Buon Natale e felice anno nuovo
Per farvi gli auguri di Natale ho scritto questa breve storia ispirandomi ad un famoso racconto di Mathesen Button, Button, e più precisamente alla versione apparsa nella famosa serie televisiva The twilight Zone, a cui Mathesen contribuì con diversi lavori, anche se non apprezzò le variazioni apportate all'originale.
L'idea di partenza è quella del 'Paradosso del Mandarino' (di cui avevo già parlato nell'introduzione al racconto di Arnold Bennett Un Mandarino per Vera del 23-07-2013) e le conseguenti implicazioni morali: come potremmo reagire se messi alla prova? e fino ache punto ci conosciamo veramente?
La
lotteria cinese
Era
un afoso pomeriggio d'agosto e Alice, stanca e sudata, stava tornando
a casa con un carico di buste della spesa quasi esagerato per una
ragazza minuta come lei. Ancora una volta senza macchina: suo marito
Piero ci stava lavorando da due giorni, nei ritagli di tempo. Tanto
lui sapeva aggiustare un po' di tutto e poi, un meccanico sarebbe
stato troppo caro e, forse, anche sprecato, per quella vecchia
carcassa che prima o poi l'avrebbe lasciata a piedi per sempre. Soldi
per una nuova non ce n'erano, con quello che guadagnava Piero
nell'impresa di pulizie riuscivano a mala pena a tirare avanti. Da
quando lei aveva perso il lavoro al bar, quello era l'unico stipendio
su cui potevano contare. Ogni tanto, i loro genitori li aiutavano con
le bollette, ma quello era il massimo che potessero fare. Fortuna che
il discount non era poi tanto lontano. Davanti a lei c'erano gli otto
piani di un casermone popolare della periferia industriale della
città. Industriale... una volta. Tutto intorno tanti altri palazzoni
altrettanto brutti e anonimi ospitavano un'umanità eterogenea e
multietnica, come testimoniavano le parabole che occhieggiavano dai
balconi. Alice si diresse verso il garage nella speranza che il
marito fosse riuscito a riparare il guasto.
“Ciao,
Alice.” Dal tono di voce esitante e imbarazzato, capì subito che
le cose non andavano bene. Anche se erano sposati solo da due anni,
era una vita che conosceva quel ragazzone grande e grosso e i suoi
timidi occhi azzurri non avevano segreti per lei.
“Ancora
niente?”
“Ci
sono quasi,” temporeggiò lui.
“Sono
due giorni che lo dici,” sbottò lei spazientita.
“Lo
so, piccola,” cercò di rabbonirla lui, sentendosi un po' in colpa,
“mi dispiace, mi dispiace vederti correre avanti e indietro a piedi
o col bus. Ma questo ferro vecchio diventa sempre più difficile da
riparare.”
“Va
bene, va bene, non morirò per questo...” rispose Alice con voce
rassegnata, “quando hai finito vieni su che ceniamo. Non fare
tardi, sono già quasi le sette.”
“Tranquilla,
piccola. Tra mezz'ora sono a casa.”
Alice
entrò nell'atrio e chiamò l'ascensore: era fermo all'ottavo piano.
Nell'attesa le narici le si riempirono degli odori della cena di
tutto il palazzo: zenzero, curcuma, cumino erano gli ambasciatori di
quel microcosmo variegato. In generale, le riusciva di andare
d'accordo con tutti, anche con i cinesi, che tutti consideravano una
comunità chiusa e misteriosa. Chissà se era vera quella storia che
i cinesi non muoiono mai – si chiese divertita. Aveva provato a
parlarne con la signora Wu, che faceva la parrucchiera in casa: “Miei
documenti legolali, non sapele niente di passapolti falsi!” le
aveva risposto allarmata. Fortuna la signora Wu che per pochi euro le
teneva in ordine i capelli. Anche se ogni tanto le rifilava qualche
biglietto della famigerata lotteria cinese... Mai vinto niente.
Finalmente...
l'ascensore era arrivato. Muhammed, il suo vicino eritreo, la salutò
educatamente mentre usciva dall'ascensore: “Buona sera, Alice.”
“Salve,
avvocato, vai a friggere le patatine?”
“Oggi
friggo le patatine, domani chissà...”
“Domani
pure,” mormorò Alice quando fu nell'ascensore, “e dopodomani lo
stesso.” Era difficile essere ottimisti quando anno dopo anno le
speranze si sbriciolavano lasciando solo una lunga scia di delusioni.
Al
sesto piano l'ascensore si fermò. All'uscita fu accolta dal suono di
musiche esotiche, pianti di bimbi e urla isolate. “Al solito,”
mormorò. Mentre metteva giù le buste della spesa per prendere le
chiavi, vide sullo zerbino un pacchetto avvolto in carta da
imballaggio, chiuso con lo scotch. Lo raccolse. Forse era caduto a
qualcuno, ma rigirandolo fra le mani notò il suo nome e indirizzo
scritti a mano con una grafia precisa e spigolosa. Era proprio per
lei, allora. “Sarà la solita pubblicità,” disse fra sé,
temendo qualche fregatura.
Entrata
in casa, posò la spesa sul tavolo del piccolo soggiorno arredato dal
rigattiere e portò il pacchetto nel cucinino. Prese le forbici e
iniziò a tagliare lo scotch. Una volta tolta la carta apparve
un'elegante scatola nera che conteneva un telefonino ultima
generazione: leggero, ultrasottile, nero, e, sul retro, a caratteri
argentati, la marca: Destiny.
“Mai
sentita 'sta marca, sarà la
solita cineseria; certo,
che nome...” pensò
rabbrividendo istintivamente,
“forse vogliono farsi solo pubblicità, ma se sperano che abbocco,
stanno freschi.” Nel prendere la scatola per rimettere a posto il
telefonino, cadde a terra un cartoncino rosso. Lo
raccolse, “Però...”
esclamò leggendo:
“DESTINY... il
destino nelle tue mani” Più
in basso, una breve nota impersonale avvertiva che: “Alle ore
ventuno un nostro incaricato le farà visita per illustrarle le
sorprendenti caratteristiche del nostro gadget, senza alcun
impegno da parte sua.”
“Ma
è uno scherzo?” Alice non riusciva a credere ai propri occhi,
“certo che le pensano proprio tutte per vendere.” Rimise il
telefonino nella scatola e lo riavvolse nella carta; “Così quando
arriva quello glielo restituisco immediatamente.” Poi mise
a posto la spesa e preparò la cena. Piero
arrivò puntuale; nel giro di
un'ora
sarebbe passato il furgoncino della ditta per portarlo al lavoro.
“E
la macchina?” chiese Alice speranzosa.
“Tranquilla,
per domani è pronta.”
“Meno
male, così domani posso
andare al centro commerciale senza prendere l'autobus. Mi hanno detto
che cercano hostess per fare
pubblicità ai prodotti. Meglio di niente.”
Dopo
cena Alice mostrò al marito
quella strana scatola.
Piero
sorrise divertito: “Se questi qui pensano di rifilarci qualcosa,
stanno freschi!”
“Capirai,
nemmeno lo faccio entrare,” disse lei risoluta.
“Mi
raccomando, metti la catenella e ridagli qell'aggeggio del diavolo,”
aggiunse il marito, poi guardò l'orologio: “Devo proprio andare, a
domani.”
“Tranquillo,”
lo rassicurò. Lui la baciò, come ogni sera prima di uscire per il
lavoro, ma mentre richiudeva la porta, Alice si sentì per un attimo
nel panico.
“Sciocchezze,”
mormorò. Non era tipo da spaventarsi facilmente. Quando lavorava al
bar aveva avuto a che fare con ogni tipo di persone ed era sempre
riuscita a tenere la giusta distanza senza essere antipatica o
superba. Le piaceva quel lavoro, non era solo per i soldi... il suo
sogno nel cassetto era di aprire un bar tutto suo. Ma ormai... Ancora
ricordava le parole di Carlo, il suo ex padrone, il giorno che le
aveva detto di aver venduto il locale: “Dopo tanti anni di lavoro è
ora di godermi la pensione in santa pace.”
“E
io?” aveva chiesto Alice.
“Vedrai
che i nuovi proprietari ti tengono, sei una ragazza sveglia e conosci
bene il lavoro. Io ti ci
metto una buona parola.”
Ma
i nuovi proprietari le
avevano dato il ben servito: “Ormai il lavoro è poco, qui intorno
stanno chiudendo fabbriche e negozi. Io
e mia moglie bastiamo e
avanziamo.” E tanto per
arrotondare, aveva riempito il locale di slot.
Ormai ci andavano solo i
giocatori, anche se l'avesse tenuta, non sapeva se le sarebbe
piaciuto restare lì a vedere la gente che
si rovinava.
Non era nel suo DNA fare
soldi sulle disgrazie altrui...
Prese
un libro e incominciò a leggere. Fortuna la biblioteca di quartiere,
almeno quel periodo di riposo forzato poteva impiegarlo a leggere,
senza scimunirsi davanti alla tivvù,
con quelle cretinate
di reality show. Le
piacevano soprattutto le storie d'amore che finivano bene, almeno
quelle. Ogni tanto la bibliotecaria le consigliava qualcosa
di diverso, come la storia di
quel poveraccio di un
portoghese che per diventare
ricco uccideva un mandarino cinese
suonando un campanello, e poi
viveva
di rimorsi per tutta la vita. Dopo
aver preso i soldi, però. Bella forza.
Sentì
suonare il campanello della porta.
“Deve
essere quello del telefonino,” pensò guardando l'orologio, “però,
puntuale...” chiuse
il libro, prese il pacchetto
e andò alla porta. Mentre
metteva la catenella si sentì un po' in ansia, in fondo se ne
sentivano tante... La donna
sul pianerottolo non era certo quello che si aspettava. Alta, magra,
assolutamente elegante nel suo tallieur nero, le gambe inguainate in
calze di seta nera, scarpe nere con tacco a spillo, per
restare in tema. Ma
quello che la sorprese di più era il volto perfettamente pallido in
cui spiccavano due profondi
occhi neri, i capelli,
altrettanto
neri, erano acconciati in un caschetto che terminava in ciuffi rosso
fuoco, andando a formare un'aureola inquietante. Sulle
mani indossava guanti
di pelle nera e
una costosa borsa griffata completava
il tutto. Un'eleganza
sicuramente fuori luogo e,
soprattutto, fuori stagione;
ma la sconosciuta sembrava perfettamente a suo agio: nemmeno una
goccia di sudore le imperlava la fronte.
“Buona
sera, signora De Nardis,” disse la donna con il tono sicuro di chi
sa esattamente cosa vuole.
“Vedo
che ha ricevuto il nostro pacchetto. Permette?” Alice, come in
trance, tolse la catenella e la fece entrare.
“Accogliente,”
fece la donna entrando nel soggiorno.
“Troppo
buona,” rispose Alice piccata, scuotendosi dallo
stupore suscitato in lei dalla vista di
quella specie di alieno.
L'altra
non sembrò darsene per inteso.
“Posso?”
chiese facendo cenno di sedersi.
“Ma
certo, si accomodi,” si affrettò a dire Alice, quasi scusandosi.
Quell'apparizione inattesa le aveva fatto dimenticare anche le più
elementari norme della buona educazione.
Quando
le due donne si furono sedute intorno al tavolo del soggiorno, la
misteriosa visitatrice trasse dalla borsa un cartoncino nero e lo
porse ad Alice. A caratteri rossi, vagamente orientali, poté
leggere; 'The Mandarin Corporation, uno squillo di telefono per
realizzare i tuoi desideri.”
“Chissà
perché, ma mi ricorda qualcosa,” pensò Alice.
“Permetta
che mi presenti. Io sono l'agente unico di quello che a buon diritto
si potrebbe definire un gruppo di filantropi...”
“Non
capisco...” mormorò Alice sospettosa, “ma cosa c'entra il
telefonino, non sarà mica una scusa per rifilarmi qualche prestito a
strozzo?”
“No,
No. Si tranquillizzi, siamo persone serie,” si affrettò a
rassicurarla l'altra, “Si può ben dire che siamo sulla piazza da
sempre.”
“E
lei sarebbe una di questi... filantropi?” chiese la ragazza con
ironia.
“No,
naturalmente no. Il mio ruolo è più quello di una cacciatrice di
teste, o di anime, mi piace pensare. Raccolgo dati, li analizzo e
scelgo i soggetti degni della nostra attenzione.”
“E
scommetto che io sarei una dei prescelti!” Alice iniziava a
spazientirsi, e se non fosse stata incuriosita dall'aura di mistero
che circondava la visitatrice, l'avrebbe già cacciata via.
“Esatto.
Lei ha il giusto profilo: giovane, determinata, nonostante le
difficoltà non ha ancora rinunciato ai suoi sogni...”
“E
lei che ne sa di me?”
“Sappiamo
del suo sogno di aprire un locale tutto suo, per dare una svolta alla
sua vita e a quella di suo marito. Sappiamo che le piace giocare
pulito, che ha dei principi etici. Vede, ai miei padroni, pardon,
datori di lavoro, piacciono le sfide.”
“Ma
cos'è, il Grande Fratello?” A quel punto Alice incominciò ad
allarmarsi.
“Semplicemente
mi piace far bene il mio lavoro,” si affrettò a rassicurarla la
sconosciuta, e Alice non poté fare a meno di notare a certa
civetteria nel modo in cui l'aveva detto.
“Ma
torniamo al motivo della mia visita. Sono qui per farle una proposta
seria e cospicua: un milione di euro per realizzare i suoi sogni.”
“Ah,
e chi dovrei ammazzare per meritarmi questa valanga di soldi?”
improvvisamente le era tornata alla mente quella strana storia del
Mandarino.
“Vedo
che ha afferrato subito il nocciolo della questione, del resto, non
ho mai dubitato di lei,” replicò senza scomporsi la sconosciuta.
“Guardi
che io dicevo per dire, mi ero solo ricordata di una vecchia
storia...”
“Sapesse
quante verità si nascondono in una vecchia storia.”
“Non
dirà mica sul serio? Lei è venuta a propormi un omicidio?”
“Io
sono venuta a darle l'occasione della sua vita.”
“Ma
mi ha preso forse per un killer della mafia?”
“Non
si allarmi, non è un lavoro di bassa macelleria che le offriamo, ci
mancherebbe. Per di più farei un cattivo affare. No, si
tranquillizzi, non dovrà usare né armi né veleno o altro.”
“Ah
no, e come avverrebbe la cosa? Basta il pensiero? O devo suonare
qualche campanellino magico?” chiese Alice che non sapeva se
arrabbiarsi o ridere, la cosa le sembrava sempre di più uno scherzo
di cattivo gusto.
“Vedo
che ho suscitato il suo interesse,” rispose l'altra senza darsene
per inteso, “Cosa crede, ci siamo aggiornati anche noi. E' qui che
entra in gioco il nostro Destiny. Ora le mostro.” Prese il
pacchetto che Alice aveva appoggiato sul tavolo ed estrasse il
telefonino. Digitò la password e quello si illuminò.
“Ecco,
ora è pronto,” continuò la sconosciuta con la stessa disinvoltura
un po' annoiata del piazzista che recita a memoria una formula ormai
collaudata, “basta che lei apra la app “Ring my Bell”, e
immediatamente darà avvio ad una catena di eventi che culmineranno
con il decesso del soggetto selezionato, che sarà per lei un
perfetto sconosciuto: nessuno potrà incolparla di niente.”
Alice
ebbe un brivido lungo la schiena: “Proprio un bel gusto del
macabro, non c'è che dire. E voialtri cosa ci guadagnereste?”
“Gliel'ho
detto, ai miei datori di lavoro piacciono le sfide, e lei ci è
sembrata un candidato perfetto.”
“Ora
capisco... state giocando con la mia anima. Cos'è che mi rende così
interessante, la mia povertà?” Replicò Alice con amarezza.
“Non
deve sentirsi umiliata, anzi. Le assicuro che con un ricco sarebbe
stato molto più semplice, perché chi è ricco conosce bene il
valore del danaro e tutti i vantaggi che ne derivano, soprattutto
quando i rischi li corrono gli altri,” si affrettò a blandirla
l'altra.
“Ammesso
e non concesso che io fossi disposta a mettere in gioco la mia anima
e a vivere tutta la vita con questo rimorso, chi mi assicura che non
è uno scherzo come quelli che si vedono in televisione, o, peggio,
mi state usando come cavia per chissà quale diavoleria...” iniziò
Alice titubante. L'altra afferrò al volo quell'attimo di cedimento.
“Ma
cara signora,” iniziò a dire con voce suadente, “se non è vero
sarà stato solo un piacevole diversivo nella sua serata solitaria.
Basterà rimettere il telefonino dove lo ha trovato, e penseremo noi
a ritirarlo e la cosa finisce lì. Ma se, come le garantisco, è
tutto vero, lei ora ha letteralmente il suo destino nelle mani.”
“Ma
a che prezzo...” la ragazza rabbrividì.
“Tutto
ha un prezzo, anche l'infelicità. Perché non provare a pagare
quello della felicità, per una volta? Ci pensi, ha una settimana di
tempo.” Non c'era che dire, la cacciatrice di anime sapeva essere
convincente.
“E...
se rifiutassi la sua offerta?” chiese la ragazza in tono di
sfida.
“E' il privilegio e il tormento del libero arbitrio,” rispose l'altra, quasi come se la invidiasse.
“E' il privilegio e il tormento del libero arbitrio,” rispose l'altra, quasi come se la invidiasse.
Alice
era così frastornata che nemmeno si accorse che la nera visitatrice
era uscita chiudendosi dietro la porta.
Ma
era tutto vero, era capitato proprio a lei, e chi era quella matta
che si divertiva a tormentarla? Alice non sapeva che pensare.
“E
adesso?” Il suo primo istinto fu di prendere quel maledetto
telefonino e di buttarlo dalla finestra. Ma il suo buon senso
prevalse.
“E
se quella me lo fa pagare? Magari era tutta una messa in scena per
rifilarmi il telefonino,” pensò, cercando di dare una spiegazione
razionale a quello che le era appena successo. Ma dentro di sé
sapeva che non reggeva.
Già
il fatto di averla messa in crisi era una sconfitta per lei. L'Alice
che conosceva, l'Alice che credeva di essere non avrebbe esitato un
attimo a restituire il telefonino a quella macabra piazzista e a
mandarla al diavolo. Ad un tratto si sentì vecchia e stanca.
“Ora
basta, me ne vado a dormire, e domani rimetto il telefonino dove l'ho
trovato. A Piero, comunque, non voglio dire niente, mi prenderebbe in
giro per un mese.”
Ma
la notte fu agitata da incubi di ogni genere. Ora si vedeva inseguita
dalla sua visitatrice, che, brandendo un lazo, le gridava: “Mi devi
un'anima.” Un'altra volta sognava sé stessa mentre premeva il
tasto fatidico e nello stesso momento un'enorme esplosione
disintegrava il suo palazzo lasciando al suo posto un enorme fungo
atomico.
Quando
Piero rincasò, come sempre, alle cinque del mattino, la trovò che
si agitava e farfugliava parole senza senso, riuscì solo a capire:
“Aiuto, aiuto...” Il marito allora, diede uno scossone al
materasso: la ragazza si rigirò e riprese a dormire un sonno pesante
e, finalmente, senza sogni.
Quando
si svegliò era ormai mattina inoltrata, “Caspita sono le dieci!
Che nottataccia.” Piero non era più a letto, e dal profumo di
caffè capì che stava facendo colazione. Lo raggiunse in cucina.
“Tieni,
ho fatto il caffè anche per te. Chi è che ti correva dietro
stanotte?” le chiese il marito, guardandola con curiosità.
“Perché,”
chiese lei allarmata.
“Mah,
ti agitavi e gridavi aiuto come se avessi il diavolo alle
calcagna...” disse lui scherzoso.
“Mah,
sarà quel film horror che ho visto ieri sera alla tivvù,” disse
lei con finta nochalance, poi cercò di cambiare discorso, “come
mai sei già in piedi?”
“Voglio
finire le riparazioni sulla macchina. Ormai manca poco.”
“Bene,
così posso andare al centro commerciale questo pomeriggio,” fece
lei con un tono di voce solo apparentemente tranquillo.
“A
proposito,” disse Piero indicando il pacchettino, ”si è fatto
vedere nessuno?”
“Ah,
quello...” fece lei cercando di trovare una scusa, “avevi ragione
tu, volevano rifilarmi il telefonino. E' passato un tizio che mi ha
detto che me lo lascia in visione una settimana e poi passa a
riprenderselo se non lo voglio.”
Quando
il marito se ne fu andato, Alice rimase sola con i suoi pensieri.
Aprì il pacchetto e prese il telefonino. Ovviamente, era solo uno
scherzo di pessimo gusto. Ovviamente non era vero niente... o no?
Certo se fosse stato tutto vero, quell'aggeggio avrebbe potuto
rappresentare il punto di svolta della sua vita! Sì. Il punto di
svolta per l'inferno... Alice, torna in te! Certo, quando non hai
scelta è moto più facile giocare pulito! E intanto le tornavano in
mente le parole di quella strana donna: “Perché non pagare il
prezzo della felicità, per una volta?” Ma che le veniva in mente?
Certo che ne avrebbe potute fare di cose, con un milione di euro...
Ma era proprio il suo il dito che stava per sfiorare quella maledetta
icona?
Alice,
fermati! C'è di mezzo una vita umana...
Ma
dai, è tutto uno scherzo... Come in televisione, scommetti che se
apro la app compare qualcuno che mi dice “Sei su scherzi a parte?”
Toccò
l'icona e...
“Non
è successo un bel niente!” esclamò. O meglio, il telefonino si
era spento immediatamente e non pareva che avesse voglia di
resuscitare.
“Ma
che succede?” esclamò incredula, “non sarà mica un trucco per
farsi rimborsare il telefonino con la scusa che l'ho rotto?”
I
suoi sentimenti erano contraddittori, da un lato si sentiva sollevata
- era solo uno squallido sotterfugio - dall'altra sentiva montare
dentro di sé la rabbia.
“La
coscienza, il libero arbitrio... mi ha preso in giro per bene quella
là. Appena la rivedo le do il fatto suo.” Non riusciva a credere
che quella donna fosse riuscita a trasformarla per un attimo in una
cinica assassina assetata di soldi. Non riusciva proprio a crederci.
Quando
Piero tornò su per pranzo, la macchina era ormai a posto.
“Mi
raccomando, al solito, vai piano e non frenare bruscamente. Là si
tiene tutto con lo sputo.”
“Lo
saprò?” lo tranquillizzò lei sovrappensiero: ancora non riusciva
a capacitarsi di come di come si era fatta prendere in giro.
Finito
il pranzo, il marito tornò a letto e Alice uscì per andare al
centro commerciale. Dopo qualche tentativo la macchina finalmente
partì. Tirò un sospiro di sollievo. Per strada non c'era tanto
traffico, era ancora presto e faceva un caldo infernale. Per un
attimo le si chiusero gli occhi, quando li riaprì vide in lontananza
un'ombra scura sulla sua corsia.
“Ma
cos'è?” Man mano che si avvicinava si delineava una sagoma umana.
Iniziò a suonare il clackson.
“Ma
perché non si sposta? Ma che ci fa quella matta in mezzo alla
strada?” Era proprio lei, la misteriosa visitatrice piantata sulla
strada che la con la sua mano guantata le faceva cenno di
avvicinarsi.
“Ma
togliti di mezzo, stupida, o ti tolgo di mezzo io,” gridò
infuriata e calcò il piede sull'acceleratore. La donna si trovava
ora proprio davanti alla sua macchina, impassibile, immobile.
Improvvisamente la macchina iniziò a sbandare, “Maledetto
macinino,” imprecò Alice cercando inutilmente di rallentare, poi
senza sapere come, si trovò sull'altra corsia, proprio mentre
sopraggiungeva quell'enorme tir nero...
Piero
gironzolava per la casa vuota come un sonnambulo. Era passata una
settimana dalla morte di Alice e ancora continuava a rivivere quel
maledetto, stranissimo pomeriggio. Nel giro di un'ora era passato
dalla gioia alla disperazione più nera. Prima la signora Wu che gli
annunziava la vittoria alla lotteria cinese, “Un milione di eulo,
ola siete licchi.” Aveva cercato di chiamare Alice sul telefonino,
ma stranamente non era riuscito a contattarla. Poi, aveva ricevuto la
chiamata dall'ospedale, e il mondo gli era crollato addosso. I suoi
pensieri furono interrotti dal campanello d'ingresso.
Quale
fu la sorpresa quando, nell'aprire la porta, si trovò davanti quella
donna, a suo modo bella, ma inquietante con quell'aureola di
fiammelle rosse intorno al viso, per non parlare del modo in cui era
vestita, in una giornata bollente come quella.
“Siete
forse dell'agenzia funebre?” Chiese Piero timidamente.
“No,”
disse la donna trattenendo un sorrisetto ironico, “sono venuta a
ritirare un gadget che avevo lasciato in visione alla sua povera
moglie.”
“Ah,”
non riusciva a capire, poi improvvisamente gli tornò in mente, “ma
voi siete quelli del telefonino, prego si accomodi,” anche quello
poteva essere un diversivo alla sua solitudine.
Quando
si furono seduti intorno al tavolo, la donna si tolse il guanto
destro e gli tese la mano: “Mi permetta di farle le mie
condoglianze, ho letto sui giornali...”
“Grazie,
grazie,” rispose Piero trattenendo a stento la commozione, ma nello
stringerle la mano sentì come un brivido di freddo corrergli lungo
la schiena, “ora le vado a prendere il telefonino.”
Quando
la donna ebbe fra le mani il pacchetto, lo scartò e controllò il
telefonino.
“Tutto
a posto?” si informò il vedovo.
“Oh,
sì. Tutto perfettamente a posto,” rispose la sconosciuta con aria
soddisfatta.
“Sa,”
iniziò Piero, che aveva un terribile bisogno di sfogarsi, sia pure
con una sconosciuta, “la mia povera Alice era una ragazza precisa e
corretta, non avrebbe fatto male ad una mosca, e poi... era così
prudente con quel vecchio macinino, ma la polizia ha detto che andava
a tutta velocità quando ha perso il controllo della macchina, non
riesco proprio a capire cosa le sia passato per la mente in quel
momento... è da una settimana che continuo a chiedermelo.”
“Sa
come si dice, è difficile conoscere veramente gli altri quando non
conosciamo nemmeno noi stessi.” Quelle parole, pronunciate con un
tono serio e senza ombra di ironia, colpirono Piero profondamente,
perché lui era sempre stato sicuro di conoscerla bene,
FINE
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