LA
MACCHINA INFERNALE
The
Machine Stops di E. M. Forster, fu pubblicato per la
prima volta nel 1909 sulla Oxford and Cambridge Review e in
seguito nell’antologia The Eternal Moment, ben prima delle
più celebri produzioni di Huxley e Orwell (rispettivamente Brave
New World del 1932 e 1984
del 1948)
Nella
prefazione alle sue
Collected Short
Stories (1947),
Forster scrisse che
"The
Machine Stops
is a reaction to one of the earlier heavens of H. G. Wells."
Sebbene non tutte le
storie di Wells fossero
ottimistiche rispetto al futuro,
con questo racconto
Forster dava voce alle
sue preoccupazioni riguardo
alla dipendenza dell'uomo
dalla macchina. Certo ci
sorprende che a descrivere con tanto anticipo un mondo in balia della
tecnologia sia
lo scrittore inglese Edward Morgan Forster, conosciuto e celebrato
per i romanzi Passaggio
in India, Camera
con vista, Maurice
al
cui successo ha
contribuito
anche la trasposizione cinematografica.
Nel
racconto Forster crea un universo cyberpunk in puro stile vittoriano
portando alle estreme conseguenze la tecnologia ottocentesca:
telefono, cinema, telegrafo, posta pneumatica, dirigibili – gli
aeroplani erano agli albori – grammofono. Egli immagina un'umanità
ridotta ad uno stato larvale che, come in un moderno inferno
dantesco, è costretta a vivere in enormi città sotterranee in piccole
celle esagonali ed è tenuta in vita dalla Macchina, che provvede a tutti
i bisogni delle persone fino a sfociare in una vera e propria
religione “La
macchina,” esclamavano, “ci nutre e ci veste e ci dà una casa;
grazie a lei possiamo parlarci, grazie a lei possiamo vederci, in lei
è custodita la nostra essenza. La Macchina è amica delle idee e
nemica della superstizione: la Macchina è onnipotente, eterna,
benedetta sia la Macchina.”
E'
un universo claustrofobico che ha perso ogni contatto con la natura e
vive di idee surrogate
da altre idee, generando una sorta di babele culturale, dove
l'unica verità è
quella della Macchina.
La
storia non è più raccontata “come
accadde, né come avrebbero voluto che fosse accaduta, ma come
avrebbe dovuto accadere, se avesse avuto luogo nei giorni della
Macchina.”
La
principale occupazione
delle persone è
parlare agli altri per
scambiarsi idee attraverso
gli “speaking tubes” -
telefoni - e i
“cinematophoes” -
piastre rotonde in cui
possono sentire e vedere i loro interlocutori, antenati
dei moderni tablets, trasformando
così le loro stanze in reali “chat rooms”. Tutto
sotto lo stretto
controllo dalla
Macchina: “Noi
abbiamo creato la Macchina affinché ubbidisse al nostro volere ma
noi ora non riusciamo a farle eseguire i nostri ordini... La Macchina
procede ma non verso la nostra meta. Noi esistiamo solo come globuli
sanguigni che scorrono nelle sue arterie, e se lei potesse funzionare
senza di noi ci lascerebbe morire.”
L'unico
contatto tra esseri umani avviene attraverso la Macchina, il contatto
diretto, sia pure tra madre e figlio, fa paura. Solo un attimo prima
della catstrofe finale i due protagonisti avranno la forza di
cercarsi e di abbracciarsi. Oggi questo fenomeno ha un nome preciso:
"Hikikomori" - un termine giapponese che
significa letteralmente "stare in disparte" e che
riguarda soprattutto i giovani, che rifiutano il confronto con la
realtà per rifugiarsi nel mondo virtuale, proprio come i
protagonisti di questo racconto visionario.
Anche
la globalizzazione è un altro fenomeno previsto da Forster, come
degenerazione
del sistema: “Perché
andare a Pechino
quando questa era proprio uguale a Shrewsbury? Perché ritornare a
Shrewsbury quando tutto era uguale a Pechino?”
Ma
l'aspetto più inquietante è che l'umanità si è volutamente
consegnata alla
Macchina dopo aver perso
la sua sfida per
soggiogare la natura: “Ma
l'umanità, nel suo desiderio di benessere, aveva superato sé
stessa. Aveva sfruttato le ricchezze della natura troppo oltre. In
silenzio e con compiacimento, stava affondando nella decadenza, e la
parola progresso aveva finito col significare il progresso della
Macchina.”
Se
ci stupisce il fatto che Forster abbia
anticipato di sessanta anni Internet, non meno precisa è la sua
visione di una società allo stremo che rinuncia volutamente alle sue
prerogative per essere
protetta da sé stessa, prevedendo
quel perverso trade off
tra diritti dei cittadini
e più sicurezza, più lavoro, più benessere che sta snaturando e
indebolendo le moderne
democrazie.
💥Libri
consigliati:
Edward
Morgan Forster, La macchina si ferma,
trad. di Maria Valentini,
Portaparole, 2012, pp. 156, euro 16
Butler Samuel, Erewhon
1975, XXII-237 p., brossura, 6
ed. Adelphi (collana Piccola biblioteca Adelphi)
Traduttore Demby L. D.
Rampini
Federico: Rete padrona. Amazon, Apple, Google & co. Il
volto oscuro della rivoluzione digitale, Feltrinelli
(collana Fuochi), 2014, 278 p
👌Film
consigliati:
Metropolis
– diretto da Fritz Lang, 1927
La
fuga di Logan – (Logan's Run)
1976, diretto da Michael Anderson,
L'uomo
che fuggì dal futuro -
(THX 1138) 1971, diretto da George Lucas,
L'esercito
delle 12 scimmie - (12 Monkeys)
1995, diretto da Terry Gilliam
La
Macchina si ferma.
E.
M. Forster
(1909)
Ugo Pozzo - 1925
L'aeronave
Immaginate,
se potete, una piccola stanza, di forma esagonale, come la cella di
una ape. Non è illuminata né da finestre né da lampade, eppure è
pervasa da una delicata luminescenza. Non ci sono aperture per la
ventilazione, eppure l'aria è fresca. Non ci sono strumenti
musicali, eppure nel momento in cui inizia questa mia meditazione, la
stanza vibra di suoni melodiosi. Al centro c'è una poltrona con
affianco un leggio, e questi sono tutti i mobili. E nella poltrona
siede un ammasso di carne fasciata, una donna alta circa un metro e
mezzo, con il volto bianco come un fungo. E' a lei che appartiene la
stanza.
Un
campanello elettrico suonò.
La
donna toccò un interruttore e la musica cessò.
“Suppongo
che devo vedere chi è,” pensò, e mise in movimento la sedia. La
sedia, come la musica, era azionata da un macchinario e rullò
sull'altro lato della stanza dove il campanello continuava a suonare
inopportunamente.
“Chi
è?” chiese. La sua voce erra irritata, perché era stata
interrotta spesso da quando la musica era iniziata. Conosceva diverse
migliaia di persone, sotto certi aspetti i rapporti umani erano
migliorati enormemente. Ma quando portò il ricevitore all'orecchio,
il suo volto bianco si increspò in un sorriso e disse: “Benissimo.
Parliamo, ora mi isolo. Non mi aspetto che accada niente di
importante per i prossimi cinque minuti. Perché posso darti al
massimo cinque minuti, Kuno1.
Poi devo tenere la mia conferenza su “La musica durante il periodo
australiano.” Toccò la manopola per l'isolamento, così che nessun
altro potesse parlare con lei. Poi toccò il dispositivo per
l'illuminazione e la piccola stanza fu sommersa dalle tenebre.
“Svelto!”
Esclamò, mentre la sua irritazione ritornava. “Svelto, Kuno; sono
qui nelle tenebre a sprecare il mio tempo.”
Ma
questo succedeva solo quindici secondi prima che la piastra rotonda
che reggeva tra le mani iniziasse ad illuminarsi. Una debole luce blu
la attraversò, digradando verso il viola, e subito poté vedere
l'immagine di suo figlio, che viveva dall'altra parte della terra, e
lui poté vedere lei.
“Kuno,
come sei lento.”
Egli
sorrise mestamente.
“Mi
sa proprio che ti piace gingillarti.”
“Ti
ho chiamato prima, madre, ma eri sempre occupata o isolata. Ho
qualcosa di molto speciale da dirti.”
“Di
che si tratta, ragazzo
mio? Veloce. Non potevi usare la posta pneumatica?”
“Perché
una cosa del genere preferisco comunicartela a voce. Voglio...”
“Allora?”
“Voglio
che tu venga a vedermi.”
Vashti2
guardò il volto del figlio nel disco blu.
“Ma
io ti sto vedendo!” esclamò. “Che vuoi di più?”
“Non
voglio vederti attraverso la Macchina,” disse Kuno. “Non voglio
parlarti attraverso questa noiosa Macchina.”
“Oh,
zitto!” disse la madre, vagamente spaventata. “Non devi dire
niente contro la Macchina.”
“Perché
no?”
“Non
si deve.”
“Parli
come se un dio avesse creato la Macchina,” gridò l'altro. “Credo
che tu la preghi quando sei infelice. L'hanno creata gli uomini, non
dimenticarlo. Grandi uomini, ma uomini. La Macchina è molto, ma non
è tutto. In questo disco vedo qualcosa che ti rassomiglia, ma non
vedo te. Per questo voglio che tu venga. Vieni a trovarmi, così che
possiamo incontrarci faccia a faccia, e parlare delle speranze che
nutro.”
La
madre rispose che difficilmente poteva trovare il tempo per una
visita.
“L'aeronave
impiega appena due giorni per volare fino a me.”
“Non
mi piacciono le aeronavi.”
“Perché?”
“Non
mi piace vedere l'orribile terra marrone, e il mare, e le stelle
quando è buio. Non mi vengono idee in un aeronave.”
“A
me non vengono in nessun altro posto.”
“Che
genere di idee ti può suggerire l'aria?”
Kuno
fece una breve pausa.
“Conosci
quattro grandi stelle che formano un rettangolo e tre stelle una
vicina all'altra nel mezzo del rettangolo, e appese a queste altre
tre stelle?”
“No.
Non mi piacciono le stelle. Ma ti hanno suggerito qualche idea?
Interessante, raccontami.”
“Mi
venne l'idea che rassomigliassero ad un uomo.”
“Non
capisco.”
“Le
quattro stelle grandi sono le spalle e le ginocchia dell'uomo. Le tre
stelle nel mezzo rassomigliano alle cinture che gli uomini
indossavano un tempo, e le tre stelle che pendono giù rassomigliano
ad una spada.”
“Una
spada?”
“Gli
uomini andavano in giro armati di spada, per uccidere animali e altri
uomini3.”
“L'idea
non mi sembra così buona, ma è certamente originale. Quando ti è
venuta la prima volta?”
“Nell'aeronave...”
Si interruppe e la madre pensò che aveva un aspetto triste. Non
poteva esserne sicura, perché la macchina non trasmetteva le
sfumature di espressione. Dava solo un'idea generale della gente –
un' idea che era abbastanza buona per tutti gli scopi pratici, Vashti
pensò. L'imponderabile splendore, considerato da una filosofia
screditata la vera essenza dei rapporti umani, era ignorato dalla
Macchina, proprio come l'imponderabile freschezza dell'uva era
ignorato dai produttori di frutta artificiale. L' “abbastanza
buono” era stato da lungo tempo accettato dalla razza umana.
“La
verità è,” continuò Kuno, “che voglio rivedere quelle stelle.
Sono delle strane stelle. Voglio vederle non dall'aeronave, ma dalla
superficie della terra, come facevano i nostri antenati, migliaia di
anni fa. Voglio visitare la superficie della terra.”
Vashti
si spaventò di nuovo.
“Madre,
devi venire, anche solo per spiegarmi perché è pericoloso visitare
la superficie della terra.”
“Nessun
pericolo,” rispose la donna, controllandosi. “Ma nessun
vantaggio. La superficie della terra è solo polvere e fango, nessun
vantaggio. La superficie della terra è solo polvere e fango, non vi
rimane alcuna traccia di vita, e avresti bisogno di un respiratore,
altrimenti il freddo dell'aria esterna ti ucciderebbe. Si muore
immediatamente nell'aria esterna.”
“Lo
so, naturalmente prenderò ogni precauzione.”
“E
poi...”
“Allora?”
Vashti
rifletté e scelse le parole con cura. Suo figlio aveva uno strano
carattere, e lei voleva dissuaderlo da quella spedizione.
“E'
contrario allo spirito del tempo,” affermò.
“Vuoi
dire, contrario alla Macchina?”
“In
un certo senso, ma...”
La
sua immagine nel disco blu svanì.
“Kuno!”
Si
era isolato. Per un momento Vashti si sentì sola. Poi ripristinò
l'illuminazione e la vista della sua stanza, inondata di luce e
punteggiata di pulsanti elettrici, la rianimò. C'erano pulsanti e
interruttori dappertutto – pulsanti per il cibo, per la musica, per
gli abiti. C'era il pulsante per il bagno caldo, premendo il quale
una vasca di (finto) marmo rosa sorgeva dal pavimento, colma fino
all'orlo di un liquido caldo deodorato. C'era il pulsante per il
bagno freddo. C'era il pulsante che produceva letteratura, e c'erano
naturalmente i pulsanti per comunicare con i suoi amici. La stanza,
sebbene non contenesse niente, era in contatto con tutti quelli che
erano importanti per lei nel mondo.
La
mossa successiva di Vashti fu di spegnere il pulsante dell'isolamento
e tutte le chiamate accumulatesi negli ultimi tre minuti le piovvero
addosso. La stanza si riempì del rumore dei campanelli e dei tubi
parlanti. Com'era il nuovo cibo? Lo raccomandava? Le erano venute
delle idee di recente? Era possibile raccontarle le proprie idee?
Poteva fissare un appuntamento per visitare gli asili pubblici al più
presto? - diciamo tra un mese esatto.
Alla
maggior parte di quelle domande rispose con irritazione – una
qualità sempre più comune in quell'età accelerata. Disse che il
nuovo cibo era orribile. Che non poteva visitare gli asili pubblici a
causa di pressanti impegni. Che non aveva idee sue ma che gliene era
stata appena raccontata una - che quattro stelle più tre nel mezzo
rassomigliavano ad un uomo: dubitava che valesse molto. Quindi
interruppe la comunicazione con i suoi corrispondenti, perché era
tempo di tenere la sua conferenza sulla musica australiana.
Il
maldestro sistema delle riunioni pubbliche era stato abbandonato da
molto tempo; né Vashti né il suo pubblico si muovevano dalle loro
stanze. Seduta nella sua poltrona parlava, mentre gli altri nelle
loro poltrone la ascoltavano, abbastanza bene, e la vedevano
abbastanza bene. Iniziò con una spiritosa dissertazione sulla
musica del periodo pre-mongolico, e proseguì descrivendo la grande
fioritura di canzoni che seguì alla conquista cinese. Sebbene i
metodi di I-San-So e della scuola di Brisbane fossero antichi e
primitivi, lei riteneva (disse) che il loro studio poteva essere
appagante per i musicisti contemporanei: avevano freschezza,
soprattutto, avevano idee. La sua conferenza, che durò dieci minuti,
fu ben ben accolta, e dopo, insieme a molti del suo pubblico, ascoltò
una conferenza sul mare; si potevano ricavare idee dal mare; lo
speaker aveva indossato un respiratore e lo aveva visitato di
recente. Quindi si nutrì, conversò con molti amici, fece un bagno,
ebbe altre conversazioni, e chiamò il letto.
Il
letto non era di suo gusto. Era troppo largo, e a lei sarebbe
piaciuto un letto piccolo. Lamentarsi era inutile, perché i letti
erano della stessa dimensione in tutto il mondo, e ottenere una
misura alternativa avrebbe implicato vaste alterazioni nella
Macchina. Vashti si isolò. Era necessario, perché sotto terra non
esisteva né il giorno né la notte – e ricapitolò tutto quello
che era successo da quando era andata a letto l'ultima volta. Idee?
Quasi nessuna. Avvenimenti – l'invito di Kuno era un avvenimento?
Accanto a lei, sul piccolo leggio, c'era quello che era sopravvissuto
all'età dei rifiuti – un libro. Era Il Libro
della Macchina. Conteneva le istruzioni contro ogni possibile
contingenza. Se aveva caldo o freddo o aveva mal di stomaco o le
mancavano le parole, consultava il Libro e quello le diceva quale
pulsante premere. Era stato il Comitato Centrale a pubblicarlo.
Secondo un'usanza sempre più diffusa, era riccamente rilegato.
Seduta nel letto, lo prese in mano con reverenza. Guardò intorno
alla stanza luminosa come se qualcuno potesse osservarla. Poi, a metà
piena di vergogna, a metà colma di gioia, mormorò “O Macchina!”
e si portò il volume alle labbra. Tre volte lo baciò, tre volte
chinò la testa, tre volte sentì il delirio della sottomissione.
Completato il suo rituale, ritornò a pagina 1367, che dava gli orari
di partenza delle aeronavi dall'isola nell'emisfero meridionale, nel
cui sottosuolo viveva, all'isola nell'emisfero settentrionale, nel
cui sottosuolo viveva suo figlio.
“Non
ho tempo,” pensò.
Oscurò
la stanza e dormì; si svegliò e illuminò la stanza; mangiò e
scambiò idee con i suoi amici, e ascoltò musica e seguì
conferenze; oscurò la stanza e dormì. Su di lei, sotto di lei, e
intorno a lei, la macchina ronzava eternamente, lei non faceva caso
al rumore, perché era nata con quel rumore nelle orecchie. La terra,
mentre la trasportava, ronzava ruotando vorticosamente nel silenzio,
e ora la girava verso il sole invisibile, ora verso le stelle
invisibili. Si svegliò e illuminò la stanza.
“Kuno!”
“Non
parlerò con te,” le rispose, “finché non vieni.”
“Sei
stato sulla superficie della terra a quando ci siamo parlarti
l'ultima volta?”
Vashti
consultò di nuovo il Libro. Divenne molto nervosa e si adagiò tutta
palpitante nella poltrona. Immaginatela senza denti e senza capelli.
Subito dopo diresse la sedia verso la parete e premette un pulsante
insolito. La parete si aprì lentamente. Attraverso l'apertura vide
un tunnel che curvava leggermente, così che non era possibile
vederne la fine. Se doveva andare da suo figlio, era lì che iniziava
il suo viaggio. Naturalmente sapeva tutto sul sistema di
comunicazione. Non c'era niente di misterioso al riguardo. Avrebbe
chiamato un'automobile che che l'avrebbe portata in volo lungo il
tunnel fino a raggiungere l'ascensore che comunicava con la stazione
aeronavale: il sistema era stato in uso per tanti, tanti anni, molto
prima dell'insediamento universale della Macchina. E lei naturalmente
aveva studiato la civiltà che aveva immediatamente preceduto la sua
– la civiltà che aveva confuso le funzioni del sistema e lo aveva
usato per portare le persone alle cose, invece di portare le cose
alle persone. Quei ridicoli tempi andati, quando gli uomini uscivano
per cambiare aria, invece di cambiare l'aria delle loro stanze!
Eppure, aveva paura del tunnel: non lo aveva visto da quando era nato
il suo ultimo figlio. Si incurvava, ma meno di quanto si ricordasse;
era luminoso, ma meno luminoso di quello che aveva detto un
conferenziere. Vashti fu presa dal terrore dell'esperienza diretta.
Si ritrasse nella stanza e la parete si richiuse.
“Kuno,”
disse, “Non posso venire da te. Non mi sento bene.”
Immediatamente
dal soffitto le calò addosso un enorme apparato, le fu
automaticamente applicato un termometro sul cuore. La donna era senza
forze. Dei tamponi freddi le rinfrescarono la fronte. Kuno aveva
telegrafato al suo dottore.
Così
le passioni umane continuavano a vagare su e giù per la Macchina.
Vashti bevve la medicina che il dottore le portò alla bocca, e il
macchinario si ritirò nel soffitto. Si sentì la Voce di Kuno
chiederle come stava.
“Meglio.”
Poi con fare irritato; “Ma perché non vieni tu da me, invece?”
“Perché
non posso lasciare questo posto.”
“Perché?”
“Perché,
in qualunque momento, può accadere qualcosa di tremendo.”
“Sei
già stato sulla superficie della terra?”
“Non
ancora.”
“Allora
cosa c'è?”
“Non
voglio dirlo attraverso la Macchina.”
Lei
riprese la sua vita.
Ma
pensava a Kuno quando era bambino, alla sua nascita, al suo
trasferimento negli asili pubblici, a lei che andava a fargli visita,
a lui che veniva farle visita – visite che terminarono quando la
Macchina gli assegnò una stanza dall'altra parte della terra.
“Genitori, doveri dei,” diceva il libro della Macchina, “cessano
al momento della nascita. P. 422327483.” Era vero, ma Kuno aveva
qualcosa di speciale. In effetti tutti i suoi figli avevano avuto
qualcosa di speciale – e, dopo tutto, doveva affrontare il viaggio
se lui lo desiderava.
E
“Qualcosa di tremendo può succedere”. Cosa voleva dire? Le
fantasticherie di un giovane uomo, senza dubbio, ma doveva andare.
Premette di nuovo quell'insolito pulsante, di nuovo la parete si
aprì, e vide il tunnel che curvava a perdita d'occhio. Stringendo il
libro, si alzò, barcollò fino alla piattaforma e chiamò
l'automobile. La stanza si chiuse dietro di lei: il suo viaggio verso
l'emisfero settentrionale era iniziato.
Naturalmente
tutto fu estremamente semplice. L'automobile si avvicinò e dentro
c'erano delle poltrone esattamente uguali alle sue. Al suo segnale,
si fermò e Vashti barcollò fino all'ascensore. Nell'ascensore c'era
un altro passeggero, il primo essere umano che avesse visto faccia a
faccia da mesi. A quei tempi viaggiavano in pochi, perché, grazie al
progresso della scienza, la terra era esattamente uguale dappertutto.
Le comunicazioni rapide, su cui tanto aveva contato la civiltà
precedente, avevano finito con lo sconfiggere se stesse. Perché
andare a Pechino quando questa era proprio uguale a Shrewsbury?
Perché ritornare a Shrewsbury quando tutto era uguale a Pechino? Gli
uomini raramente muovevano i loro corpi, tutta l'azione era
concentrata nell'anima.
Il
servizio aeronavale era un cimelio dell'età precedente. Era stato
mantenuto perché era più semplice mantenerlo che fermarlo o
ridurlo, ma ora eccedeva enormemente i bisogni della popolazione.
Vascello dopo vascello si levavano dai vomitori di Rye o Christchurch
(uso gli antichi nomi), navigavano nei cieli affollati, e arrivavano
alle banchine del sud – vuoti. Il sistema era organizzato in modo
così accurato, così indipendente dalla meteorologia, che il cielo,
sereno o nuvoloso, rassomigliava ad un enorme caleidoscopio dove
periodicamente si ripetevano gli stessi schemi. La nave su cui
viaggiava Vashti partiva al tramonto o all'alba. Ma comunque, mentre
sorvolava Rheas, passava sempre vicino alla nave che faceva servizio
tra Helsingfors e il Brasile, e una volta su tre, quando
oltrepassava le Alpi, la flotta di Palermo attraversava la sua scia.
La notte o il giorno, la pioggia o il vento, alluvioni o terremoti,
non erano più un impedimento. L'uomo aveva imbrigliato il
Leviatano4.
Tutta l'antica letteratura, con il suo culto della Natura, e la sua
paura della Natura, suonava falsa come il sonaglio di un bambino.
Tuttavia
quando Vashti vide il fianco della nave, segnato dall'esposizione
all'atmosfera esterna, il suo orrore per l'esperienza diretta
ritornò. Non era come vedere l'aeronave nel videofono. Prima di
tutto aveva un odore – non era né forte né spiacevole, ma si
sentiva, e anche ad occhi chiusi avrebbe potuto capire di essere
vicina ad una cosa nuova. Poi dovette uscire dall'ascensore e
avviarsi verso la nave e sopportare gli sguardi degli altri
passeggeri. L'uomo davanti a lei fece cadere il suo Libro – niente
di grave, ma li mise tutti in ansia. Nelle stanze, se il Libro
cadeva, il pavimento lo sollevava meccanicamente, ma la passerella
verso l'aeronave non era predisposta e il sacro volume giaceva
immobile. Si fermarono – la cosa non era stata prevista – e
l'uomo invece di raccogliere l'oggetto di sua proprietà, si toccò i
muscoli del braccio per capire come mai lo avessero tradito. Poi
incredibilmente qualcuno parlò rivolgendosi a loro direttamente:
“Faremo tardi” - e tutti marciarono a bordo, e Vashti calpestò
le pagine del Libro mentre avanzava.
Dentro,
la sua ansia aumentò. L'organizzazione era vecchia e rozza. C'era
perfino un'assistente, a cui avrebbe dovuto comunicare i suoi bisogni
durante il viaggio. Naturalmente, lungo tutta la nave scorreva una
piattaforma mobile, ma dovette camminare dalla piattaforma alla
cabina. Alcune cabine erano migliori delle altre, e lei non ottenne
la migliore. Pensò che l'assistente non era stata corretta, e fu
scossa da fitte di rabbia. I portelli di vetro si erano chiusi, non
poteva più tornare indietro. Alla fine del vestibolo vide
l'ascensore con cui era venuta salire e scendere silenziosamente
senza nessuno dentro. Sotto quei corridoi rivestiti di mattonelle
lucenti c'erano stanze, che livello dopo livello sprofondavano nelle
viscere della terra, e in ogni stanza sedeva un essere umano, che
mangiava o dormiva o produceva idee. E seppellita in fondo a
quell'alveare c'era la sua stanza. Vashti era spaventata.
“O
Macchina!” mormorò e accarezzò il suo Libro e ne fu confortata.
Poi
i lati del vestibolo sembrarono fondersi insieme - come succede ai
corridoi che vediamo in sogno - l'ascensore svanì, il Libro che era
caduto scivolò verso sinistra e svanì, le mattonelle lucenti
presero a scorrere come un corso d'acqua, ci fu un leggero sussulto e
l'aeronave, uscendo dal suo tunnel, si alzò in volo sulle acque di
un oceano tropicale.
Era
notte. Per un momento vide la costa di Sumatra lambita da onde
fosforescenti e coronata di fari che ancora lanciavano i loro inutili
segnali luminosi. Anche questi svanirono e rimasero solo le stelle a
distrarla. Non erano immobili, ma ondeggiavano avanti e indietro
sulla sua testa, passando da un lucernario all'altro, come se
l'intero universo e non l'aeronave stesse viaggiando a tutta
velocità. E, come spesso succede nelle notti serene, a volte
apparivano in prospettiva, a volte su un piano, ora una fila si
sovrapponeva all'altra nei cieli infiniti, ora, celando l'infinito,
formavano un tetto che limitava per sempre le visioni degli uomini.
In ogni caso, sembravano intollerabili. “Dobbiamo stare al buio?”
gridarono i passeggeri rabbiosamente, e l'assistente, che era stata
negligente, fece luce e tirò giù le tendine di metallo pieghevole.
Quando le aeronavi erano state costruite, il desiderio di guardare le
cose direttamente era ancora presente nel mondo. Da lì lo
straordinario numero di lucernari e finestre, e il relativo disagio
per coloro che erano civilizzati e raffinati. Anche nella cabina di
Vashti una stella faceva capolino attraverso una fessura nella tenda,
e dopo qualche ora di sonno agitato, fu disturbata da un'insolita
luminosità, che non era altro che l'alba.
Mentre
la nave era andata velocemente verso ovest, la terra aveva ruotato
verso est ancora più velocemente, e si era tirata dietro Vashti e i
suoi compagni verso il sole. La scienza poteva prolungare la notte,
ma solo di poco, e le grandi speranze di neutralizzare la rivoluzione
diurna della terra erano svanite, insieme a speranze possibilmente
ancora più alte. “Stare al passo con il sole,” o perfino
superarlo, era stato l'obbiettivo della precedente civiltà. A questo
scopo erano stati costruiti aeroplani da corsa, capaci di enormi
velocità, e sotto il controllo delle più grandi menti dell'epoca.
Girarono
intorno alla terra, ancora e ancora, sempre più ad ovest, ancora e
ancora, tra gli applausi dell'umanità. In vano. Il globo andava
verso est ancora più in fretta, ci furono terribili incidenti, e il
Comitato della Macchina, che in quel tempo stava salendo alla
ribalta, dichiarò quell'attività illegale, non-meccanica e punibile
con l'Esilio*.
Dell'Esilio
parleremo in seguito.
Senza
dubbio il Comitato aveva ragione. Tuttavia il tentativo di
“sconfiggere il sole” suscitò l'ultimo interesse comune che la
nostra razza provò per i corpi celesti, o meglio per qualcosa. Era
l'ultima volta che gli uomini fossero stati unti dal pensiero di una
forza esterna alla Terra. Il sole aveva vinto, ma fu la fine del suo
dominio spirituale. L'alba, il mezzogiorno, il tramonto, il movimento
dello zodiaco, non toccavano né le vite degli uomini, né i loro
cuori, e la scienza si ritirò nel sottosuolo, per concentrarsi su
problemi che era certa di risolvere.
Così
quando Vashti trovò la sua cabina invasa dalle dita rosate della
luce, ne fu seccata, e provò a sistemare la tendina. Ma la tendina
si aprì completamente, e attraverso il lucernario vide delle
nuvolette rosa, che dondolavano contro uno sfondo blu, e mentre il
sole scivolava sempre più in alto, il suo fulgore entrava
prepotente, scendendo lungo la parete, come un mare dorato. Saliva o
scendeva assecondando il movimento della nave, proprio come salgono e
scendono le onde, ma avanzava senza sosta, come la marea. Se non
fosse stata attenta l'avrebbe colpita al volto. Uno spasmo d'orrore
la fece tremare e suonò per chiamare l'assistente. La stessa
assistente era terrorizzata, ma non poté fare niente: non era
compito suo riparare la tendina. Poteva solo suggerire alla signora
di cambiare cabina, cosa che lei si apprestò subito a fare.
La
gente era più o meno la stessa in tutto il mondo, ma l'assistente
dell'aeronave, forse a causa dei suoi eccezionali compiti, era un po'
fuori dal comune. Doveva spesso rivolgersi ai passeggeri
direttamente, e questo aveva reso le sue maniere alquanto rozze e
originali. Quando Vashti barcollò via dai raggi del sole con un
urlo, questa si comportò in modo barbaro – allungò la mano per
sorreggerla.
“Come
osate!” esclamò la passeggera. “Vi state comportando in modo
indecoroso!”
La
donna era confusa, e si scusò per non averla lasciata cadere. Le
persone non toccavano mai gli altri. Quell'abitudine era diventata
obsoleta, grazie alla Macchina.
“Dove
siamo adesso?” chiese Vashti con voce sprezzante.
“Siamo
sull'Asia,” disse l'assistente, ansiosa di mostrarsi educata.
“Asia?”
“Dovete
scusare il mio linguaggio grossolano. Ho preso l'abitudine di
chiamare i posti su cui passiamo con i loro nomi non-meccanici.”
“Oh,
ricordo l'Asia. I mongoli venivano da lì.”
“Sotto
di noi, all'aperto, c'era una città una volta chiamata Simla.”
“Avete
mai sentito parlare dei mongoli e della scuola di Brisbane?”
“No.”
“Anche
Brisbane era all'aperto.”
“Quelle
montagne sulla destra – permettete che ve le mostri.” Sollevò un
tendina metallica. La principale catena dell'Imalaia fu
svelata.”Quelle montagne una volta erano chiamate il tetto del
mondo.
“Dovete
ricordare che, prima dell'alba della civiltà, sembravano
un'impenetrabile muro che arrivava alle stelle. Si credeva che
nessuno, se non gli dei, potesse esistere su quelle vette. Quanto
progresso abbiamo fatto, grazie alla Macchina!”
“Quanto
progresso abbiamo fatto, grazie alla Macchina!” disse Vashti.
“Quanto
progresso abbiamo fatto, grazie alla Macchina!” le fece eco il
passeggero che aveva fatto cadere il suo Libro la notte precedente, e
che era in piedi nel corridoio.
“E
quella cosa bianca nei crepacci? - che cos'è?”
“Ho
dimenticato come si chiama.”
“Coprite
la finestra, per favore. Le montagne non mi danno idee.”
Il
lato nord dell'Imalaia era coperto da una fitta ombra: sul versante
indiano il sole aveva appena prevalso. Le foreste erano state
distrutte durante l'epoca della letteratura per ricavarne carta da
giornali, ma le nevi si stavano risvegliando nella gloria del
mattino, e le nuvole indugiavano ancora sulle creste del
Kinchinjunga5.
Nella pianura si potevano vedere le rovine delle città, con magri
fiumi che crepitavano intorno alla loro mura, e accanto a quelle
rovine a volte si potevano vedere i segni di vomitori, ad indicare
le città moderne. Su tutta l'area sfrecciavano le aeronavi,
attraversando i punti di intersezione con incredibile disinvoltura, e
guadagnando quota con nonchalance quando desideravano sfuggire alle
perturbazioni della bassa atmosfera e attraversare il tetto del
mondo.
“Abbiamo
fatto tanto progresso, grazie alla Macchina,” ripeté l'assistente,
e nascose l'Imalaia dietro la tendina di metallo.
Il
giorno avanzò stancamente. I passeggeri sedevano ognuno nella
propria cabina, evitandosi l'un l'altro con una repulsione quasi
fisica e desiderando ardentemente di essere ancora una volta sotto la
superficie della terra. Fra di loro ce n'erano otto o dieci,
soprattutto giovani maschi, mandati via dai pubblici asili per andare
ad abitare nelle stanze di quelli che erano morti nelle varie parti
della terra. L'uomo che aveva fatto cadere il suo Libro era in
viaggio verso la sua dimora. Era stato mandato a Sumatra con lo scopo
di perpetuare la razza. Vashti solo stava viaggiando per motivi
personali.
A
mezzogiorno diede una seconda occhiata alla terra. L'aeronave stava
attraversando un'altra catena montuosa, ma poté vedere poco, a causa
delle nuvole. Masse di roccia nera volteggiavano sotto di lei,
sfumando impercettibilmente nel grigio. Le loro forme erano
fantastiche, una rassomigliava ad un uomo prostrato.
“Nessuna
idea qui,” mormorò Vashti, e nascose il Caucaso dietro la tendina
di metallo.
A
sera guardò di nuovo. Stavano attraversando un mare dorato, dove si
potevano vedere tante isolette e una penisola. La donna ripeté,
“Nessuna idea qui,” e nascose la Grecia dietro la tendina di
metallo.
II
IL
SISTEMA DI MANUTENZIONE
Attraverso
un vestibolo, un ascensore, una ferrovia tubolare, una piattaforma,
una porta scorrevole, percorrendo a ritroso i passi della partenza,
Vashti arrivò alla stanza del figlio, che era perfettamente uguale
alla sua. Poteva ben dire che quella visita era superflua. I
pulsanti, le manopole, il leggio con il Libro, la temperatura,
l'atmosfera, l'illuminazione – ogni cosa era esattamente la stessa.
E se lo stesso Kuno, carne della sua carne, alla fine era accanto a
lei, qual'era il vantaggio? Era troppo ben educata per stringergli la
mano.
Distogliendo
gli occhi, disse queste esatte parole: “Eccomi. Ho fatto il più
terribile dei viaggi e ho ritardato terribilmente lo sviluppo della
mia anima. Non ne vale la pena, Kuno, non ne vale la pena. Il mio
tempo è troppo prezioso. La luce del sole mi ha quasi toccata e ho
incontrato la gente più rozza. Posso fermarmi solo qualche minuto.
Dimmi quello che devi dirmi, e poi devo andare.”
“Sono
stato minacciato di Esilio,” disse Kuno.
Questa
volta lei lo guardò.
“Sono
stato minacciato di Esilio, e non potevo dirti una cosa del genere
attraverso la Macchina.”
Esilio
significava morte. La vittima viene esposta all'aria, che la uccide.
“Sono
andato all'esterno da quando ti ho parlato l'ultima volta. Questa
cosa tremenda è successa e mi hanno scoperto.”
“Ma
perché non avresti dovuto andare all'esterno?” Esclamò la madre,
“è perfettamente legale, perfettamente meccanico, visitare la
superficie della terra. Ultimamente sono stata ad una conferenza sul
mare, non c'è stata nessuna obbiezione, basta solo chiedere un
respiratore e ottenere un permesso d'uscita. Non è il genere di cose
che le persone con una mente spirituale fanno, e io ti ho pregato di
non farlo, ma non c'è nessuna obbiezione legale.”
“Io
non ho ottenuto un permesso d'uscita.”
“E
come hai fatto ad andare all'esterno?”
“Per
conto mio.”
La
frase non aveva alcun senso per lei, e Kuno dovette ripeterla.
“Per
conto tuo?” mormorò Vashti. “Ma questo dovrebbe essere
sbagliato.”
“Perché?”
La
domanda la scosse oltre ogni misura.
“Stai
iniziando a venerare la Macchina,” le disse freddamente.
“Tu
pensi che non sia religioso da parte mia aver trovato la strada da
solo. E' proprio quello che pensavano i membri del Comitato, quando
mi hanno minacciato di Esilio.”
Al
che lei si arrabbiò.
“Io
non venero niente!” gridò. “Sono una persona estremamente
evoluta. Io non penso che tu non sia religioso, perché una cosa come
la religione non esiste più. Tutte le paure e le superstizioni che
esistevano una volta sono state distrutte dalla Macchina. Volevo solo
dire che trovare una strada per conto tuo è stato.... Inoltre non ci
sono nuove vie d'uscita.”
“Questo
è quello che abbiamo sempre creduto.”
“Se
non attraverso i vomitori, e per questo c'è bisogno di un permesso
d'uscita, è impossibile andare in superficie altrimenti. Questo dice
il Libro.”
“Allora
il Libro ha torto, perché io sono andato fuori con i miei piedi.”
Kuno,
infatti, possedeva una certa forza fisica.
A
quei tempi era un demerito essere atletici. Ogni bambino veniva
esaminato alla nascita, e tutti quelli che promettevano una forza
fisica inappropriata venivano distrutti. Gli umanitari potevano
protestare, ma non sarebbe stato veramente umano lasciar vivere un
atleta, non sarebbe mai stato felice nel genere di vita a cui lo
aveva destinato la Macchina; avrebbe desiderato invano alberi su cui
arrampicarsi, fiumi in cui nuotare, prati e colline su cui mettere
alla prova il proprio corpo. L'uomo deve essere adatto al proprio
ambiente, non è così? All'alba del mondo gli individui più deboli
dovevano essere esposti sul monte Taigeto6,
al suo tramonto la nostra forza d'animo tollererà l'eutanasia, che
la Macchina possa progredire, che la Macchina possa progredire, che
la Macchina possa progredire eternamente.
“Come
sai abbiamo perso il senso dello spazio. Diciamo “lo spazio è
annullato”, ma noi non abbiamo annullato lo spazio, ma il senso
dello spazio. Abbiamo perso una parte di noi stessi. Decisi di
riappropriarmene e iniziai a camminare su e giù lungo la piattaforma
della ferrovia fuori dalla mia stanza. Su e giù, fino a stancarmi, e
così recuperai il significato di “vicino” e “lontano”.
“Vicino” è un posto dove posso arrivare velocemente a piedi, non
un posto dove il treno o l'aeronave mi portano velocemente. “Lontano”
è un posto dove non posso arrivare velocemente a piedi, il vomitorio
è “lontano”, anche se posso arrivarci in trentotto secondi con
il treno. L'uomo è la misura. Questa è stata la mia prima lezione.
I piedi dell'uomo sono la misura per la distanza, le sue mani sono la
misura per la quantità, il suo corpo è la misura per tutto ciò che
è amabile e desiderabile e forte. Poi sono andato oltre: è stato
allora che ti ho chiamato per la prima volta, e tu no sei voluta
venire.
“Questa
città, come sai, è costruita nelle profondità della terra, e solo
i vomitori fuoriescono. Dopo aver percorso la piattaforma fuori dalla
mia camera, presi l'ascensore alla piattaforma successiva e percorsi
anche quella, e via via tutte le altre, finché arrivai a quella
superiore, sopra cui inizia la terra. Le piattaforme sono tutte
perfettamente uguali, e tutto ciò che ho guadagnato visitandole è
stato il mio senso dello spazio e i miei muscoli. Penso che avrei
dovuto accontentarmi di questo – non è poca cosa. Ma mentre
camminavo e riflettevo, mi venne in mente che le nostre città erano
state costruite nei giorni in cui gli uomini ancora respiravano
l'atmosfera esterna, e che ci dovevano essere stati condotti di
ventilazione per gli operai.
Non
riuscivo a pensare a niente altro che ai condotti di ventilazione.
Erano forse stati distrutti dai tubi per il cibo e i tubi per le
medicine e i tubi per la musica – tubi che la Macchina ha
sviluppato negli ultimi tempi? O ne rimanevano tracce? Una cosa era
certa. L'unico posto in cui avrei potuto trovarli erano i tunnel del
livello superiore. In qualunque altro posto, tutto lo spazio era
stato occupato.
“Ti
sto raccontando la mia storia velocemente, ma non pensare che non
abbia avuto paura o che le tue risposte non mi abbiano mai depresso.
Questa non è la cosa giusta, non è meccanico, non è decente
camminare lungo il tunnel ferroviario. Non avevo paura di calpestare
un binario elettrificato e di essere ucciso. Temevo qualcosa di molto
più intangibile – fare ciò che non è contemplato dalla Macchina.
Poi mi sono detto: “L'uomo è la misura”, e sono andato, e dopo
molte visite ho trovato un'apertura.
“I
tunnel, naturalmente, erano illuminati. C'è luce dappertutto, luce
artificiale; il buio è l'eccezione. Così quando vidi uno spazio
nero tra le piastrelle, sapevo che era un'eccezione, e ne gioii. Vi
infilai dentro il braccio – all'inizio non potevo fare di più –
e lo girai tutto intorno estasiato. Tolsi un'altra mattonella, e
infilai la testa e gridai alle tenebre: “Verrò da voi, ci riuscirò
malgrado tutto,” e la mia voce riecheggiò giù per gli infiniti
passaggi. Mi sembrava di sentire gli spiriti di quegli operai morti
che ogni sera erano ritornati alla luce delle stelle e alle loro
mogli, e tutte le generazioni che erano vissute all'aperto mi
rispondevano, “Ci riuscirai malgrado tutto, verrai da noi.”
Si
fermò, e, per quanto le sembrasse assurdo, le sue ultime parole la
commossero.
Perché
Kuno di recente aveva chiesto di essere padre e la sua richiesta era
stata rifiutata dal Comitato. Non era il tipo di individuo che la
Macchina desiderasse tramandare.
“Poi
passò un treno. Mi sfiorò, ma infilai la testa e le braccia nel
buco. Avevo fatto abbastanza per un solo giorno, così mi trascinai
di nuovo verso la piattaforma, e andai giù con l'ascensore e chiesi
il mio letto. Ah, che sogni! E ti chiamai di nuovo, e tu di nuovo mi
dicesti di no.”
Vashti
scosse la testa e disse:
“Non
devi. Non devi parlare di queste cose terribili. Mi rendi triste. Tu
stai buttando via la civiltà.”
“Ma
io ho recuperato il senso dello spazio e dopo di che un uomo non può
stare fermo. Decisi di entrare attraverso il buco e risalire il
condotto. E così esercitai le braccia. Giorno dopo giorno facevo dei
ridicoli movimenti, finché la carne era dolorante, e riuscii a stare
appeso per le mani e a reggere il cuscino del mio letto con le
braccia tese per molti minuti. Quindi chiesi un respiratore e partii.
“All'inizio
fu facile. La malta era come marcita, e in poco tempo spinsi dentro
altre mattonelle e strisciai dietro di loro nelle tenebre, e gli
spiriti dei morti mi confortarono. Non so cosa questo significhi
esattamente. Dico solo quello che sentivo. Per la prima volta sentivo
che una protesta contro la corruzione era stata lanciata, e che
proprio come i morti stavano confortando me, io stavo confortando
quelli che ancora dovevano nascere. Sentivo che l'umanità esisteva,
e che esisteva senza indumenti. Come potrei spiegartelo?
Era
nuda, l'umanità sembrava nuda, e tutti quei tubi e pulsanti e
macchinari non sono venuti al mondo con noi, né verranno via con
noi, e nemmeno sono di suprema importanza mentre siamo qui. Se fossi
stato forte, avrei stracciato i miei indumenti e sarei uscito
all'aperto senza fasciatura. Ma questo non è per me, e forse neanche
per la mia generazione. Andai su con il mio respiratore e i miei
abiti igienici e le mie compresse dietetiche! Meglio in quel modo che
niente affatto.
“C'era
una scala, fatta di un materiale primitivo. La luce proveniente dalla
ferrovia cadeva sui pioli più bassi e vidi che sbucava dalle macerie
in fondo al condotto e che conduceva verso l'alto. Forse i nostri
antenati andavano su e giù una dozzina di volte al giorno, durante
la costruzione. Mentre salivo, i bordi scabrosi mi tagliarono
attraverso i guanti, facendomi sanguinare le mani. La luce per un po'
mi aiutò, e poi arrivò il buio e, peggio ancora, il silenzio che mi
penetrava le orecchie come una spada. La Macchina ronza! Lo sapevi?
Il suo ronzio ci entra nel sangue, e potrebbe perfino guidare i
nostri pensieri. Chi lo sa! Io stavo andando oltre il suo potere. Poi
pensai: “Questo silenzio significa che sto sbagliando.” Ma nel
silenzio sentivo delle voci, e di nuovo mi diedero forza.” Rise:
“Ne avevo bisogno. Un attimo dopo battei la testa contro qualcosa.”
Vashti
sospirò.
“Avevo
raggiunto uno di quei tombini pneumatici che ci difendono
dall'atmosfera esterna. Forse li hai notati dall'aeronave. Buio
pesto, i miei piedi sui pioli di una scala invisibile, le mie mani
ferite; non so spiegarti come sono sopravvissuto a questa parte del
viaggio, ma le voci continuavano a confortarmi, e con le mani cercai
le chiusure. Credo che il tombino avesse un diametro di circa due
metri e mezzo. Con la mano lo toccai tutto intorno fin dove potevo
arrivare. Era perfettamente liscio. Arrivai quasi al centro. Non
proprio al centro, perché il mio braccio era troppo corto. Poi la
voce disse: “Salta. Ne vale la pena. Può esserci una maniglia al
centro e tu puoi afferrarla e così venire da noi a modo tuo. E se
non ci fosse nessuna maniglia, e tu cadessi e ti sfracellassi – ne
varrebbe ancora la pena: anche così verrai da noi a modo tuo.”
Così saltai. La maniglia c'era, e...”
Si
fermò. Gli occhi della madre erano umidi di lacrime. Sapeva che il
destino del figlio era segnato. Se non fosse morto oggi, sarebbe
morto domani. Al mondo non c'era spazio per una persona come lui. E
alla pietà si mescolò il disgusto. Si vergognava di aver messo al
mondo un tale figlio, lei che era sempre stata così rispettabile e
piena di idee. Era proprio lui il ragazzino a cui aveva insegnato
come usare interruttori e pulsanti, e a cui aveva insegnato i primi
rudimenti del Libro? La stessa peluria che sfigurava il suo labbro
era la prova che stava regredendo verso un carattere selvaggio. La
Macchina non poteva avere alcuna pietà dell'atavismo.
“C'era
una maniglia, e io l'afferrai. Penzolai come in trance nelle tenebre
e sentii il ronzio di questi meccanismi come l'ultimo brusio di un
sogno che muore. Tutte le cose che mi erano state care e tutte le
persone a cui avevo parlato attraverso i tubi mi sembrarono
infinitamente piccole. Nel frattempo la maniglia ruotò. Il mio peso
aveva messo in moto qualcosa e io girai lentamente, e poi...
“Non
riesco a descriverlo. Mi trovai disteso con la faccia al sole. Mi
usciva sangue dal naso e dalle orecchie e sentii un fragore tremendo.
Il tombino, ed io con esso, era stato semplicemente catapultato fuori
dalla terra, e l'aria che viene prodotta qua giù stava fuoriuscendo
dal foro nell'atmosfera esterna. Zampillava come una fontana.
Strisciai verso il bordo – perché l'aria esterna è dolorosa –
e, per così dire – ne presi delle grandi sorsate. Il mio
respiratore era volato chi sa dove, i miei abiti erano laceri. Ero
semplicemente disteso con la bocca vicino alla colonna d'aria, e ne
bevvi finché l'emorragia cessò. Non si può immaginare niente di
più strano. L'avvallamento nell'erba – te ne parlerò tra un
attimo – illuminato dal sole, non intensamente ma attraverso nubi
marezzate – la pace, la nonchalance, il senso dello spazio e la
fragorosa fontana della nostra aria artificiale che mi sfiorava le
guance! Subito dopo vidi il mio respiratore che saltellava su giù
nella corrente d'aria sopra la mia testa, e ancora più in alto
c'erano molte aeronavi. Ma nessuno guarda mai fuori dalle aeronavi, e
in ogni caso non avrebbero potuto individuarmi. Giacevo là, arenato.
Il sole illuminava un breve tratto del condotto e faceva vedere il
piolo superiore della scala, ma era inutile tentare di raggiungerlo.
Avrei potuto essere ributtato fuori dalla fuga d'aria, oppure cadere
dentro e morire. Potevo solo rimanere disteso sull'erba, continuare a
sorseggiare e a guardarmi intorno di tanto in tanto.
“Sapevo
di trovarmi nel Wessex7,
perché avevo preso la precauzione di andare ad una conferenza
sull'argomento prima di partire. Il Wessex si trova sopra la stanza
in cui ora stiamo parlando. Una volta era un stato importante. I suoi
re dominavano su tutta la costa meridionale dall'Andredswald alla
Cornovaglia, mentre il terrapieno di Wansdyke li proteggeva a nord,
correndo sopra l'altopiano. Il conferenziere era interessato solo
alla nascita del Wessex, così non so per quanto tempo rimase una
potenza internazionale, né il saperlo mi sarebbe stato di aiuto. A
dire la verità, in quella situazione non riuscivo a fare altro che
ridere. C'ero io, con un tombino pneumatico accanto a me e un
respiratore che saltellava sopra la mia testa, tutti e tre
imprigionati in un avvallamento ricoperto d'erba e circondato da
felci.”
Poi
diventò di nuovo serio.
“Era
una fortuna per me che quello fosse un avvallamento. Perché l'aria
stava iniziando a ricaderci dentro e a riempirlo come l'acqua riempie
una scodella. Riuscivo a trascinarmi in giro. Dopo un po' mi alzai.
Respiravo un miscuglio in cui l'aria che faceva male predominava ogni
volta che tentavo di arrampicarmi lungo i suoi fianchi. Non era poi
così male. Avevo con me le mie compresse e continuavo ad essere
ridicolmente allegro, e in quanto alla Macchina, l'avevo del tutto
dimenticata. Il mio unico scopo era di arrivare in cima, dove si
trovavano le felci, e osservare cosa ci fosse oltre.
“Corsi
lungo la salita. La nuova aria era troppo dolorosa per me e rotolai
di nuovo giù, dopo la momentanea visione di qualcosa di grigio. Il
sole diventava sempre più debole, e mi ricordai che si trovava nello
Scorpione – avevo seguito una conferenza anche su questo argomento.
Se il sole è nello Scorpione, e siamo nel Wessex, significa che
bisogna agire il più velocemente possibile, altrimenti diventerà
troppo buio. (Questa è la prima informazione utile che abbia
ricevuto ad una conferenza, e credo che sarà anche l'ultima.) Questo
pensiero mi spinse a tentare freneticamente di respirare la nuova
aria e avanzare fuori dal mio stagno fin dove osavo. L'avvallamento
si riempiva così lentamente. A volte pensavo che la fontana
zampillasse con minor forza. Il respiratore sembrava ballare più
vicino alla terra, il fragore stava diminuendo.”
Si
interruppe.
La
sua voce si alzò per l'emozione.
“Non
riesci a capire, non riescono a capire i tuoi conferenzieri, che
siamo noi che stiamo morendo, e che quaggiù l'unica cosa veramente
viva è la Macchina? Abbiamo creato la Macchina affinché eseguisse
il nostro volere, ma ora noi non riusciamo a farci obbedire. Ci ha
privato del nostro senso dello spazio e del senso del tatto, ha
offuscato ogni relazione umana e ridotto l'amore ad un atto carnale,
ha paralizzato i nostri corpi e le nostre volontà, e ora ci obbliga
a venerarla. La Macchina si evolve, ma non secondo le nostre linee.
La macchina procede, ma non verso la nostra meta. Noi esistiamo
semplicemente come globuli sanguigni che scorrono nelle sue arterie,
e se potesse funzionare senza di noi, ci lascerebbe morire. Oh, non
ho alcun rimedio – o, almeno, uno soltanto – continuare a
raccontare agli uomini che ho visto le colline del Wessex come le
vide Alfredo8
quando sconfisse i danesi.
“Così
il sole tramontò. Ho dimenticato di dire che c'era una cintura di
nebbia tra la mia collina e le altre colline, e che era di un colore
perlaceo.”
Si
fermò una seconda volta.
“Continua,”
gli disse la madre stancamente.
Egli
scosse la testa.
“Continua.
Niente di quello che dici può ferirmi ora. Mi ci sono abituata.”
“Avevo
intenzione di dirti il resto, ma non posso: lo so che non posso,
addio.”
Vashti
era esitante. I suoi nervi erano scossi dalla sua blasfemia. Ma era
anche curiosa.
“Non
è giusto,” si lamentò. “Mi hai fatto venire dall'altra parte
del mondo per ascoltare la tua storia, e ora la voglio sentire.
Racconta - nella maniera più concisa possibile, perché questo è un
disastroso spreco di tempo – raccontami come sei ritornato alla
civiltà.”
“Oh
– quello!” disse, trasalendo. “Vorresti sentirmi parlare di
civiltà. Naturalmente. Ero arrivato al punto in cui il mio
respiratore cadeva giù?”
“No
– ma ora capisco tutto. Hai indossato il tuo respiratore, e sei
riuscito a camminare sulla superficie della terra fino ad un
vomitorio, e lì la tua condotta è stata riportata al Comitato
Centrale.”
“Niente
affatto.”
Si
passò la mano sulla fronte, come a fugare una forte emozione. Poi,
ripigliando il racconto, il suo entusiasmo si riaccese.
“Il
mio respiratore cadde giù che era quasi il tramonto. Come dicevo,
avevo interamente dimenticato la Macchina, e non prestavo molta
attenzione al tempo, essendo occupato in altre cose. Avevo il mio
laghetto di aria, in cui mi immergevo quando l'asprezza dell'aria
esterna diventava insopportabile, e che avrebbe potuto durare per
giorni, purché non si fosse alzato il vento a disperderla. Solo
quando era ormai troppo tardi capii cosa implicava il blocco della
fuga d'aria. Capisci – il varco nel tunnel era stato riparato, il
sistema di manutenzione, il sistema di manutenzione mi seguiva.
“Avevo
ricevuto un altro avvertimento, ma lo ignorai. Al calar della notte
il cielo divenne più chiaro di quanto lo fosse stato durante il
giorno, e la luna, che era arrivata quasi alla metà del cielo
inseguendo il sole, a volte illuminava la valletta con una luce
intensa. Io ero al mio solito posto – al confine tra le due
atmosfere – quando mi sembrò di vedere muoversi qualcosa di scuro
in fondo alla valletta per poi svanire dentro al condotto. Nella mia
follia, corsi giù. Mi sporsi e ascoltai e mi sembrò di sentire il
debole rumore di qualcosa che strisciava in profondità.
“A
quel punto – ma era troppo tardi – mi allarmai. Decisi di
indossare il mio respiratore e di uscire subito dalla valletta. Ma il
mio respiratore era sparito. Sapevo esattamente dove era caduto –
fra il tombino e l'apertura – e potevo perfino sentire il segno che
aveva lascito nel terreno. Era sparito, e compresi che qualcosa di
malvagio era all'opera e che avrei fatto meglio a scappare verso
l'altra aria, e che se dovevo morire, era meglio morire correndo
verso la nuvola color perla. Non mi sono mai mosso. Fuori dal
condotto... è troppo orribile. Un verme, un lungo verme bianco, era
sbucato fuori dal condotto e strisciava sull'erba illuminata dalla
luna.
“Gridai.
Feci tutto quello che non avrei dovuto fare, calpestai quella cosa
invece di fuggire lontano, e quella improvvisamente si arrotolò
intorno alla caviglia. Allora lottammo. Il verme mi lasciò correre
per tutta la valletta, ma risalì lungo la mia gamba mentre correvo.
“Aiuto!” gridai. (Questa parte è troppo spaventosa. E' una parte
della storia che non avresti mai dovuto conoscere.) “Aiuto!”
gridai. (Perché non possiamo soffrire in silenzio?) “Aiuto!”
gridai. Quando i miei piedi furono legati insieme, caddi e fui
trascinato lontano dalle care felci e dalle viventi colline, oltre il
grande tombino di metallo (questa parte posso dirtela), e pensai di
potermi salvare di nuovo se avessi afferrato la maniglia. Anche
quella era avviluppata, anche quella.
Oh,
tutta la vallette era piena di quelle cose. Si muovevano in ogni
direzione, devastandola, e ancora altri musi bianchi spiavano
sporgendosi dal buco, pronti ad intervenire, se necessario. Portarono
con sé tutto quello che poteva essere rimosso – arbusti, fasci di
felci, ogni cosa, e andammo giù tutti intrecciati fino all'inferno.
L'ultima cosa che vidi, prima che il tombino si richiudesse, furono
alcune stelle, e sentivo che un uomo della mia specie viveva nel
cielo. Perché io combattei, combattei fino alla fine, e mi fermai
solo quando la mia testa batté contro la scala. Mi risvegliai in
questa stanza. I vermi erano spariti. Ero circondato da aria
artificiale, luce artificiale, pace artificiale. E i miei amici mi
chiamavano attraverso i tubi parlanti per sapere se mi fossi
imbattuto in nuove idee di recente.” A questo punto la sua storia
finì. Ogni discussione al riguardo era impossibile, e Vashti si girò
per andarsene.
“Tutto
questo finirà con l'esilio,” disse con calma.
“Vorrei
che fosse così,” replicò Kuno.
“La
Macchina è stata misericordiosa.”
“Preferisco
la misericordia di Dio.”
“Con
questa frase superstiziosa, vuoi dire che preferisci vivere
nell'atmosfera esterna?”
“Sì.”
“Hai
mai visto intorno ai vomitori le ossa di quelli che furono cacciati
dopo la Grande Ribellione?”
“Sì.”
“Furono
lasciate dove erano periti a nostro monito. Alcuni fuggirono, ma
anche questi morirono – chi può dubitarne? E la stessa cosa con
gli esiliati di oggi. La superficie della terra non supporta più la
vita.”
“Così
pare.”
“Felci
e erba possono sopravvivere, ma tutte le forme di vita superiori
sono perite. Per caso qualche aeronave li ha avvistati?”
“No.”
“Qualche
conferenziere ne ha parlato?”
“No.”
“Allora
perché tanta ostinazione?”
“Perché
io li ho visti,” sbottò lui.
“Visto
cosa?”
“Perché
io l'ho vista al crepuscolo – perché lei venne in mio aiuto quando
gridai, perché anche lei fu avviluppata dai vermi, e, più fortunata
di me, fu uccisa da uno che la trafisse al collo.”
Logan's Run - 1976 |
Era
impazzito. Vashti ripartì, e nonostante i problemi che ci furono in
seguito, non rivide più la sua faccia.
III
Gli
esuli
Durante
gli anni che seguirono alla breve fuga di Kuno, nella Macchina ci
furono due importanti sviluppi. In superficie sembrarono
rivoluzionari, ma in entrambi i casi le menti degli uomini erano
state preparate in anticipo, e non furono altro che l'espressione di
tendenze ormai latenti. Il primo cambiamento fu l'abolizione del
respiratore.
I
pensatori progressisti, come Vashti, avevano sempre sostenuto che era
assurdo visitare la superficie della terra. Le aeronavi potevano
esser necessarie, ma che vantaggio c'era ad andare fuori per pura
curiosità e gironzolare per due o tre chilometri in una vettura
terrestre? Era un'abitudine volgare e alquanto grossolana: non
produceva alcuna idea e non aveva alcun collegamento con le
consuetudini realmente importanti. Così i respiratori furono aboliti
e con loro, naturalmente, le vetture terrestri, e ad eccezione di
pochi conferenzieri, che si lamentarono del fatto che gli veniva
impedito l'accesso al materiale da loro studiato, questo sviluppo fu
accettato tranquillamente. Quelli che ancora volevano sapere come era
fatta la terra, dopo tutto non dovevano fare altro che ascoltare un
grammofono, o guardare un visiofono. E perfino i conferenzieri furono
d'accordo quando si resero conto che una conferenza sul mare non era
meno stimolante se veniva compilata sulla base di altre conferenze
già tenute sullo stesso argomento. “Guardatevi dalle idee di prima
mano!” esclamò uno dei più progressisti. “Non esistono idee
veramente originali. Non sono altro che impressioni fisiche prodotte
dal contatto diretto e dalla paura, e su queste grossolane fondamenta
chi potrebbe erigere una filosofia?”
Che
le vostre idee siano di seconda mano, e se possibile di decima mano,
perché allora saranno libere da quell'elemento di disturbo che è
l'osservazione diretta. Non imparate niente sul mio argomento di
studio – la rivoluzione francese. Imparate piuttosto quello che io
penso che Enicharmon pensasse che Urizen pensasse che Gutch pensasse
che Ho-Yung pensasse che Chi-Bo-Sing pensasse che Lafcadio Hearn
pensasse che Carlyle pensasse che Mirabeau avesse dettto sulla
rivoluzione francese. Attraverso la mediazione di queste dieci grandi
menti, il sangue che fu versato a Parigi e le finestre che furono
rotte a Versailles decanteranno in un'idea che potrete usare in modo
estremamente vantaggioso nella vostra vita quotidiana. Ma
assicuratevi che gli intermediari siano molti e vari, perché nella
storia un'autorità esiste per controbatterne un'altra. Urizen deve
controbattere lo scetticismo di Ho-Yung e Enicharmon, io stesso devo
controbattere l'impetuosità di Gutch9.
Voi che mi ascoltate siete in una posizione migliore della mia per
giudicare la rivoluzione francese. I vostri discendenti saranno in
una posizione ancora migliore della vostra. E col tempo” – la sua
voce si alzò - “ci sarà una generazione che andrà oltre i fatti,
oltre le impressioni, una generazione assolutamente incolore, una
generazione seraficamente libera dalla contaminazione della
personalità, che vedrà la rivoluzione francese non come accadde, né
come avrebbero voluto che fosse accaduta, ma come avrebbe dovuto
accadere, se avesse avuto luogo nei giorni della Macchina.”
Urizen - Acquaforte - William Blake |
Un
caloroso applauso salutò questa conferenza, che non faceva altro che
dare voce ad un sentimento ormai latente nella mente degli uomini –
il sentimento che i fatti della superficie dovevano essere ignorati e
che l'abolizione dei respiratori era un cambiamento positivo. Fu
perfino suggerito di abolire anche le aeronavi. Questo non accadde,
perché le aeronavi si erano in qualche modo integrate nel sistema
della Macchina. Ma anno dopo anno, furono usate sempre meno e
menzionate sempre meno dagli uomini di pensiero.
Il
secondo grande sviluppo fu la restaurazione della religione.
Anche
a questo si era dato voce nella famosa conferenza. Nessuno avrebbe
potuto fraintendere il tono reverente con cui si era conclusa la
perorazione e che risvegliò un eco di approvazione nel cuore di
ognuno. Quelli che avevano creduto in silenzio per tanto tempo, ora
iniziarono a parlare. Descrivevano lo strano sentimento di pace che
li pervadeva quando prendevano in mano il Libro della Macchina, quale
piacere fosse ripetere certe cifre estrapolate dallo stesso, per
quanto quelle cifre potessero essere poco significative all'ascolto,
l'estasi di toccare un pulsante, anche se non importante, o di
suonare un campanello elettrico, anche senza necessità.
“La
macchina,” esclamavano, “ci nutre e ci veste e ci dà una casa;
grazie a lei possiamo parlarci, grazie a lei possiamo vederci, in lei
è custodita la nostra essenza. La Macchina è amica delle idee e
nemica della superstizione: la Macchina è onnipotente, eterna,
benedetta sia la Macchina.”
E
in breve questa allocuzione fu stampata sulla prima pagina del Libro,
e nelle successive edizioni il rituale si accrebbe fino a diventare
un complicato sistema di lodi e preghiere. La parola 'religione' fu
costantemente evitata, e in teoria la Macchina era ancora la
creazione e lo strumento dell'uomo, ma in pratica, tutti, salvo
alcuni retrogradi, la veneravano come una divinità. Né era venerata
come un tutt'uno.
Un
credente poteva essere colpito principalmente dalle piastre ottiche
blu, attraverso cui vedeva gli altri credenti, un altro dal sistema
di manutenzione, che quel peccatore di Kuno aveva paragonato a vermi;
un altro dagli ascensori, un altro dal Libro. E ognuno pregava questa
parte o quella, chiedendole di intercedere per lui presso la Macchina
nel suo insieme. La persecuzione, anche quella era presente. Non in
maniera palese, per ragioni che saranno chiarite tra breve. Ma era
latente, e tutti quelli che non accettavano quel minimo conosciuto
come “meccanismo aconfessionale” vivevano nel pericolo di essere
esiliati, che significava morte, come sappiamo.
Attribuire
questi due grandi sviluppi al Comitato Centrale, significa avere una
visione molto ristretta della civiltà. Il Comitato Centrale
annunciava gli sviluppi, è vero, ma non ne era la causa più di
quanto i re del periodo imperialistico fossero la causa delle guerre.
Piuttosto, si piegavano ad una pressione invincibile, che nessuno
sapeva da dove venisse, e che, una volta gratificata, era seguita da
una qualche altra pressione egualmente invincibile. Ad un tale stato
delle cose è conveniente dare il nome di progresso. Nessuno
confessava che la Macchina era fuori controllo. Anno dopo anno era
servita con sempre maggior efficienza e sempre minor intelligenza.
Quanto meglio un uomo conosceva i propri doveri verso di essa, tanto
meno conosceva i doveri del suo vicino, e in tutto il mondo non c'era
nessuno che conoscesse il mostro nel suo insieme.
I
grandi pensatori erano scomparsi. Avevano lasciato istruzioni
dettagliate, è vero. E ognuno dei loro successori aveva
padroneggiato una parte di quelle istruzioni. Ma l'umanità, nel suo
desiderio di benessere, aveva superato sé stessa. Aveva sfruttato le
ricchezze della natura troppo oltre. In silenzio e con compiacimento,
stava affondando nella decadenza, e la parola progresso aveva finito
col significare il progresso della Macchina.
In
quanto a Vashti, la sua vita proseguì tranquillamente fino al
disastro finale. Oscurava la stanza e dormiva, si svegliava e
illuminava la stanza. Teneva conferenze e presenziava conferenze.
Scambiava idee con i suoi innumerevoli amici ed era convinta di
progredire spiritualmente. A volte ad un amico veniva concessa
l'eutanasia, e questi lasciava la sua stanza per andare in esilio,
cosa che va oltre ogni umana concezione. A Vashti non importava
molto. Talvolta, dopo una conferenza sfortunata, anche lei chiedeva
l'eutanasia. Ma il tasso di mortalità non poteva superare il tasso
di natalità, e fino a quel momento la Macchina non l'aveva mai
autorizzata.
I
problemi iniziarono piano piano, molto prima che lei ne fosse
cosciente.
Un
giorno fu sorpresa di ricevere un messaggio da suo figlio. Non
comunicavano mai, non avendo niente in comune, e aveva solamente
saputo per via indiretta che era ancora vivo, ed era stato trasferito
dall'emisfero settentrionale, dove si era comportato in maniera così
vergognosa, a quello meridionale, proprio in una stanza non lontana
dalla sua.
“Vuole
che lo vada a trovare?” pensò. “Mai più, mai. Poi non ho
tempo.”
No.
Era una follia di altro tipo.
Kuno
si rifiutò di visualizzare la faccia sulla piastra blu, e parlando
dalle tenebre disse con solennità:
“Cosa
dici?”
Lei
scoppiò a ridere. Lui la sentì e si arrabbiò, e non parlarono più.
“Puoi
immaginare niente di più assurdo?” si lamentò Vashti con un
amico. “Un uomo che era mio figlio crede che la Macchina si stia
fermando. Sarebbe un'empietà se non fosse una follia.”
“La
Macchina si sta fermando?” le rispose l'amico. “Che cosa
significa? Questa frase non mi suggerisce niente.”
“Neanche
a me.”
“Tuo
figlio si riferisce, suppongo, ai problemi che ci sono stati
ultimamente con la musica?”
“No,
naturalmente no. Parliamo della musica.”
“Hai
esposto le tue lamentele alle autorità?”
“Sì,
e mi hanno detto che c'è bisogno di manutenzione, e mi hanno
indirizzata al Comitato del Sistema di manutenzione. Mi sono
lamentata di quegli strani singhiozzi soffocati che rovinano le
sinfonie della scuola di Brisbane. Fanno pensare a qualcuno che
soffre. Il Comitato del Sistema di manutenzione dice che sarà
riparato tra breve.”
Vagamente
preoccupata, riprese la propria vita. Da un lato, il disturbo nella
musica la preoccupava. Da un altro lato, non riusciva a dimenticare
le parole di Kuno. Se avesse saputo che la musica era in riparazione
– ma non poteva saperlo, perché detestava la musica – si sarebbe
reso conto di aver torto. “La Macchina si ferma” era esattamente
il tipo di commento velenoso che ci si poteva aspettare da lui.
Naturalmente l'aveva fatto a casaccio, ma la coincidenza la seccava,
e fu alquanto petulante con il Comitato del Sistema di Manutenzione.
Come
prima, le risposero che il guasto sarebbe stato sistemato in breve
tempo.
“Subito!
Immediatamente!” replicò lei. “Per quale motivo devo essere
disturbata da musica imperfetta? Le cose vengono sempre riparate
immediatamente. Se non la riparate subito, me ne lamenterò con il
Comitato Centrale.”
“I
reclami personali non possono essere accettati dal Comitato
Centrale,” fu la risposta del Comitato del Sistema di Manutenzione.
“Attraverso
chi devo presentare il mio reclamo, allora?”
“Noi.”
“Allora
io reclamo.”
“Il
vostro reclamo sarà inoltrato a suo tempo.”
“Avete
altri reclami?”
La
domanda era non-meccanica, il Comitato del Sistema di manutenzione
rifiutò di rispondere.
“Questo
è troppo!” esclamò con un altro dei suoi amici.
“Non
c'è mai stata una donna sfortunata come me. Ora non potrò più
essere sicura della mia musica. Peggiora sempre di più ogni volta
che la chiamo.”
“Che
cos'è?”
“Non
so se è nella mia testa o nel muro.”
“Reclama,
in ogni caso.”
“L'ho
fatto, e il mio reclamo sarà inoltrato a suo tempo al Comitato
Centrale.”
Il
tempo passò, e nessuno si accorse più dei guasti. I guasti non
erano stati riparati, ma i tessuti umani in quegli ultimi giorni
erano diventati così accomodanti che si adattarono prontamente ad
ogni capriccio della Macchina. I sospiri durante i crescendo della
sinfonia di Brisbane non irritavano più Vashti, li accettava come
parte della melodia.
Quei
suoni irritanti, nella testa o nel muro, non erano più avvertiti dal
suo amico. E così con l'ammuffita frutta artificiale, così con
l'acqua del bagno che iniziò a puzzare, così con le rime imperfette
che la macchina della poesia aveva preso ad emettere. All'inizio ci
furono delle aspre lamentele, poi tutto venne accettato e
dimenticato. Le cose andarono di male in peggio senza nessuna
opposizione.
Ma
quando si guastò l'apparato del sonno ci fu una diversa reazione. Fu
il problema più serio. Arrivò il giorno in cui in tutto il mondo –
a Sumatra, nel Wessex, nelle innumerevoli città del Courland e del
Brasile – i letti – quando venivano chiamati dai loro stanchi
proprietari – smisero di apparire. Può sembrare un argomento
ridicolo, ma è da quel momento che possiamo datare il collasso
dell'umanità. Il Comitato responsabile del guasto fu sommerso dalle
lamentele della gente, che furono indirizzate, al solito, al
Comitato del Sistema di Manutenzione, che a sua volta assicurò che
sarebbero state inoltrate al Comitato Centrale. Ma lo scontento
crebbe, perché l'umanità non si era ancora sufficientemente
adattata a fare a meno del sonno.
“Qualcuno
si sta intromettendo nella Macchina...” iniziarono a dire.
“Qualcuno
sta tentando di farsi re, di reintrodurre l'elemento personale.”
“Punite
quell'uomo con l'esilio.”
“Alla
riscossa! Vendicate la Macchina! Vendicate la Macchina!”
“Guerra!
Uccidete quell'uomo!”
Ma
il Comitato del Sistema di Manutenzione intervenne, e dissipò il
panico con parole accorte. Confessò che lo stesso Sistema di
Manutenzione aveva bisogno di riparazioni. L'effetto di questa franca
ammissione fu ammirevole. “Naturalmente,” disse un famoso
conferenziere – quello della Rivoluzione francese, che indorava di
splendore ogni nuova decadenza - “naturalmente non dobbiamo essere
pressanti con i nostri reclami adesso. Il Sistema di manutenzione ci
ha trattato così bene in passato che ora dobbiamo essere comprensivi
e attendere pazientemente che si rimetta. A tempo debito riprenderà
i suoi compiti. Nel frattempo faremo a meno dei nostri letti, delle
nostre compresse, delle nostre piccole necessità. Questo, ne sono
sicuro, sarebbe il desiderio della Macchina.”
A
migliaia di chilometri di distanza il suo pubblico applaudì. La
Macchina li collegava ancora. Sotto i mari, sotto le montagne,
correvano i fili attraverso cui le persone vedevano e sentivano, gli
enormi occhi e orecchi e che erano il loro retaggio, e il ronzio di
tutti quei meccanismi rivestiva i loro pensieri dell'abito
dell'asservimento. Solo i vecchi e i malati si mostrarono ingrati,
perché si mormorava che nemmeno l'eutanasia funzionava, e che il
dolore era riapparso fra gli uomini.
Divenne
difficile leggere. Un influsso malefico pervase l'atmosfera e ne
oscurò la luminosità. A volte Vashti riusciva a mala pena a vedere
attraverso la stanza. La stessa aria era malsana. Le lamentele erano
aspre, i rimedi impotenti, eroico il tono del conferenziere mentre
gridava: “Coraggio! Coraggio! Che importa se la Macchina funziona?
Per lei le tenebre e la luce sono la stessa cosa.” E sebbene la
situazione migliorasse dopo un certo tempo, il vecchio splendore non
fu mai recuperato, e l'umanità non uscì più dal crepuscolo in cui
era entrata.
Ci
furono isteriche voci di “misure,” di “dittatura transitoria,”
e agli abitanti di Sumatra fu chiesto di prendere confidenza con il
funzionamento della centrale elettrica principale, la quale centrale
elettrica si trovava in Francia. Ma per la maggior parte regnava il
panico e gli uomini spendevano le loro forze pregando il Libro, prova
tangibile dell'onnipotenza della Macchina. A volte il terrore si
allentava – a volte si diffondevano voci di speranza – il
Sistema di manutenzione era stato quasi riparto – i nemici della
Macchina erano stati sopraffatti – si stavano sviluppando nuovi
“centri nervosi” che avrebbero funzionato ancora più
magnificamente di prima. Ma venne il giorno in cui, senza il benché
minimo avviso, senza alcun segno premonitore di debolezza, l'intero
sistema di comunicazione collassò, in tutto il mondo, e il mondo,
così come lo conoscevano, finì.
Vashti
stava tenendo una conferenza e le sue prime osservazioni erano state
costellate di applausi. Mentre procedeva il pubblico divenne
silenzioso e alla fine non ci fu alcun suono. Alquanto dispiaciuta,
si rivolse ad un amico che era uno specialista del consenso. Nessun
suono: senza dubbio l'amico stava dormendo. E così con un altro
amico che cercò di chiamare, e così con un altro ancora, finché le
tornò in mente la misteriosa frase di Kuno, “La Macchina si
ferma.”
La
frase non la suggeriva ancora niente. Se l'eternità si stava
fermando, naturalmente si sarebbe rimessa in moto a breve.
Per
esempio c'era ancora un po' d'aria e di luce – l'atmosfera era
migliorata da qualche ora. C'era ancora il Libro, e finché c'era il
Libro si sentiva al sicuro. Poi crollò, perché con la fine di ogni
attività giunse un terrore inaspettato. Il silenzio. Non aveva mai
conosciuto il silenzio, e il suo arrivo quasi la uccise – di fatto
uccise molte migliaia di persone all'istante. Fin dalla nascita era
stata circondata da un costante ronzio. Per le sue orecchie era come
l'aria artificiale per i suoi polmoni, e la testa le scoppiava per il
dolore atroce. E quasi senza sapere quello che faceva, si alzò
barcollando e premette quel pulsante così poco usato, quello che
apriva la porta della cella.
Ora,
la cella della porta girava autonomamente su un semplice cardine. Non
era connessa alla centrale elettrica principale, che stava morendo
nella lontana Francia. Si aprì, suscitando in Vashti speranze
insensate, perché pensò che la Macchina fosse stata riparata. Si
aprì, e vide il tunnel in penombra curvare in lontananza verso la
libertà. Uno sguardo e si ritrasse. Il tunnel era pieno di gente –
era stata quasi l'ultima in città ad allarmasi.
Aveva
sempre provato repulsione per la gente, e quelle persone erano un
incubo uscito dai suoi sogni peggiori. La gente strisciava, la gente
gridava, piagnucolava, respirava a fatica, si toccava, scompariva
nelle tenebre e di tanto in tanto qualcuno veniva spinto fuori dalla
piattaforma sul binario elettrificato. Alcuni si azzuffavano intorno
ai campanelli elettrici, nel tentativo di chiamare treni che non
potevano essere chiamati. Altri invocavano l'eutanasia o i
respiratori, o maledicevano la Macchina. Altri ancora rimanevano
sulla porta delle loro celle e, come lei, avevano paura sia di
rimanere dentro che di uscire. E dietro a tutto quel tumulto c'era
silenzio - il silenzio che è la voce della terra e delle generazioni
passate.
No
– era peggio della solitudine. Richiuse la porta e si sedette ad
aspettare la fine. La disintegrazione continuò, accompagnata da
orribili scricchiolii e boati. Le valve che trattenevano l'apparato
medico dovevano essersi allentate, perché quello era fuoriuscito e
penzolava orribilmente dal soffitto. Il pavimento si sollevò e
ricadde facendola volare via dalla sedia. Un tubo schizzò verso di
lei come un serpente. E finalmente l'orrore finale divenne imminente
– la luce iniziò a calare e capì che il lungo giorno della
civiltà stava giungendo al termine.
Incominciò
a girare intorno, pregando di essere salvata da tutto quello, a
qualunque costo, baciando il Libro, premendo un pulsante dopo
l'altro. Il tumulto all'esterno stava crescendo, e penetrava perfino
attraverso il muro. Lentamente la luminosità della sua cella si
stava affievolendo, sugli interruttori metallici non ci furono più
riflessi. Ora non riusciva a vedere più il leggio, ora il Libro,
anche se lo teneva in mano. Dopo il suono scomparve la luce, dopo la
luce l'aria, e il vuoto originale ritornò alla caverna da cui era
stato escluso per tanto tempo. Vashti continuò a girare, come i
devoti di un'antica religione10,
gridando, pregando, colpendo i pulsanti con mani sanguinanti.
Fu
così che aprì la sua prigione e fuggì – fuggì con il suo
spirito: almeno così mi sembra, prima che la mia meditazione
finisca. Che sia fuggita con il corpo – questo non riesco a
percepirlo. Per caso colpì l'interruttore che apriva la porta e la
folata di aria fetida sulla sua pelle, i sonori singhiozzi nelle sue
orecchie, le dissero che era di nuovo davanti al tunnel e alla
terribile piattaforma su cui aveva visto combattere gli uomini. Ora
non combattevano più. Rimanevano solo i sospiri e i piccoli gemiti
piagnucolosi. Stavano morendo a centinaia là nelle tenebre.
Scoppiò
in lacrime.
Altre
lacrime le risposero.
Piansero
per l'umanità, quei due, non per sé stessi. Non riuscivano a
capacitarsi che quella dovesse essere la fine. Prima che il silenzio
fosse totale, i loro cuori si aprirono ed essi compresero ciò che
era stato importante sulla terra. L'uomo, il fiore di ogni carne, il
più nobile di tutte le creature visibili, l'uomo che una volta aveva
fatto dio a sua immagine, e aveva riflesso il suo potere nelle
costellazioni, il bellissimo uomo nudo stava morendo, soffocato
dagli abiti che aveva tessuto.
Secolo
dopo secolo aveva lavorato duramente, ed ecco la sua ricompensa. In
verità, l'abito all'inizio era sembrato celestiale, tinto con i
colori della cultura, cucito con il filo dell'auto-negazione. E
celestiale era stato fino a quando l'uomo aveva potuto scrollarselo
di dosso a suo piacimento e vivere dell'essenza che era la sua anima,
e dell'essenza, egualmente divina, che era il suo corpo. Il peccato
contro il corpo – era soprattutto per quello che piansero; i secoli
di ingiustizia contro i muscoli e i nervi e quei cinque portali
attraverso cui solo è possibile comprendere – mascherando tutto
con il discorso dell'evoluzione, finché il corpo era diventato una
pappa bianca, la casa di idee altrettanto incolori, ultimi singulti
di uno spirito che aveva catturato le stelle.
“Dove
sei?” singhiozzò Vashti.
La
voce nelle tenebre le rispose, “Qui.”
“C'è
qualche speranza, Kuno?”
“Nessuna
per noi.”
“Dove
sei?”
Strisciò
sui corpi dei morti. Il sangue di lui le schizzò sulle mani.
“Più
in fretta,” le gridò, “Sto morendo – ma ci tocchiamo, ci
parliamo, non attraverso la Macchina.”
THX 1138 - 1971
THX 1138 - 1971
La
baciò.
“Siamo
ritornati quello che eravamo. Moriamo, ma abbiamo riconquistato la
vita, come era nel Wessex, Quando Alfredo sconfisse i Danesi.”
“Ma
Kuno, è vero? Ci sono ancora degli uomini sulla superficie della
terra? Tutto questo - il tunnel, questa oscurità venefica - non è
veramente la fine?”
Le
rispose: “Li ho visti, ho parlato con loro, li ho amati. Si stanno
nascondendo nella nebbia e tra le felci fino al momento in cui la
nostra civiltà finirà. Oggi sono gli esuli - domani...?”
“Oh.
Domani – qualche folle riavvierà la Macchina, domani.”
“Mai
più,” disse Kuno, “mai più. L'umanità ha imparato la sua
lezione.”
Mentre
parlava, l'intera città fu distrutta come un alveare. Un'aeronave
era rientrata attraverso il vomitorio fino ad un molo in rovina.
Precipitò in basso, esplodendo mentre avanzava, distruggendo una
galleria dopo l'altra con le sue ali di acciaio. Per un momento
videro le nazioni dei morti, e, prima che potessero raggiungerli,
brandelli di cielo immacolato.
FINE
1Kuno:
nome di origine germanica, significa “coraggioso”.
2Vashti:(
bellissima)
personaggio
biblico, moglie del re Assuero, fu ripudiata perché rifiutò di
lasciare le sue stanze per obbedire al marito
quando la convocò per intrattenere
gli ospiti di un banchetto
(Esther 1:10-12).
3Si
riferisce alla costellazione di Orione o Il Cacciatore, una delle
più conosciute, tipica del cielo invernale.
4Leviatano:
Si tratta di un terribile mostro marino dalla leggendaria forza
presentato nell'Antico Testamento. Dal punto di vista allegorico, il
Leviatano rappresenta spesso il caos primordiale, la potenza priva
di controllo.
5
Il
Kangchenjunga è la terza montagna più elevata della Terra con i
suoi 8586 m s.l.m.. Situata al confine fra il Nepal e lo Stato
indiano del Sikkim, è il più orientale degli ottomila
dell'Himalaya e dal 1838 al 1849 è stata ritenuta la vetta più
elevata del pianeta, fino a che nel 1849 rilevamenti britannici
appurarono che l'Everest e il K2 erano più elevati.
6
Il Taigeto è una catena montuosa che domina la città di Sparta.
Gli spartani gettavano i criminali e i bambini 'anormali' (deboli,
malati, deformi o ritardati) nel dirupo del Taigeto.
7Il
Wessex (West Seaxe, cioè Sassoni dell'Ovest) fu uno dei sette regni
anglosassoni che precedettero il regno d'Inghilterra. Questo reame
era situato nel sud e sud-ovest dell'isola.
8Alfredo
il Grande, in inglese antico: Ælfred (Wantage, 849 – 26 ottobre
899), fu re del regno anglosassone meridionale del Wessex dall'871
all'899, ed è venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Alfredo è
famoso per la sua difesa del regno contro i Danesi grazie alla quale
fu l'unico re inglese ad avere ottenuto l'epiteto di "Grande".
Fu anche il primo re del Wessex a chiamarsi "Re d'Inghilterra".
9La
commistione di personaggi fittizi(Urizen, Enicharmon personaggi
della mitologia del poeta William Blake) e storici (Carlyle,
Mirabeau, Lafcadio Hearn) testimoniano la falsificazione storica
operata dalla Macchina.
10Si
riferisce ai Dervisci rotanti, termine con cui si indicano i
discepoli di alcune confraternite islamiche che praticano la celebre
danza turbinante come metodo per raggiungere l'estasi mistica
(jadhb, fanāʾ)
*Le
parole inglesi Hemlessness e Homeless sono
stati tradotti rispettivamente come esilio e esuli
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