Non
c'è cactus senza spine...
‘The
Cactus’ (Il cactus) è
un breve racconto scritto da O.
Henry* (pseudonimo di
William Sidney Porter, 1862-1910) probabilmente nel 1882 e pubblicato
nel suo ultimo libro ‘Waifs and Strays’ nel 1917.
Il
protagonista della storia, Trysdale,
è un giovane uomo egoista arido e insensibile, che per la prima
volta nella sua fatua vita deve ammettere la sconfitta: la giovane
donna a cui “… aveva
chiesto di salire con lui sul suo piedistallo e di condividere la sua
grandezza...” si
è appena sposata con un altro. Di ritorno dalla cerimonia insieme
al fratello della sposa, nel suo appartamento da scapolo ripercorre
con la mente le
fasi del corteggiamento cercando di capire come mai lei “…
così modesta (si
disse), così infantile e devota, e (avrebbe giurato una volta) così
sincera,” si
fosse improvvisamente allontanata da lui proprio nel momento in cui
credeva di averla conquistata. Solo
alla fine, grazie ad
un raffinato coup
de theatre
che sa tanto di contrappasso, si renderà conto che la risposta era
sempre stata lì, sotto
i suoi occhi.
Interessante
la tecnica narrativa di questo breve racconto, che sembra anticipare
inconsapevolmente le istanze del modernismo novecentesco, in
particolare il trattamento del tempo narrativo che mette in
contrapposizione il tempo esteriore, che qui
coincide con il tempo reale in quanto scandito dai dialoghi, con il
tempo interiore. Fedele al
postulato iniziale secondo cui “La
cosa più notevole del Tempo è che sia così puramente relativo,”
la
parte centrale del racconto è un lungo flash back del protagonista
riportato in terza persona da un narratore onnisciente. Nel
breve spazio di tempo che Trysdale impiega a togliersi i guanti, gli
passa davanti agli
occhi tutta una
vita ed
è costretto, per la prima volta, a prendere atto dei suoi
macroscopici limiti.
*Per
un analisi iù approfondita dell'autore e del suo stile consiglio di
leggere il mio post Il
riscatto di Capo Rosso.
Utile
lettura
su You Tube, che
da contemporaneamente il testo del racconto.
Il
cactus
di
O.
HENRY
Epiphyllum anguliger (as Phyllocactus darrahii)
La
cosa più notevole del Tempo è che sia così puramente relativo. E'
opinione comune che all'uomo che annega venga concessa una gran
quantità di ricordi, e non è incredibile che si possa rivivere un
intero corteggiamento mentre ci togliamo i guanti.
Ed
era quello che Trysdale stava facendo, in piedi vicino ad un tavolo
del suo appartamento da scapolo. Sul tavolo c'era una strana pianta
verde in un vaso di terracotta. La pianta apparteneva alla specie dei
cactus ed aveva delle lunghe foglie tentacolari che oscillavano senza
sosta alla minima brezza con un singolare movimento d'invito. L'amico
di Trydale, fratello della sposa, era vicino ad una credenza
lamentandosi di essere stato lasciato a bere da solo. I due uomini
erano in abito da sera. Sulle loro giacche fiori bianchi brillavano
simili a stelle nella penombra dell'appartamento.
Mentre
sbottonava lentamente i guanti, nella mente di Trydale passò una
veloce, dolorosa retrospettiva delle ultime ore. Era come se nelle
sue narici ci fosse ancora il profumo dei fiori che erano stai
distribuiti in mucchi odorosi per tutta la chiesa, mentre nelle sue
orecchie riecheggiava il basso mormorio di un migliaio di voci ben
educate, il fruscio di abiti di seta e, ricorrenti con più
insistenza, le parole biascicate del ministro che la legavano
inesorabilmente ad un altro.
Da
quest'ultimo desolato punto di vista egli ancora lottava, come se
fosse diventato un suo abito mentale, per arrivare ad una spiegazione
sul come e perché l'avesse persa. Bruscamente scosso da quest'ultimo
incontrovertibile avvenimento, si era improvvisamente trovato a
confrontarsi con una cosa che non aveva mai affrontato prima – il
suo più segreto, arrogante, arido, insensibile io. Vedeva tutti gli
abiti della presunzione e dell'egoismo che aveva indossato fino a
quel momento trasformarsi in brandelli di follia. Rabbrividì al
pensiero che per gli altri, in passato, gli indumenti della sua anima
dovevano essere apparsi spiacevoli e consunti. Vanità e arroganza?
Erano queste a tenere insieme la sua armatura. E lei che invece era
sempre stata libera da entrambe… Ma perché…
Mentre
lei avanzava lentamente lungo la navata verso l'altare, lui aveva
provato una meschina, cupa esaltazione che gli era servita di
conforto. Si era detto che il suo pallore era causato dal pensiero di
un uomo diverso da quello a cui si stava donando. Ma anche quella
misera consolazione gli era stata strappata via. Perché, quando vide
lo sguardo rapido, limpido e adorante che la sposa diede all'uomo
quando la prese per mano, capì di essere stato dimenticato. Una
volta quello stesso sguardo era stato per lui, e ne aveva compreso il
significato. Infatti, la sua ultima illusione si era sbriciolata, il
suo ultimo appiglio era andato. Perché era finita in quel modo? Non
c'era stata nessuna lite fra di loro, niente…
Da una rivista di moda del 1904 |
Per la
millesima volta ripercorse nella sua mente gli eventi di quegli
ultimi pochi giorni prima che la marea cambiasse così
all'improvviso.
Lei
aveva sempre insistito a metterlo su un piedistallo, ed egli aveva
accettato il suo omaggio con regale magnanimità. Era stato un
incenso dolcissimo quello che aveva bruciato davanti a lui, così
modesta (si disse), così infantile e devota, e (avrebbe giurato una
volta) così sincera. Gli aveva attribuito un numero quasi
soprannaturale di nobili qualità e eccellenze e talenti, e lui aveva
accettato l'offerta come il deserto assorbe la pioggia che non può
ottenere in cambio nessuna promessa di fiori o di frutti.
Mentre
Trysdale con un gesto risoluto strappava la cucitura del suo ultimo
guanto, il problema principe del suo fatuo e tardivamente compianto
egoismo gli ritornò in mente con chiarezza. La scena era quella
della notte in cui le aveva chiesto di salire con lui sul suo
piedistallo e di condividere la sua grandezza. Non poteva, adesso,
per il dolore che gli procurava, permettere alla sua mente di
indugiare nel ricordo della sua suadente bellezza quella notte…
l'onda naturale dei suoi capelli, la tenerezza e il fascino virginale
del suo sguardo e delle sue parole. Ma erano stati sufficienti e lo
avevano indotto a parlare. Durante la loro conversazione lei aveva
detto:
“E
il capitano Carruthers mi dice che lei parla la lingua spagnola come
un nativo. Perché mi ha nascosto questa sua abilità? C'è qualcosa
che non conosce?”
Ora,
Carruthers era un idiota. Non c'era dubbio che lui (Trysdale) era
stato colpevole (a volte faceva certe cose) di sciorinare al club
qualche vecchio cantilenante proverbio castigliano pescato dallo
zibaldone sul retro dei dizionari. Carruthers, che era uno dei suoi
incontinenti ammiratori, era colui che aveva magnificato questa
esibizione di dubbia erudizione. Ma, ahimè! L'incenso della sua
ammirazione era stato così dolce e lusinghiero. Lasciò che
l'attribuzione passasse senza diniego. Senza protesta, Le permise di
intrecciare intorno alla sua fronte l'immeritata corona di alloro
della conoscenza dello spagnolo. Lasciò che questa abbellisse la sua
fronte di vincitore e, fra le sue tenere spire, non percepì la
puntura della spina che lo avrebbe trafitto più tardi.
Com'era
felice, com'era schiva, com'era trepidante! Come tremava simile ad un
uccellino in trappola quando le mise ai piedi la sua grandezza!
Avrebbe potuto giurare, e poteva giurarlo adesso, che nei suoi occhi
c'era un inequivocabile consenso, ma, per timidezza, non volle dargli
una risposta diretta. “Le manderò la mia risposta domani,” gli
disse e lui, il vincitore indulgente e sicuro di sé, le concesse il
rinvio con un sorriso.
Romantic couple, valentine 1900? |
Il giorno successivo attese, impaziente, la
risposta in camera sua. A mezzogiorno il valletto della ragazza bussò
alla porta e lasciò lo strano cactus nel vaso di terracotta. Non
c'era alcun biglietto, nessun messaggio, solamente una targhetta
sulla pianta con su scritto un barbarico nome straniero ovvero il suo
nome botanico. Aspettò fino a notte, ma la sua risposta non arrivò.
Il suo enorme orgoglio e la sua vanità ferita gli impedirono di
cercarla. Due sere più tardi si incontrarono a cena. Si salutarono
in modo convenzionale, ma lei lo fissò, col fiato sospeso, stupita,
ansiosa. Egli fu cortese, distaccato, in attesa di una sua
spiegazione. Con prontezza tutta femminile, lei trasse le sue
conclusioni da quel comportamento e divenne fredda come il ghiaccio.
Così, e sempre di più dopo di allora, i due si allontanarono l'uno
dall'altro. Dove aveva sbagliato? Di chi era la colpa? Diventato
umile adesso, cercò la risposta tra le rovine della sua presunzione.
Se…
La voce
dell'altro uomo nella stanza, che si insinuò con tono querulo nei
suoi pensieri, lo risvegliò.
“Dico,
Trysdale, che diavolo hai? Sembri triste come se fossi stato tu a
sposarti, invece di essere stato solamente un complice. Guardami, un
altro complice, venuto direttamente dal sud America dopo aver
percorso duemila miglia su una puzzolente, pulciosa nave bananiera
per partecipare al sacrificio… ti prego di osservare come la mia
colpa mi pesi poco sulle spalle. Eppure, avevo solo una sorellina, e
ora se ne è andata. Avanti! Prendi qualcosa per alleggerirti la
coscienza.”
“Non
voglio bere adesso, grazie,” disse Trysdale.
“Il tuo
brandy,” proseguì l'altro, mentre si avvicinava e lo raggiungeva,
“è abominevole. Fai una scappata giù da me una volta a Punta
Redonda, e prova un po' della nostra roba contrabbandata dal vecchio
Garcia. Vale il viaggio. Salve! Ecco una vecchia conoscenza. Dove
l'hai scovato questo cactus, Trysdale?”
“Un
regalo,” disse Trysdale, “di un amico. Conosci la specie”?
“Molto
bene. E' una pianta tropicale. Se ne vedono a centinaia a Punta ogni
giorno. Il nome è qui sulla targhetta allegata. Conosci un po' di
spagnolo, Trysdale?”
“No,”
disse Trysdale, accennando un sorriso amaro, “E' spagnolo?”
“Sì.
La gente del posto immagina che le foglie si allunghino e ti facciano
un cenno d'invito. Le chiamano con questo nome – Ventomarme. In
inglese vuol dire 'Vieni a prendermi.”
FINE
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