venerdì 3 luglio 2015

Un tetto per la notte


Testa o croce

 

Un altro titolo per questo breve racconto (A Lodging for the Night, 1877) potrebbe essere Un'avventura di François Villon. Il protagonista di quest'avventura notturna, in una Parigi trasformata dalla neve in un paesaggio fantastico e minaccioso, è proprio il poeta vagabondo (Parigi, 8 aprile 1431 o 1432 – dopo l'8 gennaio 1463) autore della famosa Balladedes pendus (La ballata degli impiccati, 1462), dove invoca pietà per i ladri e gli assassini della cui consorteria faceva parte a pieno titolo. Laureatosi in lettere alla Sorbona, perseguitato dalla miseria, fu spesso coinvolto in furti e risse, fino ad essere condannato a morte, riuscendo sempre a sfuggire alla forca. Per Stevenson, Villon rappresenta l'ambiguità dell'essere umano, capace, allo stesso tempo, di compiere grandi bassezze e creare sublime bellezza, sempre in balia del capriccio del caso. L'universo disegnato da Stevenson non è più quello deterministico del Medioevo, dove a ciascuno veniva assegnato un destino fin dalla nascita, e nemmeno quello del rinascimento italiano, dove ognuno poteva essere faber fortunae sui. E,' invece, un universo caotico dove regna il caso, testa o croce, appunto, come la misera moneta che Villon non esita a rubare dal cadavere di una povera prostituta morta dal freddo, che diventa emblema della bassezza a cui anche una grande anima può arrivare se spinta dai bisogni più elementari, ma anche simbolo della precarietà della condizione umana (tema centrale della famosa Ballade des dames du temps jadis). Al vecchio gentiluomo che gli dà asilo durante la notte, e che cercherà, invano, di fare appello alla sua cultura e ai suoi buoni sentimenti, Villon replica con amaro cinismo “Ma se io fossi nato signore di Brisetout, e voi foste il povero chierico François... Non sarei io il soldato e voi il ladro?”
E in un mondo ingiusto e diseguale, oggi come ieri, sembra che a dominare le nostre vite sia ancora il caso, a dispetto di tutti i nostri deliri di onnipotenza.
 

*Anche De Andrè si è ispirato a Villon e ha messo in musica La ballata degli impiccati

*Georges Brassens ha invece messo in musica La ballade des dames du temps jadis 

*Una selzione delle poesie più famose di di Villon: Ballate del tempo che se ne andò. Poesie scelte. Testo francese a fronte
Villon François, cur. Mussapi R., 2008, Il Saggiatore


*Un bel fil per riflettere sull'importanza del caso nelle nostre vite solo apparentemente programmate e prevedibili: Match Point di Woody Allen, 2005


Un tetto per la notte

di
Robert Louis Stevenson, 1877



Île de la Cité


Era la fine di novembre del 1456. La neve cadeva su Parigi con gelida e spietata pertinacia; a volte il vento faceva le sue sortite e la spargeva intorno in fugaci mulinelli; a volte c'era bonaccia, e fiocco dopo fiocco scendeva giù dalla nera aria della notte, silenziosa, vorticosa, interminabile. Alla povera gente, che guardava al cielo da sotto le sopracciglia umide, sembrava un mistero da dove potesse venirne così tanta. Quel pomeriggio, Mastro François Villon aveva proposto un rompicapo, davanti alla finestra di una taverna: era soltanto il pagano Giove che spennava oche sull'Olimpo? O erano i santi angeli che mutavano le penne? Egli era solo un povero maestro di belle lettere, proseguì, e dal momento che il problema toccava in qualche modo il divino, non osava azzardare una conclusione. Un vecchio prete matto proveniente da Montagris, che era della combriccola, offrì alla giovane canaglia una bottiglia di vino in onore alla facezia e alle smorfie che l'avevano accompagnata, e giurò sulla sua barba bianca che era stato proprio un altro cagnaccio irriverente quando aveva l'età di Villon. 


L'aria era aspra e pungente, ma non molto sotto lo zero, e i fiocchi erano grandi, umidi e appiccicosi. L'intera città intera ne era ricoperta. Un esercito in marcia avrebbe potuto attraversarla da un capo all'altro e non un rumore di passi avrebbe dato l'allarme. Se qualche uccello s'era attardato in cielo, l'isola dovette sembrargli una grande chiazza bianca, e i ponti delle sottili aste bianche sullo sfondo nero del fiume. Su in alto la neve si adagiava nei trafori delle torri della cattedrale. Molte nicchie ne erano ricolme, molte statue indossavano lunghi cappucci bianchi sulle loro teste grottesche o sante. Le gargolle erano state trasformate in grossi nasi posticci, che si piegavano verso la punta. I rampanti rassomigliavano a cuscini verticali gonfi da un solo lato. Negli intervalli del vento si udiva un monotono gocciolare intorno al perimetro della chiesa. Il cimitero di san Giovanni aveva avuto la sua parte di neve. Tutte le tombe ne erano discretamente coperte, le alte cime imbiancate dei tetti si ergevano intorno formando una solenne schiera; i ricchi borghesi erano da tempo a letto, incappucciati come le loro dimore; in tutto il circondario non c'era altra luce che la fiammella di una lampada che dondolava nel coro della chiesa e gettava ombre che andavano avanti e indietro al suo oscillare. L'orologio segnava a mala pena le dieci quando la ronda di notte passò con le alabarde e una lanterna, battendo le mani, e non videro niente di sospetto intorno al cimitero di san Giovanni. Tuttavia c'era una casupola, appoggiata al muro del cimitero, che era ancora sveglia, e sveglia con cattivi propositi, mentre intorno tutto il distretto russava. Non c'era molto che lo tradisse all'esterno, solo un rivolo di vapore caldo che usciva dal comignolo, una chiazza sul tetto dove la neve si era sciolta, e delle impronte di piedi, in parte cancellate, vicino alla porta. Ma dentro, dietro le finestre chiuse, Mastro François Villon, il poeta, e alcuni della banda di ladruncoli con cui era in combutta, stavano trascorrendo una notte animata passandosi la bottiglia. Una grande catasta di tizzoni ardenti diffondeva un intenso bagliore rossastro dal camino a volta. Davanti a questo, si era piazzato Dom Nicolas, il monaco della Picardia, con la sottana tirata su e le sue grasse gambe esposte a quel calore confortevole. La sua enorme ombra tagliava la stanza a metà, e la luce del focolare si irradiava solo ai lati della sua ampia corporatura, e in una piccola pozza in mezzo ai suoi piedi divaricati. 




La sua faccia aveva l'aspetto ebro e livido del bevitore abituale, era ricoperta da un reticolo di vene congestionate, rosso cupo in circostanze ordinarie, ma ora viola pallido, perché, anche con la schiena al caldo, il freddo lo pungeva dall'altra parte. Il suo cappuccio era mezzo caduto all'indietro, e formava una strana escrescenza ai lati del suo collo taurino. Se ne stava così, borbottando, e tagliava la stanza in due con l'ombra della sua imponente corporatura. Alla sua destra, Villon and Guy Tabary erano stretti l'un l'altro su di un pezzo di pergamena; Villon stava scrivendo una ballata che avrebbe chiamato “Ballata del pesce arrosto,” mentre Tabary sputacchiava ammirazione alle sue spalle. Il poeta era uno straccio d'uomo, scuro, piccolo e magro, con le guance scavate e sottili riccioli neri. Portava i suoi ventiquattro anni con febbrile animazione. L'avidità aveva scavato rughe intorno ai suoi occhi, sorrisi maligni avevano increspato la sua bocca. Il lupo e il maiale si combattevano nella sua faccia. Era una fisionomia eloquente, tagliente, brutta, materiale. Le sue mani erano piccole e prensili, con dita nodose come una corda, e si muovevano in continuazione davanti a lui, in una violenta pantomima espressiva.





 In quanto a Tabary, una crassa, compiacente, ammirata imbecillità spirava dal suo naso camuso e dalle sue labbra bavose; era diventato un ladro, ma sarebbe potuto diventare altresì il più rispettabile dei borghesi, grazie alla tirannia del caso che domina le vite delle oche e degli asini umani. Dall'altro lato del monaco, Montigny e Thevenin Pensete stavano giocando d'azzardo. Sul primo erano ancora evidenti i segni di una buona nascita ed educazione, come su di un angelo caduto; nella sua persona c'era qualcosa di slanciato, flessuoso e raffinato, qualcosa di rapace e fosco nel volto. Thevenin, povero diavolo, era in gran forma, aveva messo a segno un buon colpo quel pomeriggio nel Faubourg St. Jacques, ed era tutta la notte che continuava a vincere al gioco Thevenin. Un sorriso idiota gli illuminava la faccia, la sua testa pelata, circondata da una ghirlanda di riccioli rossi, aveva riflessi rosati, il suo stomaco appena sporgente sobbalzava al suo sommesso ridacchiare ogni volta che rastrellava una vincita. “Raddoppi o lasci?” disse Thevenin. Montigny fece un torvo cenno di assenso.
C'è chi banchetta in ogni momento,” scriveva Villon, “con pane e cacio su un piatto d'argento. O, o.... dammi una mano, Guido!” Tabary ridacchiò. “O con prezzemolo su un piatto d'oro,” aggiunse il poeta. All'esterno, il vento diventava più freddo e spingeva la neve davanti a sé lanciando, di tanto in tanto, un vittorioso grido di guerra che si trasformava in lamenti funerei giù per il comignolo. Il freddo diventava più tagliente man mano che la notte avanzava. Villon, sporgendo le labbra, ne imitò le raffiche emettendo un suono a metà tra il fischio e il lamento. Quel talento misterioso e raccapricciante del poeta era grandemente detestato dal monaco della Picardia. “Lo sentite come picchia sul patibolo?” disse Villon. “Tutti danzando la giga del diavolo per niente, lassù. Miei cari bellimbusti, danzate pure, non per questo vi scalderete. Caspita, che colpo! Qualcuno è andato giù proprio adesso! Una nespola in meno, sul nespolo a tre gambe! Che dite, Dom Nicolas, farà freddo questa notte sulla strada per St. Denis?” chiese. Dom Nicolas strizzò gli occhi e sembrò che gli andasse di traverso il pomo d'Adamo. Montfaucon, la grande, orribile forca di Parigi, si trovava proprio sulla strada per St. Denis, e quella facezia lo aveva toccato sul vivo. 


 

In quanto a Tabary, rideva a crepapelle per la battuta delle nespole; non aveva mai sentito niente di più spiritoso, e si teneva i fianchi mentre ragliava. Villon gli propinò un buffetto sul naso, che trasformò le sue risate in un attacco di tosse.
Oh, fatela finita,” disse Villon, “e pensate alle rime con pesce!”
Raddoppi o lasci?” ripeté Montigny, caparbiamente.
Con tutto il cuore,” rispose Thevenin.
E' rimasto qualcosa in quella bottiglia?” chiese il monaco.
Aprine un'altra,” disse Villon. “Come puoi mai sperare di riempire quella grossa botte che è il tuo corpo, con cosucce come le bottiglie. E come credi di andare in cielo? Quanti angeli, pensi, debbano essere messi a disposizione per portare su dalla Piccardia un solo monaco? O pensi di essere un altro Elia, e invieranno il cocchio apposta per te?”
... Hominibus impossibile,” replicò il monaco, mentre si riempiva il bicchiere.
Tabarry era in estasi. Villon gli diede un altro buffetto sul naso. “Ridi alle mie battute, se ti va,” disse. “Ma anche la sua era buona,” obbiettò Tabary. Villon gli fece una boccaccia. “Pensa alle rime con pesce,” disse. “Cos'hai a che spartire con il latino, tu? Desidererai di non averlo mai saputo il giorno del giudizio, quando il diavolo verrà a prendersi l'anima di Guido Tabary, chierico, il diavolo con la gobba e gli artigli rossi. Parlando del diavolo,” aggiunse, sottovoce, “date un'occhiata a Montigny!” Tutti e tre guardarono di sottecchi il giocatore. Non sembrava contento di come gli stavano andando le cose. La bocca era leggermente tirata di lato, una narice era quasi chiusa, un'altra era dilatata. Aveva il cane nero sulla schiena, come si suol dire, usando una terrificante metafora per bambini, e respirava affannosamente sotto quel sinistro fardello.
Ha tutta l'aria di volergli dare una coltellata,” mormorò Tabary, con gli occhi spalancati.
Il monaco trasalì, si girò e allungò le mani verso i carboni ardenti. Era il freddo che tormentava Dom Nicolas, non certo un eccesso di sensibilità morale.
Forza,” disse Villon, “torniamo alla ballata. Come va fin qui?” E battendo il tempo con la mano, la lesse ad alta voce a Tabary. Furono interrotti alla quarta rima da un rapido e fatale movimento dei giocatori. Avevano finito il giro, e Thevenin era sul punto di aprire la bocca per proclamare un'altra vittoria, quando Montigny balzò in piedi, rapido come una serpe, e lo pugnalò al cuore. Il colpo fece il suo effetto prima che l'altro potesse emettere un sol grido, prima che avesse il tempo di muoversi. Un paio di tremori convulsi gli scossero il corpo, le sue mani si aprirono e si chiusero, i talloni batterono sul pavimento, poi la sua testa rotolò all'indietro riversandosi su una spalla, gli occhi spalancati, e lo spirito di Thevenin Pensete ritornò da Colui che l'aveva creato. Tutti balzarono in piedi, ma la faccenda si concluse in pochi secondi. I quattro compari ancora vivi si scambiarono occhiate esterrefatte, il morto fissava un angolo del soffitto con un'espressione singolare e terribile.
Mio Dio!” disse Tabary, e iniziò a pregare in latino.
Villon scoppiò in una risata isterica. Avanzò di un passo e si piegò in un ridicolo inchino a Thevenin, e rise ancora più forte. Poi, improvvisamente, si sedette, completamente sconvolto, su di uno sgabello, e continuò a ridere amaramente, come se volesse scuotersi fino a cadere a pezzi.
Montigny fu il primo a recuperare la calma. “Vediamo che cosa ha addosso,” esclamò, e alleggerì le tasche del morto con mano pratica e divise il denaro in quattro mucchi uguali sul tavolo. “Questo è per voi.” disse.
Il monaco ricevette la sua parte con un profondo sospiro, e uno sguardo fugace al morto, che incominciava a sprofondare su sé stesso e a scivolare giù dalla sedia. “Ci siamo dentro tutti,” gridò Villon, inghiottendo la sua allegria. “C'è forca per ogni singola canaglia che si trova qui dentro – per non parlare di quelli che non ci sono.” Fece un gesto terrificante alzando in aria la mano destra, poi tirò fuori la lingua e piegò la testa di lato, per imitare l'aspetto di un impiccato. Poi intascò la sua parte delle spoglie, ed eseguì qualche passo di danza come per riavviare la circolazione. Tabary fu l'ultimo a servirsi, si avvicinò velocemente al danaro e si ritirò dall'altra parte della stanza. Montigny raddrizzò Thevenin sulla sedia, tirò via il pugnale e dalla ferita sprizzò fuori un getto di sangue. “Voialtri fareste bene a muovervi,” disse, mentre puliva la lama sul farsetto della sua vittima. “Penso proprio che dovremmo,” approvò Villon, con un singulto. “Dannazione alla sua grossa testa!” gridò. “Mi si attacca in gola come il catarro. Che diritto ha un uomo di avere i capelli rossi quando è morto?” E di nuovo si accasciò sconvolto sullo sgabello, e si coprì il volto con le mani. Montigny e Dom Nicolas risero forte, perfino Tabary si unì a loro con una flebile risatina. “Piangi, bimbo!” disse il monaco. “Ho sempre detto che era una femminuccia,” aggiunse Montigny, con un ghigno.” “Non puoi stare seduto dritto, tu?” continuò, dando un altro scossone al corpo dell'ucciso. “Spegni quel fuoco, Nicolas!” Ma Nicolas aveva di meglio da fare, stava pian piano sfilando la borsa a Villon, mentre il poeta sedeva, accasciato e tremante, su quello sgabello dove tre minuti prima stava componendo una ballata. Montigny e Tabary reclamarono a cenni una parte del bottino, che il monaco promise silenziosamente mentre nascondeva la piccola borsa in petto, sotto la tonaca.






 A ben considerare, una natura artistica non si confà ad un'esistenza pratica. Appena il furto fu compiuto, Villon si scosse, saltò in piedi e aiutò a spargere e a spegnere i tizzoni. Nel frattempo Montigny aprì la porta e spiò fuori con circospezione. La strada era vuota, in vista non c'era nessuna pattuglia di ficcanasi. Tuttavia, ritennero più saggio, sgusciare via separatamente, e dal momento che Villon aveva fretta di sfuggire alla vista del morto Thevenin, e che gli altri avevano ancora più premura di liberarsi di lui prima che scoprisse di non avere più il denaro, per generale approvazione, fu il primo ad uscire in strada. Il vento aveva trionfato e aveva spazzato via tutte le nuvole dal cielo. Solo qualche velatura, sottile come il chiaro di luna, veleggiava rapidamente tra le stelle. Era un freddo gelido e, per un banale effetto ottico, le cose sembravano quasi più nitide che in pieno giorno. La città dormiente era completamente ferma: una confraternita di cappucci bianchi, un campo pieno di piccole Alpi, sotto le stelle scintillanti. Villon maledisse la sua fortuna. Avrebbe voluto che nevicasse ancora! Ora, dovunque andasse, era ancora legato alla casa presso il cimitero di san Giovanni; dovunque andasse, intesseva, con i suoi passi pesanti, la corda che lo collegava al crimine e che lo avrebbe consegnato alla forca. L'espressione del morto gli ritornava in mente con un nuovo significato. Schioccò le dita come per darsi uno scossone e, scegliendo una strada a caso, si avviò coraggiosamente nella neve. Due cose lo preoccupavano mentre andava: la prima era la sagoma della forca a Montfaucon in quella parte chiara e ventosa della notte; la seconda era l'immagine del morto e la sua ghirlanda di capelli rossi. Entrambe gli gelavano il cuore, ed iniziò ad accelerare l'andatura, come se potesse sfuggire a quegli spiacevoli pensieri con la semplice velocità del suo passo. A volte si guardava indietro con un improvviso scatto nervoso, ma era lui l'unica cosa a muoversi per le strade bianche, eccetto quando il vento sbucava da dietro un angolo e sparpagliava in sbuffi di polvere scintillante la parte di neve che stava iniziando a gelare. Improvvisamente, vide in lontananza una massa nera e un paio di lanterne. La massa nera era in movimento e le lanterne oscillavano come se portate da uomini in cammino. Era una pattuglia. E sebbene fosse soltanto sulla sua stessa linea di marcia, giudicò più saggio portarsi fuori dalla loro visuale il più velocemente possibile. Non se la sentiva di affrontarli, e si rendeva conto che stava lasciando tracce molto evidenti sulla neve. Proprio sulla sua sinistra c'era un grande edificio, con alcune torrette e un grande portico all'ingresso, si ricordò che era semi diroccato ed era rimasto vuoto a lungo, così fece tre passi in quella direzione e saltò per mettersi al riparo del portico. Lì sotto era buio pesto, dopo lo scintillio delle strade innevate, e stava avanzando a tentoni con le mani tese in avanti, quando inciampò in qualcosa che offriva un indescrivibile miscuglio di resistenze, dure e soffici, sode e molli. Il cuore gli balzò in petto, scattò indietro di due passi e fissò l'ostacolo con raccapriccio. Poi, ebbe una risatina di sollievo. Si trattava solo di una donna. Ed era morta. Le si inginocchiò accanto per accertarsene. Era gelida, e rigida come un bastone. Il vento faceva svolazzare intorno ai suoi capelli i brandelli di una piccola acconciatura cenciosa, e le guance erano state pesantemente imbellettate quello stesso pomeriggio. Le sue tasche erano quasi vuote, ma nelle calze, sotto la giarrettiera, Villon trovò due monetine conosciute con il nome di blanc. 

Stufa – miniatura da Valerio Massimo – XV secolo


Era abbastanza poco, ma sempre qualcosa, e il poeta fu preso da un profondo senso di pietà al pensiero che fosse morta prima di poter spendere il danaro. Gli sembrò un mistero oscuro e penoso, e girò lo sguardo dalle monete nella sua mano alla donna morta, e di nuovo alle monete, scuotendo la testa sul mistero della vita umana. Enrico V d'Inghilterra, che moriva a Vincennes appena conquistato la Francia, e quella povera sgualdrina stroncata da una folata di gelo davanti alla porta di un grande uomo prima di avere avuto il tempo di spendere le sue due monete, gli sembravano un modo crudele di stare al mondo. Ci sarebbe voluto così poco tempo per spendere due blanc, eppure avrebbero significato ancora un buon sapore in bocca, ancore uno schiocco di labbra, prima che il diavolo si prendesse l'anima, e il corpo fosse abbandonato agli uccelli ed ai vermi. Quanto a lui, avrebbe voluto usare tuta la sua cera prima che la fiamma si spegnesse e la lanterna si rompesse.
Mentre gli passavano quei pensieri per la mente, si frugava addosso meccanicamente, in cerca della sua borsa. Improvvisamente il suo cuore cessò di battere, era come se dei cristalli di ghiaccio gli salissero su da dietro le gambe, e un colpo glaciale gli cadesse sulla testa. Rimase pietrificato per un attimo, poi, con un movimento febbrile, si frugò di nuovo, infine realizzò la sua perdita, e all'improvviso si coprì di sudore. Per gli scialacquatori il danaro è una cosa viva e reale – è un sottile velo tra loro e i loro piaceri! C'è un solo limite alla loro ricchezza – quello del tempo, e uno scialacquatore con sole poche corone è l'imperatore di Roma finché non le ha spese. Per una tale persona perdere il proprio denaro è il più tremendo dei rovesci, è cadere dal cielo all'inferno, da tutto a niente, in un soffio. E maggiormente se ha messo la testa nel cappio per averlo, se può essere impiccato domani per quella stessa borsa, guadagnata a così caro prezzo, così scioccamente persa! Villon si alzò in piedi e bestemmiò, gettò i due blanc nella strada, alzò il pugno al cielo, batté i piedi, e non fu per niente scosso quando si rese conto che stava calpestando quel povero corpo. Quindi iniziò a ripercorrere rapidamente i suoi passi verso la casa presso il cimitero. Aveva dimenticato ogni paura della pattuglia, che, ad ogni modo, era andata via da tempo, e non aveva altro pensiero se non quello della sua borsa smarrita. Invano, guardò a destra e a sinistra nella neve, non si vedeva niente. Non l'aveva persa per strada. Gli era caduta nella casa? Avrebbe ardentemente voluto andare a vedere, ma l'idea di quel terrificante inquilino lo scoraggiò. E inoltre, mentre si avvicinava, si accorse che i loro sforzi per spegnere il fuoco non avevano avuto successo, al contrario, lo avevano ravvivato, e attraverso le fessure della porta e della finestra si vedeva la sua luce fluttuante che riaccese il suo terrore per le autorità di Parigi e per la forca. Ritornò all'edificio con il portico, e cercò a tentoni nella neve le monete che aveva gettato via nella sua rabbia infantile. Ma riuscì a trovarne solo una, l'altra si era probabilmente messa di taglio ed era sprofondata. Con una sola moneta in tasca, tutti i suoi progetti per una notte di baldoria in qualche taverna malfamata erano improvvisamente svaniti. E non era solo il piacere che gli sfuggiva di mano sghignazzando; un totale sconforto, una tangibile paura lo assalirono, mentre se ne stava costernato davanti al portico. Il sudore gli si era asciugato addosso, e sebbene il vento adesso fosse cessato, un gelo avvolgente stava prendendo piede sempre di più, si sentiva intirizzito e amareggiato. Cosa doveva fare? Nonostante l'ora tarda, e le poche probabilità di successo, decise di provare la casa del suo padre adottivo, il cappellano di St. Benoit. Fece tutta la strada di corsa, e bussò timidamente. Non ebbe nessuna risposta. Continuò a bussare, prendendo coraggio ad ogni colpo, alla fine, si udirono dei passi avvicinarsi dall'interno. Nella porta borchiata si aprì un finestrino protetto da sbarre, da cui uscì un fascio di luce gialla.
Mostrate la faccia nel finestrino,” disse il cappellano dall'interno.
Sono solo io,” mugolò Villon.
Oh, sei solo tu, davvero?” rispose il cappellano, e lo maledì con atroci bestemmie, poco pretesche, per averlo disturbato ad una tale ora e gli ordinò di andare all'inferno, da dove proveniva.
Ho le mani blu fino ai polsi,” lo supplicò Villon, “Ho i piedi congelati e doloranti, il naso mi fa male a causa dell'aria tagliente, sono completamente intirizzito. Potrei essere morto prima di domani. Solo per questa volta, padre e, lo giuro su Dio, non ti disturberò mai più!”
Avresti dovuto venire prima,” disse l'ecclesiastico, freddamente. “Voi giovanotti avete bisogno di una lezione, ogni tanto.” Chiuse il finestrino e si ritirò lentamente all'interno dell'edificio. Villon era fuori di sé, batté sulla porta con le mani e i piedi, gli gridò dietro fino a perdere la voce.
Vecchia canaglia!” urlò. “Se potessi prenderti per il collo, ti farei volare a testa in giù nel pozzo senza fondo.”



 
Dall'interno, giunse al poeta il flebile rumore di una porta che si chiudeva in fondo ai lunghi corridoi. Si passò una mano sulla bocca con una bestemmia. Poi fu colpito dal lato comico della situazione, scoppiò a ridere, e alzò leggermente gli occhi al cielo, dove le stelle sembravano scintillare sulla sua sconfitta.
Cosa fare? Aveva tutto l'aspetto di una notte da trascorrere nel freddo delle strade. L'immagine della donna morta gli si affacciò alla mente, e gli diede una stretta al cuore; quello che era successo a lei nelle prime ore della notte, poteva benissimo succedere a lui prima che facesse giorno. Ed era così giovane! E con tali immense occasioni di sfrenato divertimento davanti a lui! L'idea del destino che lo attendeva lo fece commuovere, come se fosse quello di qualcun altro, e immaginò la scena di quando, al mattino, avrebbero trovato il suo corpo. Passò in rivista tutte le sue possibilità, rigirando la moneta tra il pollice e l'indice. Sfortunatamente, era in cattivi rapporti con alcuni vecchi amici che in passato avevano avuto pietà di lui in simili frangenti. Li aveva sbeffeggiati nei suoi versi, li aveva picchiati e imbrogliati, eppure ora che si trovava in una emergenza così stringente, pensò che ce ne doveva essere almeno uno che, forse, si sarebbe intenerito. Era una possibilità. Valeva almeno la pena di tentare, e sarebbe andato a vedere.
Per strada, accaddero due piccoli incidenti che colorarono i suoi pensieri con toni contrastanti. Infatti, per primo, si imbatté nelle tracce di una pattuglia, e ci camminò dentro per qualche centinaio di metri, sebbene andassero in una direzione diversa. E questo gli diede coraggio, almeno era riuscito a confondere le sue tracce, perché era ancora assillato dall'idea che stessero seguendo i suoi passi nella neve per tutta Parigi, e che lo avrebbero acciuffato il mattino successivo quando era ancora addormentato. L'altra faccenda influì su di lui in modo del tutto differente. Attraversò un angolo di strada dove, non tanto tempo prima, una donna e il suo bambino erano stati divorati dai lupi. E quello, rifletté, era proprio il tempo in cui i lupi potevano mettersi in testa di entrare di nuovo a Parigi, ed un uomo solo, in quelle strade deserte, avrebbe corso il rischio di essere assalito da qualcosa di gran lunga più pericoloso della semplice paura. Si fermò a osservare il posto con un cupo interesse – era il centro di intersezione di molte strade e le scrutò tutte da cima a fondo, una dopo l'altra, trattenendo il respiro, per paura di scoprire delle sagome nere correre sulla neve o udire un suono di ululati tra lui e il fiume. Ricordò sua madre che gli raccontava la storia e gli indicava il posto, quando era ancora un bambino. Sua madre! Se solo avesse saputo dove viveva, avrebbe almeno potuto assicurarsi un tetto. Decise che avrebbe cercato sue notizie il giorno seguente, sì, sarebbe anche andato a trovarla, quella povera vecchia! Tutto preso in quei pensieri, arrivò a destinazione – la sua ultima speranza per quella notte. La casa era completamente al buio, come tutto il vicinato; tuttavia, dopo un breve bussare sentì un movimento in alto, una porta che si apriva, e una voce sospettosa che chiedeva chi era alla porta. Il poeta disse il suo nome a voce bassa, ma udibile, e aspettò l'esito, non senza una certa trepidazione. Non dovette attendere a lungo. Improvvisamente, si aprì una finestra, e un secchio di acqua sporca fu rovesciato sulla soglia di casa.


"Gardy loo" (De Damno per Ejecta, 1554)


 Villon non era del tutto impreparato a qualcosa del genere, e si era messo al riparo, per quanto lo permettesse l'ampiezza del portico, ma, nonostante tutto, si era malauguratamente bagnato fin sotto la cintola. Le sue calze iniziarono a gelare quasi subito. Davanti a lui c'era la morte al freddo e all'addiaccio; ricordò di essere di natura tisica, e iniziò a tossire per controllare. Ma la gravità del pericolo diede forza ai suoi nervi. Si allontanò di qualche centinaio di metri da quella porta dove era stato trattato in modo così rozzo, e si fermò a riflettere con un dito sul naso. Riusciva a vedere un solo modo di procurarsi un tetto per la notte, ed era quello di appropriarsene. Aveva notato una casa non molto lontano da lì, dove sembrava facile penetrare furtivamente, e vi si recò immediatamente. Per strada si trastullò con l'idea di una stanza ancora calda, una tavola ancora carica degli avanzi della cena, dove poter passare il resto della notte, e da dove sgattaiolare, al mattino, con le braccia cariche di piatti di valore. Iniziò perfino a esaminare le vivande e i vini che prediligeva, e mentre scorreva la lista delle sue ghiottonerie preferite, il pesce arrosto gli si presentò alla mente con uno strano miscuglio di divertimento e orrore. “Non finirò mai quella ballata,” pensò tra sé, e poi, rabbrividendo ancora una volta a quel ricordo, “Oh, dannazione alla sua grossa testa!” ripeté, con fervore, e sputò sulla neve. A prima vista, la casa in questione sembrava buia, ma mentre Villon stava compiendo un'ispezione preliminare alla ricerca del punto più adatto da attaccare, i suoi occhi furono attratti dal debole luccichio di una luce dietro le tende di una finestra. “Diavolo!” pensò. “Ci sono persone ancora sveglie! Qualche studente o qualche santo, maledetti! Non potrebbero ubriacarsi e russare nei propri letti come i loro vicini? A che servono il coprifuoco, e quei poveri diavoli di campanari che saltano attaccati ad una corda nei campanili? A che serve il giorno, se la gente sta in piedi di notte? Che li colga il malanno!” Ghignò quando capì dove lo stava conducendo la sua logica. “A ciascuno il suo mestiere, dopo tutto,” aggiunse, “e se sono svegli, per Dio, una volta tanto mi guadagnerò la cena onestamente, e la farò in barba al diavolo.”
Avanzò coraggiosamente verso la porta e bussò con mano sicura. Le due volte precedenti, aveva bussato timidamente e con un certo timore di attirare l'attenzione, ma ora che aveva appena scartato l'idea di un'entrata furtiva, bussare alla porta gli sembrò un modo di procedere estremamente semplice ed innocente. Il suono dei suoi colpi echeggiò attraverso la casa con leggeri riverberi spettrali, come se fosse vuota, ma questi si erano appena spenti, quando un passo cadenzato si avvicinò, un paio ci chiavistelli furono tirati, e un battente della porta fu spalancato, come se gli abitanti della casa ignorassero ogni inganno o la paura di essere ingannati. Villon si trovò di fronte un uomo di alta statura, muscoloso e magro, sebbene un po' curvo. La testa era massiccia, ma finemente cesellata, il naso era schiacciato alla punta, ma affinato alla radice dove si congiungeva ad un paio di forti e oneste sopracciglia, la bocca e gli occhi erano circondati da delicate rughe, e l'intera faccia era caratterizzata da una folta barba bianca, dal taglio ardito e squadrato. Visto alla luce incerta della piccola lampada, sembrava forse più nobile di quanto lo fosse in realtà, ma era comunque un bel volto, onesto più che intelligente, forte, semplice e dabbene. “Bussate ad ora tarda, messere,” disse il vecchio, con tono altisonante e cortese. Villon si inchinò, e si profuse in umili scuse, in un tale frangente, il mendicante ebbe la meglio in lui, e l'uomo di genio nascose la testa per la vergogna.
Avete freddo,” ripeté il vecchio, “e siete affamato? Ebbene, entrate.” E gli fece cenno di entrare in casa con un gesto sufficientemente nobile. “Un qualche grande signore,” pensò Villon, mentre il suo ospite, dopo ave appoggiato la lampada sul lastricato dell'ingresso, rimise i chiavistelli al loro posto.
Mi perdonerete se vi precedo,” disse, così facendo, e condusse il poeta al piano superiore in un'ampia sala, riscaldata da un braciere e illuminata da una grande lampada appesa al soffitto. Il mobilio era scarso, solo qualche stoviglia d'oro su una credenza, alcuni volumi in folio, e un'armatura su un cavalletto tra le finestre. Alle pareti erano appesi degli arazzi eleganti, dei quali uno rappresentava la crocifissione di nostro Signore, un altro una scena di pastori e pastorelle lungo il corso di un fiume. Sul caminetto c'era una panoplia di armi.
Volete accomodarvi” disse il vecchio, “e scusarmi se vi lascio? Sono solo in casa questa notte, e se volete mangiare, devo provvedere a voi personalmente.”




Non appena il suo ospite se ne fu andato, Villon saltò su dalla sedia su cui si era appena seduto e iniziò ad osservare la stanza con la circospezione e l'avidità di un gatto. Soppesò tra le mani le coppe d'oro, aprì tutti i libri, analizzò le armi sul caminetto, e la stoffa con cui erano tappezzate le sedie. Sollevò le tende e vide che la finestra era adornata da ricchi vetri colorati con immagini, per quello che poté vedere, di carattere marziale. Poi, si fermò in mezzo alla stanza, tirò un lungo respiro, lo trattenne gonfiando le guance e si guardò intorno, rigirandosi sui tacchi, come per imprimersi in mente ogni dettaglio della stanza.
Solo sette pezzi di vasellame,” disse. “Se fossero stati dieci, avrei corso il rischio. Una bella casa, e un vecchio padrone di buon cuore, che i santi mi aiutino!” Proprio in quel momento, sentendo i passi del vecchio che ritornava lungo il corridoio, corse a sedersi sulla sedia, e con fare sottomesso, iniziò ad abbrustolirsi le gambe bagnate al fuoco del braciere. Il suo anfitrione aveva un piatto di carne in una mano e una brocca di vino nell'altra. Mise il piatto sulla tavola, facendo cenno a Villon di accostare la sedia, andò alla credenza e ritornò con due coppe che riempì.
Bevo a che la sorte vi arrida,” disse solennemente, toccando la coppa di Villon con la sua.
Ad una nostra più approfondita conoscenza,” disse il poeta, facendosi audace. Un semplice uomo del popolo sarebbe stato intimorito dalla cortesia del vecchio gentiluomo, ma Villon era a suo agio in quelle situazioni, aveva tenuto allegra compagnia a grandi signori prima di allora, e aveva scoperto che erano delle bieche canaglie al suo pari. E così si dedicò al cibo con gusto famelico, mentre il vecchio, appoggiandosi all'indietro, lo fissava con occhi curiosi.
Avete del sangue sulla spalla, ragazzo mio,” disse. Montigny doveva avergli appoggiato addosso la mano destra insanguinata mentre usciva di casa. In cuor suo, maledisse Montigny.
Non è mio,” mormorò.
Non lo pensavo,” rispose tranquillamente il suo ospite. “Una rissa?”
Beh, qualcosa del genere,” ammise Villon, rabbrividendo.
Forse un amico assassinato?”
Oh, no, non assassinato,” disse il poeta, sempre più confuso. “E' stato un gioco leale – ucciso per caso. Io non vi ho preso parte, che Dio mi fulmini!” aggiunse con calore.
Un farabutto di meno, se mi è consentito,” osservò il padrone di casa.
Potete ben dire,” concordò Villon, infinitamente sollevato. “Il più grosso farabutto tra qui e Gerusalemme. Ha steso le gambe come un agnellino. Ma è stato un gran brutto spettacolo. Ho l'impressione che voi ne abbiate visto di uomini morti in gioventù, mio signore,” aggiunse, dando un'occhiata all'armatura.
Molti,” disse il vecchio. “Ho combattuto in molte guerre, come potete immaginare.” Villon posò forchetta e coltello, che aveva appena ripreso.
Ce n'erano di calvi?” chiese.
Oh, sì, e anche con i capelli bianchi come i miei.”
Non penso che dovrei preoccuparmi tanto di quelli bianchi,” disse Villon. “I suoi erano rossi.” E fu di nuovo preso da brividi e dalla tentazione di ridere, che affogò con un gran sorso di vino. “Sono alquanto turbato quando ci penso,” continuò. “Lo conoscevo – dannazione a lui! E poi il freddo ti fa venire delle strane idee, o forse sono le strane idee che ti fanno venir freddo. Non so quale delle due.”
Avete del danaro?” chiese il vecchio.
Ho solo un blanc,” replicò il poeta, ridendo. “L'ho tolto dalle calze di una prostituta morta sotto un portico. Era mota come Cesare, povera sgualdrina, e fredda come una chiesa, con un pezzo di nastro che le usciva dai capelli. E' un inverno duro per i lupi, le sgualdrine e i farabutti come me.”
Io,” disse il vecchio, “sono Enguerrand de la Feuillee, signore di Brisetout, balivo di Patatrac. Chi e che cosa siate voi?”
Villon si alzò e fece un'appropriata reverenza, “Mi chiamo François Villon,” disse, “un povero maestro d'arti di questa università. Conosco un po' di latino, e tanti vizi. Posso comporre canzoni, ballate, lai, virelai, rondeau, e amo il vino. Sono nato in una soffitta, e non è improbabile che muoia sulla forca. Potrei aggiungere, mio signore, che da questa notte in poi sono il servo umilissimo di vostra signoria, ai vostri ordini.”
Non servo mio,” disse il cavaliere. “Mio ospite per questa sera, e non altro.”
Un ospite molto riconoscente,” disse Villon, educatamente, facendo un brindisi muto al suo anfitrione.
Siete scaltro,” iniziò a dire il vecchio, toccandosi la fronte, “molto scaltro, siete istruito, siete un chierico, eppure rubate una misera moneta ad una donna morta per strada. Non è una forma di furto?”
E' una forma di furto molto praticata nelle guerre, mio signore.”
Le guerre sono il campo dell'onore,” rispose il vecchio, con orgoglio. “Là un uomo mette in gioco la sua vita, combatte in nome del suo re, del suo signore Iddio, e delle signorie dei santi e degli angeli.”
Supponete,” disse Villon, “che io sia veramente un ladro, non metterei anche io in gioco la mia vita, e con rischi ancora maggiori?”
Per guadagno, ma non per onore.”
Guadagno?” ripeté Villon, con un brivido. “Guadagno! Il povero diavolo vuole mangiare, e lo prende. Così fa il soldato durante una campagna. Infatti, che cosa sono tutte queste requisizioni di cui si sente tanto parlare? Se non sono un guadagno per quelli che requisiscono, sono sicuramente una perdita per gli altri. Gli uomini d'armi bevono davanti ad un bel fuoco, mentre il borghese si morde le unghie per comprargli vino e legna. Ho visto molti poveri contadini dondolare dagli alberi in tutto il paese, sì, ne ho visti trenta su un solo olmo, ed era un ben triste spettacolo, e quando ho chiesto come mai fossero stati impiccati, mi fu risposto che era perché tutti insieme non erano riusciti a racimolare abbastanza denaro per soddisfare gli uomini d'armi.”


Queste sono le necessità della guerra, che la gente di bassa nascita deve sopportare con pazienza. E' vero che alcuni capitani che si spingono troppo oltre, in ogni ambito della società ci sono spiriti difficilmente mossi dalla pietà, e in verità molti di quelli che abbracciano il mestiere delle armi non sono migliori dei briganti.”
Vedete,” disse il poeta, “non riuscite a distinguere il soldato dal brigante, e che cos'è un ladro se non un brigante solitario dai modi circospetti? Io rubo un paio di costolette di montone, senza disturbare più di tanto la gente che dorme, il contadino brontola un po', ma non di meno cena adeguatamente con ciò che rimane. Voi arrivate suonando gloriosamente la tromba, vi prendete tutta la pecora, e per di più picchiate il contadino senza pietà. Io sono solo Tom, Dick, o Harry; sono un furfante e un bastardo, e la forca è fin troppo giusta per me – sinceramente, ma chiedete al contadino chi di noi preferisce, indovinate chi di noi rimane sveglio a maledire nelle notti fredde.”
Guardate noi due,” disse sua signoria. “Io sono vecchio, forte e rispettato. Se domani dovessi essere cacciato via dalla mia casa, in centinaia sarebbero orgogliosi di ospitarmi. La povera gente uscirebbe di casa e trascorrerebbe la notte in strada con i figli, se solamente facessi intendere di voler restare solo. E trovo voi, che vagate senza una casa, e rubate centesimi ad una donna morta sul ciglio della strada! Io non temo né gli uomini né altro, e ho visto voi tremare e perdervi di coraggio ad una sola parola. Io attendo la chiamata di Dio serenamente nella mia casa, o sui campi di battaglia, se il mio re si compiacesse di richiamarmi. Voi siete destinato alla forca, una morte violenta e rapida, senza speranza né onore. Non c'è alcuna differenza tra noi due?”
Come da qui alla luna,” acconsentì Villon. “Ma se io fossi nato signore di Brisetout, e voi foste il povero chierico François, la differenza sarebbe forse inferiore? Non sarei io il soldato e voi il ladro?” “Un ladro?” gridò il vecchio. “Io un ladro! Se capiste ciò che dite, ve ne pentireste.” Villon allargò le braccia in un gesto di inimitabile impudenza. “Se sua signoria mi avesse fatto l'onore di seguire il mio ragionamento!” disse. “Vi faccio fin troppo onore tollerando la vostra presenza,” disse il cavaliere. “Imparate a trattenere la lingua quando parlate con uomini vecchi e d'onore come me, o qualcuno meno paziente di me potrebbe farvi un rimprovero più tagliente del mio.” Si alzò e prese a camminare nella parte opposta della sala con rabbia e risentimento.
Villon tornò a riempirsi il bicchiere di nascosto, e si sedette più comodamente nella sedia, accavallando le gambe e appoggiando la testa su una mano e il gomito sulla spalliera della sedia. Ora si sentiva sazio e si era riscaldato, e non era affatto intimorito dal suo ospite, se non aveva sbagliato a giudicarlo, visto le differenti personalità. La notte era quasi trascorsa, e in maniera molto piacevole, dopo tutto, e si sentiva moralmente certo di una partenza senza rischi l'indomani mattina. “Ditemi una cosa,” disse il vecchio, smettendo di camminare. “Siete veramente un ladro?”
Mi appello ai sacri diritti dell'ospite,” replicò il poeta. “Mio signore, lo sono.”
Siete molto giovane,” continuò il cavaliere.
Non sarei mai arrivato a questa età,” rispose Villon, mostrando le sue dita, “se non mi fossi aiutato con questi dieci talenti. Mi hanno dato da bere e da mangiare.”
Potete ancora pentirvi e cambiare.”
Mi pento quotidianamente,” disse il poeta. “Ci sono poche persone più inclini al pentimento del povero François. In quanto al cambiamento, sono le mie condizioni che dovrebbero essere cambiate. Un uomo deve continuare a mangiare, non fosse altro che per poter continuare a pentirsi.”
Il cambiamento deve iniziare dal cuore,” replicò il vecchio, solennemente.
Mio caro signore,” rispose Villon, “pensate davvero che io rubi per piacere? Odio rubare, come ogni altro genere di lavoro o di pericolo. Mi battono i denti quando vedo la forca. Ma devo mangiare, devo bere, devo far parte di una qualche consorteria. Che diavolo! L'uomo non è un animale solitario - _cui Deus foeminam tradit_. Nominatemi dispensiere del re, nominatemi abate di St. Denis, nominatemi balivo di Patatrac, e allora sì che mi avrete cambiato. Ma fino a che sarò il povero chierico François Villon, senza un centesimo, allora, naturalmente, rimango quel che sono.
La grazia di Dio è onnipotente.”
Dovrei essere un eretico per metterlo in dubbio,” disse François. “Vi ha fatto signore di Bisetout e balivo di Patatrac, a me non ha dato altro che una mente sveglia sotto il cappello e queste dieci dita sulle mani. Posso versarmi altro vino? Vi ringrazio rispettosamente. Per la grazia di Dio, avete un vino davvero eccellente.” Il signore di Brisetout riprese a camminare avanti e indietro con le mani dietro la schiena. Forse la sua mente non aveva del tutto accettato il paragone tra i ladri e i soldati, forse Villon gli aveva ispirato una qualche simpatia, forse la sua mente era semplicemente confusa da ragionamenti così inconsueti, ma qualunque fosse la causa, desiderava ardentemente convertire il giovane a migliori sentimenti, e non riusciva a decidersi a rispedirlo di nuovo sulla strada.
In tutto ciò c'è qualcosa che va oltre la mia comprensione,” disse dopo un po'. “La vostra bocca è piena di ragionamenti sottili, e il diavolo vi ha fatto avanzare di molto sulla cattiva strada, ma il diavolo è solo uno spirito molto debole davanti alla verità di Dio, e tutte le sue sottigliezza svaniscono di fronte ad una sola parola del vero onore, come le tenebre al mattino. Ascoltatemi ancora una volta. Molto tempo fa imparai che un gentiluomo dovrebbe vivere per servire cavallerescamente e amorevolmente Dio, il re e la sua dama, e sebbene abbia visto accadere molte cose strane, mi sono sempre sforzato di regolare la mia vita secondo quel precetto. Non è semplicemente scritto in molte nobili storie, ma nel cuore di ogni uomo, purché si abbia cura di leggervi. Perché cose come l'onore e l'amore e la fede non sono solo più nobili del mangiare e del bere, ma sono convinto che le desideriamo maggiormente e soffriamo più acutamente per la loro assenza. Vi parlo in modo che mi possiate capire più facilmente. Mentre avete cura di riempirvi la pancia, non state forse trascurando un altro appetito nel vostro cuore, che rovina ogni altro piacere e vi rende continuamente infelice?” Villon era visibilmente esasperato da tutto quel sermoneggiare. “Pensate che io non abbia alcun senso dell'onore!” gridò. “Sono molto povero, Dio lo sa! E' duro vedere i ricchi con i loro guanti, mentre tu ti soffi le mani. Una pancia vuota è una cosa molto amara, anche se voi ne parlate così alla leggera. Se vi fosse successo spesso come a me, forse cambiereste tono. Comunque, io sono un ladro, - che vi piaccia o no, - ma non sono un diavolo dell'inferno, che Dio mi fulmini! Vorrei farvi capire che io ho il mio onore, buono come il vostro, sebbene non vada a farne mostra tutto il giorno, come se averne uno fosse un miracolo di Dio. A me sembra del tutto naturale, e lo tengo da parte finché non mi serve. Infine, vediamo, quanto tempo siete stato in questa stanza con me? Non mi avete detto di essere solo in casa? Guardate il vostro vasellame d'oro! Siete forte, ve lo concedo, ma vecchio e disarmato, e io ho un pugnale. Cosa mi ci sarebbe voluto se non un piccolo movimento del gomito e voi sareste là, con le budella squarciate dal freddo acciaio, e io sarei fuggito fuori, nella strada, con le braccia cariche di coppe d'oro! Pensate che io non sia abbastanza intelligente per rendermene conto? Invece ho disdegnato questa azione. Eccoli i vostri dannati calici, al sicuro come in chiesa, ed ecco voi, col cuore che fa tic tac come se fosse nuovo, ed ecco me stesso, pronto ad andare di nuovo fuori, povero come quando sono entrato, con il mio blanc che mi avete tirato sui denti! E voi pensate che io non abbia alcun senso dell'onore – che Dio mi strafulmini!”
Il vecchio allungò il braccio destro. “Vi dirò ciò che siete,” disse. “Siete un farabutto, ragazzo mio, un farabutto impudente e incallito e un vagabondo. Ho trascorso un'ora con voi. Oh, credetemi, non ne sono onorato! E avete mangiato e bevuto alla mia tavola. Ma ora ne ho abbastanza della vostra presenza; si è fatto giorno, e l'uccello notturno dovrebbe andare a dormire. Volete precedermi o seguirmi?”
Come vi pare,” rispose il poeta, alzandosi. “Credo che siate assolutamente rispettabile.” Svuotò la coppa pensieroso. “Mi piacerebbe aggiungere che siete intelligente,” continuò, battendosi la testa con le nocche. “La vecchiaia! La vecchiaia! Cervelli deboli e reumatici.”
Il vecchio lo precedette per rispetto a sé stesso, Villon lo seguì, fischiettando, con i pollici nella cintura. “Dio abbia pietà di voi,” disse il signore di Brisetout sulla porta. “Addio, babbo,” rispose Villon, con uno sbadiglio. “Tante grazie per il montone freddo.” La porta si chiuse dietro di lui. L'alba stava sorgendo sui tetti imbiancati, e il un mattino gelido e sgradevole fece da araldo al giorno. Villon si fermò e si stiracchiò allegramente in mezzo alla strada. “Un vecchio gentiluomo assai noioso,” pensò. “Mi chiedo quanto possano valere le sue coppe.”



FINE








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