Alla
ricerca del Natale perduto
Nella
triste Inghilterra della rivoluzione industriale, che lasciava ai
lavoratori ben
poco
tempo per festeggiare,
il
Natale era un giorno di lavoro come gli altri. Furono
proprio i racconti di Dickens, in particolare A
Chistmas Carol
(1843),
a
riaccendere
la gioia del Natale, che
era una festività in declino da quando Oliver Cromwell,
(vincitore della rivoluzione puritana culminata nel 1649 con la
decapitazione del re) cercò di eradicare le tradizioni natalizie del
medioevo a causa delle loro implicazioni pagane. Infatti, il 25
dicembre coincide con le celebrazioni del solstizio invernale, i
Saturnalia nel mondo latino e Yule nella tradizione nordica.
La tradizione della famiglia riunita intorno all'albero
di Natale, invece, fu
portata dalla Germania in Inghilterra dal Principe Alberto, marito
della regina Vittoria. Altra tradizione importata dal principe
Alberto fu quella dei canti natalizi, che ravvivò la tradizione
medievale dei Waits, gruppi di cantori e musicisti dilettanti che si
esibivano per le strade nel giorno di Natale.
Il nome di
Dickens divenne così strettamente connesso al Natale, che quando
morì una piccola venditrice ambulante chiese: “Mr.
Dickens morto? Allora
anche Papà Natale è morto?”
Dopo
il successo di A
Christmas Carol,
Dicken rispettò
il suo appuntamento con i lettori, pubblicando quasi tutti gli anni
un nuovo racconto natalizio. Nel
1850 pubblicò
A Christmas Tree nella
sua rivista Household
Words.
Il
racconto è stato tradotto in italiano solo nel 1981 e
pubblicato
da Vanni Scheiwiller col marchio «All'insegna del pesce d'oro»,
oggi introvabile, in una preziosa edizione bilingue illustrata dalle
inquietanti
incisioni di Mirando Haz (pseudonimo
di Amedeo Pieragostini), che ben riescono a cogliere il lato più
oscuro e visionario di questo racconto. Racconto
pieno di invenzioni, suggestioni e tocchi di humor nero, sicuramente
uno dei più originali di Dickens, eppure uno dei meno conosciuti,
forse
perché il suo messaggio è meno rassicurante e ottimista di quello
che il
pubblico vittoriano
avrebbe
gradito.
Anche
lo stile della narrazione risulta complesso e sofisticato, una sorta
di reverie che mi ha ricordato la Recherche
di Proust.
Il
racconto inizia nel più convenzionale dei modi: è il giorno di
Natale e il narratore lo ha trascorso insieme ad “un'allegra
compagnia di bambini riuniti intorno a
quel
grazioso giocattolo tedesco, l'albero
di Natale.” Il
narratore guarda l'albero con gli occhi dei bambini, incantati dallo
sfavillio delle luci e dal tripudio di giocattoli appesi ai rami
dell'albero:
“C'era di tutto e di più.” Di
ritorno a casa, i suoi pensieri ritornano indietro:
“Comincio
a ripensare alle cose che tutti noi meglio ricordiamo fra quella
appese ai rami dell'albero di Natale della nostra giovinezza, sul
quale ci siamo arrampicati fino alla vita reale.” Anche
l'albero assume una direzione retrograda: “... perché
scopro che, grazie ad una sua singolare caratteristica, questo albero
sembra stagliarsi giù verso la terra.” E
la luminosa punta dell'albero, riaccende in lui i ricordi della sua
infanzia. Dapprima i giocattoli, naturalmente. Ma i giocattoli appesi
all'albero
della
memoria,
che lancia intorno a sé un'ombra inquietante, nascondevano
anch'essi un lato oscuro; e
così l'acrobata lo fissava
con i suoi infidi
“occhi d'aragosta”, dalla
tabacchiera sbucava
un demoniaco pupazzo in toga nera, che lo perseguitava perfino nei
sogni. Ma la cosa che più lo terrorizzava era una
“spaventosa maschera” che
con
in suoi occhi vacui e i suoi lineamenti immobili evocava
quella
“... remota
suggestione e la paura di quel cambiamento universale che è
destinato a scendere sul volto di tutti noi e renderlo immobile.”
Solo
un profondo conoscitore dell'animo infantile
poteva intuire le profonde malinconie e le oscure paure dei
bambini di fronte ai misteri della vita e della morte.
Ma
sull'albero ci sono anche le favole
care all'infanzia, da Cappuccetto
Rosso alle
Mille e una Notte, e
i toy theatres, (teatrini di carta venduti in appositi kit da
ritagliare e incollare) dove venivano rappresentate storie edificanti
e lacrimevoli che hanno lasciato in eredità all'adulto l'amore per
il teatro vero. Ed
ecco avanzare sull'albero i Waits, con i loro canti natalizi ispirati
al Vangelo. Ed
è nella sequenza di scene ispirate alla vita di Gesù, che il
narratore sembra ritrovare il genuino spirito natalizio, fatto di
amore e carità.
Ma subito dopo al sacro si contrappone il profano dei racconti d'inverno
intorno al focolare “- o
meglio, storie di fantasmi -” E
qui Dickens, che ha spesso usato il soprannaturale nei suoi racconti,
si diverte a fare una lunga casistica delle tipiche situazioni da
ghost stories prendendo bonariamente in giro gli amanti di questo
genere. Ma è Natale, si sa, e anche questo fa parte della
tradizione.
Ora
il racconto volge alla fine, e il narratore scruta tra
i
rami più bassi, mentre
l'albero inizia a svanire. Il
suo pensiero ritorna a “occhi
che io ho amato e che sono volati via per sempre.” Ma
il ricordo della
figura salvifica di Gesù, già evocata dai canti dei Waits, ritorna
ad illuminare il Natale con la luce della speranza, spariscono
le ombre e ritornano i giochi dei bambini intorno all'albero,
“Possano
essere per sempre innocenti e benvenuti, sotto i rami dell'albero di
Natale, che
non ha più ombre
tetre!” E
il narratore stesso, si augura di rivolgersi al Cristo “...col
cuore di un bambino, e con la confidenza e la fiducia di un bambino!”
Ed
è nelle parole del Cristo che Dickens ritrova lo spirito più
genuino del Natale, “Fate
questo in memoria della legge dell'amore e della gentilezza, pietà e
misericordia. Fate questo in memoria di me!”
Un
albero di Natale
di
Charles
Dickens (1850)
Ho
trascorso la sera ad osservare un'allegra compagnia di bambini
riuniti intorno a quel grazioso giocattolo tedesco, l'albero di
Natale. L'albero era piantato al centro di un grande tavolo rotondo e
torreggiava sopra le loro teste. Risplendeva della luce di una
moltitudine di candeline, ed era tutto uno scintillio di oggetti
brillanti. C'erano bambole dalle guance rosa, che facevano capolino
da dietro le grandi foglie verdi, e c'erano dei veri orologi
(quantomeno, le lancette si muovevano e potevano essere caricati
all'infinito) che dondolavano da innumerevoli rami, c'erano tavolini
francesi tirati a lucido, sedie, lettini, armadi, orologi a corda, e
vari altri pezzi di arredamento (tutti di latta, meravigliosamente
costruiti a Wolverhampton), appollaiati tra i rami, come ad
apparecchiare una casa di fata; c'erano omini dai faccioni allegri,
dall'aspetto molto più gradevole di tanti uomini in carne ed ossa e
non c'era da meravigliarsi, perché staccando loro la testa, si
scopriva che erano pieni di di prugne candite; c'erano violini e
tamburi e tamburini; libri, scatole da lavoro, scatole di colori,
scatole di dolciumi, scatole prospettiche e tutti i tipi di scatole;
c'erano ninnoli per le ragazze più grandi, di gran lunga più
brillanti dell'oro e dei gioielli degli adulti; c'erano cestini e
puntaspilli di tutti i tipi; c'erano fucili, spade e stendardi;
c'erano magici girotondi di streghe di cartapesta; c'erano
trottoline, trottole, porta aghi, pulisci penna, bottiglie di sali,
carte di conversazione, porte-bouquet; frutta vera, resa
artificialmente scintillante da involucri dorati; mele, pere e noci
finte, piene zeppe di sorprese; in breve, come sussurrò deliziato un
grazioso bambino di fronte a me a un altro grazioso bambino, suo
amichetto del cuore, “C'era di tutto e di più.” Questa
eterogenea collezione di oggetti bizzarri, che pendeva dall'albero in
grappoli di magica frutta e i cui bagliori riflettevano gli sguardi
luminosi provenienti da ogni parte – alcuni di quegli occhi di
diamante persi in ammirazione arrivavano a malapena al tavolo, mentre
altri si struggevano di timido stupore in braccio alle loro graziose
madri, zie e bambinaie – era una vivida realizzazione delle
fantasie infantili e mi hanno indotto a pensare che gli alberi e
tutte le cose che esistono su questa terra hanno i loro fantastici
ornamenti in quel tempo evocato con tanta nostalgia.
Ora mi
trovo di nuovo a casa, da solo, essendo l'unica persona sveglia della
famiglia, mentre i miei pensieri, sotto l'influenza di una
irresistibile magia, ritornano alla mia fanciullezza. Comincio a
ripensare alle cose che tutti noi meglio ricordiamo fra quella appese
ai rami dell'albero di Natale della nostra giovinezza, sul quale ci
siamo arrampicati fino alla vita reale. Dritto, nel mezzo della
stanza, si erge un albero dalla cupa ombra, libero di crescere senza
la costrizione delle pareti o del soffitto, e mentre osservo la
sognante luminosità della sua punta – perché scopro che, grazie
ad una sua singolare caratteristica, questo albero sembra stagliarsi
giù verso la terra – rivivo i ricordi dei Natali dei miei primi
anni. Dapprima, rivedo tutti i giocattoli. Lì sopra, tra il verde
agrifoglio e le rosse bacche, c'è l'acrobata con le mani nelle
tasche, che non stava mai tranquillo, ma ogni volta che lo mettevano
sul pavimento, continuava a girare il suo grasso corpo, finché non
si fermava arrotolato su sé stesso e fissava i suoi occhi di
aragosta su di me, che fingevo di ridere di gusto, ma nel fondo del
mio cuore diffidavo enormemente di lui. Proprio accanto
all'acrobata, c'è quell'infernale tabacchiera, dalla quale salta
fuori un demoniaco avvocato in toga nera, con una terrificante
parrucca e una bocca spalancata di panno rosso, che non si poteva
sopportare in nessun modo, ma che non si poteva nemmeno mettere via,
perché, improvvisamente, durante il sonno assumeva dimensioni
gigantesche e volava fuori da enormi tabacchiere quando meno te lo
aspettavi. Né gli è da meno la rana con la coda incerata, perché
nessuno poteva sapere dove sarebbe saltata, e quando volava sopra la
candela e ti arrivava sulla mano con quel suo dorso a pallini –
rossi su campo verde – era orribile. La dama di cartoncino con la
gonna di seta blu, che volteggiava intorno a una candela, e che si
trovava sullo stesso ramo, era più dolce ed era bella; ma non potrei
dire lo stesso per l'uomo di cartoncino, più grande di lei, che era
appeso alla parete e si poteva muovere con una cordicella; c'era
un'espressione sinistra nel suo naso e quando metteva le gambe
intorno al collo (cosa che faceva spesso), era orribile e non era un
tipo con cui restare soli. Quando è stata la prima volta che quella
spaventosa maschera mi ha fissato? Chi la indossava, e perché ero
spaventato al punto che la sua visione è un punto fermo nella mia
vita ? Non è un viso spaventoso di per sé, dovrebbe perfino essere
buffa, perché allora i suoi lineamenti impassibili erano così
insopportabili? Sicuramente non perché nascondeva la faccia di chi
la indossava. Un grembiule avrebbe potuto fare altrettanto, e
tuttavia avrei preferito il grembiule, non mi sarebbe stato così
assolutamente insopportabile come la maschera. Era l'immobilità dei
lineamenti della maschera? Il volto della bambola era immobile, ma
non ne ero spaventato. Forse, quella fissità che si sovrapponeva a
un volto reale, infondeva nel mio cuore, che batteva all'impazzata,
una remota suggestione e la paura di quel cambiamento universale che
è destinato a scendere sul voto di tutti noi e renderlo immobile?
Niente poteva farmela piacere; non i tamburini, da cui, girando una manopola, si alzava un malinconico cinguettio; non il reggimento di soldati, con una muta banda, che, tolti da una scatola, erano sistemati, uno per uno, su una rigida fila di pinze a molla; non la vecchietta, fatta di fili di ferro e carta marrone, che tagliava una torta a due bambini. Niente poteva darmi un conforto durevole. A niente serviva mostrarmi che era fatta di cartone, o metterla sotto chiave e assicurarmi che nessuno l'avrebbe indossata. Il semplice ricordo di quel volto fisso, il solo sapere che esisteva da qualche parte, era sufficiente a svegliarmi la notte tutto sudato e terrorizzato, esclamando, “Oh, so che sta arrivando! Oh, la maschera!”
Miarndo Haz - The Mask |
Niente poteva farmela piacere; non i tamburini, da cui, girando una manopola, si alzava un malinconico cinguettio; non il reggimento di soldati, con una muta banda, che, tolti da una scatola, erano sistemati, uno per uno, su una rigida fila di pinze a molla; non la vecchietta, fatta di fili di ferro e carta marrone, che tagliava una torta a due bambini. Niente poteva darmi un conforto durevole. A niente serviva mostrarmi che era fatta di cartone, o metterla sotto chiave e assicurarmi che nessuno l'avrebbe indossata. Il semplice ricordo di quel volto fisso, il solo sapere che esisteva da qualche parte, era sufficiente a svegliarmi la notte tutto sudato e terrorizzato, esclamando, “Oh, so che sta arrivando! Oh, la maschera!”
Ecco il
vecchio caro asinello con i panieri! Non mi sono mai chiesto, allora,
di cosa fossa fatto! La sua pelle era reale al tocco, mi ricordo. E
il grande cavallo nero ricoperto di grandi bolli rossi – su quel
cavallo potevo perfino salirci – non mi sono mai chiesto che cosa
lo avesse ridotto in quella strana condizione, né ho mai pensato al
fatto che un tale cavallo non si vedeva di solito a Newmarket1.
I quattro cavalli di legno non verniciato, vicino a lui, attaccati
al furgone del lattaio, e che potevano essere staccati e messi alla
stalla sotto il tavolo, avevano quattro pezzi di pelliccia come coda,
e altri quattro pezzi al posto della criniera, e si reggevano su
pioli, invece che sulle gambe, ma non mi sembrò così quando vennero
portati a casa come dono di Natale, allora andavano bene; né mi
rendevo conto, che i finimenti gli fossero stati inchiodati addosso
senza tante cerimonie, come mi appare evidente ora. I titntinnanti
meccanismi del pianino, come scoprii, erano fatti di stuzzicadenti di
osso e fili di ferro; e avevo sempre considerato una persona
piuttosto sciocca, ma di buon carattere, il piccolo acrobata in
maniche di camicia, che si arrampicava all'infinito sul lato di una
cornice di legno, scendendo a testa in giù dall'altro lato; ma la
scala di Giacobbe2,
fatta di piccoli riquadri di legno rosso, che si srotolavano
rumorosamente l'uno sull'altro, ognuno abbellito da un disegno
diverso, e tutti ornati da piccole campanelle, erano davvero una
meraviglia e una grande delizia.
Ah! la casa
delle bambole! - di cui non ero il proprietario, ma solo un
visitatore. Il palazzo del Parlamento non mi sembra bello nemmeno la
metà di quell'edificio dalla facciata in pietra e con le finestre
di vetro vero, e i gradini d'ingresso e un vero balcone – più
verde di quanti ne abbia mai visti fino ad oggi, eccetto che nelle
località termali; e anche quelli non sono che una pallida
imitazione. E sebbene l'intera facciata si aprisse completamente
(cosa che per me era un vero colpo, lo ammetto, perché cancellava
l'illusione di entrarvi attraverso una scala), era solo per
richiudersi di nuovo, e la mia illusione poteva continuare. Quando
era aperta, comunque, si potevano vedere tre stanze: il salotto e la
camera da letto, elegantemente arredati, e più bella di tutte, la
cucina, con i ferri per il focolare incredibilmente piccoli, e un
completo assortimento di utensili in miniatura – oh, il braciere! -
e un cuoco di latta messo di profilo, che era sempre sul punto di
friggere due pesci.
E quale onore fingevo di rendere ai nobili banchetti allestiti su di un servizio di piatti di legno, ognuno con la sua particolare prelibatezza, come il prosciutto o il tacchino, ben appiccicata sopra, e guarnita con qualcosa di verde, che, ora mi ricordo, era muschio! Nemmeno tutti gli eserciti della salvezza, messi insieme, potrebbero darmi un tè come quello che ho gustato in quel piccolo servizio di terracotta blu, che poteva realmente contenere liquidi (ricordo che uscivano da una botticella di legno e sapevano di fiammifero), e trasformava il mio tè in nettare. E se i due bracci di quelle inefficaci pinze per lo zucchero si accavallavano l'uno sull'altro, e non servivano a niente, come le mani di un Pulcinella, che cosa importa? E se una volta urlai, come se mi avessero avvelenato, e gettai nello sconforto quella elegante compagnia, era perché avevo inavvertitamente bevuto un piccolo cucchiaino che si era dissolto nel tè troppo caldo, e la cosa mi aveva fatto stare tanto male, come se avessi bevuto una medicina!
E quale onore fingevo di rendere ai nobili banchetti allestiti su di un servizio di piatti di legno, ognuno con la sua particolare prelibatezza, come il prosciutto o il tacchino, ben appiccicata sopra, e guarnita con qualcosa di verde, che, ora mi ricordo, era muschio! Nemmeno tutti gli eserciti della salvezza, messi insieme, potrebbero darmi un tè come quello che ho gustato in quel piccolo servizio di terracotta blu, che poteva realmente contenere liquidi (ricordo che uscivano da una botticella di legno e sapevano di fiammifero), e trasformava il mio tè in nettare. E se i due bracci di quelle inefficaci pinze per lo zucchero si accavallavano l'uno sull'altro, e non servivano a niente, come le mani di un Pulcinella, che cosa importa? E se una volta urlai, come se mi avessero avvelenato, e gettai nello sconforto quella elegante compagnia, era perché avevo inavvertitamente bevuto un piccolo cucchiaino che si era dissolto nel tè troppo caldo, e la cosa mi aveva fatto stare tanto male, come se avessi bevuto una medicina!
Sui rami
vicini, un po' più in basso, proprio accanto all'uccellino verde e
agli attrezzi da giardinaggio in miniatura, iniziava una fitta fila
di libri. Dapprima venivano, in gran numero, certi libricini sottili
e con copertine deliziosamente lisce di un rosso e di un verde
brillante. E come erano grandi le iniziali in grassetto nero! “A
era un arciere e colpiva una rana.” Ma non solo, era anche
un'arancia matura, eccola lì. Ed era molte altre cose, la A,
come la maggior parte delle sue amiche, eccetto la X, che era
così poco versatile, che non l'ho vista mai andare oltre Xeres o
Xanadù – come la Y, sempre confinata tra uno yacht e una
yucca; e la Z condannata per sempre a essere una zebra o uno
zanni.
Ma adesso
era lo stesso albero a trasformarsi, e diventava una pianta di
fagiolo – la meravigliosa pianta di fagiolo su cui Jack si
arrampicò fino alla casa del gigante! E ora, spaventosamente
avvincenti, i giganti a due teste, con le loro clave sulle spalle,
iniziano a procedere lungo i rami in una schiera ordinata,
trascinando a casa per cena dame e cavalieri afferrandoli per i
capelli. E Jack – com'è nobile con l'affilatezza della sua spada e
la velocità delle sue scarpe! E mentre lo guardo, mi ritornano in
mente antichi dubbi, e disquisisco tra me e me se se ci fossero più
Jack (cosa che mi sembra impossibile), o un solo genuino originale
ammirevole Jack, che ha compiuto tutte le imprese di cui si narra.
Walter Crane - Jack e il fagiolo magico |
Il
colore rosso della mantellina di Cappuccetto Rosso si ben si addice
al giorno di Natale - l'albero ora è la foresta in cui lei si
addentra con il suo cestino. Viene a trovarmi alla vigilia di Natale
per informarmi sulla crudeltà e il tradimento di quel dissimulatore
del lupo che divorò sua nonna, senza nessun effetto sul suo
appetito, e poi mangiò anche lei, dopo il feroce gioco di parole
sui suoi denti. E' stato il mio primo amore. Sentivo che se avessi
potuto sposare Cappuccetto Rosso, avrei conosciuto la perfetta
felicità. Ma era impossibile; e non ho potuto fare altro per lei
che prendere il lupo nell'arca di Noè, e metterlo per ultimo sul
tavolo in processione con gli altri animali, come se il mostro fosse
stato degradato.
O la
meravigliosa arca di Noè! Quando la mettevi nella vasca da bagno ti
accorgevi che non era adatta a navigare, e gli animali erano
ammucchiati fino al tetto, e le loro gambe avevano bisogno di
essere raddrizzate prima che potessero entrarci dentro, e anche così,
dieci a uno che incominciavano a cadere fuori dalla porta, che era
legata alla meno peggio con un filo di ferro – Ma cosa importava!
Guarda la nobile mosca, di poco più piccola dell'elefante: la
coccinella, la farfalla – dei veri trionfi dell'arte! Guarda l'oca,
con piedi così piccoli e un equilibrio così instabile, che di
solito cadeva in avanti e buttava giù tutti gli animali della
creazione. Guarda Noè e la sua famiglia, simili a stupidi pigini per
il tabacco, e il leopardo, che restava appiccicato alle piccole dita
calde, e le code degli animali più grandi che si disfacevano
gradualmente in sfilacciati pezzetti di spago!
Zitti! Vedo
di nuovo una foresta e c'è qualcuno sull'albero- non Robin Hood, non
il nobile Valentino3, non il Nano Giallo4
(avevo oltrepassato lui e le meravigliose storie di Mother Bunch5
senza menzionarli), ma un re orientale, con una scintillante
scimitarra e un turbante. Per Allah! Due re orientali, perché,
guardando meglio, ne vedo un altro. Disteso sull'erba, ai piedi
dell'albero, giace un gigante nero come il carbone, profondamente
addormentato, con la testa sul grembo di una donna e vicino a lui c'è
una scatola di vetro, chiusa con quattro catenacci di lucido acciaio,
dove tiene prigioniera la donna quando è sveglio. Adesso vedo le
quattro chiavi appese alla cintura. La donna fa cenno ai due re
sull'albero, che scendono silenziosamente. E' l'inizio delle
sfavillanti Mille e una notte.
Oh,
ora tutte le cose comuni diventano eccezionali. Tutte le lampade sono
magiche;
tutti gli anelli sono talismani. I comuni vasi da fiori sono
pieni di tesori, con un po'
di terriccio sparso sopra; gli alberi servono come rifugio per Alì
Babà; le bistecche, invece, per essere tirate giù nella valle dei
diamanti, così che le pietre preziose possano rimanerci attaccate ed
essere trasportate dalle aquile nei loro nidi, da dove i mercanti le
scacceranno con urla paurose. Le tartine vengono impastate secondo la
ricetta del figlio del Visir
di Bassora, che diventò pasticciere dopo essere stato lasciato in
mutande alle porte di Damasco; i ciabattini sono tutti Mustafà; e
hanno tutti l'abitudine di ricucire le persone tagliate in quattro
pezzi, da cui sono stati portati bendati. Qualunque
anello di ferro fissato nella pietra apre
l'ingresso di
una caverna che aspetta solo
il mago e il fuocherello e la magia nera che farà tremare la terra.
Tutti i datteri importati provengono dallo stesso albero di quello
sfortunato dattero con il cui nocciolo il mercante colpì l'occhio
del figlio invisibile del genio. Tutte le olive sono della stessa
specie di quelle raccolte di fresco di cui il Principe dei Fedeli,
origliando di nascosto, sentì parlare il ragazzo che inscenava un
finto processo al disonesto mercante di olive; tutte le mele sono
parenti di quella mela comprata (insieme ad altre due) dal
giardiniere del sultano per tre zecchini, e che il gigantesco schiavo
nero rubò al bambino. Tutti i cani sono associai a quel cane, in
realtà un uomo trasformato, che saltò sul bancone del fornaio e
mise la zampa su una moneta falsa. Tutto il riso ricorda il riso che
quella tremenda donna, in realtà era una ghoule6,
poteva beccare solo grano a grano, a causa dei suoi banchetti
notturni nei cimiteri. Il mio stesso cavallo a dondolo, - eccolo, le
narici completamente rovesciate, indice di nobile lignaggio! -
dovrebbe avere un perno nel collo, grazie al quale può volare via
con me, come fece il cavallo di legno con il principe di Persia,
davanti agli occhi della corte del padre. Sì,
c'è questa luce magica su tutti gli oggetti che rivedo sui rami
dell'albero di Natale. Quando
mi sveglio nel mio letto, all'alba, nelle fredde e buie mattine
invernali, e intravedo la neve bianca attraverso i vetri appannati
dal gelo, allora sento le parole di Dinarzade. “Sorella, Sorella,
se sei ancora sveglia, ti prego di finire la storia del giovane re
delle Isole Nere.” Sherazade le risponde, “Se il mio signore il
sultano mi permetterà di vivere un altro giorno, sorella, non finirò
solo questa storia, ma te ne racconterò una ancora più bella.”
Allora, il grazioso sultano esce, sospendendo l'esecuzione, e tutti e
tre respiriamo di nuovo.
Eric Pape - 1923 |
A
questa altezza del mio albero, incomincio a vedere, accovacciato tra
le foglie, un prodigioso
incubo - forse generato dal tacchino, o dal pudding, o dal pasticcio
di carne, o da tutte queste
fantasie mischiate a
Robinson Crusoe sulla sua isola deserta, Philip Quarll7
tra le scimmie, Sandford e
Merton insieme a Mr. Barlow8,
Mother Bunch e la maschera – o può essere il risultato di una
indigestione assistita dall'immaginazione e dal troppo rimuginare. E'
talmente confuso, che non so perché mi sento così impaurito, ma lo
sono. Riesco solo a distinguere un'immensa schiera di cose senza
forma, che sembrano fissate su una su una quantità esagerata di
quelle pinze a molla usate per appendere i soldatini. Prima mi si
avvicina lentamente e poi retrocede ad un'immensa distanza. Quando è
più vicino, fa più paura. Vi scorgo i ricordi di notti invernali
incredibilmente lunghe; di quando ero mandato a letto presto, come
punizione per qualche marachella, per svegliarmi dopo due ore, con la
sensazione di aver dormito due notti, l'afflitta disperazione per
l'alba che non sorgeva mai e il peso oppressivo del rimorso.
Ed
ora, vedo una magica fila di piccole luci levarsi lentamente
da terra, davanti ad un grande sipario verde. Ora, una campanella
suona – una campanella magica - nelle orecchie sento ancora il suo
inconfondibile suono – e una
musica va,
fra il brusio delle voci, e
un fragrante odore di bucce e olio di arancia. Dopo un po', la
campanella ordina alla musica di cessare, e il grande sipario verde
si alza maestosamente, e la commedia inizia! Il devoto cane di
Montargis9
vendica la morte del suo padrone, ucciso a tradimento nella foresta
di Bondy; e il buffo contadino, con il naso rosso e un cappelluccio
in testa, che da questo momento sarà il mio amico del cuore (credo
che fosse il cameriere o lo stalliere della locanda del villaggio, ma
sono trascorsi tanti anni da quando ci siamo incontrati), fa notare
che la sagaciosità del
cane è in effetti sorprendente, questa pomposa fanfaronata vivrà
nei miei ricordi fresca e inalterata - di gran lunga superiore a
tutti le possibili facezie - fino alla fine del tempo. Oppure,
piangendo lacrime amare, imparo come la povera Jane Shore10,
vestita di bianco, i lunghi capelli scuri sulle
spalle, moriva
di stenti vagando per le strade di Londra;
o come George Barnwell11
uccise il migliore degli zii, e dopo ne fu così addolorato che
avrebbero dovuto lasciarlo andare. Ed
ecco accorrere in mio conforto la Pantomima – stupendo fenomeno! -
quando i clown vengono sparati fuori da un mortaio nel grande
lampadario, quella luminosa costellazione; quando Arlecchino,
ricoperto di scaglie di oro zecchino, guizza e scintilla, come un
incredibile pesce; quando Pantalone (non credo di essere irriverente
se lo paragono a mio nonno) gli mette in tasca dei fiori
rosso fuoco e grida “Arriva qualcuno!” e accusa il clown del
furtarello,
dicendo, “Ti ho visto, sei stato tu!” quando ogni cosa, con la
massima semplicità, può trasformarsi in ogni altra cosa e “Niente
è (buono o cattivo), ma è la nostra opinione che lo rende tale12.”
Ora, poi, per la prima volta percepisco la triste sensazione - che
ricorrerà spesso nell'aldilà – di essere incapace, il giorno
seguente, di ritornare al monotono mondo reale, e il desiderio di
vivere per sempre nella scintillante atmosfera che ho appena
lasciato; e perdo la testa per la piccola fata, con la sua bacchetta
magica variopinta come una celestiale insegna da barbiere, e sogno
una magica immortalità da trascorrere insieme a lei. Ah, mentre i
miei occhi vagano lungo i rami del mio albero di Natale, lei ritorna,
per poi andar via, e finora non è mai rimasta con me.
Arthur Rackham - Peter Pan |
Da
tutte queste meraviglie salta fuori il teatrino dei bambini13
– eccolo, con il suo proscenio, le signore adorne di piume nei
palchetti! - e tutto il consueto lavoro con cartoncino e colla, e
gomma, e colori ad acquerello, per allestire Il mugnaio e
la sua banda14,
e Elisabetta, o gli esiliati della Siberia15.
A dispetto dei soliti incidenti
e contrattempi (in particolare, un'irragionevole tendenza del
rispettabile Kelmar16,
e qualche altro, a venir meno sulle gambe e a piegarsi in due nei
momenti culminanti del dramma), era
un mondo brulicante di
fantasie così suggestive
e onnicomprensive,
da estendere il loro
incantesimo anche ai
teatri veri che vedo,
molto più in giù sul mio albero di Natale, grigi
e cupi alla luce del giorno,
abbelliti
da queste associazioni come
da
freschissime ghirlande di rarissimi fiori.
Ma
ascoltate! I cantori stanno suonando e interrompono il mio sonno di
bambino! Quali immagini evoca in me la musica natalizia mentre li
vedo proseguire il loro cammino sul mio albero di Natale? I ricordi
più cari della mia infanzia, che occupano un posto a parte nel mio
cuore, si radunano intorno al mio lettino. Un angelo parla ad un
gruppo di pastori in un campo; alcuni viaggiatori, con gli occhi al
cielo, seguono una stella; un neonato in una mangiatoia; un bambino
in un grande tempio parla a uomini austeri; una figura solenne, con
un volto mite e bello, porgendo la mano una fanciulla morta l'aiuta
a rialzarsi ; e di nuovo, alle porte di una città, richiama in vita
il figlio di una vedova; ora siede in una stanza, mentre una folla di
gente lo guarda dal tetto scoperchiato e con le corde cala giù un
uomo ammalato sul suo letto; ancora, durante una tempesta, cammina
sull'acqua verso una nave; poi, sulla riva del mare, predica ad una
grande moltitudine; di nuovo, con un bambino sulle ginocchia e altri
bambini intorno; poi, restituisce la vista ai ciechi, la parola ai
muti, l'udito ai sordi, la salute agli ammalati, la forza agli zoppi,
la conoscenza agli ignoranti; infine muore su una croce circondata da
soldati armati, e mentre cala una fitta tenebra, la terra inizia a
tremare e si ode soltanto una voce, “Perdona loro, perché non
sanno ciò che fanno.”
Sui rami
più bassi e più vecchi dell'albero, continuano ad affollarsi altre
immagini natalizie. I libri di scuola chiusi, Ovidio e Virgilio muti,
la regola del tre, con le sue impertinenti domande, è stata messa
ormai da parte; Terenzio e Plauto non sono più rappresentati, nel
teatro sono stati ammucchiati banchi e sagome geometriche, tutti
scheggiati, tagliuzzati e macchiati d'inchiostro; più in alto, sono
state abbandonate mazze e palle da cricket, insieme all'odore
dell'erba calpestata e l'eco delle grida nell'aria serale; l'albero è
ancora fresco, ancora gioioso. Anche se non torno più a casa per
Natale, finché il mondo esiste, ci saranno sempre ragazzi e ragazze
(grazie al cielo!); ed eccoli, più in là, ballare e giocare
allegramente sui rami del mio albero, che Dio li benedica, e il mio
cuore danza e gioca insieme a loro! E così anche io ritorno a casa
per Natale, come dovremmo fare noi tutti, per prenderci una breve
vacanza – meglio se lunga - e andar via da quel grande collegio
dove lavoriamo senza sosta sulle nostre lavagnette di matematica, e
riposarci. E se vogliamo, andremo dove non possiamo, luoghi dove non
siamo mai stati ma che ci piacerebbe visitare, iniziando il nostro
viaggio fantastico dall'albero di Natale.
Via nel
paesaggio invernale. Quanti luoghi misteriosi ci sono sull'albero!
Avanti, attraverso pianure avvolte nella bruma, tra le felci e le
nebbie, su per i tortuosi sentieri delle colline, bui come caverne,
fiancheggiati da alberi così fitti che quasi non si vedono le
stelle; così, sbuchiamo sulle ampie radure delle cime, finché, con
un improvviso silenzio, ci fermiamo all'inizio di un viale. Il
campanello del cancello ha un suono profondo, quasi pauroso nell'aria
gelata; il cancello si apre scivolando silenziosamente sui cardini,
e, mentre la carrozza avanza verso la grande casa, le finestre
illuminate diventano più grandi, e le due ali di alberi sembrano
piegarsi all'indietro con solennità, per lasciarci passare. Durante
il giorno, di tanto in tanto, una lepre impaurita ha attraversato di
corsa la zolla imbiancata, il silenzio è stato interrotto, per un
momento, anche dal lontano rumore degli zoccoli dei cervi sullo
spesso strato di ghiaccio. I loro occhi spauriti potrebbero brillare
tra le felci, se potessimo vederli, come gocce di brina gelata, ma
ora dormono, e tutto tace. E così, le finestre diventano sempre più
grandi, e mentre gli alberi si richiudono dietro di noi, quasi ad
impedirci di fuggire, arriviamo alla casa.
Man and Woman Contemplating the Moon - Caspar David Friedrrich, 1824. |
Probabilmente,
ci sarà odore di castagne arrosto e di cose buone per tutto il
tempo, perché stiamo raccontando storie d'inverno – o meglio,
storie di fantasmi – intorno al fuoco di Natale; e non ci siamo mai
mossi, se non per avvicinarci un po' di più al caminetto. Siamo
arrivati alla casa, ed è una vecchia casa, piena di grandi comignoli
dove il fuoco arde sugli antichi alari del focolare, e cupi ritratti
(su alcuni dei quali aleggiano anche cupe leggende) ci guardano con
sospetto dai pannelli di quercia dei muri. Siamo un nobiluomo di
mezza età, e facciamo una cena generosa con il padrone e la padrona
di casa e i loro ospiti – è il giorno di Natale e la vecchia casa
è piena di gente – poi andiamo a letto. La nostra è una camera
molto vecchia. E' ricoperta di arazzi. Non ci piace il ritratto del
cavaliere vestito di verde sopra il focolare. Ci sono delle grandi
travi nere nel soffitto, e un grande letto nero a baldacchino,
sorretto ai piedi da due grandi figure nere, che sembrano essere
venute via da un paio di tombe nel vecchio cimitero baronale nel
parco, in nostro onore. Ma, non siamo superstiziosi, e non ci
facciamo caso. Bene! Congediamo il nostro cameriere, chiudiamo la
porta, e ci sediamo in vestaglia davanti al fuoco, meditando su
un'infinità di cose. Dopo un po' andiamo a letto. Bene! Non
riusciamo a dormire. Ci giriamo e rigiriamo, ma non riusciamo a
dormire. I tizzoni nel focolare bruciano in modo irregolare e rendono
la stanza spettrale. Non possiamo trattenerci dallo sbirciare, da
sotto le coperte, le due figure nere e il sinistro cavaliere in
verde. Nel balenio della luce, sembrano avanzare e ritirarsi: il
che, sebbene non siamo affatto superstiziosi, non è piacevole. Bene!
Diventiamo nervosi, sempre più nervosi. Diciamo “E' sciocco, ma
non riusciamo a sopportare questa situazione; faremo finta di stare
male e chiameremo qualcuno.” Stavamo per suonare il campanello,
quando la porta chiusa a chiave si apre ed entra una giovane donna,
mortalmente pallida e con lunghi capelli biondi, che scivola fino al
fuoco e si siede nella sedia che avevamo lasciato lì, torcendosi le
mani. Notiamo che i suoi abiti sono bagnati. La lingua si incolla al
palato e non riusciamo a parlare; ma la osserviamo attentamente. I
suoi abiti sono bagnati, i capelli sono intrisi di fango umido, è
vestita alla moda di due secoli fa e alla cintura è appeso un mazzo
di chiavi arrugginite. Eccola seduta lì, e siamo in un tale stato,
che non riusciamo nemmeno a svenire. Dopo un po', si alza e prova
tutte le serrature nelle stanza con le chiavi arrugginite, ma non ne
va bene nessuna; allora, fissa il ritratto del cavaliere in verde e
dice, con voce bassa e terribile, “I cervi conoscono la verità!”
Poi, si torce di nuovo le mani, oltrepassa il letto, ed esce dalla
porta. Ci affrettiamo ad indossare la vestaglia, afferriamo le nostre
pistole (viaggiamo sempre armati), e stiamo per seguirla, quando
scopriamo che la porta è chiusa a chiave. Giriamo la chiave, e
guardiamo giù nel buio della galleria, non c'è nessuno. Andiamo in
giro alla ricerca del nostro cameriere. Non lo troviamo. Passeggiamo
nella galleria fino allo spuntare del giorno; ritorniamo nella
stanza che abbiamo abbandonato, cadiamo in un sonno profondo e
veniamo svegliati dal nostro cameriere (mai una volta che un fantasma
perseguiti lui) e dalla luce splendente del sole. Consumiamo una
misera colazione, e tutta la comitiva dice che abbiamo uno strano
aspetto. Dopo colazione, visitiamo la casa con il nostro ospite, e
infine lo conduciamo al ritratto del cavaliere in verde, ed esce
fuori tutta la verità. Costui era stato sleale con una giovane
governante al servizio della famiglia, e famosa per la sua bellezza,
che si era annegata in uno stagno e il cui corpo era stato scoperto,
dopo molto tempo, perché i cervi si rifiutavano di bere quell'acqua.
Si mormora che da quel momento attraversi la casa a mezzanotte (ma
che, in particolare, visiti la camera dove il cavaliere in verde era
solito dormire), provando le vecchie serrature con le chiavi
arrugginite. Diciamo al nostro ospite quello che abbiamo visto e
un'ombra cade sul suo viso, e mi prega di non farne parola, e così è
stato. Ma, è tutto vero, e lo abbiamo raccontato, prima di morire
(ora siamo morti) a molte persone affidabili.
Non c'è
fine alle vecchie case, con gallerie piene di echi e paurose camere
per gli ospiti e intere ali infestate dai fantasmi chiuse per anni e
anni, dove possiamo girovagare, con un piacevole brivido lungo la
schiena, e incontrare un numero infinito di fantasmi, ma (forse vale
la pena sottolinearlo) riducibili a pochissimi tipi e classi
generali; perché i fantasmi sono poco originali e “passeggiano”
in sentieri già battuti. Così, capita che in una certa stanza di
una vecchia dimora, dove un malvagio signorotto, baronetto, cavaliere
o gentiluomo, si sparò, ci siano alcune tavole del pavimento da cui
è IMPOSSIBILE togliere il sangue. Puoi strofinare e strofinare,
come ha fatto l'attuale proprietario, o piallare e piallare, come ha
fatto suo padre, o grattare e grattare, come ha fatto suo nonno, o
scrostare e scrostare con acidi potenti, come ha fatto il suo
bisnonno, il sangue sarà ancora là – né più rosso e né più
pallido – né di più e né di meno – sempre e solo lo stesso.
Così, in
un'altra casa simile a questa, c'è una porta stregata che non resta
mai aperta, o un'altra porta che non resta mai chiusa, o il suono
spettrale di un arcolaio, o di un martello, o di passi, o un urlo, o
un sospiro, o il calpestio di un cavallo, o lo sferragliare di una
catena. Oppure, l'orologio di una torre che a mezzanotte batte
tredici colpi quando il capofamiglia sta per morire; oppure, una
sinistra carrozza nera, immobile, che, in questi stessi frangenti, è
sempre vista da qualcuno aspettare presso i grandi cancelli del
cortile della stalla. E così capitò che Lady Mary andò a fare
visita ad una grande casa solitaria nelle Highlands scozzesi e,
essendo stanca per il lungo viaggio, andò a dormire presto, e la
mattina seguente, a colazione, disse candidamente, “Che strano,
dare una festa così tardi ieri notte, in questo posto così remoto,
e non dirmelo, prima che andassi a letto!” Tutti le chiesero che
cosa voleva dire, e Lady Mary rispose, “Ma come, per tutta la notte
le carrozze hanno continuato ad andare avanti e indietro sul selciato
sotto la mia finestra!” Allora il padrone di casa impallidì, e
così pure la sua signora, e Charles Macdoodle di Macdoodle fece
cenno a lady Mary di non aggiungere altro, e tutti rimasero in
silenzio. Finita la colazione, Charles Macdoodle disse a lady Mary
che, secondo la tradizione di quella famiglia, il rumore delle
carrozze sul selciato di casa era presagio di morte. E così fu,
perché due mesi dopo, la signora del castello morì. E lady Mary,
che era damigella di corte, raccontava spesso questa storia alla
regina Carlotta17, e ogni volta il vecchio re diceva,
“Eh, eh? Cosa, cosa? Fantasmi, fantasmi? Non esistono, non
esistono!” E non smetteva questo ritornello finché non andava a
letto.
Oppure,
l'amico di un amico, che quasi tutti conosciamo, quando era studente
al college, aveva un compagno prediletto, con cui aveva fatto il
patto che, se era possibile che lo spirito ritornasse su questa terra
dopo la sua separazione dal corpo, quello dei due che fosse morto per
primo, sarebbe riapparso all'altro. Nel corso degli anni, i nostri
amici dimenticarono il patto, e proseguirono le loro vite
intraprendendo strade completamente diverse. Ma, una notte, molti
anni dopo, mentre il nostro amico si trovava nel nord
dell'Inghilterra, e trascorreva la notte in una locanda, nelle
brughiere dello Yorkshire, gli capitò di guardare fuori dal letto,
ed ecco, nel chiaro di luna, appoggiato allo scrittoio vicino alla
finestra, vide il suo amico del college fissarlo intensamente!
L'apparizione, ricevuto il triste saluto dell'amico, gli rispose con
una specie di sussurro, ma ben udibile, “Non ti avvicinare. Sono
morto. Sono qui per mantenere la mia promessa. Vengo da un altro
mondo, ma non posso rivelarti i suoi segreti!” Dopodiché, quel
simulacro incominciò a impallidire e, per così dire, si sciolse nel
chiaro di luna e sparì.
"Marley's Ghost." Fred Barnard, 1878
|
Oppure, la
figlia del primo inquilino di quella pittoresca casa elisabettiana,
così famosa nel circondario. Ne avete sentito parlare? No! Ebbene,
quando era una graziosa fanciulla di soli diciassette anni, una sera
d'estate, al tramonto, uscì in giardino a raccogliere fiori; e dopo
un po' rientrò di corsa dal padre, in preda al panico, dicendo, “Oh,
caro padre, ho incontrato me stessa!” Il padre la prese tra le
braccia e le disse che era solo la sua immaginazione, ma lei
continuò, “Oh, no! Ho incontrato me stessa nel viale ed ero
pallida e stavo raccogliendo fiori appassiti, ho girato la testa e i
fiori erano nelle mie mani!” E quella stessa notte morì, e la sua
storia divenne oggetto di un dipinto rimasto incompiuto, e dicono che
sia ancora da qualche parte nella casa, verso il muro.
Oppure, lo
zio del fratello di mia moglie stava tornando a casa a cavallo, una
sera al tramonto, quando, in un vialetto erboso vicino casa, vide
davanti a sé un uomo fermo al centro del sentiero. “Che ci fa lì
quell'uomo con il mantello!” pensò. “Vuole forse che lo travolga
col mio cavallo?” Ma la figura non si muoveva. Nel vederlo così
immobile, fu assalito da una strana sensazione, ma rallentò il
trotto e proseguì. Quando gli fu così vicino che quasi lo toccava
con la staffa, il cavallo si impennò, e la figura scivolò sul bordo
della strada muovendosi all'indietro, in un modo strano e non di
questa terra, e sembrava che non usasse i piedi – e sparì. Lo zio
del fratello di mia moglie esclamò, “Santo cielo, è il cugino
Harry, che vive a Bombay!” e spronò il cavallo, che
improvvisamente si ricoprì di sudore, e, stupito da quello strano
comportamento, sfrecciò fino all'ingresso della sua casa. Lì, vide
la stessa figura, che proprio in quel momento stava entrando in casa
attraverso la porta della veranda del soggiorno che si apriva sul
prato. Tirò le briglie ad un servo, e gli corse dietro. Sua sorella
sedeva lì, da sola. “Alice, dov'è mio cugino Harry?” “Tuo
cugino Harry, John?” “Sì, quello di Bombay. L'ho incontrato nel
vialetto proprio adesso, e l'ho visto entrare qui, in questo
momento.” Ma nessuno aveva visto un bel niente, e, come si apprese
solo più tardi, il cugino era morto in India proprio in quel preciso
momento.
Count Magnus, M.R. James illustrato da Francis Mosley |
Oppure,
c'era una certa vecchia signorina, molto saggia, che morì a
novantanove anni, e conservò la sua lucidità fino alla fine, che
vide l'Orfanello per davvero; una storia che è stata spesso
raccontata in modo poco corretto, ma che noi conosciamo meglio di
tutti – perché, di fatto, è una storia che appartiene alla nostra
famiglia – e la vecchia signorina era imparentata con noi. Quando
aveva circa quarant'anni, ed era ancora una donna incredibilmente
bella (il suo innamorato era morto giovane, così non si era mai
sposata, anche se aveva ricevuto molte proposte), andò a vivere in
una casa nel Kent, che suo fratello, un mercante della compagnia
delle indie, aveva comprato da poco. C'era una storia secondo cui una
volta quella casa era stata amministrata dal tutore di un bambino, di
cui era anche erede, e che aveva ucciso il bambino a forza di
trattarlo in modo duro e crudele. Lei non ne sapeva niente. Si diceva
anche che nella sua stanza da letto c'era un gabbia in cui il tutore
richiudeva il bambino. Ma non c'era niente del genere. C'era solo uno
stanzino. Così la nostra signorina andò a letto, ma durante la
notte non diede nessun allarme, e la mattina, quando la cameriera
entrò, le chiese con molta calma, “Chi è quel bel bambino
dall'aspetto derelitto che per tutta la notte mi ha osservato
mettendo la testa fuori dalla porta di quello stanzino?” La
cameriera rispose con un urlo e se ne fuggì via all'istante. Lei ne
fu sorpresa, ma era una donna di notevole presenza di spirito, così
si vestì, andò giù, ed ebbe una conversazione a quattrocchi con il
fratello. “Devi sapere,Walter,” disse, “che sono stata
disturbata tutta la notte da un bel bambino dall'aspetto derelitto,
che ha continuato a sbirciare nella mia stanza mettendo la testa
fuori dalla porta dello stanzino, che io non riesco ad aprire. Deve
essere uno scherzo.” “Temo di no, Charlotte,” le rispose il
fratello, “perché questa è la leggenda della casa. Si tratta
dell'Orfanello. Che cosa ha fatto”? “Ha aperto la porta piano
piano,” disse, “e ha fatto capolino. Talvolta, ha fatto qualche
passo nella stanza. Così l'ho chiamato, invitandolo ad avvicinarsi,
ma è indietreggiato, ha rabbrividito, è scivolato di nuovo nello
stanzino ed ha chiuso la porta.” “Lo stanzino, Charlotte, non
comunica con nessun'altra parte della casa e la porta è inchiodata,”
le disse il fratello. Questo era innegabilmente vero, e ci vollero
due falegnami e un'intera mattinata per aprirlo ed esaminarlo. Così,
la nostra signorina fu certa di aver visto l'Orfanello. Ma, la parte
terribile e crudele della storia è che lo videro anche i figli del
fratello, uno dopo l'altro, e morirono tutti giovani. Ogni volta che
un bambino si ammalava, dodici ore prima, ritornava a casa tutto
eccitato e diceva, oh mamma, che aveva giocato sotto una certa
quercia, in un certo prato, con uno strano ragazzo – un bel ragazzo
dall'aria derelitta, e che parlava a cenni! Edotti da questa fatale
esperienza, i genitori capirono che si trattava dell'Orfanello, e che
il destino del bambino che sceglieva come piccolo compagno di gioco
era segnato.
In Germania
ci sono schiere infinite di castelli, dove vegliamo tutta la notte in
attesa dello spettro – dove veniamo condotti in una stanza, resa
sufficientemente confortevole apposta per noi – dove osserviamo le
ombre che un fuoco scoppiettante proietta sulle pareti – dove ci
sentiamo molto soli quando il padrone della locanda del villaggio e
la sua bella figlia si sono ritirati, dopo aver messo sul caminetto
una nuova provvista di legna, e apparecchiata la cena sul tavolino
con prelibatezze come arrosto freddo di cappone, pane, uva e un
fiasco di vino del Reno invecchiato – dove, al loro passaggio, le
porte si sono chiuse, una dopo l'altra, rimbombando con un cupo
fragore di tuono – e dove, dopo mezzanotte, veniamo iniziati a
diversi misteri soprannaturali. Altrettanto innumerevoli sono gli
studenti tedeschi18 perseguitati dagli spettri, in
compagnia dei quali ci avviciniamo un po' di più al fuoco, mentre lo
scolaretto nell'angolo sgrana gli occhi e fugge via dal poggiapiedi
che aveva scelto come sedile, quando la porta si apre accidentalmente
per un colpo di vento. Sul nostro albero di Natale scintilla un vasto
raccolto di questi frutti, in fiore quasi alla cima, sempre più
maturi man mano che scendiamo lungo i rami.
Tra gli
ultimi giocattoli e le fantasticherie che troviamo appese lì –
spesso altrettanto oziose e meno innocenti – ci sono le immagini,
rimaste inalterate, già evocate dai cari vecchi cantori di Natale,
con la loro musica che si perde nella notte! Circondata dai comuni
sentimenti del giorno di Natale, lasciamo che anche la benevola
figura della mia infanzia rimanga inalterata. Fra tutte le
suggestioni e le immagini e che questo periodo dell'anno porta con
sé, possa la fulgida stella che si posò sull'umile tetto, essere la
stella di tutto il mondo cristiano! Ancora un attimo, prima che tu
svanisca, o albero, mentre i tuoi rami più bassi già si perdono
nelle tenebre, e lascia che ti guardi ancora una volta! So che ci
sono spazi vuoti sui tuoi rami, là dove brillavano e sorridevano
occhi che io ho amato e che sono volati via per sempre. Ma, là in
alto, vedo la resurrezione della fanciulla morta e quella del figlio
della vedova, e capisco che Dio è buono! Se la mia vecchiaia si
nasconde a me in quella parte invisibile della tua crescita
capovolta, fa che anche con la barba grigia io mi rivolga a quella
figura col cuore di un bambino, e con la confidenza e la fiducia di
un bambino!
Ora,
l'albero è decorato della luminosa gioia e canti e danze e felicità
dei bambini. E sono tutti benvenuti. Possano essere per sempre
innocenti e benvenuti, sotto i rami dell'albero di Natale, che non ha
più ombre tetre! Ma, mentre affonda nel terreno, sento un sussurro
attraversarlo tutto, “Fate questo in memoria della legge dell'amore
e della gentilezza, pietà e misericordia. Fate questo in memoria di
me!”
FINE
1Città
a nord di Londra, famosa per i suoi allevamenti di cavalli di razza
e i suoi ippodromi.
2Si
riferisce alla scala celeste che Giacobbe vide in sogno e da cui
questo giocattolo popolare prende il nome
3 Protagonista di geste cavalleresche del
XVII secolo
4 La fiaba, tratta da un racconto
di Madame d'Alnoy, narra del Nano giallo,
una creatura malvagia che vuole sposare a tutti i costi la
Principessa Tutta-Bella.
5 Mother Bunch è lo
pseudonimo a cui vennero attribuiti in Inghilterra molti dei
racconti di Madame d'Aulnoy.
6 La ghoul è
un mostro o spirito malvagio della mitologia araba
associato ai cimiteri e si nutre di carne umana.
7 Un romanzo d'avventura ispirato a Robinso
Crusoe, pubblicato con il titolo The Hermit (1727), attribuito a
Alexander Bicknell.
8 The History of Sandford and Merton
(1783-1789) era un famoso libro per bambini scritto da Thomas Day.
Raccolta di Storie che girano intorno all'educazione di due bambini
ad opera del loro mentore Mr. Barlow
e profondamente influenzate dalle idee di Rousseau.
9 Aubry de Montdidier.
- 14º, protagonista della leggenda: Il cane di Montargis.
A., ucciso da un certo Riccardo de Macaire, sarebbe stato vendicato
dal proprio cane - unico testimone del delitto - che avrebbe
inseguito l'assassino attirando su di lui i sospetti della giustizia
e vincendolo poi in un singolare duello giudiziario. Il duello
avrebbe avuto luogo in una località chiamata appunto Montargis.
10 Elizabeth "Jane" Shore
(c.1445 – c.1527) . Era nota in tutta Londra per la sua bellezza,
guadagnandosi il titolo di "The Rose of London.” Fu una delle
molte amanti di Edoardo IV e cadde in disgrazia alla sua morte
quando il suo successore, Riccardo III, sospettando che complottasse
contro di lui, la costrinse a fare pubblica penitenza per le strade
di Londra.
11 The London Merchant (Or The
History Of George Barnwell, 1731) di George Lillo. E' la tragedia
di un giovane apprendista che in seguito alla sua relazione con una
prostituta uccide il ricco zio. Notevole l'uso di personaggi della
classe media e operaia, divenne una della opere più popolari del
secolo.
12 Hamlet Act 2,
scene 2, 239–251
13 Toy theater,
chiamato anche
paper theater e model
theater, è
una forma di teatro in miniatura, che fu popolare in Europa nel19°.
I toy
theatres erano
stampati su cartoncino e venduti in kit da assemblare, insieme ai
copioni più popolari, su licenza dei rispettivi teatri.
14 Melodramma
in due atti di I. Pocock, rappresentato al Covent Garden nel 1813
15 Elizabeth; or, The
Exiles of Siberia, di
Sophie Cottin
(1805), racconto
basato sulla storia vera di un giovane nobildonna polacca che nel
1801riesce ad ottenere dall'imperatore Alessandro il perdono per i
genitori esiliati in Siberia.
16
Personaggio de Il mugnaio e la sua banda
17 Consorte
(1744-1818) di re
Giorgio III
18 Popolare
racconto del folklore tedesco a cui si ispirò lo scrittore
americano Washington Irving per scrivere The
Adventure of the German Student (1824) –
tradotto nel
mio primo post feb. 2012
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