Elegante
affabulatore,
insuperabile
nel creare atmosfere stranianti, Montague
Rhodes James (Goodneston, 1862 – Eton, 1936), storico,
medievalista,
docente universitario a Cambridge e ad Eton, scrittore di fiabe, è
forse il più noto autore di ghost-stories
e, al contempo, un innovatore del
genere. Anche se le sue creature hanno radici nelle tradizioni
popolari e
bibliche,
esse agiscono nella realtà quotidiana, coinvolgendo allo stesso modo
l'uomo semplice e l'erudito.
Spesso
tozze, pelose, animalesche o
apparentemente innocue come un rotolo di flanella,
non
sono mai benevole
e
cercano vendetta o rivalsa sui vivi. L'unico
modo per esorcizzarle
è
comprendere il loro mistero, spesso nascosto in un antico manoscritto
comprensibile solo all'erudito di turno, che diventa così un vero
detective dell'occulto.
Spronato
dagli amici, James scriverà un racconto all’anno, in occasione di
ogni vigilia di Natale, raccogliendo e pubblicando la sua produzione
in quattro volumi: Ghost
Stories of an Antiquary
(1904), More Ghost
Stories of an Antiquary
(1911), A Thin Ghost
and Others (1919),
and A Warning to the
Curious and Other Ghost Stories
(1925).
Cuori
perduti (1895), è uno
dei due racconti pubblicati
prima del '900 (l'altro
è L'album del canonico Alberico,
vedi mio post del 27/10/13). Nella
storia si mescolano sapientemente i tipici ingredienti dei racconti
di James: esoterismo, antichi riti e religioni, manoscritti più o
meno apocrifi, fantasmi alla ricerca di vendetta sui vivi. Il
punto di vista è quello del giovane protagonista, Stephen Elliott,
un orfano di dodici anni ospite del suo anziano e ricco parente, Mr.
Abney, che ama accogliere
nella sua casa giovani vagabondi, tutti misteriosamente scomparsi.
L'atmosfera
è
particolarmente inquietante, proprio
perché i protagonisti, sia
nell'al di qua che nell'al di là, sono bambini, sprezzantemente
definiti 'corpora
vilia' dall'erudito
e misterioso Mr Abney che se
ne serve per i suoi
folli esperimenti.
Consigli
per la lettura:
Tutti i
racconti di fantasmi. Ediz. integrale
James Montague R., cur. Pilo G., Fusco S., 2012, Newton Compton
James Montague R., cur. Pilo G., Fusco S., 2012, Newton Compton
Cuori
perduti
di
M.R.
James
Per quel
che sono riuscito ad
accertare,
fu nel settembre dell'anno 1811 che una
carrozza da posta si
fermò davanti alla porta di Aswarby Hall, nel cuore del
Lincolnshire. Il ragazzino che era l'unico passeggero della carrozza
e che saltò giù appena quella si fermò, si guardò intorno con
gran curiosità nel breve intervallo che intercorse fra
il momento in cui aveva
suonato il campanello e quello in cui la porta principale si aprì.
Quel che vide fu una
casa alta, squadrata, in mattoni rossi, costruita durante il regno
della regina Anna1;
vi era stato aggiunto un porticato con colonne di pietra nel più
puro stile classico del 1790; la casa aveva numerose finestre, alte
e strette, con piccoli pannelli di vetro incastrati in spesse cornici
di legno bianco. La facciata era coronata da un frontone in cui si
apriva una finestra rotonda. A destra e a sinistra c'erano due ali,
collegate al blocco centrale da insolite gallerie invetriate
supportate da colonnati. Queste ali ospitavano semplicemente le
stalle e i servizi della casa. Ognuna era sormontata da una cupola
ornamentale con una banderuola dorata.
La luce
serale illuminava l'edificio, facendo risplendere i vetri delle
finestre come tanti fuochi. Davanti alla facciata principale si
stendeva un parco pianeggiante punteggiato di querce e circondato da
abeti, che si stagliavano alti contro il cielo. L'orologio nella
torre della chiesa, nascosta tra gli alberi all'estremità del parco
e di cui soltanto la sua banderuola dorata catturava la luce, stava
scoccando le sei e il suono dei rintocchi era gentilmente trasportato
dal vento. Fu un'impressione nel complesso piacevole, anche se
permeata da una sorta di malinconia appropriata ad una sera di primo
autunno, quella che si trasmise alla mente del ragazzo nel portico
mentre aspettava che la porta si aprisse.
Il postale
lo aveva condotto fin là dal Warwickshire, dove, circa sei mesi
prima, era rimasto orfano. Adesso era venuto ad abitare ad Aswarby,
grazie alla generosa offerta del suo anziano cugino, Mr.Abney.
L'offerta era giunta inaspettata, perché tutti quelli che
conoscevano un po' Mr. Abney lo consideravano come una specie di
austero eremita, e l'arrivo di un ragazzino nella sua regolare vita
familiare avrebbe portato, così sembrava, un elemento nuovo e
incongruo. La verità è che si sapeva molto poco delle attività e
del carattere di Mr. Abney. Si diceva che il professore di greco di
Cambridge sosteneva che nessuno conoscesse meglio del proprietario di
Aswarby i riti religiosi del tardo paganesimo. Di sicuro, la sua
biblioteca conteneva tutti i libri allora disponibili riguardanti i
Misteri2, i poemi orfici3, il culto di Mitra4
e i Neoplatonici5. Sul pavimento lastricato di marmo
dell'ingresso si ergeva un raffinato gruppo marmoreo di Mitra che
sgozzava un toro, che il proprietario aveva importato dall'oriente
con considerevole spesa. Ne aveva inviato una descrizione al
Gentleman's Magazine, e aveva scritto una rimarchevole serie
di articoli per il Critical Museum sulle superstizioni del
basso impero.
Affresco del dio Mitra |
In conclusione, era considerato un uomo completamente
immerso nei suoi libri, e fu materia di grande sorpresa tra i suoi
vicini il fatto che avesse mai sentito parlare del suo cugino orfano,
Stephan Elliott, e ancor più che si fosse offerto di farne un
inquilino di Aswarby Hall.
Qualunque
cosa si aspettassero i suoi vicini, è certo che Mr.Abney – l'alto,
il magro, l'austero Mr. Abney – sembrava incline a dare un cortese
benvenuto al suo giovane cugino. Nel momento in cui fu aperta la
porta principale, si precipitò fuori dal suo studio, fregandosi le
mani deliziato.
“Come
stai, ragazzo mio? Come stai, quanti anni hai?” disse - “voglio
dire, non sei troppo stanco del viaggio, spero, per cenare?”
“No,
grazie, signore,” disse il signorino Elliottt; “Sto abbastanza
bene.”
“Che
bravo ragazzo,” disse Mr. Abney. “E quanti anni hai, ragazzo
mio?”
Sembrò un
po' strano che avesse ripetuto due volte la stessa domanda nei primi
due minuti della loro conoscenza.
“Avrò
dodici anni al prossimo compleanno, signore,” disse Stephen.
“E quando
è il tuo compleanno, mio caro ragazzo? L'undici di settembre, eh?
Molto bene, molto bene. Circa un anno da oggi, vero? Mi piace, ha,
ha! Mi piace annotare queste cose nel mio libro. Sicuro che sono
dodici, ne sei certo?”
“Sì,
signore, certissimo.”
“Bene,
bene! Portatelo nella stanza di Mrs. Bunch, Parkes, e dategli il suo
tè, o la cena, o quel che sia.”
“Sì,
signore,” rispose il compassato Parkes, e condusse Stephen nei
quartieri della servitù.
Mrs. Bunch
era la persona più rassicurante e umana che Stephen avesse
incontrato ad Aswartby fino a quel momento. Lo fece sentire
completamente a casa; erano diventati grandi amici nel giro di un
quarto d'ora, e tali rimasero. Mrs. Bunch era nata non lontano da lì
circa cinquantacinque anni prima della data dell'arrivo di Stephen, e
la sua residenza in quella dimora durava ormai da vent'anni. Di
conseguenza, se qualcuno conosceva vita, morte e miracoli della casa
e del distretto, questa era Mrs. Bunch, e non era affatto restia a
condividere le sue informazioni.
Certamente
c'era una quantità di cose riguardo ad Aswarby Hall e ai suoi
giardini su cui Stephen, che per suo temperamento era avventuroso e
curioso, desiderava di ricevere spiegazioni. Chi ha costruito il
tempio alla fine del sentiero tra gli alberi di alloro? Chi era il
vecchio ritratto nel quadro appeso sulle scale, seduto ad un tavolo
con un teschio sotto la mano? Questi e molti altri punti furono
chiariti grazie alle risorse della vivace intelligenza di Mrs. Bunch.
Ce ne erano altri, comunque, la cui spiegazione risultò meno
convincente.
Una sera di
novembre Stephen sedeva accanto al fuoco nella camera della
governante riflettendo sull'ambiente in cui viveva.
“Mr.
Abney è un brav'uomo, andrà in paradiso?” chiese all'improvviso,
con quella particolare fiducia che i bambini ripongono nella capacità
degli adulti di risolvere questi problemi, la cui decisione si
ritiene destinata a ben altri tribunali.
“Buono?
Che Dio vi benedica” disse Mrs. Bunch. “Il padrone è un'anima
gentile come mai ne ho viste! Non vi ho mai raccontato del ragazzino
che prese dalla strada, circa sette anni fa? E della ragazzina, due
anni dopo il mio arrivo qui?”
“No,
raccontatemi tutto di loro, Mrs. Bunch - adesso, in questo istante!”
“Beh,”
disse Mrs. Bunch, “non mi ricordo molto della ragazzina. So che il
padrone la portò a casa un giorno di ritorno dalla sua passeggiata,
e diede ordini a Mrs. Ellis, la governante di allora, di trattarla
con ogni cura. E la povera bambina non aveva nessuno – come mi
disse lei stessa – e visse qui con noi circa tre settimane, forse
era una specie di zingara o forse no, ma una mattina si alzò dal
letto prima che noi si aprisse gli occhi, e da quel momento se ne
sono perse le tracce. Il padrone mise in giro la voce e fece dragare
tutti gli stagni, ma è mia convinzione che fosse stata portata via
dagli zingari, perché ci furono canti intorno alla casa per circa
un'ora la notte che se ne andò, e Parkes dichiara di averli sentiti
chiamare nei boschi per tutto il pomeriggio. Poveretta! Era una
strana bambina, così silenziosa nel suo modo di fare e tutto il
resto, ma mi ci ero terribilmente affezionata, tanto era tranquilla
in casa – sorprendente!”
“E che ne
fu del ragazzino?” disse Stephen.
“Ah, quel
povero ragazzo!” sospirò Mrs. Bunch. “Era uno straniero –
disse di chiamarsi Giovanni – e arrivò strimpellando la sua
ghironda6 su e giù per il viale in un pomeriggio
d'inverno, e il padrone lo fece entrare immediatamente e volle sapere
ogni cosa, da dove veniva, e quanti anni aveva, e come se la passava,
e dove erano i suoi parenti, e tutto con quanta gentilezza il cuore
possa desiderare. Ma successe la stessa cosa anche con lui. Sono di
indole turbolenta, questi stranieri, suppongo, e un bel mattino se ne
andò proprio come la ragazza. Perché se ne fosse andato e che cosa
gli fosse successo ce lo siamo chiesto per circa un anno, perché non
aveva portato via la sua ghironda, ed eccola lì sullo scaffale.”
Il resto
del pomeriggio fu trascorso da Stephen alternando il terzo grado di
Mrs.Bunch con gli sforzi per trarre una melodia dalla ghironda.
Quella
notte fece uno strano sogno. Alla fine del corridoio all'ultimo piano
della casa, dove si trovava la sua camera da letto, c'era una vecchia
camera da bagno in disuso. Era chiusa a chiave, ma la parte superiore
della porta era di vetro e, poiché le tendine di mussola che una
volta erano appese lì erano sparite da tempo, si poteva guardare
dentro e vedere la vasca da bagno foderata di piombo appoggiata alla
parete sul lato destro, con la testa verso la finestra.
La notte di
cui sto parlando, Stephen Elliott si ritrovò, così credeva, a
guardare attraverso il vetro della porta. La luna brillava attraverso
la finestra mentre il ragazzo osservava una figura distesa nella
vasca. La sua descrizione di ciò che vide mi ricordò quello che una
volta io stesso avevo visto nei sotterranei della chiesa di san
Michan a Dublino, che possedeva la terribile proprietà di preservare
i cadaveri dal disfacimento per secoli. Una figura incredibilmente
magra e patetica, di un color piombo polveroso, avviluppata in una
specie di sudario, le labbra sottili piegate in un sorriso debole e
spaventoso, le mani strettamente pressate sulla regione del cuore.
Mentre
guardava, gli sembrò che da quelle labbra uscisse un remoto lamento,
quasi impercettibile, e che le braccia iniziassero a muoversi. Il
terrore provocato da quella vista fece indietreggiare Stephen che si
svegliò per costatare che era veramente in piedi sul freddo
pavimento di legno del corridoio, nel fascio di luce della luna. Con
un coraggio che non penso sia comune in un ragazzo di quella età, si
avvicinò alla porta del bagno per accertarsi se la figura vista in
sogno fosse veramente là. Non c'era, e se ne tornò a letto.
La mattina
dopo, Mrs. Bunch fu molto impressionata dalla sua storia, al punto
che mise delle nuove tendine di mussola sul vetro della porta del
bagno. Mr. Abney, inoltre, a cui confidò la sua esperienza a
colazione, si mostrò estremamente interessato e prese appunti
sull'argomento in quello che chiamava 'il suo libro'.
L'equinozio
di primavera7 si stava avvicinando, come Mr. Abney
ricordava spesso a suo cugino, aggiungendo che quello era sempre
stato considerato dagli antichi un periodo critico per i giovani: che
Stephen avrebbe fatto bene a prendersi molta cura di sé e a chiudere
la finestra della sua camera di notte; e che Censorino aveva fatto
preziose osservazioni sull'argomento. All'incirca in quel periodo, si
verificarono due incidenti che impressionarono la mente di Stephen.
Il primo fu
dopo che ebbe trascorso una notte insolitamente irrequieta e
oppressiva – sebbene non riuscisse a ricordare nessun particolare
sogno.
La sera
successiva, Mrs. Bunch era occupata a rammendargli la camicia da
notte.
“Povera
me, signorino Stephen!” esclamò piuttosto irritata, “come avete
fatto a ridurre a brandelli in questo modo la vostra camicia da
notte? Guardate un po', quanto da fare date alla povera servitù che
deve stare dietro a voi a ricucire e rammendare!”
Nell'indumento
c'era infatti una serie impressionante e apparentemente inspiegabile
di tagli e sgraffi, che indubbiamente richiedevano un ago molto abile
nel rammendo. Questi erano confinati nella parte sinistra del petto –
lunghi tagli paralleli di circa quindici centimetri, alcuni dei quali
non bucavano completamente il tessuto. Stephen riusciva soltanto a
esprimere la sua completa ignoranza circa la loro origine: era sicuro
che non erano lì la notte precedente.
“Ma,”
disse, “Mrs. Bunch, sono proprio uguali ai graffi sull'esterno
della porta della mia camera, e sono sicuro di non avere mai avuto
niente a che fare con... quelli...”
Mrs.Bunch
lo fissò a bocca aperta, poi afferrò una candela, uscì dalla
stanza in tutta fretta, e la sentirono salire le scale. Pochi minuti
dopo scese giù.
“Bene,”
disse, “signorino Stephen, è una cosa strana per me come quei
graffi possano trovarsi là, troppo alti perché possa averli fatti
un gatto o un cane, tanto meno un topo: sembrano proprio le unghie di
un cinese, come ci diceva il mio zio che commerciava in tè quando
eravamo ragazze. Fossi in voi, non direi niente al padrone, signorino
Stephen, mio caro; e chiudete a chiave la porta quando andate a
letto.”
“Lo
faccio sempre, Mrs. Bunch, appena ho detto le mie preghiere.”
“Ah, che
bravo ragazzo: dite sempre le vostre preghiere, e non potrà
accadervi niente di male.”
Detto
questo, Mrs. Bunch si mise a rammendare la camicia da notte
strappata, fermandosi di tanto in tanto a riflettere, finché fu ora
di andare a letto. Questo succedeva un venerdì sera nel marzo del
1812.
La sera
dopo, il consueto duetto formato da Stephen e Mrs. Bunch fu
incrementato dall'improvviso arrivo di Mr. Parkes, il maggiordomo,
che di solito stava molto sulle sue nella su stanza di servizio. Non
si accorse che c'era anche Stephen: per di più, la sua parlata era
agitata e meno lenta del solito.
“Il
padrone può prendersi da sé il suo vino, se gli va, di sera,” fu
la sua prima osservazione. “O lo faccio di giorno, o niente da
fare, Mrs. Bunch. Non so cosa sia, probabilmente i topi, o il vento
che soffia attraverso le cantine, ma non sono giovane come una volta,
e non lo sopporto più come prima.”
“Beh, Mr.
Parkes, sapete che Awbry Hall è il posto ideale per i topi.”
“Non lo
nego, Mrs. Bunch, e sicuramente ho spesso ascoltato dagli uomini del
cantiere navale la storia del topo parlante. Non ci ho mai creduto
prima, ma stanotte, se mi fossi umiliato fino a mettere l'orecchio
alla porta del ripostiglio dei vini giù in fondo, avrei potuto
sicuramente sentire quello che dicevano.”
“Suvvia,
Mr. Parkes, non ho pazienza per le vostre fantasticherie! Topi
parlanti nel ripostiglio dei vini, che diamine!”
“Non ho
voglia di litigare con voi, Mrs. Bunch: dico soltanto che se decidete
di andare al ripostiglio dei vini là giù, e appoggiate l'orecchio
alla porta, potrete immediatamente verificare la bontà delle mie
parole.”
“Che
sciocchezze dite, Mr. Parkes – non sta bene che un bambino le
ascolti! Così spaventerete a morte il signorino Stephen.”
“Cosa? Il
signorino Stephen?” disse Parkes, prendendo coscienza della
presenza del ragazzo. “Il signorino Stephen capisce molto bene
quando scherzo con voi, Mrs. Bunch.”
In fatti,
il signorino Stephen capiva fin troppo bene per credere che Parkes
intendesse scherzare all'inizio. Era interessato alla situazione, non
certo piacevolmente, ma tutte le sue domande non riuscirono a
convincere il maggiordomo a dare un resoconto più dettagliato delle
sue esperienze nella cantina dei vini.
* * * * *
Siamo ora
arrivati al 24 marzo 1812. Fu un giorno di strane esperienza per
Stephen: un giorno ventoso e tumultuoso, che riempì la casa e i
giardini di sensazioni inquietanti. Mentre Stephen si trovava vicino
allo steccato dei giardini e guardava nel parco, gli sembrò che
un'infinita processione di persone invisibili stesse avanzando sotto
i suoi occhi, trasportati da un vento irresistibile e
incontrollabile, che lottavano in vano per fermarsi, per afferrarsi a
qualcosa che potesse arrestare la loro fuga e riportarli di nuovo in
contatto con il mondo dei vivi di cui avevano fatto parte. Quel
giorno, dopo pranzo, Mr. Abney disse: “Stephen, ragazzo mio, pensi
di poter venire da me stanotte nel mio studio, alle undici? Fino a
quell'ora sarò impegnato, e vorrei mostrarti qualcosa che riguarda
la tua vita futura e che è molto importante che tu conosca. Non
parlarne con Mrs. Bunch né con nessun altro in casa, e faresti bene
ad andare in camera tua alla solita ora.”
Ecco che
qualcosa di eccitante movimentava la sua vita: Stephen afferrò
volentieri l'occasione di stare in piedi fino alle undici. Quella
sera, mentre saliva le scale, sbirciò attraverso la porta della
biblioteca e vide un braciere, che aveva spesso notato nell'angolo
della stanza, spostato davanti al fuoco, sul tavolo c'era una vecchia
tazza d'argento dorato, riempita di vino rosso e vicino ad essa
alcuni fogli scritti. Mr. Abney stava spargendo incenso sul braciere
prendendolo da una scatola rotonda di argento quando Stephen passò,
ma non sembrò sentire i suoi passi.
Il vento
era cessato ed era una tranquilla notte di luna piena. Erano circa le
dieci quando Stephen si affacciò alla finestra della sua camera e si
mise a guardare verso la campagna. Sebbene la notte fosse tranquilla,
la misteriosa popolazione dei lontani boschi illuminati dalla luna
non era ancora andata a dormire. Di tanto in tanto strane urla come
di viandanti smarriti e disperati risuonavano attraverso lo stagno.
Potevano essere i versi dei gufi e degli uccelli acquatici, eppure
non rassomigliavano a nessuno dei due. Non si stavano forse
avvicinando? Ora provenivano dal lato più prossimo dello stagno, e
dopo pochi minuti sembravano fluttuare sulle siepi lì intorno. Poi
cessarono, ma proprio quando Stephen stava pensando di chiudere la
finestra e di riprendere la lettura di Robinson Crusoe, avvistò
due figure ferme sull'acciottolato che correva lungo il giardino
laterale della casa – le
figure di un ragazzo e di una
ragazza, uno accanto all'altra, che
guardavano su verso le
finestre.
Qualcosa nell'aspetto della
ragazza gli ricordò irresistibilmente il suo sogno della figura
nella vasca.
Il ragazzo gli ispirava un terrore ancora più acuto.
Mentre
la ragazza era lì ferma,con un
mezzo sorriso e le mani
strette sul cuore, il ragazzo, una figura esile, con i capelli neri e
gli abiti a brandelli, sollevò le braccia in alto con un
atteggiamento di minaccia, di fame insaziabile e di bramosia.
La luna brillava attraverso le sue mani quasi trasparenti, e Stephen
vide che le unghie erano paurosamente lunghe e che la luce vi
brillava attraverso. Mentre era fermo con le mani alzate in quel
modo, rivelò un terribile spettacolo. Sul lato sinistro del suo
petto si apriva un taglio nero e profondo,
e nella mente di Stephen, piuttosto che nelle sue orecchie, giunse
l'eco di quelle grida affamate e desolate che aveva sentito risuonare
sopra i boschi di Aswarby per tutta la sera. Subito dopo, quella
coppia spaventosa si mosse velocemente e silenziosamente sulla ghiaia
asciutta, e non li vide più.
Anche se in
preda ad una paura inesprimibile, decise di prendere la candela
scendere nello studio di Mr. Abney, perché era quasi giunto il
momento del loro appuntamento. Lo studio, o biblioteca, si trovava su
di un lato dell'ingresso principale, e Stephen, spinto dai suoi
terrori, non ci mise molto ad arrivarci. Ma entrare non fu impresa
facile. La porta non era chiusa, ne era sicuro, perché la chiave era
all'esterno, come al solito. Bussò ripetutamente, senza ottenere
risposta. Mr. Abney era impegnato: stava parlando. Cosa! Perché
stava cercando di urlare? E perché l'urlo gli moriva in gola? Aveva
visto anche lui i misteriosi bambini? Ma ora tutto era silenzioso, e
la porta cedette alla spinta frenetica e terrorizzata di Stephen.
*
* * * *
Sul tavolo
dello studio di Mr. Abney furono ritrovate alcune carte che
spiegarono la situazione a Stephen quando fu in età di comprenderle.
Le parti più importanti sono le seguenti:
“Era
una credenza generalmente e fortemente sostenuta dagli antichi –
della cui saggezza in queste materie ho un'esperienza tale da indurmi
a porre fiducia nelle loro asserzioni – che mettendo in atto
determinati processi, che per noi moderni hanno un aspetto barbarico,
si può ottenere un incredibile potenziamento delle facoltà
spirituali: che, per esempio, assorbendo le personalità di un certo
numero di nostri simili, un individuo può conquistare una completa
padronanza di quegli ordini di spiriti che controllano le forze
elementari del nostro universo.
“Si
racconta che Simon Mago fosse capace di volare in aria, di diventare
invisibile o di assumere qualunque forma volesse, per opera
dell'anima di un ragazzo che, per usare l'espressione calunniosa
dell'autore del Clementine Recognitions, egli
aveva 'assassinato'. Inoltre ho trovato esposto
con considerevoli dettagli nelle opere di Ermete Trimegisto, che
risultati altrettanto felici
possono essere ottenuti
assorbendo i cuori di non meno di tre esseri umani che non abbiano
ancora venti anni. Ho
trascorso la maggior parte
degli ultimi venti anni a
verificare l'efficacia
di questa procedura, selezionando come corpora vilia
dei miei esperimenti persone che potevano essere convenientemente
rimosse
senza provocare un evidente vuoto nella società.
“Il modo
migliore per effettuare il necessario assorbimento è quello di
rimuovere il cuore da un soggetto vivente, ridurlo
in cenere e
mescolare
le
ceneri con una pinta
di vino rosso, preferibilmente porto. Sarà
bene nascondere almeno i resti dei primi due soggetti: una stanza da
bagno in disuso o un ripostiglio
per i vini risulteranno
adatti
a tale scopo. Alcuni inconvenienti potrebbero derivare dalla parte
psichica dei soggetti, che il linguaggio popolare nobilita col nome
di fantasmi. Ma l'uomo
di temperamento filosofico – a cui solo l'esperimento è adatto –
sarà poco incline ad attribuire importanza ai deboli sforzi messi
in atto da questi esseri nel
tentativo di vendicarsi di lui. Contemplo con la più viva
soddisfazione l'esistenza superiore
ed emancipata che l'esperimento, se riuscito, mi conferirà, non solo
ponendomi oltre la portata della (così detta) giustizia umana, ma
eliminando in gran parte la prospettiva della morte stessa.
*
* * * *
Mr.
Abney fu trovato nella sua sedia, la testa gettata all'indietro, il
volto segnato da un'espressione di rabbia, paura e dolore mortale. Il
lato sinistro era lacerato da una terribile ferita che metteva a nudo
il cuore. Non c'era sangue sulle mani, e un lungo coltello posato sul
tavolo era perfettamente pulito. Un gatto selvatico infuriato avrebbe
potuto infliggere quelle ferite. La finestra dello studio era aperta,
ed era opinione del coroner che Mr. Abney avesse incontrato la morte
ad opera di una creatura selvaggia. Ma Stephen Elliott, dopo aver
studiato le carte che ho citato, giunse ad una ben diversa
conclusione.
FINE
1 Anna Stuart divenne regina di Inghilterra, Scozia e Irlanda l'8 marzo 1702. Morì nel 1714 senza lasciare eredi.
2 I Misteri appartengono alla storia religiosa del mondo antico come forme religiose di varia origine, ma d'un medesimo tipo, essenzialmente diverso da quello della religiosità civica, che ha carattere pubblico e collettivo, essendo orientata verso la conservazione e la prosperità dello stato, della nazione, della patria (l'al di qua), mentre i misteri mirano alla salvezza dell'uomo come individuo, e hanno principalmente carattere soteriologico ed escatologico (l'al di là).
3 L'orfismo
è stato un movimento religioso sorto in Grecia presumibilmente verso
il VI secolo a.C. intorno alla figura del poeta Orfeo. I due elementi
fondanti delle dottrine orfiche sono:
-
la credenza nella divinità dell'anima e quindi nella sua immortalità;
-
da cui consegue, al fine di evitare la perdita di tale
immortalità, la necessità di condurre un'intera vita di purezza.
5 Indirizzo filosofico sorto nella prima metà del sec. III d. C. L'appellativo di “neoplatonici” fu dato a essi dagli storiografi per denotare il carattere originale della dottrina rispetto al platonismo più antico. Nel neoplatonismo confluiscono influssi religiosi orientali e in particolare quel sincretismo egiziano mistico, astrologico, demonologico e magico che trova nell'ermetismo la sua massima sintesi.
6 Ghironda: cordofono già in uso nel 10° sec., oggi quasi scomparso, nel quale il suono è prodotto dallo sfregamento di una ruota (a manovella) sulle corde, e modificato, quanto all’altezza, dalla pressione di tasti in legno.
7 Equinozio: dal latino æquinoctium, ovvero «notte uguale» in riferimento alla durata del periodo notturno uguale a quello diurno. Gli equinozi sono due e occorrono a circa sei mesi di distanza l'uno dall'altro, più precisamente a marzo e a settembre e segnano rispettivamente l'inizio della primavera e dell'autunno.
Nessun commento:
Posta un commento