mercoledì 27 aprile 2016

Mr. Skelmersdale nel paese delle fate


Uno straniero in paradiso


Pubblicato nel 1903, Mr. Skelmersdale nel paese delle fate (Mr. Skelmersdale in Fairyland) è un'insolita incursione di H. G. Wells, padre della moderna fantascienza, nel paese incantato delle fate. Protagonista della magica avventura è un giovane aiuto droghiere, Mr. Skelmersdale appunto, la cui unica aspirazione è quella di possedere un negozietto tutto suo e sposare la sua capricciosa fidanzatina Millie, che lui prosaicamente definisce molto rispettabile.” Ma in una magica notte di mezza estate, dopo un futile litigio con la fidanzata, Mr. Skelmersdale vaga senza meta sulla collina che domina il paesaggio del piccolo villaggio e che altro non è che una di quelle antiche sepolture preistoriche, che con le loro gallerie e camere funerarie, sono probabilmente all'origine delle leggende sul 'piccolo popolo'. E qui, il nostro Endimione1 in dodicesimo, attira l'attenzione della regina delle fate, che se ne innamora e lo fa trasportare nel paese delle fate, un mondo iperuranio dove il cielo e le stelle non si vedono:
Quando si svegliò, si trovò sul più morbido tappeto erboso su cui avesse mai dormito prima e sotto l'ombra di alberi scurissimi che nascondevano completamente il cielo. Infatti, nel paese delle fate, così pare, il cielo è sempre nascosto… Ma nonostante tutto, sotto quegli alberi c'era luce, e sulle foglie e tra la zolla erbosa brillava una moltitudine di lucciole, belle e splendenti.
 E' un mondo incantato pieno di creature meravigliose che trascorrono il loro tempo a giocare e amoreggiare. A governarli è la bellissima e dolcissima regina delle fate, un mix incantevole di innocenza e sensualità:
Indossava un abito verde trasparente, e intorno al suo vitino c'era un'ampia cintura d'argento… Il mento e le guance e la gola avevano i lineamenti dolci di un bambino.”
Ma Mr. Skelmersdale ricorda soprattutto il modo in cui si muoveva.
 Se per i vittoriani la riscoperta delle fiabe popolari, e in particolare del mondo delle fate e degli elfi, come nel recupero del folklore irlandese ad opera del poeta Yeats, significa fuggire dal materialismo trionfante dell'era industriale, in questo piccolo racconto il mondo delle fate è un giardino dell'Eden dove elfi e fate amoreggiano in allegria e la regina delle fate rapisce e seduce il povero Mr. Skelmersdale, facendosi gioco del puritanismo vittoriano che con il suo rigido e ipocrita codice morale, le sue crinoline e cuffiette, mortificava la donna non solo da un punto di vista etico-sociale, ma anche e soprattutto fisico.
Ma Mr. Skelmersdale è così prigioniero dei suoi pregiudizi che è assolutamente incapace di cedere al desiderio e solo troppo tardi, quando la regina delle fate lo rimanderà al suo piccolo mondo, si renderà conto di essersi innamorato anche lui e di dover vivere per sempre con il rimpianto di ciò che ha perduto.


Libri cosigliati: 
                   
I Racconti delle fate
Traduzione dal francese di Carlo Collodi
Biblioteca Adelphi
1976, 4ª ediz., pp. XX-308 , 12 tavv.












Se preferite, ecco il link per una bella edizione in PDF




Mr. Skelmersdale nel paese delle fate

di
H.G. Wells

Arhur Rackham - Comus

C'è un uomo in quel negozio,” disse il dottore, “che è stato nel paese delle fate.”
Sciocchezze!” dissi, e voltai la testa per dare un'occhiata al negozio. Era il solito negozio di campagna con l'ufficio postale, il filo del telegrafo sulla facciata, padelle di zinco e spazzole all'esterno, stivali, stoffa per camicie e carne in barattolo in vetrina.
Mi racconti tutto,” dissi dopo una pausa.
Io non so niente,” disse il dottore. “E' uno zoticone qualunque – si chiama Skelmersdale. Ma tutti quanti qui in giro ci credono come se fosse la Bibbia.”
Dopo un po' ritornai sull'argomento.
Non ne so niente,” disse il dottore, “e non VOGLIO saperne niente. L'ho curato per un dito rotto – partita di cricket sposati contro scapoli – ed è stato allora che ho saputo di questa sciocchezza. Questo è tutto. Ma questo le fa capire con che sorta di gente ho a che fare, almeno, eh? E' un piacere inculcare idee moderne sull'igiene a gente come questa!”

Davvero,” dissi in un tono moderatamente solidale, e il dottore continuò a raccontarmi la faccenda delle tubature per l'acqua a Bonham. Cose di quel genere, osservo, possono essere un rovello per la mente degli ufficiali sanitari. Fui solidale con lui per come potevo, e quando definì 'asini' la gente di Bonham, io dissi che erano dei 'sonori asini', ma nemmeno questo me lo fece amico.
Tempo dopo, a estate inoltrata, fui condotto a Bignor2 da un pressante desiderio di isolarmi, mentre stavo per concludere il capitolo sulla patologia dello spirito – che era, credo, arduo da leggere ma ancora di più da scrivere. Alloggiai in una fattoria, e dopo un po' mi trovai di nuovo fuori da quel piccolo emporio, alla ricerca di tabacco. "Skelmersdale," dissi a me stesso quando lo vidi, ed entrai.
Fui servito da un giovanotto basso di statura, ma ben fatto, di carnagione bionda, denti sani e piccoli, occhi azzurri e un modo di fare languido. Lo osservai con curiosità. Ad eccezione di un tocco di malinconia nell'espressione, era un tipo piuttosto comune. Era in maniche di camicia e intorno ai fianchi aveva allacciato un grembiule da droghiere, e aveva una matita infilata dietro al suo orecchio inoffensivo. Il suo panciotto nero era attraversato da una catena d'oro da cui pendeva una vecchia ghinea.
Niente altro per oggi, signore?” chiese. Mentre parlava si chinò a compilare la mia ricevuta.
E' lei Mr. Skelmersdale?" dissi.
Sì, signore,” disse, senza alzare lo sguardo.
E' vero che è stato nel paese delle fate?”
Mi guardò per un momento aggrottando la fronte, con un'espressione di afflitta disperazione. “Oh basta!” disse e, dopo un momento di ostilità, in cui ci fronteggiammo faccia a faccia, continuò con la sua addizione. “Quattro, sei e mezzo,” disse, dopo una pausa. “Grazie, signore.”
In questo modo, poco propizio, iniziai a fare la conoscenza di Mr. Skelmersdale.

Corner shop
Alla fine, arrivai da questo alla confidenza attraverso una serie di faticosi tentativi. Lo riacchiappai nella sala comunale, dove di sera andavo a giocare a bigliardo dopo cena e a mitigare l'estremo isolamento dai miei simili che era così utile per lavorare durante il giorno. Feci in modo di giocare con lui e poi di fare una chiacchierata. Scoprii che l'unico argomento da evitare era il paese delle fate. Su tutto il resto era aperto e amabile in modo del tutto normale, ma su quello si era innervosito – era un evidente tabù. Solo una volta sentii in quella sala una vaga allusione alla sua esperienza in sua presenza, da parte di un rozzo campagnolo che stava perdendo contro di lui. Skelmersdale aveva messo a segno una serie di colpi con un punteggio a due cifre, che per gli standard di Bignor, era un gioco eccezionalmente buono. “Fermo lì!” disse l'avversario. “Basta con i tuoi tiri fatati!”
Skelmersdale lo fissò per un momento, con la stecca in mano, poi la buttò giù e uscì dalla sala.
Non potevi lasciarlo in pace?” disse un rispettabile anziano che aveva assistito al gioco e, nel generale mormorio di disapprovazione, il ghigno di soddisfazione sparì dalla faccia del giovane campagnolo.
Subodorai la mia opportunità. “Cos'è questo scherzo,” dissi, “a proposito del paese delle fate?”
Il paese delle fate non è affatto uno scherzo, non per il giovane Skelmersdale," disse il rispettabile anziano, bevendo. Un ometto dalle guance rosa fu più comunicativo. “Proprio così, signore,” disse, “lo hanno portato ad Aldington Knoll e ce l'hanno tenuto per tre settimane.”
E con ciò il gregge era sulla giusta strada. Una volta che una pecora aveva preso il via, le altre erano pronte a seguirla e in breve tempo conobbi almeno almeno le circostanze esteriori dell'affare Skelmersdale. In precedenza, prima di venire a Bignor, era stato in quello stesso tipo di negozietto ad Aldington Corner e qualunque fosse la cosa che successe, fu lì che ebbe luogo. Era chiaro il fatto che una notte era rimasto fuori sulla collina fino a tardi ed era sparito dalla vista di tutti per tre settimane, ed era ritornato con “i polsini puliti come quando era andato via” e le tasche piene di polvere e cenere. Ritornò in uno stato di malinconica desolazione che svanì solo lentamente e per molti giorni non volle dare nessuna informazione su dove era stato.
La ragazza con cui era fidanzato a Clapton Hill cercò di tirarglielo fuori, e lo lasciò in parte perché egli si rifiutò di parlare, in parte perché, come disse lei, le dava proprio la 'malinconia'. E poi quando, un po' di tempo dopo, il ragazzo si lasciò sfuggire inavvedutamente che era stato nel paese delle fate e che voleva ritornarci e quando la voce si sparse in giro e iniziò l'innocente burla dei campagnoli, chiuse improvvisamente il suo esercizio e se ne venne a Bignor per togliersi dalle chiacchiere. Ma nessuno di loro sapeva niente a proposito di quello che era successo nel paese delle fate. Su quel punto l'assembramento della sala comunale iniziò a sbandare come un branco di cani da caccia che ha perso le tracce. Uno diceva questo, un altro diceva quello.
Il loro modo di trattare questo argomento fuori dal comune era ostentatamente critico e scettico, ma potevo vedere una considerevole dose di credulità filtrare attraverso le loro prudenti esternazioni. Decisi di assumere un atteggiamento di intelligente interesse, venato di un ragionevole dubbio riguardo a tutta la storia.
Se il paese delle fate è nel poggio di Aldington,” dissi, “perché non l'avete scavato?”
E' quello che dico anch'io,” disse il giovane campagnolo.
Ce ne sono molti che hanno provato a scavare sul poggio di Aldington,” disse il rispettabile anziano, “di tanto in tanto. Ma fino ad oggi nessuno ha detto quello che ha scoperto scavando.”

Antico cumulo funerario delle isole Orkney
Quella credulità vaga ma unanime che mi circondava era piuttosto impressionante, sentivo che ci doveva essere sicuramente QUALCOSA alla radice di tanta convinzione, e la grande curiosità che avevo per i fatti concreti di quella faccenda ne fu decisamente stuzzicata. Se questi fatti concreti dovevano essere ottenuti da qualcuno, questi dovevano essere ottenuti da Skelmersdale in persona e, pertanto, mi impegnai in modo ancora più assiduo a cancellare la prima cattiva impressione che avevo fatto per conquistare la sua fiducia al punto da convincerlo a parlare di sua spontanea volontà. In quell'impresa avevo un vantaggio sociale. Dal momento che ero una persona affabile e senza nessuna occupazione apparente, e indossavo abiti in tweed e pantaloni alla zuava, a Bignor ero naturalmente classificato come un artista, e secondo lo straordinario codice di rilevanza sociale prevalente a Bignor, un artista occupava una posizione considerevolmente più alta di un aiuto droghiere.
Skelmersdale, come troppi della sua estrazione sociale, è una specie di snob, mi aveva detto “Oh basta” come reazione ad una provocazione eccessiva e improvvisa e subito dopo, ne ero certo, se ne era pentito; sapevo che era felice di essere visto passeggiare per il villaggio insieme a me. A tempo debito, accettò abbastanza prontamente l'invito a casa mia a fumare la pipa e a bere del whisky e lì, intuendo per un felice istinto che questo era dovuto ai suoi tormenti interiori e sapendo che confidenza chiama confidenza, lo incalzai con un sacco di storie interessanti e suggestive tratte dal mio passato reale e fittizio. E fu dopo il terzo whisky durante la terza visita di quel genere, se ricordo bene, che a proposito della goffa esagerazione di una storiella d'amore che mi aveva grandemente appassionato nella mia adolescenza, che lui alla fine, di sua propria volontà e iniziativa, ruppe il ghiaccio. “E' successo lo stesso a me,” disse, “lassù ad Aldington. E' proprio questo che è così strano. Prima non importava niente a me e tutto a lei, e dopo, quando era troppo tardi, fu, per così dire, il contrario.”
Mi astenni dal notare l'allusione e così egli ne tirò subito fuori un'altra e in breve fu chiaro come la luce del giorno che la sola cosa di cui voleva parlare adesso era dell'avventura nel paese delle fate, che aveva custodito gelosamente così a lungo. Vedete, il mio trucco era riuscito e invece di essere solamente un altro straniero un po' incredulo e faceto, ero diventato, grazie a tutte quelle mie sfrontate confidenze, l'unico possibile confidente. Era stato morso dal desiderio di dimostrare che anch'egli aveva vissuto e provato tante cose, e la febbre lo aveva contagiato. Dapprincipio fu sicuramente oscuro e allusivo e la mia impazienza di rendere il suo racconto più chiaro con poche precise domande fu controbilanciata e controllata solo dalla mia paura di essere troppo frettoloso. Ma uno o due incontri dopo le basi della confidenza furono completate e penso di aver ottenuto, dal primo all'ultimo, la maggior parte degli avvenimenti e dei dettagli – infatti, ritornai molte volte su quasi tutto quello che Mr. Skelmersdale, con le sue limitate capacità di narratore, sarà mai capace di raccontare. E così arrivo alla storia della sua avventura e ne rimetto insieme i pezzi. Se accadde realmente, se egli l'ha immaginata o sognata, o si è imbattuto in essa durante qualche trance allucinatoria, non sono in grado di dirlo. Ma non prendo in considerazione nemmeno per un momento l'idea che l'abbia inventata. L'uomo crede semplicemente e onestamente che la cosa accadde come la racconta, egli è evidentemente incapace di una bugia così elaborata e lunga e trovo una forte conferma alla sua sincerità nella credulità delle semplici menti rustiche, ma spesso incredibilmente penetranti, intorno a lui. Egli ne è convinto – e nessuno può produrre alcun fatto concreto che possa distruggere la sua convinzione. In quanto a me, fatte queste precisazioni, vi riferisco la storia – sono un po' troppo vecchio ora per dare giustificazioni o spiegazioni.

Atkinson Grimshaw - Endymion on Mount Latmos (1879)


Dice di essere andato a dormire sul poggio di Aldington che erano circa le dieci di sera – molto probabilmente era la notte di mezza estate, sebbene non si sia mai curato della data, e il suo margine di sicurezza variava all'incirca di una settimana – ed era una notte serena e senza vento e la luna stava sorgendo. Mi sono preso la briga di visitare quel colle tre volte da quando la sua storia ha iniziato a dipanarsi incalzato dai miei incoraggiamenti e una volta ci andai durante un tramonto estivo al sorgere della luna in una sera, forse, simile a quella della sua avventura. Al di sopra della luna, Giove era grande e splendido e a nord e a nord-est il cielo era verde e luminoso là dove era tramontato il sole. Il colle si ergeva spoglio e desolato sotto il cielo, ma circondato alla sua base da fitti boschi, e mentre salivo c'era un vivace saltellare e zampettare di conigli fantasma o del tutto invisibili. Proprio sopra il cocuzzolo del poggio, ma da nessun'altra parte, c'era il sottile ronzio di un nugolo di moscerini. Il poggio, credo, è una montagnola artificiale, il tumulo di qualche grande capo preistorico, e sicuramente nessuno ha mai scelto una prospettiva più vasta per un sepolcro. Ad est lo sguardo spazia lungo le colline fino ad Hythe, e da lì attraverso il Canale fin dove, a circa trenta miglia, in lontananza, le grandi luci bianche dei fari di Griz Nez e di Boulogne occhieggiano spegnendosi e accendendosi. Ad ovest si stende tutta la valle scoscesa del Weald, fino a Hindhead e Leith Hill, e la valle dello Stour attraversa i Downs a nord fino alle interminabili colline oltre Wye. Tutta la piana di Romney si stende a sud ai piedi del tumulo, Dymchurch and Romney e Lydd, Hastings e la sua collina si trovano a mezza strada, e le colline si moltiplicano confusamente molto oltre il punto in cui Eastbourne arriva su a Beachy Head.
Ed era al di sopra di questo panorama che Skelmersdale vagava, tormentato dalle sue prime pene d'amore, e come diceva, “non gli importava DOVE andasse.” E si mise a sedere lì, a rimuginare e così, afflitto e addolorato, fu sorpreso dal sonno. E fu così che cadde nelle mani delle fate. Era stato sconvolto da una lite di natura alquanto banale tra lui e la ragazza di Clapton Hill con cui era fidanzato. Era la figlia di un fattore, disse Skelmersdale, e “molto rispettabile”, e senza dubbio un eccellente partito per lui; ma la ragazza e l'innamorato erano molto giovani e animati da quella reciproca gelosia, quell'eccessiva intolleranza, quell'irrazionale fame di meravigliosa perfezione che la vita e l'età inevitabilmente e misericordiosamente mitigano. Quale fosse esattamente il motivo della lite, non ne ho idea. Forse lei aveva detto che le piacevano gli uomini con le ghette quando lui non indossava le ghette, o forse lui le aveva detto che la preferiva con un altro tipo di cappello, ma comunque la cosa fosse iniziata, arrivò all'asprezza e alle lacrime attraverso una serie di fasi maldestre. Senza dubbio a lei venne il naso rosso per il pianto, e lui diventò pallido e avvilito, e lei lo lasciò con irritanti paragoni, e pesanti dubbi che gliene fosse mai veramente importato di lui e l'evidente certezza che non gliene sarebbe importato mai più. E con questo tipo di cose in testa il giovane se ne venne mestamente sul poggio di Aldington, e poi, forse dopo un lungo intervallo, inspiegabilmente, si addormentò.
Quando si svegliò, si trovò sul più morbido tappeto erboso su cui avesse mai dormito prima e sotto l'ombra di alberi scurissimi che nascondevano completamente il cielo. Infatti, nel paese delle fate, così pare, il cielo è sempre nascosto. Eccetto per una notte in cui le fate stavano ballando. Mr. Skelmersdale, durante tutto il tempo con loro, non vide mai una stella. E a proposito di quella notte sono in dubbio se egli fosse proprio nel paese delle fate o all'aperto in mezzo alle canne e i giunchi, in quei prati bassi vicino alla linea ferroviaria a Smeeth.
Ma nonostante tutto, sotto quegli alberi c'era luce, e sulle foglie e tra la zolla erbosa brillava una moltitudine di lucciole, belle e splendenti. La prima impressione di Mr. Skelmersdale fu di essere piccolo e la successiva fu quella di essere circondato da un discreto numero di persone ancora più piccole. Per una qualche ragione, dice, non era né sorpreso né spaventato, ma si mise a sedere con cautela e si stropicciò gli occhi per scacciare via il sonno. E tutto intorno a lui c'erano gli elfi sorridenti che lo avevano preso sotto la loro giurisdizione mentre dormiva e lo avevano portato nel paese delle fate. Non sono riuscito a capire quale fosse l'aspetto di quegli elfi, tanto vago e imperfetto è il suo vocabolario e così disattento ai tutti i minimi dettagli sembra essere stato. I loro abiti erano fatti di un tessuto leggerissimo e bello, che non era né lana, né seta, né foglie, né petali di fiori. Stavano tutti intorno a lui quando si mise a sedere e si ridestò, e giù dalla radura, lungo un viale illuminato dalle lucciole e con una stella sulla fronte, improvvisamente avanzò verso di lui la signora delle fate che è il personaggio principale dei suoi ricordi e del racconto. Su di lei ho saputo di più. Indossava un abito verde trasparente, e intorno al suo vitino c'era un'ampia cintura d'argento. I suoi capelli tirati all'indietro sulla fronte scendevano ondeggianti fino alle spalle; erano ricci ma non troppo ribelli e tuttavia capricciosi, e sulla sua fronte c'era una piccola tiara ornata da una stella solitaria. Il vestito aveva delle maniche aperte che lasciavano intravvedere le braccia; la sua gola, penso, era in parte a nudo, perché il giovane parlava della bellezza del suo collo e del mento. C'era una collana di corallo intorno al suo collo bianco e sul petto un fiore color corallo. Il mento e le guance e la gola avevano i lineamenti dolci di un bambino. E i suoi occhi, mi è parso di capire, erano di un marrone acceso, dolcissimi e sinceri e teneri sotto le sopracciglia perfettamente allineate. Da questi particolari si può capire quanto rilievo deve aver avuto questa signora nel racconto di Mr. Skelmersdale. Cercò di precisare alcuni particolare ma non ci riuscì; “il modo in cui si muoveva,” disse diverse volte; e immagino una specie di timida gioiosità irradiarsi da questa signora.

Arthur Rackham - Iride, 1921
E fu in compagnia di questa deliziosa persona, in qualità di ospite e compagno prescelto di questa deliziosa persona, che Mr. Skelmersdale iniziò ad essere introdotto ai segreti del paese delle fate. Lei lo accolse con gioia e abbastanza calorosamente – sospetto che strinse la mano di lui tra le sue e gli rivolse uno sguardo radioso. Dopo tutto, dieci anni fa il giovane Skelmersdale deve essere stato un ragazzo molto piacente. E una volta lo prese sotto braccio e un'altra, credo, lo condusse per mano lungo la radura illuminata dalle lucciole. Come andarono veramente le cose non c''è modo di saperlo dal racconto scarno e disarticolato di Mr. Skelmersdale. Egli dà insoddisfacenti dettagli di panorami e avvenimenti fuori dall'ordinario, di luoghi dove c'erano molte fate riunite, di “funghi che emanavano una luce rosa,” del cibo delle fate di cui riusciva a dire solamente “avreste dovuto assaggiarlo!” e della musica delle fate, “simile ad un piccolo carillon,” che usciva da ondeggianti corolle di fiori. C'era un grande luogo aperto dove le fate cavalcavano e organizzavano corse su “cose,” ma che cosa intendesse Mr. Skelmersdale con “cavalcavano quelle cose lì,” non c'è modo di saperlo. Vermi, forse, o grilli, o quei piccoli insetti che tanto spesso scappano via in nostra presenza. C'era un posto dove l'acqua si raccoglieva e crescevano giganteschi botton d'oro, e lì le fate facevano il bagno insieme quando era più caldo. Tra gli alberi ricoperti di muschio c'erano giochi e danze e, penso, anche il continuo amoreggiare di quelle creature elfiche. Non c'è dubbio che la reggina delle fate corteggiò Mr. Skelmersdale, e senza dubbio questo giovanotto decise di resisterle. Ci fu una volta, infatti, in cui sedette accanto a lui sulla riva di un ruscello, in un angolo tranquillo e nascosto “tutto profumato di violette,” e gli parlò d'amore.
Quando la sua voce diventava bassa e sussurrava,” disse Mr. Skelmersdale, “e appoggiava la sua mano sulla mia, sapete, e mi veniva vicino con quel suo modo di fare dolce e affettuoso, dovevo faticare molto per non perdere la testa.” Sembra che sfortunatamente riuscì a non perdere la testa solo fino ad un certo punto. Capì “in che direzione soffiava il vento,” disse, e così, seduto lì in un posto che odorava tutto di violette, abbracciato a questa deliziosa regina delle fate, Mr. Skelmersdale le confessò con gentilezza...che era fidanzato! Gli aveva detto che lo amava tanto, che era per lei un dolce ragazzo umano, e qualunque cosa le avesse chiesto l'avrebbe avuta – anche il suo desiderio più grande. E Mr. Skelmersdale, che, immagino, tentò disperatamente di non guardare le sue piccole labbra che si aprivano e chiudevano, tirò fuori il suo più segreto desiderio dicendo che gli sarebbe piaciuto avere abbastanza capitale per aprire un negozietto tutto suo. Gli sarebbe proprio piaciuto sentirsi abbastanza ricco per farlo. Immagino la sorpresa in quegli occhi bruni di cui parlava, ma lei sembrò capire tutto ciò e gli fece molte altre domande sul negozietto, “con una specie di sorriso” per tutto il tempo. Così la ragguagliò sulla sua posizione di fidanzato e le disse tutto su Millie.
Tutto?” dissi.
Ogni cosa,” disse Mr. Skelmersdale, “chi era Millie e dove viveva, ogni cosa insomma. Per tutto il tempo sentii che non potevo fare altrimenti.” “Qualunque cosa vuoi, l'avrai,” disse la regina delle fate. “Consideralo già fatto. Ti sentirai ricco come desideri. E adesso, vedi, MI DEVI BACIARE”
E Mr. Skelmersdale fece finta di non aver sentito l'ultima frase, e le disse che era molto gentile. Che davvero lui no meritava tanta gentilezza. E…
La regina delle fate improvvisamente gli si avvicinò e disse, “Baciami!”
E, disse Mr. Skelmersdale, “come uno sciocco, la baciai.”
Ci sono baci e baci, mi hanno detto, e questo deve essere stato molto diverso dalle sonore manifestazioni di amicizia di Millie. C'era qualcosa di magico in quel bacio, sicuramente segnò un punto di svolta. Questo è uno di quegli episodi che il giovane ritenne sufficientemente importanti da descrivere più dettagliatamente. Io ho cercato di aggiustarlo, ho cercato di liberarlo dalle mezze frasi e dai gesti con cui mi fu narrato, ma non ho dubbi che fosse completamente differente dal mio racconto e molto più delicato e dolce, nella luce che filtrava dolcemente e nei silenzi delicatamente suggestivi della radura delle fate. La regina delle fate fece altre domande su Millie, e fu molto dolce e così via – molte volte. Per quel che riguarda la dolcezza di Millie, me lo immagino mentre risponde che la ragazza era “a posto.”

Arthur Rackham - Fairies
E allora, o in una simile circostanza, la regina delle fate gli disse di essersi innamorata di lui quando lo aveva visto dormire al chiaro di luna e così lo aveva fatto portare nel paese delle fate e aveva pensato, non sapendo di Millie, che forse anche lui avrebbe potuto amarla. “Ma ora si sa che non puoi,” disse, “così devi fermarti con me solo per un po', e poi devi tornare da Millie.” Così gli disse, e sapete che Skelmersdale era già innamorato di lei, ma l'assoluta inerzia della sua mente lo fece proseguire sulla strada che aveva intrapreso. Me lo immagino seduto in preda ad una sorta di stupore in mezzo a tutte quelle meravigliose creature luminose mentre risponde alle domande sulla sua Millie e sul negozietto che aveva in mente e la necessità di un cavallo e di un carretto… e questa assurda situazione deve essere andata avanti per giorni e giorni.
Vedo quella piccola signora, mentre gli svolazza intorno e cerca di divertirlo, troppo delicata per capire la sua complessità e troppo innamorata per lasciarlo andare. E lui, sapete, ipnotizzato com'era dalla sua situazione terrena, la seguiva qui e là, cieco a tutte le cose del paese delle fate ad eccezione della meravigliosa intimità che gli era capitata. E' difficile, è impossibile esprimere per iscritto l'effetto di quella radiosa dolcezza che brilla nella giungla delle frasi rozze e confuse del povero Skelmersdale. Per me, almeno, lei brillava luminosa nella confusione della sua storia come una lucciola in un groviglio di erbacce. Ci devono essere stati molti episodi del genere per tutto il tempo che rimase lì – una volta, infatti, danzarono al chiaro di luna nel canneto delle fate che si trova nei prati vicino Smeeth – ma poi tutto questo finì. La fata lo portò in una grande caverna, illuminata da una sorta di lampada notturna rossa dove c'erano forzieri su forzieri, e coppe e scatole d'oro, e un grande mucchio di quelle che agli occhi di Mr. Skelmersdale certamente sembrarono… monete d'oro. Fra tutte quelle ricchezze c'erano dei piccoli gnomi che la salutarono quando entrò e si fecero da parte. E improvvisamente lei si rivolse a lui con occhi stranamente scintillanti.
Ed ora,” gli disse, “sei stato gentile a stare con me così a lungo, ed è tempo che ti lasci andare. Devi ritornare dalla tua Millie. Devi ritornare dalla tua Millie, e qui, proprio come ti ho promesso, gli gnomi ti daranno l'oro.”
La voce le venne meno,” disse Mr. Skelmersdale. “A quel punto, ebbi una strana sensazione -" (si toccò il petto) “come se qualcosa qui mi venisse meno. Mi sentivo pallido, e tremante e anche allora… non riuscii a dire niente.”
Fece una pausa. “Sì,”dissi.
La scena andava oltre le sue capacità descrittive. Ma so che lei gli diede il bacio d'addio.
E non diceste niente?”
Niente,” disse. “Rimasi come un vitello impagliato. Si voltò indietro solo un'altra volta, e sembrava che piangesse e ridesse – potevo vedere i suoi occhi lucidi – e poi andò via, e tutto intorno a me c'erano quei piccoli ometti che si davano da fare, riempendomi d'oro le mani, le tasche, la camicia e dappertutto.”

 Dugald S. Walker (1921) from the book, PEACOCK AND THE WISHY FAIRY
E fu allora, quando la regina delle fate era svanita, che Mr. Skelmersdale capì veramente e seppe. Improvvisamente iniziò a buttare via l'oro che gli avevano messo addosso, gridando per evitare che gliene dessero ancora. “Non voglio il vostro oro,” disse. “Ancora non ho finito. Non me ne vado. Voglio parlare un'altra volta con la regina delle fate.” Feci per andarle dietro ma quelli mi respinsero. Puntarono le loro piccole mani contro la mia vita e mi spinsero indietro. Continuarono a darmi ancora oro finché incominciò a uscire fuori dalle gambe dei pantaloni e a cadermi dalle mani. “Non voglio il vostro oro,” gli dico, “voglio parlare un'altra volta con la regina delle fate.”
E ci riusciste?”
Ci fu una zuffa.”
Prima di vederla?”
Non la vidi. Quando mi liberai degli gnomi non riuscii a vederla da nessuna parte.”
Così corse a cercarla fuori dalla caverna illuminata di rosso, giù per una lunga grotta, e da lì uscì in una grande radura desolata attraversata da uno sciame di fuochi fatui che svolazzavano di qua e di là. E intorno a lui gli elfi danzavano deridendolo, e i piccoli gnomi, che lo avevano inseguito, uscirono dalla caverna, con le mani piene di oro e glielo lanciarono addosso gridando, “Amore di fata e oro di fata! Amore di fata e oro di fata!”
E quando sentì queste parole, fu preso da una gran paura che tutto fosse finito, e alzò la voce e la chiamò per nome, e improvvisamente iniziò a correre lungo la discesa che partiva dalla bocca della caverna, attraverso un luogo pieno di spini e rovi, invocandola spesso a voce spiegata. Gli elfi gli danzavano intorno incuranti, pizzicandolo e pungendolo, e i fuochi fatui lo circondavano e gli si avventavano in faccia, gli gnomi lo inseguivano lapidandolo con l'oro delle fate. Mentre correva in mezzo a tutta quella strana processione che ne distoglieva l'attenzione, improvvisamente si trovò immerso fino alle ginocchia in una palude, in mezzo a ad un intrigo di rami e radici, e un piede rimase impigliato e inciampò e cadde…
Cadde e incominciò a rotolare e in quel preciso momento si ritrovò disteso sul poggio di Aldington completamente solo sotto le stelle.
Si mise a sedere di scatto, dice, e scoprì di essere intirizzito per il freddo, e i suoi abiti erano bagnati di rugiada. Il primo pallore dell'alba e una vento freddo si levarono insieme. Avrebbe potuto credere che tutto quello non fosse che un sogno stranamente vivido finché infilò una mano in tasca e la trovò piena di cenere. Allora seppe che quello era sicuramente l'oro delle fate che gli avevano dato gli gnomi. Poteva sentire ancora i loro pizzichi e le loro punture, anche se addosso non aveva nemmeno un livido. E in quel modo e così all'improvviso Mr. Skelmersdale ritornò dal paese delle fate nel mondo degli uomini. Anche allora immaginò che la faccenda fosse durata solo una notte finché ritornò nel negozio di Aldington Corner e scoprì tra lo stupore di tutti che era stato via tre settimane.
Dio! Ne ho avuti di problemi!” disse Mr. Skelmersdale.
Perché?”
Per spiegare. Suppongo che non abbiate mai avuto niente del genere da spiegare.”
Mai,” dissi, e si dilungò per un cero tempo a spigare il comportamento di questa o di quella persona. Ma per un po' evitò di fare un certo nome.
E Millie?” dissi alla fine.
Non è che me ne importasse poi tanto di vedere Millie,” disse.
Credo che l'avrà trovata cambiata.”
Tutti erano cambiati. Cambiati in meglio. Tutti sembravano grandi e grossi. E le voci rimbombavano. Perfino il sole, quando spuntò, sembrò ferirmi gli occhi!”
E Millie?”
Non volevo vedere Millie.”
E quando successe?”
L'ho incontrata per caso una domenica, uscendo dalla chiesa. 'Dove sei stato?' disse, e capii che c'era aria di tempesta. E non me ne importava niente. Era come se mi fossi dimenticato di lei mentre stava lì a parlarmi. Non significava proprio niente per me. Non riuscivo a capire cosa avessi mai visto in lei e che qualità avesse mai posseduto. A volte, quando lei non c'era, ci ripensavo, ma mai in sua presenza. Poi arrivava sempre l'altra e la cancellava… Comunque, non le ho spezzato il cuore.”
Sposata?” chiesi
Sposata a suo cugino,” disse Mr. Skelmersdale, e per un po' rimase a fissare pensieroso il disegno della tovaglia.
Quando riprese a parlare era chiaro che la sua vecchia fidanzata era completamente svanita dalla sua mente e che il discorso aveva riportato nel suo cuore la regina delle fate vittoriosa. Parlò di lei – improvvisamente si lasciò sfuggire le cose più bizzarre, i più strani segreti d'amore che sarebbe sleale ripetere. Credo, infatti, che fosse la cosa più bizzarra di tutte, ascoltare quel lindo piccolo droghiere, dopo che la sua storia fu terminata, con un bicchiere di whisky accanto a lui e un sigaro tra le mani, testimoniare, ancora con dolore, anche se ora, con un'angoscia lenita dal tempo, dell'insaziabile fame d'amore che lo aveva preso al suo ritorno. “Non potevo mangiare, “ disse, “non potevo dormire, facevo errori negli ordini e mi confondevo con il resto. Era lì giorno e notte, e mi sentivo continuamente attratto da lei. Oh, la volevo. Dio! quanto la volevo! Ero lassù, la maggior parte delle notti ero lassù sul poggio, spesso anche con la pioggia. Passeggiavo sul colle e tutto intorno, chiedendo che mi facessero entrare. Gridavo. A volte quasi scoppiavo a piangere. Ed ero pazzo e infelice. Incominciai a ripetermi che era tutto uno sbaglio. E ogni domenica pomeriggio andavo lassù, col brutto o col bel tempo, anche se sapevo, come voi, che non serviva a niente andarci di giorno. Ho anche provato a dormire lassù.” Si fermò di colpo e decise di bere un po' di whisky.
Ho provato a dormire lassù,” disse, e potrei giurare che gli tremavano le labbra, “Ho provato a dormire lassù, tante volte. E, sapete, signore, non ci sono riuscito – mai. Ho pensato che se mi fossi addormentato lassù, poteva succedere qualcosa. Ma mi sono seduto lassù, mi sono disteso lassù, e non ci sono riuscito – a causa dei pensieri e del desiderio. E' il desiderio… Ci ho provato -” Sospirò, bevve il resto del suo whisky tutto d'un colpo, si alzò all'improvviso e si abbottonò la giacca, mentre osservava con occhio critico le stampe da quattro soldi ai lati del caminetto. Il taccuino nero su cui scriveva gli ordini per le consegne giornaliere sbucò dal taschino della giacca. Quando tutti i bottoni furono sistemati, si diede qualche colpetto sul petto e si girò improvvisamente verso di me. “Bene,” disse, “devo andare.”
Nei suoi occhi e nel suo modo di fare c'era qualcosa che per lui era troppo difficile da esprimere a parole. “Ci si lascia andare alle chiacchiere,” disse alla fine sulla porta e accennò un sorriso, e così svanì dai miei occhi. E questa è la storia di Mr. Skelmersdale nel paese delle fate.

FINE

1 ENDIMIONE (Ενδυμίων, Endymion). - Giovane pastore di grande bellezza, di cui la leggenda greca narrava che fosse stato amato dalla Luna (Selene). Questo amore divino per il bel giovanetto, secondo la forma più diffusa della leggenda, era localizzato sul monte Latmo in Caria, a poca distanza da Mileto e da Eraclea; ivi la dea, scesa a comtemplare il giovane dormiente, gli avrebbe dato un eterno sonno per poterlo furtivamente venire a baciare.
2 Bignor è un villaggio nella contea inglese del West Sussex che si affaccia sul canale della Manica.

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