se avessi potuto. E dopo, quando ci andai da solo, non riuscii a trovarla. Non l'ho travata mai più. Ora mi sembra di aver trascorso i miei giorni di scuola a cercarla, ma non mi ci sono più imbattuto – mai più.” “I tuoi compagni – te l'hanno fatta pagare?” “Bestialmente... Carnaby convocò una riunione contro di me per la mia vergognosa buggia. Ricordo come sgattaiolai a casa e poi su per le scale per nascondere i segni delle mie lacrime. Ma quando alla fine piansi fino ad addormentarmi, non fu per Carnaby, ma per il giardino, per il meraviglioso giardino che avevo sperato di ritrovare, per le dolci donne gentili e i premurosi compagni di gioco e il gioco che avevo sperato di imparare di nuovo, quel meraviglioso gioco ormai dimenticato... Ero sicuro che se non avessi parlato... - Dopo ho passato dei brutti momenti – piangendo di notte e sognando ad occhi aperti di giorno. Per due semestri rimasi indietro ed ebbi brutti voti. Te lo ricordi? Certo che te lo ricordi! Fosti tu, il fatto che mi battesti in matematica a darmi la voglia di tornare a lavorare sodo.”

                                                             3

    Per un certo tempo rimase in silenzio a guardare il fuoco. Poi disse: “Non l'ho più vista fino a quando ebbi diciassette anni. Mi apparve per la terza volta – mentre ero in carrozza diretto alla stazione di Paddington per recarmi ad Oxford nella speranza di ottenere una borsa di studio. Ero affacciato al finestrino fumando una sigaretta, e senza dubbio mi sentivo assoluto padrone del mondo, e improvvisamente ecco la porta, la porta, quella cara sensazione di cose indimenticabili e ancora raggiungibili.Trotterellammo oltre, ma ero così sorpreso che fermai la carrozza solo dopo aver girato l'angolo. Allora mi ritrovai in una strana situazione, un movimento duplice e divergente della mia volontà: bussai alla porticina nel tetto della carrozza e abbassai il braccio per tirare fuori l'orologio. “Sì, signore!” disse il vetturino, con gentilezza. “Hem – bene – non è niente,” gridai. “Mi sono sbagliato. Non abbiamo molto tempo! Proseguite!” E proseguì...”



                             Spencer Gore - Nearing Euston Station, 1911


     “Ottenni la mia borsa di studio. E la notte dopo aver saputo la notizia ero seduto accanto al fuoco nella mia stanzetta al piano superiore, il mio studio a casa di mio padre, e nelle orecchie mi risuonavano ancora i suoi apprezzamenti, i suoi rari apprezzamenti, e i suoi sensati consigli, e fumavo la mia pipa preferita – una di quelle enormi pipe vi ostentate dagli adolescenti – e pensavo a quella porta nella lunga parete bianca. “Se mi fossi fermato,” pensavo, “Avrei perso la mia borsa di studio, avrei perso Oxford – e rovinato la brillante carriera che ho davanti a me! Incomincio a vedere le cose in modo più chiaro!” Sprofondai nei miei pensieri, ma allora non dubitavo che questa mia carriera fosse una cosa che meritava dei sacrifici. Quei cari amici e quell'atmosfera serena mi sembravano dolcissimi, bellissmi, ma remoti. Tutte le mie energie erano ora rivolte al mondo. Vidi un'altra porta aprirsi, quella della mia carriera.” Guardò di nuovo nel fuoco. Per un breve attimo il rosso baluginio delle fiamme aveva colto nel suo viso una ostinata determinazione, che poi svanì di nuovo. “Bene,” disse sospirando, “Ho fatto carriera. Ho lavorato molto, e duramente. Ma ho sognato il giardino incantato mille volte, e visto la sua porta, o almeno dato un'occhiata alla sua porta, ancora altre quattro volte. Sì, quattro volte. Per un po' questo mondo fu per me così brillante e ineressante, mi sembrò così pieno di opportunità e significato che il fascino ormai affievolito del giardino era al confronto debole e remoto. Chi è che vuole accarezzare pantere mentre sta andando a pranzo con belle donne e uomini illustri? Quando sono arrivato da Oxford a Londra, ero considerato un givane  di belle speranze, e da parte mia ho fatto molto per realizzarele. Molto – nonostante tante delusioni.”



                                       William Roberts - The Diners, 1919


     “Mi sono innamorato due volte – non mi soffermerò su questo - ma una volta, mentre mi recavo ad un appuntamento con una donna che, lo so, dubitava che avrei mai osato andare da lei, presi una scorciatoia a casaccio attraverso una strada poco fraquentata vicino ad Earl's Court, e così incappai in un muro bianco con una porta verde dall'aspetto familiare. “Strano!” mi dissi, “ma ero convinto che questo posto fosse a Cmpden Hill. E' il posto che non sono mai riuscito a trovare per qanto lo abbia cercato –  ormai ne ho perso il conto – il posto di quel mio strano sogno ad occhi aperti.” E andai oltre, tutto preso dal mio appuntamento. Quel pomerigio per me la porta non significava niente. Per un solo attimo ebbi l'impulso di provare ad aprirla, al massimo avrei dovuto fare tre passi – anche se in fondo al cuore ero sicuro che si sarebbe aperta per me – e allora pensai che così avrei potuto far tardi per il mio appuntamento e messo a repentaglio il mio onore. Dopo mi sono pentito di quella puntualità. Avrei almeno potuto dare una sbirciatina, pensavo, e fare un cenno di saluto alle pantere, ma ormai sapevo bene che non l'avrei più trovata, perchè quella porta mi appariva solo quando non la cercavo. Sì, quella volta ne fui veramente addolorato... Seguirono anni di duro lavoro, senza rivedere la porta. Solo di recente  è ritornata da me. Insieme ad essa, la sensazione che un velo sottile ha offuscato il mio mondo. Avevo iniziato a pensare che era una cosa triste e amara non poter più rivedere quella porta. Forse ero provato dal troppo lavoro, forse era lo stato d'animo tipico dei quarant'anni di cui avevo sentito parlare. Non lo so. Ma certmente l'intimo splendore che rende facile ogni sforzo aveva abbandonato il mio mondo ultimamente, e  proprio in un momento in cui ci sono questi nuovi sviluppi politici – quando dovrei dare il meglio di me. Strano, vero? Ma iniziavo a trovare la vita faticosa e le sue ricompense, proprio mentre stavo per ottenerle, di poco valore. Poco tempo fa ho iniziato a desiderare il giardino con tutto me stesso. Sì, e l'ho visto tre volte.” “Il giardino?” “No...il muro e la porta! E non sono entrato!” Si piegò verso di me, e nelle sua voce c'era un'inflessione di enorme dolore. “Mi è capitato tre volte, tre volte! Avevo giurato a me stesso  che se quella porta si fosse offerta a me di nuovo, sarei entrato lasciandomi alle spalle questo calore e questa polvere, il luccichio della vanità, e queste estenuanti futilità. Non sarei tornato mai più.  Questa volta sarei rimasto... Me lo ero giurato, ma quando ne ebbi l'occasione, non entrai. Sono passato davanti a quella porta tre volte in un anno e non sono entrato. Tre volte quest'anno. La prima volta è stato la notte in cui ci fu quella drammatica crisi sulla legge agraria, quando il governo fu salvato da tre soli voti. Ricordi? Nessuno del nostro partito, e forse pochissimi dell'opposizione, si aspettava che la discussione sarebbe finita quella notte. Invece il dibattito collassò come un castello di carte. Io e Hotchkiss stavamo cenando a Brentford in casa di suo cugino, nessuno di noi due era accompagnato, quando fummo convocati per telefono, e partimmo immediatamente con la macchina di suo cugino.



                                  Charles Ginner - Piccadilly Circus, 1912

     Arrivammo apena in tempo, e mentre eravamo per strada  passammo davanti al mio muro e alla porta – lividi sotto la luce lunare, chiazzati dal giallo intenso della luce dei lampioni, ma inconfondibili. “Dio mio!” gridai. “Cosa c'è?” disse Hotchkiss. “Niente!” Risposi, e l'occasione svanì.” “Ho fatto un grande scrficio,” dissi al nostro capogruppo quando arrivai in parlamento. “Lo hanno fatto tutti,” disse, e corse a votare. “Non avrei potuto fare altrimenti. L'occasione successiva fu quando dovetti correre al capezzale di mio padre e dare l'ultimo saluto a quell'uomo tutto d'un pezzo. Anche quella volta, il richiamo della vita fu imperioso. Ma la terza volta è stato diverso, è successo una settimana fa. Ricordarlo mi riempie di un bruciante rimorso. Ero con Gurker e Ralphs – non è un segreto, ora lo sai che ho parlato con Gurker. Avevamo cenato da Frobisher, e la conversazione si era fatta pittosto confidenziale. Il problema del mio posto nel ricostituito ministero era ancora in discussione. Sì, sì. Ora è tutto sistemato. Non dovrei parlarne ancora, ma non c'è motivo di mantenere il segreto con te... Sì - Grazie! Grazie! Ma lascia che ti racconti tutta la storia. “Allora, quella notte le cose erano ancora piuttosto confuse. La mia posizione era molto delicata. Ero estremamente ansioso di avere una parola definitiva da Gurker, ma ero trattenuto dalla presenza di Ralph. Stavo fcendo ogni sforzo per tenere quella conversazione dal tono leggero e incurante  lontano dall'argomento che mi riguardava. Ero costretto ad agire in quel modo. In seguito il comportamento di Ralph ha giustificato la mia prudenza... Sapevo che Ralph ci avrebbe lasciato dopo Kensington High Street, a quel punto sarei stato a quattr'occhi con Gurker e lo avrei costretto ad un chiarimento. A volta è necessario ricorrere a questi piccoli trucchi... E fu allora che mi accorsi che davanti a me, in fondo alla strada, c'erano ancora una volta la parete bianca e la porta verde. Passai a meno di mezzo metro dalla porta. Mi chiesi cosa sarebbe successo se avessi detto buonanotte e fossi entrato. Nello stesso tempo ero nella spasmodica attesa di un chiarimento da parte di Gurker. Ero così preso dagli altri miei problemi, che non riuscii a dare una risposta a quella domanda. “Crederanno che sono matto,” pensai. “E supponiamo che io adesso sparissi...! Incredibile scomparsa di un importante politico!” Quelle considerazioni pesarono su di me. Migliaia di piccole meschine contingenze avevano peso per me in quel momento di crisi.” Si voltò verso di me con un sorriso mesto, e parlando lentamente mi disse: “Eccomi qua!” “Eccomi qua!” ripetè, “ormai non ho più alcuna possibilità. Tre volte in un anno la porta si è offerta a me – la porta che conduce alla pace, alla gioia, ad una bellezza inimmaginabile, ad una dolcezza che nessun uomo sulla terra conosce. E l'ho rifiutata, Redmond, e se ne è andata...”
    “Come lo sai?” “Lo so. Lo so. Ora non mi resta altro che continuare a portare avanti quegli obblighi che mi hanno impedito di cogliere le mie occasioni quando si sono presentate. Tu dici che ho successo, questa cosa volgare, appariscente e seccante che tutti invidiano. Alla fine ci sono riuscito.” Afferrò una noce con la sua grande mano. “Se questo fosse il mio successo,” disse e la frantumò e me la mostrò. “Lascia che ti dica una cosa, Redmond. Questa perdita mi sta distruggendo. Per due mesi, quasi dieci settimane ora, non sono riuscito a fare niente, se non il disbrigo dei compiti più urgenti e necessari. La mia anima è piena di laceranti rimpianti. Di notte, quando è meno probabile che mi possano riconoscere, esco e vado in giro senza una meta. Sì. Mi chiedo cosa ne penserebba la gente se lo sapesse. Un ministro del governo,  il responsabile del ministero più importante, che va in giro da solo, disperandosi - a volte i miei lamenti quasi si possono sentire - per una porta, per un giardino!”

                                               

                     Boulevard Montmartre, notte - Camille Pissarro, 1897

                                                    

                                                           4


     Posso ancora vedere il suo volto pallido, e quell'insolito splendore sinistro nei suoi occhi. Questa notte la sua immagine è più viva che mai. Sono seduto a ricordare le sue parole, il tono della sua voce, e sul mio divano c'è ancora l'ultimo numero della Westminster Gazette con l'annuncio della sua morte. Oggi, all'ora di pranzo, al club non si parlava altro che della sua fine inspiegabile. Ieri, il suo corpo è stato ritrovato alle prime luci dell'alba in una profonda buca vicino alla stazione di East Kensington. E' uno dei due pozzi che sono stati scavati durante i lavori per il prolungamento della linea verso sud. Per prevenire eventuali intrusioni del pubblico, lungo la strada  è stata eretta una palizzata con una porticina di servizio per gli operai che vivono in quella zona. La porta rimase aperta a causa di un fraintendimento fra due capisquadra, e fu così che Wallace riuscì ad entrare...
    Nella mia mente si susseguono domande a cui non riesco a rispondere. Sembra che, uscito dal Parlamento, si sia incamminato verso casa, come era solito fare durante l'ultima sessione, e mi sembra di vedere la sua sagoma scura percorrere a tarda sera le strade ormai deserte, avvolto nel suo mantello, completamente immerso nei suoi pensieri.  Forse le pallide luci elettriche dei lampioni vicino alla stazione hanno trasformato la ruvida palizzata in un muro bianco? Forse quella porta fatale lasciata aperta ha risvegliato i suoi ricordi? C'è mai stata, dopo tutto, una porta verde nel muro? Non lo so. Ho raccontato questa storia come lui l'ha raccontata a me. Ci sono volte in cui credo che Wallace non sia stato altro che la vittima di una sfortunata coincidenza tra un tipo di allucinazione raro ma non insolito e un trabocchetto accidentale, ma questa, tuttavia, non è la mia più profonda convinzione. Potete pensare che io sia superstizioso, se volete, e un po' matto,  ma sono più che convinto che il mio amico possedesse davvero un dono fuori dal comune, una sensibilità particolare, qualcosa, insomma, che sotto la forma di un muro e di una porta era in grado di offrirgli una via d'uscita, un passaggio unico e segreto verso un altro mondo certamente più bello.  Potrete obbiettare che alla fine questo suo dono lo ha tradito. Ma è davvero così? Qui andiamo a toccare quell'arcano mistero che sono i sognatori, questi uomini di visione e immaginazione.
     Noi vediamo il nostro mondo in modo semplice e ordinario: la palizzata e il pozzo. Per noi gente comune, Wallace abbandonò la strada sicura e si incamminò verso l'oscurità, il pericolo e la morte. Ma lui ha visto le cose allo stesso modo?

                                                           FINE


 
    i Nelle famiglie ricche, la mattina si usava prendere il thè a letto prima di scendre a fare colazione. 
     ii   H.G. Wells fu membro della Fabian Society e un socialista convinto 
    iii Nell'età vittoriana, come oggi, l'educazione pre-universitaria dei figli della buona borghesia si svolgeva in istituzioni scolastiche private (public schools), la più famosa è Eaton. Per le donne l'educazione si svolgva per lo più a casa o in colleggi per signorine dove imparavano a diventare delle brave madri di famiglia. Nel 1870 l'Elementary Education Act renderà obbligatoria l'educazione elementare statale e gratuita anche per le classi sociali meno abbienti.
     iv  Nel Medioevo cristiano, la pantera nera simboleggiava Cristo, poiché si pensava che l’animale dormisse per tre giorni e riemergesse dalla sua tana con un ruggito. Si pensava inoltre che l’alito della pantera nera seducesse tutti gli animali ad eccezione del drago, che fuggiva nella sua caverna e si addormentava. Il dolce alito del felino era visto come lo Spirito Santo proveniente da Cristo. Tale dono piacque a tutto il mondo, tranne che al drago, e cioè Satana, che fuggì all’Inferno.

v Il passaggio a nord-ovest è una rotta che va dall'Oceano Atlantico all'Oceano Pacifico attraverso l'arcipelago artico del Canada. Tra la fine del XV e il XX secolo, gli europei hanno cercato di stabilire una rotta commerciale marina che passasse a nord e ad ovest del continente americano. Gli inglesi chiamarono la rotta passaggio a nord-ovest, che venne infine conquistato nel 1906 dall'esploratore norvegese Roald Amundsen.

vi Si riferisce alla Bulldog pipe, dalla testa altrettanto caratteristica del cane da cui prende il nome.


1 commento:

  1. Cercavo questo racconto in rete e mi sono imbattuto in questo blog. Grazie per aver condiviso racconto e analisi. L'unico appunto riguarda i diversi refusi presenti nel testo, inizialmente pensavo fossero intenzionali, mi stupisce averne trovati così tanti vedendo la qualità dell'articolo.

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