martedì 15 dicembre 2015

Un albero di Natale


Alla ricerca del Natale perduto






Nella triste Inghilterra della rivoluzione industriale, che lasciava ai lavoratori ben poco tempo per festeggiare, il Natale era un giorno di lavoro come gli altri. Furono proprio i racconti di Dickens, in particolare A Chistmas Carol (1843), a riaccendere la gioia del Natale, che era una festività in declino da quando Oliver Cromwell, (vincitore della rivoluzione puritana culminata nel 1649 con la decapitazione del re) cercò di eradicare le tradizioni natalizie del medioevo a causa delle loro implicazioni pagane. Infatti, il 25 dicembre coincide con le celebrazioni del solstizio invernale, i Saturnalia nel mondo latino e Yule nella tradizione nordica. La tradizione della famiglia riunita intorno all'albero di Natale, invece, fu portata dalla Germania in Inghilterra dal Principe Alberto, marito della regina Vittoria. Altra tradizione importata dal principe Alberto fu quella dei canti natalizi, che ravvivò la tradizione medievale dei Waits, gruppi di cantori e musicisti dilettanti che si esibivano per le strade nel giorno di Natale.
Il nome di Dickens divenne così strettamente connesso al Natale, che quando morì una piccola venditrice ambulante chiese: “Mr. Dickens morto? Allora anche Papà Natale è morto?”




Dopo il successo di A Christmas Carol, Dicken rispettò il suo appuntamento con i lettori, pubblicando quasi tutti gli anni un nuovo racconto natalizio. Nel 1850 pubblicò A Christmas Tree nella sua rivista Household Words. Il racconto è stato tradotto in italiano solo nel 1981 e pubblicato da Vanni Scheiwiller col marchio «All'insegna del pesce d'oro», oggi introvabile, in una preziosa edizione bilingue illustrata dalle inquietanti incisioni di Mirando Haz (pseudonimo di Amedeo Pieragostini), che ben riescono a cogliere il lato più oscuro e visionario di questo racconto. Racconto pieno di invenzioni, suggestioni e tocchi di humor nero, sicuramente uno dei più originali di Dickens, eppure uno dei meno conosciuti, forse perché il suo messaggio è meno rassicurante e ottimista di quello che il pubblico vittoriano avrebbe gradito. Anche lo stile della narrazione risulta complesso e sofisticato, una sorta di reverie che mi ha ricordato la Recherche di Proust.
Il racconto inizia nel più convenzionale dei modi: è il giorno di Natale e il narratore lo ha trascorso insieme ad “un'allegra compagnia di bambini riuniti intorno a quel grazioso giocattolo tedesco, l'albero di Natale.” Il narratore guarda l'albero con gli occhi dei bambini, incantati dallo sfavillio delle luci e dal tripudio di giocattoli appesi ai rami dell'albero: “C'era di tutto e di più.” Di ritorno a casa, i suoi pensieri ritornano indietro: Comincio a ripensare alle cose che tutti noi meglio ricordiamo fra quella appese ai rami dell'albero di Natale della nostra giovinezza, sul quale ci siamo arrampicati fino alla vita reale.” Anche l'albero assume una direzione retrograda: “... perché scopro che, grazie ad una sua singolare caratteristica, questo albero sembra stagliarsi giù verso la terra.” E la luminosa punta dell'albero, riaccende in lui i ricordi della sua infanzia. Dapprima i giocattoli, naturalmente. Ma i giocattoli appesi all'albero della memoria, che lancia intorno a sé un'ombra inquietante, nascondevano anch'essi un lato oscuro; e così l'acrobata lo fissava con i suoi infidi “occhi d'aragosta”, dalla tabacchiera sbucava un demoniaco pupazzo in toga nera, che lo perseguitava perfino nei sogni. Ma la cosa che più lo terrorizzava era una “spaventosa maschera” che con in suoi occhi vacui e i suoi lineamenti immobili evocava quella “... remota suggestione e la paura di quel cambiamento universale che è destinato a scendere sul volto di tutti noi e renderlo immobile.” Solo un profondo conoscitore dell'animo infantile poteva intuire le profonde malinconie e le oscure paure dei bambini di fronte ai misteri della vita e della morte.
Ma sull'albero ci sono anche le favole care all'infanzia, da Cappuccetto Rosso alle Mille e una Notte, e i toy theatres, (teatrini di carta venduti in appositi kit da ritagliare e incollare) dove venivano rappresentate storie edificanti e lacrimevoli che hanno lasciato in eredità all'adulto l'amore per il teatro vero. Ed ecco avanzare sull'albero i Waits, con i loro canti natalizi ispirati al Vangelo. Ed è nella sequenza di scene ispirate alla vita di Gesù, che il narratore sembra ritrovare il genuino spirito natalizio, fatto di amore e carità.
Ma subito dopo al sacro si contrappone il profano dei racconti d'inverno intorno al focolare “- o meglio, storie di fantasmi -” E qui Dickens, che ha spesso usato il soprannaturale nei suoi racconti, si diverte a fare una lunga casistica delle tipiche situazioni da ghost stories prendendo bonariamente in giro gli amanti di questo genere. Ma è Natale, si sa, e anche questo fa parte della tradizione.
Ora il racconto volge alla fine, e il narratore scruta tra i rami più bassi, mentre l'albero inizia a svanire. Il suo pensiero ritorna a “occhi che io ho amato e che sono volati via per sempre.” Ma il ricordo della figura salvifica di Gesù, già evocata dai canti dei Waits, ritorna ad illuminare il Natale con la luce della speranza, spariscono le ombre e ritornano i giochi dei bambini intorno all'albero, “Possano essere per sempre innocenti e benvenuti, sotto i rami dell'albero di Natale, che non ha più ombre tetre!” E il narratore stesso, si augura di rivolgersi al Cristo “...col cuore di un bambino, e con la confidenza e la fiducia di un bambino!”
Ed è nelle parole del Cristo che Dickens ritrova lo spirito più genuino del Natale, “Fate questo in memoria della legge dell'amore e della gentilezza, pietà e misericordia. Fate questo in memoria di me!”







Un albero di Natale
di
Charles Dickens (1850)



Ho trascorso la sera ad osservare un'allegra compagnia di bambini riuniti intorno a quel grazioso giocattolo tedesco, l'albero di Natale. L'albero era piantato al centro di un grande tavolo rotondo e torreggiava sopra le loro teste. Risplendeva della luce di una moltitudine di candeline, ed era tutto uno scintillio di oggetti brillanti. C'erano bambole dalle guance rosa, che facevano capolino da dietro le grandi foglie verdi, e c'erano dei veri orologi (quantomeno, le lancette si muovevano e potevano essere caricati all'infinito) che dondolavano da innumerevoli rami, c'erano tavolini francesi tirati a lucido, sedie, lettini, armadi, orologi a corda, e vari altri pezzi di arredamento (tutti di latta, meravigliosamente costruiti a Wolverhampton), appollaiati tra i rami, come ad apparecchiare una casa di fata; c'erano omini dai faccioni allegri, dall'aspetto molto più gradevole di tanti uomini in carne ed ossa e non c'era da meravigliarsi, perché staccando loro la testa, si scopriva che erano pieni di di prugne candite; c'erano violini e tamburi e tamburini; libri, scatole da lavoro, scatole di colori, scatole di dolciumi, scatole prospettiche e tutti i tipi di scatole; c'erano ninnoli per le ragazze più grandi, di gran lunga più brillanti dell'oro e dei gioielli degli adulti; c'erano cestini e puntaspilli di tutti i tipi; c'erano fucili, spade e stendardi; c'erano magici girotondi di streghe di cartapesta; c'erano trottoline, trottole, porta aghi, pulisci penna, bottiglie di sali, carte di conversazione, porte-bouquet; frutta vera, resa artificialmente scintillante da involucri dorati; mele, pere e noci finte, piene zeppe di sorprese; in breve, come sussurrò deliziato un grazioso bambino di fronte a me a un altro grazioso bambino, suo amichetto del cuore, “C'era di tutto e di più.” Questa eterogenea collezione di oggetti bizzarri, che pendeva dall'albero in grappoli di magica frutta e i cui bagliori riflettevano gli sguardi luminosi provenienti da ogni parte – alcuni di quegli occhi di diamante persi in ammirazione arrivavano a malapena al tavolo, mentre altri si struggevano di timido stupore in braccio alle loro graziose madri, zie e bambinaie – era una vivida realizzazione delle fantasie infantili e mi hanno indotto a pensare che gli alberi e tutte le cose che esistono su questa terra hanno i loro fantastici ornamenti in quel tempo evocato con tanta nostalgia. 
 
Ora mi trovo di nuovo a casa, da solo, essendo l'unica persona sveglia della famiglia, mentre i miei pensieri, sotto l'influenza di una irresistibile magia, ritornano alla mia fanciullezza. Comincio a ripensare alle cose che tutti noi meglio ricordiamo fra quella appese ai rami dell'albero di Natale della nostra giovinezza, sul quale ci siamo arrampicati fino alla vita reale. Dritto, nel mezzo della stanza, si erge un albero dalla cupa ombra, libero di crescere senza la costrizione delle pareti o del soffitto, e mentre osservo la sognante luminosità della sua punta – perché scopro che, grazie ad una sua singolare caratteristica, questo albero sembra stagliarsi giù verso la terra – rivivo i ricordi dei Natali dei miei primi anni. Dapprima, rivedo tutti i giocattoli. Lì sopra, tra il verde agrifoglio e le rosse bacche, c'è l'acrobata con le mani nelle tasche, che non stava mai tranquillo, ma ogni volta che lo mettevano sul pavimento, continuava a girare il suo grasso corpo, finché non si fermava arrotolato su sé stesso e fissava i suoi occhi di aragosta su di me, che fingevo di ridere di gusto, ma nel fondo del mio cuore diffidavo enormemente di lui. Proprio accanto all'acrobata, c'è quell'infernale tabacchiera, dalla quale salta fuori un demoniaco avvocato in toga nera, con una terrificante parrucca e una bocca spalancata di panno rosso, che non si poteva sopportare in nessun modo, ma che non si poteva nemmeno mettere via, perché, improvvisamente, durante il sonno assumeva dimensioni gigantesche e volava fuori da enormi tabacchiere quando meno te lo aspettavi. Né gli è da meno la rana con la coda incerata, perché nessuno poteva sapere dove sarebbe saltata, e quando volava sopra la candela e ti arrivava sulla mano con quel suo dorso a pallini – rossi su campo verde – era orribile. La dama di cartoncino con la gonna di seta blu, che volteggiava intorno a una candela, e che si trovava sullo stesso ramo, era più dolce ed era bella; ma non potrei dire lo stesso per l'uomo di cartoncino, più grande di lei, che era appeso alla parete e si poteva muovere con una cordicella; c'era un'espressione sinistra nel suo naso e quando metteva le gambe intorno al collo (cosa che faceva spesso), era orribile e non era un tipo con cui restare soli. Quando è stata la prima volta che quella spaventosa maschera mi ha fissato? Chi la indossava, e perché ero spaventato al punto che la sua visione è un punto fermo nella mia vita ? Non è un viso spaventoso di per sé, dovrebbe perfino essere buffa, perché allora i suoi lineamenti impassibili erano così insopportabili? Sicuramente non perché nascondeva la faccia di chi la indossava. Un grembiule avrebbe potuto fare altrettanto, e tuttavia avrei preferito il grembiule, non mi sarebbe stato così assolutamente insopportabile come la maschera. Era l'immobilità dei lineamenti della maschera? Il volto della bambola era immobile, ma non ne ero spaventato. Forse, quella fissità che si sovrapponeva a un volto reale, infondeva nel mio cuore, che batteva all'impazzata, una remota suggestione e la paura di quel cambiamento universale che è destinato a scendere sul voto di tutti noi e renderlo immobile? 


Miarndo Haz - The Mask



Niente poteva farmela piacere; non i tamburini, da cui, girando una manopola, si alzava un malinconico cinguettio; non il reggimento di soldati, con una muta banda, che, tolti da una scatola, erano sistemati, uno per uno, su una rigida fila di pinze a molla; non la vecchietta, fatta di fili di ferro e carta marrone, che tagliava una torta a due bambini. Niente poteva darmi un conforto durevole. A niente serviva mostrarmi che era fatta di cartone, o metterla sotto chiave e assicurarmi che nessuno l'avrebbe indossata. Il semplice ricordo di quel volto fisso, il solo sapere che esisteva da qualche parte, era sufficiente a svegliarmi la notte tutto sudato e terrorizzato, esclamando, “Oh, so che sta arrivando! Oh, la maschera!”
Ecco il vecchio caro asinello con i panieri! Non mi sono mai chiesto, allora, di cosa fossa fatto! La sua pelle era reale al tocco, mi ricordo. E il grande cavallo nero ricoperto di grandi bolli rossi – su quel cavallo potevo perfino salirci – non mi sono mai chiesto che cosa lo avesse ridotto in quella strana condizione, né ho mai pensato al fatto che un tale cavallo non si vedeva di solito a Newmarket1. I quattro cavalli di legno non verniciato, vicino a lui, attaccati al furgone del lattaio, e che potevano essere staccati e messi alla stalla sotto il tavolo, avevano quattro pezzi di pelliccia come coda, e altri quattro pezzi al posto della criniera, e si reggevano su pioli, invece che sulle gambe, ma non mi sembrò così quando vennero portati a casa come dono di Natale, allora andavano bene; né mi rendevo conto, che i finimenti gli fossero stati inchiodati addosso senza tante cerimonie, come mi appare evidente ora. I titntinnanti meccanismi del pianino, come scoprii, erano fatti di stuzzicadenti di osso e fili di ferro; e avevo sempre considerato una persona piuttosto sciocca, ma di buon carattere, il piccolo acrobata in maniche di camicia, che si arrampicava all'infinito sul lato di una cornice di legno, scendendo a testa in giù dall'altro lato; ma la scala di Giacobbe2, fatta di piccoli riquadri di legno rosso, che si srotolavano rumorosamente l'uno sull'altro, ognuno abbellito da un disegno diverso, e tutti ornati da piccole campanelle, erano davvero una meraviglia e una grande delizia.  

 
Ah! la casa delle bambole! - di cui non ero il proprietario, ma solo un visitatore. Il palazzo del Parlamento non mi sembra bello nemmeno la metà di quell'edificio dalla facciata in pietra e con le finestre di vetro vero, e i gradini d'ingresso e un vero balcone – più verde di quanti ne abbia mai visti fino ad oggi, eccetto che nelle località termali; e anche quelli non sono che una pallida imitazione. E sebbene l'intera facciata si aprisse completamente (cosa che per me era un vero colpo, lo ammetto, perché cancellava l'illusione di entrarvi attraverso una scala), era solo per richiudersi di nuovo, e la mia illusione poteva continuare. Quando era aperta, comunque, si potevano vedere tre stanze: il salotto e la camera da letto, elegantemente arredati, e più bella di tutte, la cucina, con i ferri per il focolare incredibilmente piccoli, e un completo assortimento di utensili in miniatura – oh, il braciere! - e un cuoco di latta messo di profilo, che era sempre sul punto di friggere due pesci. 



 

E quale onore fingevo di rendere ai nobili banchetti allestiti su di un servizio di piatti di legno, ognuno con la sua particolare prelibatezza, come il prosciutto o il tacchino, ben appiccicata sopra, e guarnita con qualcosa di verde, che, ora mi ricordo, era muschio! Nemmeno tutti gli eserciti della salvezza, messi insieme, potrebbero darmi un tè come quello che ho gustato in quel piccolo servizio di terracotta blu, che poteva realmente contenere liquidi (ricordo che uscivano da una botticella di legno e sapevano di fiammifero), e trasformava il mio tè in nettare. E se i due bracci di quelle inefficaci pinze per lo zucchero si accavallavano l'uno sull'altro, e non servivano a niente, come le mani di un Pulcinella, che cosa importa? E se una volta urlai, come se mi avessero avvelenato, e gettai nello sconforto quella elegante compagnia, era perché avevo inavvertitamente bevuto un piccolo cucchiaino che si era dissolto nel tè troppo caldo, e la cosa mi aveva fatto stare tanto male, come se avessi bevuto una medicina!
Sui rami vicini, un po' più in basso, proprio accanto all'uccellino verde e agli attrezzi da giardinaggio in miniatura, iniziava una fitta fila di libri. Dapprima venivano, in gran numero, certi libricini sottili e con copertine deliziosamente lisce di un rosso e di un verde brillante. E come erano grandi le iniziali in grassetto nero! “A era un arciere e colpiva una rana.” Ma non solo, era anche un'arancia matura, eccola lì. Ed era molte altre cose, la A, come la maggior parte delle sue amiche, eccetto la X, che era così poco versatile, che non l'ho vista mai andare oltre Xeres o Xanadù – come la Y, sempre confinata tra uno yacht e una yucca; e la Z condannata per sempre a essere una zebra o uno zanni. 
 
Ma adesso era lo stesso albero a trasformarsi, e diventava una pianta di fagiolo – la meravigliosa pianta di fagiolo su cui Jack si arrampicò fino alla casa del gigante! E ora, spaventosamente avvincenti, i giganti a due teste, con le loro clave sulle spalle, iniziano a procedere lungo i rami in una schiera ordinata, trascinando a casa per cena dame e cavalieri afferrandoli per i capelli. E Jack – com'è nobile con l'affilatezza della sua spada e la velocità delle sue scarpe! E mentre lo guardo, mi ritornano in mente antichi dubbi, e disquisisco tra me e me se se ci fossero più Jack (cosa che mi sembra impossibile), o un solo genuino originale ammirevole Jack, che ha compiuto tutte le imprese di cui si narra.

Walter Crane - Jack e il fagiolo magico

Il colore rosso della mantellina di Cappuccetto Rosso si ben si addice al giorno di Natale - l'albero ora è la foresta in cui lei si addentra con il suo cestino. Viene a trovarmi alla vigilia di Natale per informarmi sulla crudeltà e il tradimento di quel dissimulatore del lupo che divorò sua nonna, senza nessun effetto sul suo appetito, e poi mangiò anche lei, dopo il feroce gioco di parole sui suoi denti. E' stato il mio primo amore. Sentivo che se avessi potuto sposare Cappuccetto Rosso, avrei conosciuto la perfetta felicità. Ma era impossibile; e non ho potuto fare altro per lei che prendere il lupo nell'arca di Noè, e metterlo per ultimo sul tavolo in processione con gli altri animali, come se il mostro fosse stato degradato.


O la meravigliosa arca di Noè! Quando la mettevi nella vasca da bagno ti accorgevi che non era adatta a navigare, e gli animali erano ammucchiati fino al tetto, e le loro gambe avevano bisogno di essere raddrizzate prima che potessero entrarci dentro, e anche così, dieci a uno che incominciavano a cadere fuori dalla porta, che era legata alla meno peggio con un filo di ferro – Ma cosa importava! Guarda la nobile mosca, di poco più piccola dell'elefante: la coccinella, la farfalla – dei veri trionfi dell'arte! Guarda l'oca, con piedi così piccoli e un equilibrio così instabile, che di solito cadeva in avanti e buttava giù tutti gli animali della creazione. Guarda Noè e la sua famiglia, simili a stupidi pigini per il tabacco, e il leopardo, che restava appiccicato alle piccole dita calde, e le code degli animali più grandi che si disfacevano gradualmente in sfilacciati pezzetti di spago!
Zitti! Vedo di nuovo una foresta e c'è qualcuno sull'albero- non Robin Hood, non il nobile Valentino3, non il Nano Giallo4 (avevo oltrepassato lui e le meravigliose storie di Mother Bunch5 senza menzionarli), ma un re orientale, con una scintillante scimitarra e un turbante. Per Allah! Due re orientali, perché, guardando meglio, ne vedo un altro. Disteso sull'erba, ai piedi dell'albero, giace un gigante nero come il carbone, profondamente addormentato, con la testa sul grembo di una donna e vicino a lui c'è una scatola di vetro, chiusa con quattro catenacci di lucido acciaio, dove tiene prigioniera la donna quando è sveglio. Adesso vedo le quattro chiavi appese alla cintura. La donna fa cenno ai due re sull'albero, che scendono silenziosamente. E' l'inizio delle sfavillanti Mille e una notte. 



Oh, ora tutte le cose comuni diventano eccezionali. Tutte le lampade sono magiche; tutti gli anelli sono talismani. I comuni vasi da fiori sono pieni di tesori, con un po' di terriccio sparso sopra; gli alberi servono come rifugio per Alì Babà; le bistecche, invece, per essere tirate giù nella valle dei diamanti, così che le pietre preziose possano rimanerci attaccate ed essere trasportate dalle aquile nei loro nidi, da dove i mercanti le scacceranno con urla paurose. Le tartine vengono impastate secondo la ricetta del figlio del Visir di Bassora, che diventò pasticciere dopo essere stato lasciato in mutande alle porte di Damasco; i ciabattini sono tutti Mustafà; e hanno tutti l'abitudine di ricucire le persone tagliate in quattro pezzi, da cui sono stati portati bendati. Qualunque anello di ferro fissato nella pietra apre l'ingresso di una caverna che aspetta solo il mago e il fuocherello e la magia nera che farà tremare la terra. Tutti i datteri importati provengono dallo stesso albero di quello sfortunato dattero con il cui nocciolo il mercante colpì l'occhio del figlio invisibile del genio. Tutte le olive sono della stessa specie di quelle raccolte di fresco di cui il Principe dei Fedeli, origliando di nascosto, sentì parlare il ragazzo che inscenava un finto processo al disonesto mercante di olive; tutte le mele sono parenti di quella mela comprata (insieme ad altre due) dal giardiniere del sultano per tre zecchini, e che il gigantesco schiavo nero rubò al bambino. Tutti i cani sono associai a quel cane, in realtà un uomo trasformato, che saltò sul bancone del fornaio e mise la zampa su una moneta falsa. Tutto il riso ricorda il riso che quella tremenda donna, in realtà era una ghoule6, poteva beccare solo grano a grano, a causa dei suoi banchetti notturni nei cimiteri. Il mio stesso cavallo a dondolo, - eccolo, le narici completamente rovesciate, indice di nobile lignaggio! - dovrebbe avere un perno nel collo, grazie al quale può volare via con me, come fece il cavallo di legno con il principe di Persia, davanti agli occhi della corte del padre. Sì, c'è questa luce magica su tutti gli oggetti che rivedo sui rami dell'albero di Natale. Quando mi sveglio nel mio letto, all'alba, nelle fredde e buie mattine invernali, e intravedo la neve bianca attraverso i vetri appannati dal gelo, allora sento le parole di Dinarzade. “Sorella, Sorella, se sei ancora sveglia, ti prego di finire la storia del giovane re delle Isole Nere.” Sherazade le risponde, “Se il mio signore il sultano mi permetterà di vivere un altro giorno, sorella, non finirò solo questa storia, ma te ne racconterò una ancora più bella.” Allora, il grazioso sultano esce, sospendendo l'esecuzione, e tutti e tre respiriamo di nuovo.

Eric Pape - 1923


A questa altezza del mio albero, incomincio a vedere, accovacciato tra le foglie, un prodigioso incubo - forse generato dal tacchino, o dal pudding, o dal pasticcio di carne, o da tutte queste fantasie mischiate a Robinson Crusoe sulla sua isola deserta, Philip Quarll7 tra le scimmie, Sandford e Merton insieme a Mr. Barlow8, Mother Bunch e la maschera – o può essere il risultato di una indigestione assistita dall'immaginazione e dal troppo rimuginare. E' talmente confuso, che non so perché mi sento così impaurito, ma lo sono. Riesco solo a distinguere un'immensa schiera di cose senza forma, che sembrano fissate su una su una quantità esagerata di quelle pinze a molla usate per appendere i soldatini. Prima mi si avvicina lentamente e poi retrocede ad un'immensa distanza. Quando è più vicino, fa più paura. Vi scorgo i ricordi di notti invernali incredibilmente lunghe; di quando ero mandato a letto presto, come punizione per qualche marachella, per svegliarmi dopo due ore, con la sensazione di aver dormito due notti, l'afflitta disperazione per l'alba che non sorgeva mai e il peso oppressivo del rimorso.
Ed ora, vedo una magica fila di piccole luci levarsi lentamente da terra, davanti ad un grande sipario verde. Ora, una campanella suona – una campanella magica - nelle orecchie sento ancora il suo inconfondibile suono – e una musica va, fra il brusio delle voci, e un fragrante odore di bucce e olio di arancia. Dopo un po', la campanella ordina alla musica di cessare, e il grande sipario verde si alza maestosamente, e la commedia inizia! Il devoto cane di Montargis9 vendica la morte del suo padrone, ucciso a tradimento nella foresta di Bondy; e il buffo contadino, con il naso rosso e un cappelluccio in testa, che da questo momento sarà il mio amico del cuore (credo che fosse il cameriere o lo stalliere della locanda del villaggio, ma sono trascorsi tanti anni da quando ci siamo incontrati), fa notare che la sagaciosità del cane è in effetti sorprendente, questa pomposa fanfaronata vivrà nei miei ricordi fresca e inalterata - di gran lunga superiore a tutti le possibili facezie - fino alla fine del tempo. Oppure, piangendo lacrime amare, imparo come la povera Jane Shore10, vestita di bianco, i lunghi capelli scuri sulle spalle, moriva di stenti vagando per le strade di Londra; o come George Barnwell11 uccise il migliore degli zii, e dopo ne fu così addolorato che avrebbero dovuto lasciarlo andare. Ed ecco accorrere in mio conforto la Pantomima – stupendo fenomeno! - quando i clown vengono sparati fuori da un mortaio nel grande lampadario, quella luminosa costellazione; quando Arlecchino, ricoperto di scaglie di oro zecchino, guizza e scintilla, come un incredibile pesce; quando Pantalone (non credo di essere irriverente se lo paragono a mio nonno) gli mette in tasca dei fiori rosso fuoco e grida “Arriva qualcuno!” e accusa il clown del furtarello, dicendo, “Ti ho visto, sei stato tu!” quando ogni cosa, con la massima semplicità, può trasformarsi in ogni altra cosa e “Niente è (buono o cattivo), ma è la nostra opinione che lo rende tale12.” Ora, poi, per la prima volta percepisco la triste sensazione - che ricorrerà spesso nell'aldilà – di essere incapace, il giorno seguente, di ritornare al monotono mondo reale, e il desiderio di vivere per sempre nella scintillante atmosfera che ho appena lasciato; e perdo la testa per la piccola fata, con la sua bacchetta magica variopinta come una celestiale insegna da barbiere, e sogno una magica immortalità da trascorrere insieme a lei. Ah, mentre i miei occhi vagano lungo i rami del mio albero di Natale, lei ritorna, per poi andar via, e finora non è mai rimasta con me.


Arthur Rackham - Peter Pan


Da tutte queste meraviglie salta fuori il teatrino dei bambini13 – eccolo, con il suo proscenio, le signore adorne di piume nei palchetti! - e tutto il consueto lavoro con cartoncino e colla, e gomma, e colori ad acquerello, per allestire Il mugnaio e la sua banda14, e Elisabetta, o gli esiliati della Siberia15. A dispetto dei soliti incidenti e contrattempi (in particolare, un'irragionevole tendenza del rispettabile Kelmar16, e qualche altro, a venir meno sulle gambe e a piegarsi in due nei momenti culminanti del dramma), era un mondo brulicante di fantasie così suggestive e onnicomprensive, da estendere il loro incantesimo anche ai teatri veri che vedo, molto più in giù sul mio albero di Natale, grigi e cupi alla luce del giorno, abbelliti da queste associazioni come da freschissime ghirlande di rarissimi fiori.




Ma ascoltate! I cantori stanno suonando e interrompono il mio sonno di bambino! Quali immagini evoca in me la musica natalizia mentre li vedo proseguire il loro cammino sul mio albero di Natale? I ricordi più cari della mia infanzia, che occupano un posto a parte nel mio cuore, si radunano intorno al mio lettino. Un angelo parla ad un gruppo di pastori in un campo; alcuni viaggiatori, con gli occhi al cielo, seguono una stella; un neonato in una mangiatoia; un bambino in un grande tempio parla a uomini austeri; una figura solenne, con un volto mite e bello, porgendo la mano una fanciulla morta l'aiuta a rialzarsi ; e di nuovo, alle porte di una città, richiama in vita il figlio di una vedova; ora siede in una stanza, mentre una folla di gente lo guarda dal tetto scoperchiato e con le corde cala giù un uomo ammalato sul suo letto; ancora, durante una tempesta, cammina sull'acqua verso una nave; poi, sulla riva del mare, predica ad una grande moltitudine; di nuovo, con un bambino sulle ginocchia e altri bambini intorno; poi, restituisce la vista ai ciechi, la parola ai muti, l'udito ai sordi, la salute agli ammalati, la forza agli zoppi, la conoscenza agli ignoranti; infine muore su una croce circondata da soldati armati, e mentre cala una fitta tenebra, la terra inizia a tremare e si ode soltanto una voce, “Perdona loro, perché non sanno ciò che fanno.”


Sui rami più bassi e più vecchi dell'albero, continuano ad affollarsi altre immagini natalizie. I libri di scuola chiusi, Ovidio e Virgilio muti, la regola del tre, con le sue impertinenti domande, è stata messa ormai da parte; Terenzio e Plauto non sono più rappresentati, nel teatro sono stati ammucchiati banchi e sagome geometriche, tutti scheggiati, tagliuzzati e macchiati d'inchiostro; più in alto, sono state abbandonate mazze e palle da cricket, insieme all'odore dell'erba calpestata e l'eco delle grida nell'aria serale; l'albero è ancora fresco, ancora gioioso. Anche se non torno più a casa per Natale, finché il mondo esiste, ci saranno sempre ragazzi e ragazze (grazie al cielo!); ed eccoli, più in là, ballare e giocare allegramente sui rami del mio albero, che Dio li benedica, e il mio cuore danza e gioca insieme a loro! E così anche io ritorno a casa per Natale, come dovremmo fare noi tutti, per prenderci una breve vacanza – meglio se lunga - e andar via da quel grande collegio dove lavoriamo senza sosta sulle nostre lavagnette di matematica, e riposarci. E se vogliamo, andremo dove non possiamo, luoghi dove non siamo mai stati ma che ci piacerebbe visitare, iniziando il nostro viaggio fantastico dall'albero di Natale.
Via nel paesaggio invernale. Quanti luoghi misteriosi ci sono sull'albero! Avanti, attraverso pianure avvolte nella bruma, tra le felci e le nebbie, su per i tortuosi sentieri delle colline, bui come caverne, fiancheggiati da alberi così fitti che quasi non si vedono le stelle; così, sbuchiamo sulle ampie radure delle cime, finché, con un improvviso silenzio, ci fermiamo all'inizio di un viale. Il campanello del cancello ha un suono profondo, quasi pauroso nell'aria gelata; il cancello si apre scivolando silenziosamente sui cardini, e, mentre la carrozza avanza verso la grande casa, le finestre illuminate diventano più grandi, e le due ali di alberi sembrano piegarsi all'indietro con solennità, per lasciarci passare. Durante il giorno, di tanto in tanto, una lepre impaurita ha attraversato di corsa la zolla imbiancata, il silenzio è stato interrotto, per un momento, anche dal lontano rumore degli zoccoli dei cervi sullo spesso strato di ghiaccio. I loro occhi spauriti potrebbero brillare tra le felci, se potessimo vederli, come gocce di brina gelata, ma ora dormono, e tutto tace. E così, le finestre diventano sempre più grandi, e mentre gli alberi si richiudono dietro di noi, quasi ad impedirci di fuggire, arriviamo alla casa.

Man and Woman Contemplating the Moon - Caspar David Friedrrich, 1824.


Probabilmente, ci sarà odore di castagne arrosto e di cose buone per tutto il tempo, perché stiamo raccontando storie d'inverno – o meglio, storie di fantasmi – intorno al fuoco di Natale; e non ci siamo mai mossi, se non per avvicinarci un po' di più al caminetto. Siamo arrivati alla casa, ed è una vecchia casa, piena di grandi comignoli dove il fuoco arde sugli antichi alari del focolare, e cupi ritratti (su alcuni dei quali aleggiano anche cupe leggende) ci guardano con sospetto dai pannelli di quercia dei muri. Siamo un nobiluomo di mezza età, e facciamo una cena generosa con il padrone e la padrona di casa e i loro ospiti – è il giorno di Natale e la vecchia casa è piena di gente – poi andiamo a letto. La nostra è una camera molto vecchia. E' ricoperta di arazzi. Non ci piace il ritratto del cavaliere vestito di verde sopra il focolare. Ci sono delle grandi travi nere nel soffitto, e un grande letto nero a baldacchino, sorretto ai piedi da due grandi figure nere, che sembrano essere venute via da un paio di tombe nel vecchio cimitero baronale nel parco, in nostro onore. Ma, non siamo superstiziosi, e non ci facciamo caso. Bene! Congediamo il nostro cameriere, chiudiamo la porta, e ci sediamo in vestaglia davanti al fuoco, meditando su un'infinità di cose. Dopo un po' andiamo a letto. Bene! Non riusciamo a dormire. Ci giriamo e rigiriamo, ma non riusciamo a dormire. I tizzoni nel focolare bruciano in modo irregolare e rendono la stanza spettrale. Non possiamo trattenerci dallo sbirciare, da sotto le coperte, le due figure nere e il sinistro cavaliere in verde. Nel balenio della luce, sembrano avanzare e ritirarsi: il che, sebbene non siamo affatto superstiziosi, non è piacevole. Bene! Diventiamo nervosi, sempre più nervosi. Diciamo “E' sciocco, ma non riusciamo a sopportare questa situazione; faremo finta di stare male e chiameremo qualcuno.” Stavamo per suonare il campanello, quando la porta chiusa a chiave si apre ed entra una giovane donna, mortalmente pallida e con lunghi capelli biondi, che scivola fino al fuoco e si siede nella sedia che avevamo lasciato lì, torcendosi le mani. Notiamo che i suoi abiti sono bagnati. La lingua si incolla al palato e non riusciamo a parlare; ma la osserviamo attentamente. I suoi abiti sono bagnati, i capelli sono intrisi di fango umido, è vestita alla moda di due secoli fa e alla cintura è appeso un mazzo di chiavi arrugginite. Eccola seduta lì, e siamo in un tale stato, che non riusciamo nemmeno a svenire. Dopo un po', si alza e prova tutte le serrature nelle stanza con le chiavi arrugginite, ma non ne va bene nessuna; allora, fissa il ritratto del cavaliere in verde e dice, con voce bassa e terribile, “I cervi conoscono la verità!” Poi, si torce di nuovo le mani, oltrepassa il letto, ed esce dalla porta. Ci affrettiamo ad indossare la vestaglia, afferriamo le nostre pistole (viaggiamo sempre armati), e stiamo per seguirla, quando scopriamo che la porta è chiusa a chiave. Giriamo la chiave, e guardiamo giù nel buio della galleria, non c'è nessuno. Andiamo in giro alla ricerca del nostro cameriere. Non lo troviamo. Passeggiamo nella galleria fino allo spuntare del giorno; ritorniamo nella stanza che abbiamo abbandonato, cadiamo in un sonno profondo e veniamo svegliati dal nostro cameriere (mai una volta che un fantasma perseguiti lui) e dalla luce splendente del sole. Consumiamo una misera colazione, e tutta la comitiva dice che abbiamo uno strano aspetto. Dopo colazione, visitiamo la casa con il nostro ospite, e infine lo conduciamo al ritratto del cavaliere in verde, ed esce fuori tutta la verità. Costui era stato sleale con una giovane governante al servizio della famiglia, e famosa per la sua bellezza, che si era annegata in uno stagno e il cui corpo era stato scoperto, dopo molto tempo, perché i cervi si rifiutavano di bere quell'acqua. Si mormora che da quel momento attraversi la casa a mezzanotte (ma che, in particolare, visiti la camera dove il cavaliere in verde era solito dormire), provando le vecchie serrature con le chiavi arrugginite. Diciamo al nostro ospite quello che abbiamo visto e un'ombra cade sul suo viso, e mi prega di non farne parola, e così è stato. Ma, è tutto vero, e lo abbiamo raccontato, prima di morire (ora siamo morti) a molte persone affidabili.


Non c'è fine alle vecchie case, con gallerie piene di echi e paurose camere per gli ospiti e intere ali infestate dai fantasmi chiuse per anni e anni, dove possiamo girovagare, con un piacevole brivido lungo la schiena, e incontrare un numero infinito di fantasmi, ma (forse vale la pena sottolinearlo) riducibili a pochissimi tipi e classi generali; perché i fantasmi sono poco originali e “passeggiano” in sentieri già battuti. Così, capita che in una certa stanza di una vecchia dimora, dove un malvagio signorotto, baronetto, cavaliere o gentiluomo, si sparò, ci siano alcune tavole del pavimento da cui è IMPOSSIBILE togliere il sangue. Puoi strofinare e strofinare, come ha fatto l'attuale proprietario, o piallare e piallare, come ha fatto suo padre, o grattare e grattare, come ha fatto suo nonno, o scrostare e scrostare con acidi potenti, come ha fatto il suo bisnonno, il sangue sarà ancora là – né più rosso e né più pallido – né di più e né di meno – sempre e solo lo stesso.
Così, in un'altra casa simile a questa, c'è una porta stregata che non resta mai aperta, o un'altra porta che non resta mai chiusa, o il suono spettrale di un arcolaio, o di un martello, o di passi, o un urlo, o un sospiro, o il calpestio di un cavallo, o lo sferragliare di una catena. Oppure, l'orologio di una torre che a mezzanotte batte tredici colpi quando il capofamiglia sta per morire; oppure, una sinistra carrozza nera, immobile, che, in questi stessi frangenti, è sempre vista da qualcuno aspettare presso i grandi cancelli del cortile della stalla. E così capitò che Lady Mary andò a fare visita ad una grande casa solitaria nelle Highlands scozzesi e, essendo stanca per il lungo viaggio, andò a dormire presto, e la mattina seguente, a colazione, disse candidamente, “Che strano, dare una festa così tardi ieri notte, in questo posto così remoto, e non dirmelo, prima che andassi a letto!” Tutti le chiesero che cosa voleva dire, e Lady Mary rispose, “Ma come, per tutta la notte le carrozze hanno continuato ad andare avanti e indietro sul selciato sotto la mia finestra!” Allora il padrone di casa impallidì, e così pure la sua signora, e Charles Macdoodle di Macdoodle fece cenno a lady Mary di non aggiungere altro, e tutti rimasero in silenzio. Finita la colazione, Charles Macdoodle disse a lady Mary che, secondo la tradizione di quella famiglia, il rumore delle carrozze sul selciato di casa era presagio di morte. E così fu, perché due mesi dopo, la signora del castello morì. E lady Mary, che era damigella di corte, raccontava spesso questa storia alla regina Carlotta17, e ogni volta il vecchio re diceva, “Eh, eh? Cosa, cosa? Fantasmi, fantasmi? Non esistono, non esistono!” E non smetteva questo ritornello finché non andava a letto.
Oppure, l'amico di un amico, che quasi tutti conosciamo, quando era studente al college, aveva un compagno prediletto, con cui aveva fatto il patto che, se era possibile che lo spirito ritornasse su questa terra dopo la sua separazione dal corpo, quello dei due che fosse morto per primo, sarebbe riapparso all'altro. Nel corso degli anni, i nostri amici dimenticarono il patto, e proseguirono le loro vite intraprendendo strade completamente diverse. Ma, una notte, molti anni dopo, mentre il nostro amico si trovava nel nord dell'Inghilterra, e trascorreva la notte in una locanda, nelle brughiere dello Yorkshire, gli capitò di guardare fuori dal letto, ed ecco, nel chiaro di luna, appoggiato allo scrittoio vicino alla finestra, vide il suo amico del college fissarlo intensamente! L'apparizione, ricevuto il triste saluto dell'amico, gli rispose con una specie di sussurro, ma ben udibile, “Non ti avvicinare. Sono morto. Sono qui per mantenere la mia promessa. Vengo da un altro mondo, ma non posso rivelarti i suoi segreti!” Dopodiché, quel simulacro incominciò a impallidire e, per così dire, si sciolse nel chiaro di luna e sparì.

"Marley's Ghost." Fred Barnard, 1878

Dickens's Christmas Books, A Christmas Carol, "Stave One: Marley's Ghost.



Oppure, la figlia del primo inquilino di quella pittoresca casa elisabettiana, così famosa nel circondario. Ne avete sentito parlare? No! Ebbene, quando era una graziosa fanciulla di soli diciassette anni, una sera d'estate, al tramonto, uscì in giardino a raccogliere fiori; e dopo un po' rientrò di corsa dal padre, in preda al panico, dicendo, “Oh, caro padre, ho incontrato me stessa!” Il padre la prese tra le braccia e le disse che era solo la sua immaginazione, ma lei continuò, “Oh, no! Ho incontrato me stessa nel viale ed ero pallida e stavo raccogliendo fiori appassiti, ho girato la testa e i fiori erano nelle mie mani!” E quella stessa notte morì, e la sua storia divenne oggetto di un dipinto rimasto incompiuto, e dicono che sia ancora da qualche parte nella casa, verso il muro.
Oppure, lo zio del fratello di mia moglie stava tornando a casa a cavallo, una sera al tramonto, quando, in un vialetto erboso vicino casa, vide davanti a sé un uomo fermo al centro del sentiero. “Che ci fa lì quell'uomo con il mantello!” pensò. “Vuole forse che lo travolga col mio cavallo?” Ma la figura non si muoveva. Nel vederlo così immobile, fu assalito da una strana sensazione, ma rallentò il trotto e proseguì. Quando gli fu così vicino che quasi lo toccava con la staffa, il cavallo si impennò, e la figura scivolò sul bordo della strada muovendosi all'indietro, in un modo strano e non di questa terra, e sembrava che non usasse i piedi – e sparì. Lo zio del fratello di mia moglie esclamò, “Santo cielo, è il cugino Harry, che vive a Bombay!” e spronò il cavallo, che improvvisamente si ricoprì di sudore, e, stupito da quello strano comportamento, sfrecciò fino all'ingresso della sua casa. Lì, vide la stessa figura, che proprio in quel momento stava entrando in casa attraverso la porta della veranda del soggiorno che si apriva sul prato. Tirò le briglie ad un servo, e gli corse dietro. Sua sorella sedeva lì, da sola. “Alice, dov'è mio cugino Harry?” “Tuo cugino Harry, John?” “Sì, quello di Bombay. L'ho incontrato nel vialetto proprio adesso, e l'ho visto entrare qui, in questo momento.” Ma nessuno aveva visto un bel niente, e, come si apprese solo più tardi, il cugino era morto in India proprio in quel preciso momento.

Count Magnus, M.R. James illustrato da Francis Mosley

Oppure, c'era una certa vecchia signorina, molto saggia, che morì a novantanove anni, e conservò la sua lucidità fino alla fine, che vide l'Orfanello per davvero; una storia che è stata spesso raccontata in modo poco corretto, ma che noi conosciamo meglio di tutti – perché, di fatto, è una storia che appartiene alla nostra famiglia – e la vecchia signorina era imparentata con noi. Quando aveva circa quarant'anni, ed era ancora una donna incredibilmente bella (il suo innamorato era morto giovane, così non si era mai sposata, anche se aveva ricevuto molte proposte), andò a vivere in una casa nel Kent, che suo fratello, un mercante della compagnia delle indie, aveva comprato da poco. C'era una storia secondo cui una volta quella casa era stata amministrata dal tutore di un bambino, di cui era anche erede, e che aveva ucciso il bambino a forza di trattarlo in modo duro e crudele. Lei non ne sapeva niente. Si diceva anche che nella sua stanza da letto c'era un gabbia in cui il tutore richiudeva il bambino. Ma non c'era niente del genere. C'era solo uno stanzino. Così la nostra signorina andò a letto, ma durante la notte non diede nessun allarme, e la mattina, quando la cameriera entrò, le chiese con molta calma, “Chi è quel bel bambino dall'aspetto derelitto che per tutta la notte mi ha osservato mettendo la testa fuori dalla porta di quello stanzino?” La cameriera rispose con un urlo e se ne fuggì via all'istante. Lei ne fu sorpresa, ma era una donna di notevole presenza di spirito, così si vestì, andò giù, ed ebbe una conversazione a quattrocchi con il fratello. “Devi sapere,Walter,” disse, “che sono stata disturbata tutta la notte da un bel bambino dall'aspetto derelitto, che ha continuato a sbirciare nella mia stanza mettendo la testa fuori dalla porta dello stanzino, che io non riesco ad aprire. Deve essere uno scherzo.” “Temo di no, Charlotte,” le rispose il fratello, “perché questa è la leggenda della casa. Si tratta dell'Orfanello. Che cosa ha fatto”? “Ha aperto la porta piano piano,” disse, “e ha fatto capolino. Talvolta, ha fatto qualche passo nella stanza. Così l'ho chiamato, invitandolo ad avvicinarsi, ma è indietreggiato, ha rabbrividito, è scivolato di nuovo nello stanzino ed ha chiuso la porta.” “Lo stanzino, Charlotte, non comunica con nessun'altra parte della casa e la porta è inchiodata,” le disse il fratello. Questo era innegabilmente vero, e ci vollero due falegnami e un'intera mattinata per aprirlo ed esaminarlo. Così, la nostra signorina fu certa di aver visto l'Orfanello. Ma, la parte terribile e crudele della storia è che lo videro anche i figli del fratello, uno dopo l'altro, e morirono tutti giovani. Ogni volta che un bambino si ammalava, dodici ore prima, ritornava a casa tutto eccitato e diceva, oh mamma, che aveva giocato sotto una certa quercia, in un certo prato, con uno strano ragazzo – un bel ragazzo dall'aria derelitta, e che parlava a cenni! Edotti da questa fatale esperienza, i genitori capirono che si trattava dell'Orfanello, e che il destino del bambino che sceglieva come piccolo compagno di gioco era segnato. 
In Germania ci sono schiere infinite di castelli, dove vegliamo tutta la notte in attesa dello spettro – dove veniamo condotti in una stanza, resa sufficientemente confortevole apposta per noi – dove osserviamo le ombre che un fuoco scoppiettante proietta sulle pareti – dove ci sentiamo molto soli quando il padrone della locanda del villaggio e la sua bella figlia si sono ritirati, dopo aver messo sul caminetto una nuova provvista di legna, e apparecchiata la cena sul tavolino con prelibatezze come arrosto freddo di cappone, pane, uva e un fiasco di vino del Reno invecchiato – dove, al loro passaggio, le porte si sono chiuse, una dopo l'altra, rimbombando con un cupo fragore di tuono – e dove, dopo mezzanotte, veniamo iniziati a diversi misteri soprannaturali. Altrettanto innumerevoli sono gli studenti tedeschi18 perseguitati dagli spettri, in compagnia dei quali ci avviciniamo un po' di più al fuoco, mentre lo scolaretto nell'angolo sgrana gli occhi e fugge via dal poggiapiedi che aveva scelto come sedile, quando la porta si apre accidentalmente per un colpo di vento. Sul nostro albero di Natale scintilla un vasto raccolto di questi frutti, in fiore quasi alla cima, sempre più maturi man mano che scendiamo lungo i rami. 

 
Tra gli ultimi giocattoli e le fantasticherie che troviamo appese lì – spesso altrettanto oziose e meno innocenti – ci sono le immagini, rimaste inalterate, già evocate dai cari vecchi cantori di Natale, con la loro musica che si perde nella notte! Circondata dai comuni sentimenti del giorno di Natale, lasciamo che anche la benevola figura della mia infanzia rimanga inalterata. Fra tutte le suggestioni e le immagini e che questo periodo dell'anno porta con sé, possa la fulgida stella che si posò sull'umile tetto, essere la stella di tutto il mondo cristiano! Ancora un attimo, prima che tu svanisca, o albero, mentre i tuoi rami più bassi già si perdono nelle tenebre, e lascia che ti guardi ancora una volta! So che ci sono spazi vuoti sui tuoi rami, là dove brillavano e sorridevano occhi che io ho amato e che sono volati via per sempre. Ma, là in alto, vedo la resurrezione della fanciulla morta e quella del figlio della vedova, e capisco che Dio è buono! Se la mia vecchiaia si nasconde a me in quella parte invisibile della tua crescita capovolta, fa che anche con la barba grigia io mi rivolga a quella figura col cuore di un bambino, e con la confidenza e la fiducia di un bambino!


Ora, l'albero è decorato della luminosa gioia e canti e danze e felicità dei bambini. E sono tutti benvenuti. Possano essere per sempre innocenti e benvenuti, sotto i rami dell'albero di Natale, che non ha più ombre tetre! Ma, mentre affonda nel terreno, sento un sussurro attraversarlo tutto, “Fate questo in memoria della legge dell'amore e della gentilezza, pietà e misericordia. Fate questo in memoria di me!”

 FINE





1Città a nord di Londra, famosa per i suoi allevamenti di cavalli di razza e i suoi ippodromi.
2Si riferisce alla scala celeste che Giacobbe vide in sogno e da cui questo giocattolo popolare prende il nome
3 Protagonista di geste cavalleresche del XVII secolo
4 La fiaba, tratta da un racconto di Madame d'Alnoy, narra del Nano giallo, una creatura malvagia che vuole sposare a tutti i costi la Principessa Tutta-Bella.
5 Mother Bunch è lo pseudonimo a cui vennero attribuiti in Inghilterra molti dei racconti di Madame d'Aulnoy.
6 La ghoul è un mostro o spirito malvagio della mitologia araba associato ai cimiteri e si nutre di carne umana.
7 Un romanzo d'avventura ispirato a Robinso Crusoe, pubblicato con il titolo The Hermit (1727), attribuito a Alexander Bicknell.
8 The History of Sandford and Merton (1783-1789) era un famoso libro per bambini scritto da Thomas Day. Raccolta di Storie che girano intorno all'educazione di due bambini ad opera del loro mentore Mr. Barlow e profondamente influenzate dalle idee di Rousseau.
9 Aubry de Montdidier. - 14º, protagonista della leggenda: Il cane di Montargis. A., ucciso da un certo Riccardo de Macaire, sarebbe stato vendicato dal proprio cane - unico testimone del delitto - che avrebbe inseguito l'assassino attirando su di lui i sospetti della giustizia e vincendolo poi in un singolare duello giudiziario. Il duello avrebbe avuto luogo in una località chiamata appunto Montargis.
10 Elizabeth "Jane" Shore (c.1445 – c.1527) . Era nota in tutta Londra per la sua bellezza, guadagnandosi il titolo di "The Rose of London.” Fu una delle molte amanti di Edoardo IV e cadde in disgrazia alla sua morte quando il suo successore, Riccardo III, sospettando che complottasse contro di lui, la costrinse a fare pubblica penitenza per le strade di Londra.
11 The London Merchant (Or The History Of George Barnwell, 1731) di George Lillo. E' la tragedia di un giovane apprendista che in seguito alla sua relazione con una prostituta uccide il ricco zio. Notevole l'uso di personaggi della classe media e operaia, divenne una della opere più popolari del secolo.
12 Hamlet Act 2, scene 2, 239–251
13 Toy theater, chiamato anche paper theater e model theater, è una forma di teatro in miniatura, che fu popolare in Europa nel19°. I toy theatres erano stampati su cartoncino e venduti in kit da assemblare, insieme ai copioni più popolari, su licenza dei rispettivi teatri.
14 Melodramma in due atti di I. Pocock, rappresentato al Covent Garden nel 1813
15 Elizabeth; or, The Exiles of Siberia, di Sophie Cottin (1805), racconto basato sulla storia vera di un giovane nobildonna polacca che nel 1801riesce ad ottenere dall'imperatore Alessandro il perdono per i genitori esiliati in Siberia.
16 Personaggio de Il mugnaio e la sua banda
17 Consorte (1744-1818) di re Giorgio III
18 Popolare racconto del folklore tedesco a cui si ispirò lo scrittore americano Washington Irving per scrivere The Adventure of the German Student (1824) – tradotto nel mio primo post feb. 2012


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