Una partita a scacchi
Il
Padrone di Moxon (Moxon's
Master)
è un racconto breve dello scrittore americano Ambrose Bierce (1842,
Ohio, Stati Uniti - 1914, Chihuahua, Messico), pubblicato la prima
volta nel 1893 nella raccolta Can
Such Things Be?. Bierce
fu scrittore, giornalista e aforista statunitense, tra i più
caustici della San Francisco a cavallo tra il 1850 e i primi anni del
XX secolo, al punto da meritarsi il soprannome di “Bitter Bierce”.
Viene ricordato soprattutto per il suo Dizionario
del diavolo,
dove, sotto l'innocua veste di lessicografo, mette alla berlina la
società del suo tempo. I suoi racconti brevi sono considerati tra i
migliori del XIX secolo, soprattutto quelli sulla guerra di
secessione come An
Occurrence at Owl Creek Bridge (Accadde al ponte di Owl Creek), A
Horseman in the Sky (Un cavaliere nel cielo) ampiamente
antologizzati. I suoi racconti fantastici anticiparono lo stile
grottesco che sarebbe diventato un vero e proprio genere letterario
nel XX secolo. La sua fine fu degna dei suoi migliori racconti
soprannaturali: scomparve in una nuvola di polvere durante una
battaglia in Messico dove era andato per seguire le vicende della
rivoluzione di Pancho Villa.
Il
padrone di Moxon, (tradotto anche come Il signore di Moxon o
La creatura di Moxon) è
un racconto breve ma ricco di suggestioni. Protagonisti sono Moxon,
inventore e filosofo dilettante,
e la sua creatura meccanica: un automa giocatore di scacchi. Lo
spunto narrativo parte dal
saggio di E. A. Poe Il giocatore di scacchi di
Maelzel (Maelzel's Chess Player,1836) in
cui lo scrittore smaschera un falso automa scacchista detto Il
Turco
che era diventato famoso in Europa e negli Stati Uniti. Ma “Bitter
Bierce” manipola la materia a suo modo. Come
si intuisce dal titolo, egli mette in guardia gli
uomini del suo tempo
contro la tirannia di una macchina tanto
simile all'uomo da ereditarne anche il suo lato oscuro (ricordate
HAL 9000
in 2001: Odissea
nello spazio?).
La
prima parte del racconto
si svolge sotto forma di dialogo quasi-platonico tra Moxon e il
narratore sulla natura dell'intelligenza e sul concetto di vita, che
Moxon interpreta in maniera meccanicistica, sulla scia di quel
pensiero positivista che faceva coincidere il progresso dell'umanità
con quello scientifico-tecnologico,
senza spazio per la spiritualità, riducendo l'uomo a “macchina”
vivente. E
del resto egli mette in dubbio la stessa idea di progresso, il suo
“Turco”
è un ibrido mostruoso, sul volto impassibile sono dipinte fattezze
umane, ma il corpo è quello di un gorilla, con arti asimmetrici dalla presa mortale, simbolo
di una
regressione ad uno stadio puramente istintivo, dove vige la logica
del più forte.
Egli sembra
portare
alle estreme conseguenze
le
teorie del
filosofo inglese
Herbert
Spencer, padre del darwinismo sociale che predicava “The survival
of the fittest”: in un mondo dove non c'è più spazio per lo
spirito, chi è il più adatto a sopravvivere, l'uomo o la macchina?
Testi
correlati:
►Dizionario
del diavolo - Bierce Ambrose, 2010, Guanda € 13,00
►Tutti
i racconti. Vol. 1- 2 - Bierce Ambrose, 2006, Fanucci
►Io,
robot - Asimov Isaac, 2003, Mondadori
►2001:
Odissea nello spazio - Clarke Arthur C.,
2000, Longanesi
IL
PADRONE DI MOXON
di
di
Ambrose
Bierce
“Dici
sul serio...? Credi veramente che una macchina possa pensare?”
Non
ebbi una risposta immediata; apparentemente Moxon era impegnato con i
tizzoni nel focolare, toccandoli abilmente qua e là con
l'attizzatoio finché quelli diedero un senso alla sua attenzione con
una fiamma più brillante. Per diverse settimane avevo osservato in
lui la crescente abitudine di rispondere in ritardo anche alle
domande più semplici e comuni. Questo atteggiamento, tuttavia, era
dovuto più alla preoccupazione che alla cautela: si sarebbe detto
che “aveva in mente qualcosa.”
Dopo
un po' disse:
“Che
cos'è una “macchina”? Questa parola è stata definita in diversi
modi. Ecco la definizione di un popolare dizionario: “Qualunque
strumento o apparato, grazie al quale l'energia viene impiegata e
resa operativa, o viene ottenuto un preciso effetto.” Bene, allora,
l'uomo non è forse una macchina? E ammetterai che pensa... o pensa
di pensare.”
“Se
non desideri rispondere alla mia domanda,” dissi, in maniera
piuttosto irritata, “perché non lo dici...? tutto quello che dici
è solo per sviare il discorso. Sai fin troppo bene che quando dico
“macchina” io non intendo l'uomo, ma qualcosa che l'uomo ha
costruito e controlla.”
“Quando
non ne è controllato,” disse, alzandosi improvvisamente e
guardando fuori dalla finestra, da dove non si vedeva niente a causa
dell'oscurità di una notte tempestosa. Un momento dopo si girò e
con un sorriso disse: “Ti chiedo scusa, non volevo essere evasivo.
Consideravo quella del dizionario un'ignara testimonianza dell'umo e
tuttavia suggestiva e degna di essere discussa. Posso dare abbastanza
facilmente una risposta diretta alla tua domanda: sono convinto che
una macchina possa pensare al lavoro che sta facendo.”
Quella
era di certo una risposta sufficientemente diretta. Non era per
niente rassicurante, perché tendeva a confermare il triste sospetto
che la devozione di Moxon allo lo studio e al lavoro nel suo
“laboratorio meccanico” non era stato un bene per lui. Sapevo,
per dirne una, che soffriva di insonnia, e che quella non era una
lieve afflizione. Aveva danneggiato la sua mente? La sua risposta
alla mia domanda sembrava comprovarlo; ora, forse, la penserei
diversamente. Allora ero più giovane, e fra tutte le benedizioni che
non sono negate alla gioventù c'è l'ignoranza. Incitato da quel
grande stimolo alla controversia, dissi:
“E,
di grazia, con che cosa pensa... in assenza di un cervello?”
La
risposta arrivò con un ritardo inferiore a quello che gli era
d'abitudine e prese la forma a lui più congeniale del
controinterrogatorio:
“Con
che cosa pensa una pianta... in assenza del cervello?”
“Ah,
anche le piante appartengono alla classe dei filosofi! Mi piacerebbe
conoscere alcune delle loro conclusioni, e puoi omettere le
premesse.”
“Forse,”
replicò, apparentemente non toccato dalla mia sciocca ironia, “si
possono dedurre le loro convinzioni dai loro atti. Ti risparmierò
l'esempio familiare della mimosa sensitiva, i diversi fiori
insettivori e quelli i cui stami si piegano in basso e scuotono il
loro polline sulle api che entrano nella corolla allo scopo di
fertilizzare i loro compagni distanti. Ma considera attentamente
questo. In una piccola radura del mio giardino ho piantato una vite
rampicante. Appena questa è sbucata in superficie ho piantato nel
suolo un palo a poche iardei
di distanza. La vite vi si è immediatamente diretta, ma mentre stava
per raggiungerlo dopo pochi giorni, l'ho spostato di qualche piedeii.
La vite ha immediatamente modificato il suo corso, formando un angolo
acuto, e si è diretta di nuovo verso il palo. Questa manovra fu
ripetuta diverse volte, ma alla fine, come se si fosse scoraggiata,
la vite abbandonò il suo inseguimento, e ignorando ogni ulteriore
tentativo di sviarla, si diresse verso un piccolo albero, più in là,
e vi si arrampicò.
“Le
radici dell'eucalipto si allungano incredibilmente alla ricerca di
umidità. Un famoso orticultore racconta di una che entrò in un
vecchio tubo di scolo e lo seguì finché arrivò ad un ostacolo, in
quanto una sezione del tubo era stata rimossa per fare spazio ad un
muro di pietra che era stato costruito attraverso il suo percorso. La
radice abbandonò la tubatura e seguì il muro finché trovò
un'apertura dove era caduta una pietra. Vi scivolò attraverso e
seguendo l'altra parte del muro per ritornare al tubo, entrò nella
sezione inesplorata e proseguì il suo cammino.
“E
con ciò?”
“Possibile
che non ne afferri il significato? Dimostra che la pianta ha una
coscienza. E' la prova che pensano.” “Anche se fosse così... a
che servirebbe. Noi non stavamo parlando di piante, ma di macchine.
Esse possono essere in parte fatte di legno... un legno senza più
vita... o completamente di metallo. Forse il pensiero è un attributo
anche del regno minerale?”
“In
quale altro modo potresti, per esempio, spiegare i fenomeni di
cristallizzazione?”
“Non
li spiego.”
“Perché
non puoi senza affermare quello che desideri negare, cioè
l'intelligente cooperazione tra gli elementi che formano i cristalli.
Quando i soldati si allineano o formano dei quadrati, tu lo chiami
ragionare. Quando le oche selvatiche in volo prendono la forma della
lettera V tu lo chiami istinto. Quando gli atomi omogenei di un
minerale, muovendosi liberamente in una soluzione, si organizzano in
forme matematicamente perfette, o particelle di umidità congelata si
aggregano nelle forme belle e simmetriche dei fiocchi di neve, tu non
hai niente da dire. Non hai ancora inventato un nome dietro cui
nascondere la tua eroica irragionevolezza.”
Moxon
stava parlando con insolita animazione e serietà. Fece una pausa ed
io sentii in una stanza contigua, a me nota come il suo “laboratorio
meccanico”, dove nessuno, se non lui stesso, poteva entrare, uno
strano rimbombare, come se qualcuno stesse colpendo il tavolo con il
palmo della mano. Moxon lo sentì nello stesso momento e,
visibilmente agitato, si alzò e in tutta fretta passò nella camera
da dove proveniva quel suono. Pensai che fosse strano che lì dentro
ci potesse essere qualcun altro, e il mio interesse per il mio amico
– con un indubbio tocco di imperdonabile curiosità – mi convinse
ad ascoltare con attenzione, ma, sono felice di poterlo dire, non dal
buco della serratura. Si sentivano suoni confusi, come una lotta o
una zuffa; il pavimento tremava. Sentii distintamente un pesante
ansimare e una voce roca sussurrare “Dannazione!” Poi cadde il
silenzio, e dopo un po' Moxon riapparve e disse, con un sorriso
alquanto dispiaciuto:
“Scusami
se ti ho lasciato così improvvisamente. Ho una macchina là dentro
che ha perso la pazienza ed è andata in escandescenze.”
Erone di Alessandria - Progetto di automa, I secolo d.C.
Tenendo
fisso lo sguardo sulla sua guancia sinistra, che era attraversata da
quattro escoriazioni parallele rosse per il sangue, dissi:
“Che
ne dici di tagliargli le unghie?” Avrei potuto risparmiarmi la
battuta; non vi prestò attenzione, ma si sedette nella sedia che
aveva lasciato e riprese il monologo interrotto come se niente fosse
accaduto:
“Senza
dubbio tu non stai dalla parte di quelli (non ho bisogno di farne il
nome ad un uomo della tua cultura) che pensano che tutta la materia è
senziente, che ogni atomo è un'entità dotata di vita, sensibilità
e coscienza.
Io sì. Non esiste materia morta, inerte: tutto è vivo, tutto è
istinto dotato di forza, attuale e potenziale; tutto è sensibile
alle stesse forze del proprio ambiente e suscettibile all'influenza
di quelle più alte e raffinate che risiedono negli organismi
superiori con cui può essere messo in relazione, questo succede
anche con l'uomo, quando forgia uno strumento da lui progettato.
Quello assorbe qualcosa della sua intelligenza e volontà – e più
ne assorbe in proporzione alla complessità della macchina che ne
risulta e al lavoro che essa svolge.
“Per
caso ricordi la definizione di “vita” secondo Herbert Spencer4
L'ho letta trenta anni fa. Può averla modificata in seguito, per
quanto ne so, ma per tutto questo tempo non sono riuscito a trovare
una singola parola che potesse essere proficuamente cambiata,
aggiunta o rimossa. Per me non è solamente la definizione migliore,
ma l'unica possibile.
“La
vita” afferma, “è una determinata combinazione di cambiamenti
eterogenei, simultanei e successivi, in corrispondenza a coesistenze
e sequenze esterne.”
“Questo
definisce il fenomeno,” dissi, “Ma non dà alcun indizio riguardo
alla causa.”
“Questo,”
replicò, “è tutto ciò che può fare una definizione. Come
sottolinea Mills5,
della causa sappiamo solo che è un antecedente – dell'effetto che
è una conseguenza. Riguardo a certi fenomeni, uno non accade mai
senza l'altro, che è di diversa natura: il primo in termini
temporali viene chiamato causa, il secondo effetto. Se abbiamo visto
tante volte un coniglio inseguito da un cane, e non abbiamo mai visto
conigli e cani diversamente, potremmo pensare che il coniglio sia la
causa del cane. Ma temo,” aggiunse, ridendo in modo abbastanza
spontaneo, “che il mio coniglio mi stia portando molto lontano dal
sentiero della mia legittima ricerca: sto indulgendo nel piacere
della caccia per il gusto di farlo. Quello che voglio farti osservare
è che nella definizione di “vita” di Herbert Spencer è inclusa
anche l'attività di una macchina... non c'è niente in questa
definizione che non si possa applicare ad essa. Secondo quello che è
il più acuto degli osservatori e il più profondo dei pensatori, se
un uomo durante il suo periodo di attività è vivo, lo è anche una
macchina quando è in funzione. Come inventore e costruttore di
macchine so che è vero.”
Moxon
rimase in silenzio per un pezzo, fissando il fuoco con uno sguardo
assente. Si stava facendo tardi e pensai che fosse ora di andare, ma
non mi piaceva molto l'idea di lasciarlo in quella casa isolata,
tutto solo se non per la presenza di una persona la cui natura
secondo me non poteva che essere ostile e forse maligna. Chinandomi
verso di lui e guardandolo intensamente negli occhi mentre con la
mano indicavo la porta del suo laboratorio, dissi:
“Moxon,
che cosa hai lì dentro?”
Fui
alquanto sorpreso quando, ridendo sommessamente, mi rispose senza
esitazione:
“Nessuno.
L'incidente a cui stai pensando è stato causato dalla mia follia nel
voler lasciare in azione una macchina senza nulla su cui agire,
mentre io mi sobbarcavo l'interminabile compito di illuminare il tuo
intelletto. Sei forse a conoscenza del fatto che la coscienza è
figlia del ritmo?”
“Al
diavolo tutti e due!” risposi, alzandomi e afferrando il mio
cappotto. “Ti auguro la buona notte, e aggiungo l'auspicio che la
macchina che hai inavvertitamente lasciato in azione indossi i guanti
la prossima volta che riterrai necessario spegnerla.”
Léger, Élément mécanique, 1924, olio su tela
Lasciai
la casa senza aspettare di vedere l'effetto della mia tirata.
Stava
cadendo la pioggia e l'oscurità era intensa. Potevo vedere il debole
chiarore delle luci della città nel cielo oltre la cima della
collina verso cui avanzavo brancolando su precarie passerelle di
legno e attraverso fangose strade sterrate, ma dietro di me nulla era
visibile se non una sola finestra nella casa di Moxon. Da questa
emanava un bagliore che mi sembrò allo stesso tempo misterioso e
fatale. Sapevo che era un'apertura priva di tende nel “laboratorio
meccanico” del mio amico, e non avevo dubbi che avesse ripreso gli
studi interrotti dai suoi doveri come mio istruttore sulla coscienza
meccanica e la paternità del ritmo. Per quanto strane, e in qualche
misura divertenti, mi fossero sembrate allora quelle sue convinzioni,
non riuscivo a spogliarmi completamente della sensazione che esse
avessero una tragica relazione con la sua vita e il suo carattere –
forse il suo destino – sebbene non le considerassi più come le
stranezze di una mente confusa. Qualunque cosa si potesse pensare
delle sue opinioni, l'esposizione che ne aveva fatto era troppo
logica. Le sue ultime parole continuavano a venirmi in mente: “La
coscienza è figlia del ritmo.”
Anche
se quell'affermazione era esplicita e concisa, ora la trovavo
infinitamente allusiva. Ogni volta che mi ritornava in mente,
acquistava un significato più ampio e una suggestione più profonda.
Ma sì (pensai), ecco qualcosa su cui fondare una filosofia. Se la
coscienza è il prodotto del ritmo, tutte le cose sono coscienti,
perché tutte sono dotate di movimento, e ogni movimento è ritmico.
Mi chiesi se Moxon conoscesse il significato e la grandezza del suo
pensiero – la portata di questa straordinaria teoria, oppure era
arrivato a questa fede filosofica per la strada tortuosa e incerta
dell'osservazione?
Quella
fede era per me completamente nuova allora, e l'esposizione di Moxon
non era riuscita a convertirmi, ma adesso mi sembrò che una grande
luce mi brillasse tutto intorno, come quella che cadde su Saulo di
Tarso6,
e lì fuori nella tempesta, nelle tenebre e nella solitudine provai
quello che Lewes7chiama “L'infinita varietà ed eccitazione del pensiero
filosofico.” Esultai per il nuovo significato di conoscenza, per il
nuovo orgoglio della ragione. Mi sembrava che i piedi toccassero a
mala pena la terra, era come se fossi sollevato e trasportato in aria
da ali invisibili.
Cedendo
all'impulso di ricevere altra luce da colui che io adesso riconoscevo
come mio maestro e guida, ero tornato indietro inconsciamente, e
quasi prima di rendermi conto di quel che avevo fatto, mi trovai di
nuovo alla porta di Moxon. Ero zuppo di pioggia, ma non provavo alcun
disagio. Incapace di trovare il campanello per via dell'eccitazione,
afferrai istintivamente la maniglia. La girai e, entrando, salii le
scale che conducevano alla stanza che avevo da così poco tempo
lasciato. Era tutto buio e silenzioso, Moxon, come avevo immaginato,
era nella stanza adiacente – il “laboratorio meccanico”.
Procedetti a tentoni lungo la parete finché, trovata la porta di
comunicazione, bussai forte diverse volte, ma non ottenni risposta,
cosa che attribuii al frastuono esterno, perché il vento stava
soffiando furiosamente e gettava catinelle di pioggia contro le
pareti sottili. Il tambureggiare sopra le assi di legno del tetto che
ricoprivano la stanza senza soffitto era fragoroso e incessante. Non
ero mai stato invitato nel laboratorio meccanico – di fatto,
l'ingresso mi era stato vietato, come a tutti gli altri, con una sola
eccezione, quella di un abile artigiano del ferro, di cui non si
sapeva niente se non che si chiamava Haley e aveva un carattere
silenzioso. Ma nella mia esaltazione spirituale, discrezione e buone
maniere furono parimenti dimenticate, e aprii la porta. Quello che
vidi scacciò via da me ogni speculazione filosofica in men che non
si dica.
Il Turco costruito nel 1770 da Wolfgang von Kempelen, accquistato nel 1784 da Johann Maelzel, celebre inventore del metronomo.
Moxon
sedeva di fronte a me dall'altra parte di un tavolino su cui una sola
candela faceva tutta la luce che c'era nella stanza. Di fronte a lui,
con la schiena verso di me, sedeva un'altra persona. Sul tavolo, tra
i due, c'era una scacchiera; i due uomini stavano giocando. Sapevo
poco di scacchi, ma siccome erano rimasti solo pochi pezzi, era ovvio
che il gioco stava per concludersi. Moxon era estremamente
interessato, non tanto, mi sembrò, al gioco quanto al suo
antagonista, su cui aveva concentrato uno sguardo così assorto che,
anche se ero proprio nella sua visuale, passai del tutto inosservato.
La sua faccia era spaventosamente bianca, e i suoi occhi brillavano
come diamanti. Del suo antagonista vedevo solo le spalle, ma era
sufficiente, non mi interessava vedere la sua faccia.
Apparentemente,
non era più alto di cinque piedi, con proporzioni che suggerivano
quelle di un gorilla – spalle tremendamente ampie, un collo corto e
largo, la testa tozza, ricoperta da un groviglio di capelli neri su
cui era sistemato un fez cremisi. Una tunica dello stesso colore,
stretta in vita da una cintura, arrivava fino al sedile,
apparentemente una scatola, su cui era seduto, non si vedevano né i
piedi né le gambe. L'avambraccio sinistro era apparentemente
appoggiato sul suo grembo, muoveva i pezzi con la mano destra, che
sembrava sproporzionatamente lunga.
Indietreggiai
e mi sistemai sul lato in ombra della porta. Se Moxon avesse guardato
oltre la faccia del suo avversario non avrebbe potuto accorgersi di
niente se non che la porta era aperta. Qualcosa mi impediva sia di
entrare che di andare via, il sentimento – non so da cosa
provenisse – che ero in presenza di un'imminente tragedia e che
rimanendo avrei potuto essere utile al mio amico. Con un vago senso
di ribellione contro l'indelicatezza del mio gesto, rimasi.
La
partita fu rapida. Moxon a mala pena guardava la scacchiera prima di
fare le sue mosse, e al mio occhio inesperto sembrava che muovesse il
pezzo più a portata di mano, con movimenti veloci, nervosi e privi
di precisione. La risposta del suo antagonista, mentre era egualmente
pronta all'inizio, era poi eseguita con un movimento del braccio
lento, uniforme, meccanico e, pensai, in qualche modo teatrale, il
che metteva a dura prova la mia pazienza. C'era qualcosa di
soprannaturale in quella situazione, e mi sorpresi a tremare. Ma ero
bagnato e infreddolito. Due o tre volte dopo aver mosso un pezzo lo
straniero inclinò leggermente la testa, e mi accorsi che ogni volta
Moxon aveva mosso il re. Tutto d'un tratto mi venne da pensare che
l'uomo fosse muto. E poi che fosse una macchina, un automa giocatore
di scacchi! Poi ricordai che una volta Moxon mi aveva detto di aver
inventato un tale meccanismo, anche se non avevo capito se l'avesse
veramente costruito. Tutto quel suo parlare sulla coscienza e
l'intelligenza delle macchine era semplicemente un preludio
all'eventuale esibizione del suo congegno – solo un trucco per
intensificare l'effetto della sua macchina su di me che ero
all'oscuro del suo segreto.
Una
bella fine, per tutti i miei trasporti intellettuali – la mia
“infinita varietà ed eccitazione del pensiero filosofico”! Ero
sul punto di ritirarmi disgustato quando accadde qualcosa che catturò
la mia curiosità. Notai la cosa scuoter le sue larghe spalle, come
se fosse irritato: e tutto era così naturale, così assolutamente
umano... che alla luce della mia mutata opinione ne rimasi sgomento.
E non era tutto, perché un momento dopo la cosa colpì violentemente
il tavolo con il pugno serrato. A quel gesto Moxon sembrò ancora più
sgomento di me: spinse la sedia un po' più indietro, come allarmato.
Subito dopo Moxon, a cui toccava giocare, alzò la mano sulla
scacchiera, si avventò su uno dei suoi pezzi come un falco ed
esclamando “scacco matto!” si alzò in piedi di scatto e si mise
dietro la sedia. L'automa sedeva immobile.
Il
vento era calato, ma sentivo, ad intervalli sempre più ravvicinati e
progressivamente più fragoroso, il rombo del tuono. Allora, durante
le pause mi accorsi di un un mormorio o brusio sommesso che, come il
tuono, diventava sempre più alto e distinto. Sembrava provenire dal
corpo dell'automa, ed era un inconfondibile ronzio di ingranaggi.
Mi
diede l'impressione di un meccanismo in disordine sfuggito all'azione
repressiva e regolatrice di un elemento di controllo... un effetto
simile a quello che ci si potrebbe aspettare se un nottolino
d'arresto fosse estratto dai denti di un ingranaggio facendolo girare
all'impazzata. Ma prima che avessi il tempo per altre congetture
riguardo alla natura di quel rumore, la mia attenzione fu attratta
dagli strani movimenti dell'automa stesso. Sembrava posseduto da un
tremore leggero ma continuo. Tremava nel corpo e nella testa come un
uomo colpito dalla paralisi o in preda alla febbre malarica, e il
movimento aumentava ad ogni momento finché l'intera figura fu presa
da una violenta agitazione. Improvvisamente balzò in piedi e con un
movimento quasi troppo veloce perché l'occhio potesse seguirlo,
balzò in avanti attraverso il tavolo e la sedia, con entrambi le
braccia protese in avanti per tutta la loro lunghezza, la stessa
postura e lo stesso slancio di un tuffatore. Moxon tentò di
spostarsi indietro per mettersi fuori dalla sua portata, ma era
troppo tardi: vidi la mano dell'orribile cosa chiudersi intorno alla
sua gola, mentre la mano di Moxon gli afferrava il polso, quindi il
tavolo si rovesciò, la candela cadde a terra e si spense, e nella
stanza ci fu un buio impenetrabile. Ma il rumore della lotta era
spaventosamente chiaro, e più terribili di tutto erano i suoni
rauchi e lamentosi che l'uomo strangolato faceva nello sforzo di
respirare. Guidato da quel fracasso infernale, mi lanciai in aiuto
del mio amico, ma avevo appena fatto un passo nelle tenebre quando
per tutta la stanza risplendette un'accecante luce bianca che incise
a fuoco nel mio cervello e nel cuore e nella memoria l'immagine
vivida dei due lottatori sul pavimento, Moxon sotto, la sua gola
ancora nella morsa di quelle mani di ferro, la testa spinta indietro,
gli occhi strabuzzati, la bocca spalancata e la lingua di fuori, e –
orribile contrasto! - sul volto dipinto del suo assassino
un'espressione di tranquilla e profonda concentrazione, come se si
trattasse di risolvere un problema di scacchi! Questo è ciò che
vidi, poi ci furono solo tenebre e silenzio.
Antonio Ligabue - Gorilla con donna, 1957
Tre
giorni dopo ripresi i sensi in ospedale. Mentre il ricordo di quella
tragica notte mi ritornava lentamente in mente man mano che il mio
cervello si ristabiliva, riconobbi nella persona che si prendeva cura
di me Haley, il riservato artigiano di Moxon.
Rispondendo
al mio sguardo, si avvicinò sorridendo.
“Raccontatemi
tutto,” riuscii a dire, debolmente... “tutto quello che è
successo.”
“Certamente,”
disse: “siete stato portato qui privo di sensi da una casa in
fiamme – quella di Moxon. Nessuno sa come mai vi trovavate là.
Dovreste dare qualche spiegazione. Anche l'origine del fuoco è
alquanto misteriosa. La mia idea è che la casa sia stata colpita da
un fulmine.”
“E
Moxon?”
“E'
stato seppellito ieri... quello che ne restava.”
Apparentemente
quella persona riservata poteva aprirsi occasionalmente. Quando
rivelò quelle informazioni scioccanti ad una persona ammalata come
me si dimostrò abbastanza garbato. Dopo alcuni momenti di estrema
sofferenza mentale mi arrischiai a fargli un'altra domanda:
“Chi
mi ha soccorso?”
“Bene,
se la cosa vi interessa... sono stato io.”
“Grazie,
Mr. Haley, e che Dio vi benedica. Siete riuscito a salvare anche
quell'affascinante prodotto prodotto del vostro ingegno, l'automa
giocatore di scacchi che ha ucciso il suo inventore?”
L'uomo
rimase a lungo in silenzio, distogliendo lo sguardo dalla mia
persona. Poi tornò a fissarmi e disse con tono grave:
“Lo
sapete?”
“Sì.”
risposi; “l'ho visto.”
Questo
successe tanti anni fa. Se me lo chiedessero oggi, risponderei con
minor sicurezza.
FINE
1Unità
di misura di lunghezza che appartiene al Sistema Imperiale: 1 iarda
= 0,9144 metri
2Unità
di misura di origine antropometrica: 1 piede = 30,48 centimetri
3Probabilmente
si riferisce a Ernst Haeckel - Zoologo tedesco (Potsdam 1834 - Jena
1919). Sostenitore del darwinismo, cui si era avvicinato nel 1860, e
di un materialismo scientifico a cui diede il nome di monismo. Nel
monismo sostanza e spirito sono un tutt'uno, compongono un'unità
che rende manifesto il mondo, attraverso una ciclica ed eterna
evoluzione. Il suo sistema filosofico non è pertanto né
materialistico né spiritualistico, è stato definito come un
"ilozoismo scientifico" o un "panteismo ateistico"
ispirato da Goethe
4Herbert
Spencer (Derby, 27 aprile 1820 – Brighton, 8 dicembre 1903) è
stato un filosofo britannico. Compì studi a carattere scientifico e
maturò convinzioni evoluzionistiche indipendentemente da Darwin.
Egli applica i principi dell'evoluzionismo alla realtà sia
naturale, sia storica, sia sociale, elaborando una teoria secondo
cui in tutti questi ambiti si passa dal semplice al complesso, dal
disorganico all'organico, dall'omogeneo all'eterogeneo. In politica
fu un convinto assertore dei principi liberali, fu uno dei fondatori
del darwinismo sociale e a lui si deve la frase “survival of the
fittest” erroneamente attribuita a Darwin.
5
John Stuart Mill
(Londra 1806 - Avignone 1873), è
stato un filosofo ed economista britannico, uno dei massimi
esponenti del liberalismo e dell'utilitarismo. Nell'opera System of
Logic (1843), Mill conduce una critica alla logica come era
tradizionalmente insegnata in Inghilterra nella prima metà del XIX
secolo. Egli asserisce che la scienza deve essere modellata
sull'esperienza e la forma tipica delle conclusioni scientifiche
dev'essere quella induttiva. L'induzione viene concepita come la
generalizzazione delle molteplici esperienze fatte. Che sia
possibile la generalizzazione dell'esperienza è garantito a sua
volta dalla fiducia nell'uniformità e nella regolarità della
natura. In economia fu un liberista e sostenne che le leggi della
distribuzione delle ricchezze potevano essere cambiate in modo da
garantire condizioni di vita più eque ai cittadini. In politica nel
saggio Sulla
libertà (1859)
rifiuta il socialismo e sostiene la difesa dei diritti individuali,
che si esplica in tre direzioni fondamentali: la libertà di
coscienza, pensiero e parola; la libertà dei gusti e dei desideri;
la libertà di associazione.
6
Ironica allusione alla
conversione di San Paolo (o
Saulo) di Tarso. Secondo
la narrazione biblica Paolo si convertì al cristianesimo mentre,
recandosi da Gerusalemme a Damasco per organizzare la repressione
dei cristiani della città, fu improvvisamente avvolto da una luce
fortissima e udì la voce del Signore che gli diceva: "Saulo,
Saulo, perché mi perseguiti?". Reso cieco da quella luce
divina, Paolo vagò per tre giorni a Damasco, dove fu poi guarito
dal capo della piccola comunità cristiana di quella città, Anania.
L'episodio, noto come "Conversione di Paolo", diede
l'inizio all'opera di evangelizzazione di Paolo.
7George
Henry Lewes filosofo e
psicologo inglese (Londra 1817-1878). Aderì al positivismo e
introdusse nel suo Paese le dottrine di A. Comte. Suscitò scandalo,
nella società vittoriana, la lunga convivenza di Lewes con la
scrittrice George Eliot.
Nessun commento:
Posta un commento