mercoledì 16 marzo 2016

Processo per omicidio


Chi fa per sé fa per... tredici! 


A Trial For Murder di Charels Dickens, è un racconto soprannaturale di delitto e castigo con lo spirito di un uomo assassinato che ritorna sulla terra per assicurarsi che il suo assassino venga condannato a morte. Fu scritto a quattro mani insieme a Charles Allston Collins (Londra, 25 gennaio 1828 – Londra, 9 aprile 1873), marito dell'ultima figlia di Dickens, Kate Perugini (dal nome del secondo marito). Collins fu scrittore e pittore associato alla confraternita dei Preraffaelliti e fratello minore del più famoso Wilkie Collins, considerato l'inventore del romanzo giallo e grande amico di Dickens.
Ancora una volta Dickens pone mano ad un racconto del soprannaturale, quasi a sfidare quella “mancanza di coraggio" dei suoi contemporanei a confrontarsi con l'inesplicabile, come egli denuncia nel paragrafo introduttivo. Ma in questo racconto si incrociano due diversi generi narrativi, da una parte quello del soprannaturale, dall'altra quello del courtroom thriller. La vicenda, infatti, si svolge per buona parte nell'aula dell'Old Bailey dove lo spettro della vittima, visibile solo al narratore, riesce a smontare le tesi della difesa e ad influenzare il verdetto della giuria di cui diventa il tredicesimo giurato, in un crescendo di 'effetti speciali' fino al colpo di scena ultimo.




Processo per omicidio

Noto anche come Cum Grano Salis, Il tredicesimo giurato, Preso con un granello di sale, Processo per omicidio

di

Charles Dickens, 1865




Ho sempre notato una diffusa mancanza di coraggio, anche tra persone di intelligenza e cultura superiori, quando si tratta di parlare delle loro esperienze psicologiche se quelle sono state fuori dall'ordinario. Quasi tutti gli uomini temono che quello che potrebbero raccontare al proposito rischierebbe di non trovare l'eguale o una corrispondenza nella vita interiore dell'ascoltatore, e potrebbe dare adito a sospetto o ilarità.

Un viaggiatore sincero, che avesse visto una qualche creatura straordinaria sotto forma di serpente marino, non avrebbe alcuna paura a parlarne, ma lo stesso viaggiatore, se avesse avuto un qualche singolare presentimento, impulso, strana idea, visione (cosiddetta), sogno, o altre notevoli esperienze mentali, esiterebbe considerevolmente prima di ammetterlo. Attribuisco a tale reticenza molta dell'oscurità che avvolge questi argomenti. Di solito, non comunichiamo le nostre esperienze di carattere soggettivo come facciamo, invece, per le nostre esperienze di natura oggettiva. La conseguenza è che l'assortimento generale di esperienze di questo tipo appare eccezionale, e realmente lo è, essendo esso tristemente incompleto.
In ciò che sto per raccontare, non ho intenzione di costruire, demolire o supportare nessuna teoria di alcun genere. Conosco la storia del libraio di Berlino1, ho studiato il caso della moglie del defunto astronomo reale come è raccontata da Sir David Brewster2 e ho seguito fin nei minimi dettagli un caso ancora più notevole di illusione spettrale accaduto nella cerchia privata dei miei amici. Può essere necessario sottolineare in riferimento a ciò, che il soggetto interessato (una signora) non è in nessun grado, per quanto lontano, imparentato con me. Un'erronea convinzione al riguardo potrebbe suggerire una spiegazione del tutto senza fondamento di una parte del mio caso – e non solo di una parte. Esso non può essere attribuito al fatto che io abbia ereditato una qualche spiccata peculiarità, né ho mai avuto prima una simile esperienza, né l'ho mai avuta dopo.
Non ha importanza quanti anni fa, molti o pochi, è stato commesso in Inghilterra un omicidio che abbia attratto grande attenzione. Sentiamo parlare più che a sufficienza di assassini man mano che raggiungono, uno dopo l'altro, la loro atroce notorietà e, se potessi, vorrei seppellire il ricordo di questo particolare bruto così come fu seppellito il suo corpo nella prigione di Newgate2. Mi astengo di proposito dal fornire indizi diretti riguardo all'identità del criminale.
Appena l'omicidio fu scoperto, nessun sospetto cadde – o piuttosto dovrei dire, dal momento che non posso essere troppo preciso riguardo ai fatti, non si fece mai pubblicamente cenno che alcun sospetto fosse caduto - sull'uomo che in seguito fu condotto a processo. Poiché all'epoca i giornali non fecero mai riferimento a lui, è ovviamente impossibile che all'epoca si potesse trovare nei giornali una sua descrizione. E' essenziale ricordare questo fatto. Sfogliando a colazione il giornale del mattino, che contenevano il resoconto di quella prima scoperta, lo trovai profondamente interessante, e lo lessi con la massima attenzione. Lo lessi due volte, se non tre. La scoperta era stata fatta in una camera da letto e, quando misi giù il giornale, ebbi la percezione di un lampo, una corrente, un flusso - non so che termine usare – nessuna parola è sufficientemente efficace – in cui mi sembrò di vedere quella camera da letto passare attraverso la mia stanza, come un quadro incredibilmente dipinto su un fiume che scorre. Sebbene passasse in modo quasi istantaneo, era perfettamente chiaro, così chiaro che potei osservare distintamente, e con un senso di sollievo, l'assenza del cadavere dal letto. 


 
Questa curiosa sensazione non ebbe luogo in un posto romantico, ma nel mio appartamento a Piccadilly, molto vicino all'angolo di St. James’s Street. Era una cosa completamente nuova per me. Ero seduto nella mia poltrona in quel momento, e quella sensazione fu accompagnata da uno strano brivido che spostò la poltrona dal suo posto. (Ma va detto che quella poltrona si sposta facilmente sulle sue rotelle.) Andai ad una delle finestre (ce ne sono due nella stanza, e la stanza è al secondo piano) per ristorarmi gli occhi con gli oggetti in movimento giù per Piccadilly. Era una luminosa mattina autunnale, e la strada era scintillante e allegra. C'era un forte vento. Mentre guardavo fuori, trascinò via dal parco una quantità di foglie morte, che una folata prese e fece girare fino a formare un'alta spirale. Quando la spirale cadde e le foglie si dispersero, vidi due uomini sul lato opposto della strada, che andavano da ovest verso est. Camminavano uno dietro all'altro. Quello più avanti si girava spesso dietro. Il secondo uomo lo seguiva, a una distanza di circa trenta passi, con la mano destra minacciosamente alzata. Dapprima la mia attenzione fu attratta dalla singolarità e dalla fermezza di quel gesto minaccioso in una strada così affollata, e poi dalla ancor più incredibile circostanza che nessuno gli prestava attenzione. I due uomini avanzavano tra la folla che attraversava la strada con una facilità che sarebbe stata impossibile perfino camminando su un marciapiedi, e non una singola persona, per quello che potei vedere, si fece di lato, li toccò o li osservò. Passando davanti alla mia finestra, alzarono entrambi il volto per guardarmi. Vidi distintamente le loro facce e capii che avrei potuto riconoscerli dappertutto. Non che avessi coscientemente notato qualcosa di straordinario nelle loro facce, se non che l'uomo che precedeva aveva un'espressione stranamente cupa, mentre l'uomo che lo seguiva aveva il colorito della cera impura. 
Sono scapolo e il mio valletto e sua moglie costituiscono tutta la mia servitù. Lavoro in una grande banca, e vorrei che i miei impegni come capo di un dipartimento fossero leggeri come comunemente si crede. Quell'autunno mi trattennero in città, mentre avrei avuto bisogno di un cambiamento. Non ero malato, ma non stavo bene. Sta al mio lettore tenere nella giusta considerazione la mia sensazione di stanchezza, poiché sentivo su di me il deprimente peso di una vita monotona ed ero “leggermente dispeptico.” Sono stato rassicurato dal mio famoso dottore che il mio reale stato di salute a quel tempo non necessita di ulteriori ragguagli, e traggo la citazione da una sua nota scritta in risposta ad una mia richiesta di informazioni al riguardo.
Mentre le circostanze dell'omicidio, che venivano gradualmente alla luce catturavano ogni giorno di più il pubblico interesse, io le tenni lontano dalla mia mente informandomi al riguardo il meno possibile nel bel mezzo di quel putiferio generale. Ma sapevo che era stato emesso un verdetto di omicidio volontario nei confronti del presunto assassino e che questi era stato trasferito a Newgate per il processo. Sapevo anche che il processo era stato posticipato ad un'altra sessione della tribunale penale centrale, in considerazione dell'avversa opinione pubblica e della mancanza di tempo per la preparazione della difesa. Avrei potuto sapere inoltre, ma credo di no, quando, o circa quando, ci sarebbe stata la sessione a cui era stato spostato il processo. 

Concorso di gente per assistere ad un'esecuzione davanti alla prigione di Newgate
 
Il mio soggiorno, la mia camera da letto e il mio spogliatoio sono tutti sullo stesso piano. A quest'ultima stanza si può accedere solo attraverso la camera da letto. In verità, c'è una porta, che una volta dava sulle scale, ma una parte degli impianti del mio bagno – ormai da molti anni – vi è stata sistemata sopra. In quello stesso periodo, e come parte della stessa sistemazione, la porta è stata inchiodata e intonacata. Una notte sul tardi, ero nella mia camera da letto e stavo impartendo ordini al mio cameriere prima di andare a dormire. La mia faccia era rivolta verso l'unica porta di comunicazione accessibile con lo spogliatoio, che era chiusa. Il mio cameriere dava le spalle alla porta. Mentre gli stavo parlando, la vidi aprirsi e un uomo si affacciò dentro e con un'espressione seria e misteriosa mi fece cenno con la mano. Era l'uomo che veniva dietro dei due che camminavano lungo Piccadilly e che aveva la faccia del colore della cera impura. La figura, dopo aver fatto cenno, si ritirò e chiuse la porta. Giusto il tempo necessario ad attraversare la stanza e aprii la porta dello spogliatoio e guardai dentro. In mano, avevo già una candela accesa. Dentro di me non avevo nessuna speranza di vedere quella figura nello spogliatoio, e non ce la vidi. Consapevole del fatto che il mio cameriere era rimasto esterrefatto, mi girai verso di lui e dissi: “Derrick, credereste mai che io nel pieno possesso delle mie facoltà abbia creduto di vedere un...” A questo punto, appoggiai la mia mano sul suo petto e lui con un improvviso sussulto rabbrividì violentemente e disse: “O Dio, sì, signore! Un uomo morto che faceva segno verso di me!” Ora, io non credo che questo John Derrick, mio fidato e devoto cameriere per più di venti anni, si sia minimamente reso conto di aver visto quella figura finché non lo toccai. Il cambiamento in lui fu così sorprendente, quando lo toccai, che sono del tutto convinto che mutuò misteriosamente quell'impressione da me in quel preciso momento. Ordinai a John Derrick di portare un po' di brandy e gliene diedi un goccio, e fui felice di prenderne un po' anche io. Non gli dissi nemmeno una parola riguardo a ciò che aveva preceduto il fenomeno di quella notte. Riflettendoci sopra, ero assolutamente certo di non aver mai visto quella faccia prima, eccetto quella volta a Piccadilly. Paragonando la sua espressione di quando mi faceva cenno dalla porta con la sua espressione di quando aveva guardato su verso di me mentre ero alla finestra, arrivai alla conclusione che in quella prima occasione aveva cercato di restarmi impresso nella memoria, e che nella seconda occasione si era accertato di essere immediatamente riconosciuto.
Quella non fu una notte molto tranquilla per me, sebbene fossi certo, non so perché, che quella figura non sarebbe ritornata. Appena fece giorno, caddi in un sonno profondo, da cui fui svegliato dall'arrivo di Joh Derrick al fianco del mio letto con una carta in mano. Quella carta, così sembrava, era stato l'argomento di un alterco sulla porta di casa tra l'uomo che la portava e il mio cameriere. Era la mia convocazione a fare da giurato nell'imminente sessione del Tribunale Penale Centrale all'Old Bailey. Non ero mai stato convocato per una tale giuria, come John Derrick ben sapeva. Era convinto – a questo punto non sono certo se a torto o a ragione – che quella classe di giurati era abitualmente scelta con requisiti più bassi dei miei, e dapprincipio aveva rifiutato di accettare la convocazione. L'uomo che doveva consegnarla aveva preso la cosa con molto distacco. Disse che a lui non interessava se io avessi accettato o meno di presentarmi, quella era la convocazione, e io avrei preso la mia decisione al riguardo a mio rischio e pericolo e non al suo. Per un giorno o due fui indeciso se rispondere a quella chiamata o ignorarla. Non avevo consapevolezza del benché minimo pregiudizio, influsso o condizionamento di natura misteriosa in un senso o nell'altro. Di questo sono assolutamente sicuro come di ogni altra affermazione che qui vengo facendo. Alla fine decisi, come intervallo alla mia vita monotona, che sarei andato.
La data fissata era un rigido mattino del mese di novembre. C'era una densa nebbia marrone a Piccadilly, che divenne decisamente nera e assolutamente opprimente a est di Temple Bar. Trovai i corridoi e le scale del tribunale brillantemente illuminati col gas, e anche l'aula era rischiarata allo stesso modo. Io PENSO che non sapessi, fino al momento in cui fui condotto dagli uscieri nell'aula del vecchio tribunale e vidi tutta quella folla, che l'assassino dovesse essere giudicato proprio quel giorno. Io PENSO che non sapessi, finché non fui accompagnato nell'aula del vecchio tribunale con considerevole difficoltà, in quale delle due sedute ero stato convocato. Ma questa dichiarazione non deve essere data per certa, perché dentro di me io non sono completamente convinto di nessuno delle due cose.
Mi misi a sedere nel posto riservato ai giurati in attesa, e mi guardai intorno come meglio potei attraverso la densa nuvola di nebbia e aria viziata che avvolgeva l'aula. Notai il vapore nero sospeso come una cortina scura all'esterno della grande finestra, e notai il rumore attutito delle ruote sulla paglia o la corteccia di quercia che era stata sparsa sulla strada; inoltre, il brusio della gente ammassata lì dentro era attraversato occasionalmente da un fischio o una canzone o un saluto più alti del resto. Subito dopo i giudici, due di numero, presero posto. Il brusio nell'aula fu bruscamente zittito. Fu dato ordine di condurre l'assassino alla sbarra. Egli fece lì la sua comparsa. E immediatamente riconobbi in lui il primo dei due uomini che camminava giù per Piccadilly. Se il mio nome fosse stato chiamato in quel momento, dubito che avrebbero sentito la mia risposta. Ma fu il sesto o il settimo della lista ad essere chiamato, e per allora fui in grado di dire, “Presente!” Mentre entravo nel banco dei giurati, il prigioniero, che era rimasto a guardare attentamente, ma senza alcun segno di apprensione, si agitò violentemente e fece cenno al suo avvocato. Il desiderio del prigioniero di ricusarmi era così manifesto che causò una pausa, durante la quale l'avvocato, con la mano appoggiata alla sbarra, parlò a bassa voce col suo cliente, scuotendo la testa. In seguito mi fu riferito da quel gentiluomo che le prime terrorizzate parole che il prigioniero gli rivolse furono, “AD OGNI COSTO, RICUSATE QUELL'UOMO!” Ma che ciò non fu possibile dal momento che il suo cliente non motivò in alcun modo la sua richiesta e ammise che non conosceva nemmeno il mio nome finché non lo aveva udito chiamare e io mi ero presentato

Una seduta all'Old Bailey


In ragione di quello che ho appena spiegato, che desidero cioè evitare di rivivere lo spiacevole ricordo di quell'assassino, e anche perché un dettagliato resoconto del suo lungo processo non è in alcun modo indispensabile al mio racconto, mi limiterò solamente a quegli incidenti che hanno direttamente influito su quella mia curiosa esperienza personale accaduti nei dieci giorni e le dieci notti in cui noi, la giuria, dovemmo stare insieme. E' per questo e non per l'assassino, che cerco l'interesse del mio lettore. E' per questo, e non per una pagina del calendario di Newgate, che chiedo attenzione.
Fui scelto come presidente della giuria. Il secondo giorno del processo, dopo che erano state raccolte testimonianze per due ore (avevo sentito i rintocchi dell'orologio della chiesa), posando per caso lo sguardo sugli altri giurati, trovai un'inspiegabile difficoltà nel contarli. Li contai diverse volte, ma ogni volta con la stessa difficoltà. In breve, ce n'era sempre uno di troppo. Toccai il giurato vicino a me e gli sussurrai, “Fatemi il favore di contarci.” Sembrò sorpreso da questa richiesta, ma girò la testa e contò. “Ebbene,” disse, improvvisamente, “siamo tre… ma no, è impossibile. No, siamo dodici.” Secondo la conta che avevo fatto quel giorno, eravamo sempre giusti uno per uno, ma nel complesso ce n'era sempre uno di troppo. Non c'era nessuna presenza – nessuna figura – che lo giustificasse, ma dentro di me ora avevo il presentimento della figura che sarebbe sicuramente arrivata.
La giuria era ospitata alla London Tavern. Dormivamo tutti in uno stanzone su tavolacci separati, ed eravamo costantemente sotto la responsabilità e sotto la sorveglianza dell'ufficiale incaricato della nostra custodia. Non vedo alcuna ragione per tacere il nome di quell'ufficiale. Era intelligente, estremamente educato e cortese e (come appresi con piacere) molto rispettato in città. Aveva un aspetto gradevole, degli occhi buoni, dei favoriti neri da far invidia, e una bella voce sonora. Il suo nome era Mr. Harker. Quando la notte tornavamo ai nostri dodici letti, quello di Mr. Harker veniva messo a ridosso della porta. La seconda notte del secondo giorno, non avendo voglia di andare a dormire e vedendo Mr. Harker seduto sul suo letto, andai a sedermi accanto a lui e gli offrii una presa di tabacco. Come Mr. Harker toccò la mia mano nel pescare dalla tabacchiera, uno strano brivido lo attraversò e disse, “Chi è quello?” Seguendo lo sguardo di Mr. Harker e guardando lungo la stanza, rividi la figura che aspettavo – il secondo dei due uomini che camminavano giù per Piccadilly. Mi alzai, feci qualche passo, poi mi fermai e mi girai a guardare Mr. Harker. Era del tutto sereno, rise e mi disse con fare divertito, “Per un momento ho pensato che avevamo un tredicesimo giurato, senza letto. Ma vedo che è la luce della luna.” Senza rivelare niente a Mr. Harker, ma invitandolo a fare una passeggiata con me fino all'altro capo della stanza, osservai quello che faceva la figura. Si fermava per qualche attimo accanto al letto degli altri undici giurati, vicino al cuscino. Si metteva sempre sul lato destro del letto, e andava via passando sempre dai piedi del letto. Sembrava, dal movimento della testa, che si limitasse a guardare in modo pensieroso le figure distese. Non prestò attenzione a me o al mio letto, che era il più vicino a quello di Mr.Harker. Sembrò andare via da dove entrava la luce lunare, attraverso una finestra posta in alto come su una scalinata eterea.
La mattina successiva a colazione, sembrava che ognuno dei presenti avesse sognato l'uomo assassinato durante la notte, eccetto me e Mr. Harker. Io ora ero sicuro che il secondo uomo che camminava giù per Piccadilly era l'uomo assassinato (per così dire), come se ne fossi stato informato dalla sua diretta testimonianza. Ma anche questo accadde e in un modo per cui io non ero affatto preparato.
Il quinto giorno del processo, quando la requisitoria dell'accusa stava giungendo a termine, fu portata come prova una miniatura della vittima, che mancava dalla sua camera da letto quando fu scoperto il misfatto e fu poi trovata in un nascondiglio dove l'assassino era stato visto scavare. Essendo stata identificata dal testimone sotto esame, fu portata al banco dei giudici e da qui passata alla giuria affinché l'esaminasse. Mentre un usciere in tonaca nera me la stava portando, la figura del secondo uomo che camminava giù per Piccadilly uscì impetuosamente dalla folla, prese la miniatura all'usciere e me la diede con le sue mani, dicendo allo steso tempo, con una voce bassa e cupa, “ERO PIÙ GIOVANE ALLORA, E IL MIO VOLTO NON ERA ESANGUE.” Poi si mise tra me e il giurato a cui avrei dovuto passare la miniatura, e poi tra lui e il giurato a cui questi avrebbe dovuto darla, e in questo modo la miniatura fece il giro della giuria e tornò nelle mie mani. Nessuno di loro, comunque, se ne avvide. 

Illustrazione per un articolo del Time del 1922 sullle regole del galateo per ricevere un fantasma
 
A tavola, e in generale quando eravamo rinchiusi tutti insieme sotto la custodia di Mr.Harker, fin dall'inizio avevamo ovviamente discusso a fondo i risultati della giornata. Il quindo giorno, essendosi conclusa la requisitoria dell'accusa, e avendo di fronte a noi quella parte del processo nella sua interezza, la nostra discussione fu più animata e seria. Fra di noi c'era un fabbriciere – il più grosso idiota che abbia mai visto – che confutò la prova più schiacciante con le obbiezioni più assurde, sostenuto in questo da due pingui parassiti parrocchiali; tutti e tre selezionati da un distretto così tormentato dalle epidemie che essi stessi avrebbero dovuto essere processati per cinquecento omicidi. Quando questi tre malvagi zucconi furono al culmine della loro discussione, cioè verso mezzanotte, mentre alcuni di noi si stavano già preparando per andare a dormire, vidi di nuovo l'uomo assassinato. Stava dietro di loro con un'espressione cupa e mi faceva segno. Mentre mi avvicinavo a loro e mi univo alla conversazione, si ritirò immediatamente. Questo fu l'inizio di differenti apparizioni, confinate a quella lunga stanza in cui eravamo rinchiusi. Ogni volta che si formava un capannello di giurati, vedevo la testa dell'uomo assassinato insieme alle loro. Ogni volta che il confronto delle diverse opinioni era contro di lui, egli mi faceva solennemente e irresistibilmente segno. Si deve tener presente che finché non fu prodotta la miniatura, il quinto giorno del processo, io non avevo mai visto quell'apparizione in tribunale. Ora che iniziava la requisitoria della difesa, si verificarono tre cambiamenti. Per incominciare, due di questi li menzionerò insieme. La figura ora era continuamente in tribunale, e lì non si rivolgeva mai a me, ma sempre alla persona che stava parlando in quel momento. Per esempio: la gola dell'uomo assassinato era stata tagliata da parte a parte. Nell'arringa iniziale della difesa, fu suggerito che l'uomo avesse potuto tagliarsi la gola da solo. Proprio in quel momento la figura, con la gola nelle terribili condizioni appena dette (cosa che prima aveva nascosto), si mise a fianco dell'oratore, facendo la mossa di tagliarsi la gola da parte a parte, ora con la mano destra, ora con la sinistra, suggerendo energicamente all'oratore l'impossibilità che una tale ferita fosse stata auto inferta con una delle due mani. Ancora: una donna chiamata a testimoniare sul carattere del prigioniero depose che questo era la persona più amabile sulla faccia della terra. In quello stesso istante la figura si mise proprio di fronte a lei, guardandola in faccia, e indicando l'espressione malvagia dell'accusato con il braccio e il dito tesi.
Il terzo cambiamento che ora devo aggiungere mi impressionò fortemente come il più notevole e sconcertante di tutti. Non voglio costruirci sopra teorie, mi limiterò a descriverlo accuratamente. Sebbene l'apparizione non fosse percepita da quelli a cui si rivolgeva, la sua vicinanza a quelle persone era invariabilmente accompagnata da una qualche trepidazione o disturbo da parte loro. Era come se gli fosse impedito di rivelarsi completamente agli altri da una legge a cui io non ero sottoposto, e che egli potesse tuttavia influenzare misteriosamente le loro menti pur essendo invisibile e muto. Quando il capo del collegio della difesa suggerì l'ipotesi del suicidio e la figura si mise al fianco di quel dotto gentiluomo, segandosi paurosamente la gola tagliata, è innegabile che l'avvocato iniziò a farfugliare, perse per pochi secondi il filo del suo ingegnoso discorso, si asciugò la fronte col fazzoletto e diventò estremamente pallido. Quando la testimone fu affrontata dall'apparizione, i suoi occhi seguirono certamente la direzione indicata dal suo dito e indugiarono con grande incertezza e disagio sulla faccia del prigioniero.
Due ulteriori esempi saranno sufficienti. L'ottavo giorno del processo, dopo la pausa che veniva fatta quotidianamente nel primo pomeriggio per qualche minuto di riposo e ristoro, ritornai in tribunale con il resto della giuria poco prima che rientrassero i giudici. Stando in piedi nel nostro banco e guardandomi intorno, pensai che la figura non fosse lì, finché, sollevando per caso gli occhi verso la galleria, la vidi piegarsi in avanti e sporgersi sopra una signora molto a modo, come per vederei se i giudici fossero o no rientrati al loro posto. Subito dopo quella signora urlò, svenne e fu portata fuori. Lo stesso accadde con il venerabile, sagace e sapiente giudice che presiedeva il processo. Quando la discussione del caso fu conclusa e si mise a riordinare le sue idee e le sue carte per tirare le somme, l'uomo assassinato, entrando dalla porta dei giudici, avanzò verso la cattedra di sua signoria, si mise alle sue spalle e guardò con ansia le pagine di appunti che stava sfogliando. Nel volto di sua signoria si verificò un cambiamento, le sue mani si fermarono, quel particolare brivido, che conoscevo così bene, lo attraversò; balbettò, “Signori, scusatemi un momento. Mi sento alquanto oppresso dall'aria viziata;” e non si riprese finché non ebbe bevuto un bicchiere d'acqua.
Durante sei di quegli interminabili dieci giorni di monotonia – gli stessi giudici e assistenti allo stesso banco, lo stesso assassino nel banco degli imputati, gli stessi avvocati al tavolo, gli stessi toni di voce per le domande e le risposte che risuonavano fino al soffitto dell'aula, lo stesso scricchiolio della penna del giudice, gli stessi uscieri che entravano e uscivano, le stesse luci accese alla stessa ora quando avrebbe dovuto esserci la luce naturale del giorno, la stessa cortina di nebbia fuori dalle grandi finestre quando era nebbioso, la stessa pioggia che picchiettava e gocciava quando era piovoso, le stesse impronte di piedi dei secondini e del prigioniero sulla segatura, le stesse chiavi che aprivano e chiudevano le stesse pesanti porte – per tutta questa noiosa monotonia che mi faceva sentire come se fossi stato il presidente della giuria per un'eternità, e che Piccadilly fosse coeva di Babilonia, la figura dell'uomo assassinato non perse mai ai miei occhi nemmeno un po' della sua nitidezza, né fu mai nemmeno per un momento meno nitido di chiunque altro. Né mi guardò, dopo che fu prodotta la miniatura, finché arrivarono gli ultimi minuti conclusivi del processo. Ci ritirammo per deliberare, a sette minuti a mezzanotte. Lo stupido fabbriciere e i suoi due parassiti parrocchiali ci diedero tanti problemi che ritornammo due volte in aula per chiedere di rileggerci alcuni estratti dagli appunti del giudice. Nove di noi non avevano il minimo dubbio riguardo a quei passaggi, né, credo, nessun altro nell'aula; quel triumvirato di zucconi, non avendo alcuna idea se non quella di ostacolarci, contestava proprio per questa ragione. Alla lunga avemmo la meglio, e finalmente ritornammo in aula a dieci minuti dopo mezzanotte. L'uomo assassinato allora si mise proprio di fronte al banco della giuria, sul lato opposto dell'aula. Mentre prendevo posto, i suoi occhi mi fissarono intensamente; sembrava soddisfatto e lentamente fece scivolare sulla testa e su tutta la sua figura un velo che teneva sul braccio per la prima volta. Appena pronunciai il verdetto, “Colpevole,” il velo cadde, ogni cosa sparì e il suo posto rimase vuoto.
L'assassino, quando gli fu chiesto dal giudice, secondo la tradizione, se aveva niente da dire prima che fosse emessa la sentenza di morte, farfugliò appena qualcosa che il giorno seguente fu descritto dai maggiori giornali come “alcune incoerenti parole a casaccio appena udibili, in cui fu inteso lamentarsi di non aver avuto un giusto processo poiché il presidente della giuria era maldisposto nei suoi confronti.” L'incredibile dichiarazione che fece realmente fu la seguente: “ECCELLENZA, SAPEVO DI ESSERE UN UOMO CONDANNATO QUANDO IL PRESIDENTE DELLA GIURIA SEDETTE AL SUO POSTO. ECCELLENZA, SAPEVO CHE NON MI AVREBBE MAI LASCIATO ANDARE, PERCHE', PRIMA CHE FOSSI ARRESTATO, NON SO COME VENNE VICINO AL MIO LETTO IN PIENA NOTTE, MI SVEGLIO' E MI MISE UN CAPPIO AL COLLO.”


FINE


1 L'episodio è narrato da Sir Walter Scott nelle sue LETTERS on DEMONOLOGY AND WITCHCRAFT To J. G. LOCKHART, Esq. LETTER I. in cui si attribuisce la visione di apparizioni spettrali a particolari stati di depressione fisica e mentale.
2 David Brewster (1781–1868), scienziato e filosofo scozzese, sono importanti i suoi studi sull'ottica. A lui si deve l'invenzione del caleidoscopio nel 1816. Nelle sue Letters on Natural Magic, scritte in risposta al su citato saggio di Sir Walter Scott, discusse l'origine naturale di vari fenomeni considerati soprannaturali come le illusioni ottiche, le illusioni spettrali a cui si riferisce Dickens, la lanterna magica, gli automi, l'alchimia e molto altro ancora.
3 L'edificio originale della prigione di Newgate data al 12. secolo. Fu ricostruito diverse volte, e nel 18. secolo divenne luogo delle esecuzioni pubbliche. Era adiacente al Tribunale Penale Centrale, detto Old Bailey dalla strada in cui è sito, e venne definitivamente abbattuto nel 1902 per fare spazio all'attuale Tribunale Penale Centrale.


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