Auguri di buone feste...
e buona lettura
Più veloce della luce
Il
Nuovo Acceleratore
(The
New Accelerator)
di
H. G. Wells, fu
pubblicato la prima volta nella rivista
The
Strand nel
1901.
Ancora
una volta lo scrittore affronta il tema del tempo. Nel 1895 aveva
pubblicato La
macchina del
tempo
(The
Time Machine),
in cui immaginava di poter viaggiare nel futuro grazie ad una
prodigiosa macchina del tempo, appunto. In questo racconto, invece,
le barriere temporali vengono infrante grazie ad un preparato
chimico,
che il suo inventore, il
professor
Gibberne, amico del narratore in prima persona che
coincide con lo scrittore,
battezza Nuovo
Acceleratore.
Wells,
chimico egli stesso, sembra muoversi in un campo a lui più familiare
e si diverte ad inventare uno pseudo prodotto, con tanto di
etichette, confezione, rete
di distribuzione
e
costo.
Il nuovo farmaco è stato inventato per renderci più adatti a questi “tempi frenetici" avendo la capacità accelerare migliaia di volte il nostro organismo “per un certo periodo dalla cima della testa alla punta dei piedi.” La conseguenza è che il mondo circostante sembra “congelato.” Come in un film al rallentatore, i fotogrammi si susseguono così lentamente che le persone sembrano grottesche statue di cera, mentre i protagonisti riescono a vivere in pochissimi secondi eventi che normalmente si svolgerebbero nel giro di qualche ora. L'unico effetto collaterale, una lieve accelerazione dell'invecchiamento, poca cosa rispetto ai vantaggi: “Immagina uno statista in una situazione difficile… O un medico che, in una situazione di estrema urgenza, voglia sedersi a sviscerare il caso.” L'autore è consapevole delle implicazioni etiche di questa invenzione: “...naturalmente, le imprese più notevoli e, eventualmente, perfino criminali possono essere commesse impunemente grazie a questo, per così dire, sgattaiolare tra gli interstizi del tempo.” Ma, quasi a rivendicare la neutralità della scienza, l'autore decide che “… questa è squisitamente materia di giurisprudenza medica e del tutto fuori dalla nostra competenza. Produrremo e venderemo l'Acceleratore e in quanto alle conseguenze staremo a vedere.” Quattro anni dopo Einstein pubblicherà la sua teoria della relatività.
Il nuovo farmaco è stato inventato per renderci più adatti a questi “tempi frenetici" avendo la capacità accelerare migliaia di volte il nostro organismo “per un certo periodo dalla cima della testa alla punta dei piedi.” La conseguenza è che il mondo circostante sembra “congelato.” Come in un film al rallentatore, i fotogrammi si susseguono così lentamente che le persone sembrano grottesche statue di cera, mentre i protagonisti riescono a vivere in pochissimi secondi eventi che normalmente si svolgerebbero nel giro di qualche ora. L'unico effetto collaterale, una lieve accelerazione dell'invecchiamento, poca cosa rispetto ai vantaggi: “Immagina uno statista in una situazione difficile… O un medico che, in una situazione di estrema urgenza, voglia sedersi a sviscerare il caso.” L'autore è consapevole delle implicazioni etiche di questa invenzione: “...naturalmente, le imprese più notevoli e, eventualmente, perfino criminali possono essere commesse impunemente grazie a questo, per così dire, sgattaiolare tra gli interstizi del tempo.” Ma, quasi a rivendicare la neutralità della scienza, l'autore decide che “… questa è squisitamente materia di giurisprudenza medica e del tutto fuori dalla nostra competenza. Produrremo e venderemo l'Acceleratore e in quanto alle conseguenze staremo a vedere.” Quattro anni dopo Einstein pubblicherà la sua teoria della relatività.
↦Curiosità:
Italo
Svevo si
ispirò al racconto di
Wells per
scrivere
"Lo specifico del dottor Menghi" - un racconto di fantascienza pubblicato postumo da Mondadori nel volume “Saggi e Pagine Sparse” (1954). Il protagonista è infatti un medico che ricorre ad un'accelerazione del metabolismo per combattere l'invecchiamento e, forse, la morte.
"Lo specifico del dottor Menghi" - un racconto di fantascienza pubblicato postumo da Mondadori nel volume “Saggi e Pagine Sparse” (1954). Il protagonista è infatti un medico che ricorre ad un'accelerazione del metabolismo per combattere l'invecchiamento e, forse, la morte.
↦Letture
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“La relatività per tutti” di Martin Gardner - matematico, divulgatore scientifico ma anche illusionista e inventore di giochi matematici.
“La relatività per tutti” di Martin Gardner - matematico, divulgatore scientifico ma anche illusionista e inventore di giochi matematici.
Il Nuovo Acceleratore
H.G. Wells, 1901
Se mai
qualcuno ha trovato una ghinea mentre stava cercando uno spillo, di
sicuro questo è il mio buon amico professor Gibberne. Ho già
sentito di ricercatori che sono andati oltre ogni aspettativa, ma mai
quanto lui. Lui ha veramente, almeno questa volta, senza nessuna
esagerazione, trovato qualcosa che rivoluzionerà la vita degli
uomini. E questo quando stava semplicemente cercando un generico
stimolante nervoso per aiutare le persone apatiche a stare al passo
con questi tempi frenetici. Ho provato quella sostanza diverse volte
ormai e non posso fare niente di meglio se non descrivere gli effetti
che ha avuto su di me. E' abbastanza chiaro che ci sono in serbo
esperienze stupefacenti per tutti quelli alla ricerca di nuove
sensazioni.
Il
professor Gibberne, come molti sanno, è mio vicino di casa a
Folkstone. A meno che la memoria non mi inganni, il suo ritratto
nelle diverse età della sua vita è già apparso nello Strand
Magazine – penso alla fine del 1899, ma non sono in grado di
controllarlo perché ho prestato quel volume a qualcuno che non me lo
ha mai restituito. Il lettore, forse, potrebbe ricordare la fronte
alta e le sopracciglia stranamente lunghe e nere che danno al suo
viso un tocco così mefistofelico. Il mio amico occupa una di quelle
graziose villette costruite in una mescolanza di stili che rendono
così interessante la parte occidentale di Upper Sandgate Road. La
sua è quella con il tetto in stile fiammingo e il portico moresco,
ed è nella piccola stanza con il bovindo dalle finestre a bifore che
lavora quando è laggiù, e in cui di sera abbiamo così spesso
fumato e chiacchierato insieme.
E' un
incredibile burlone, ma, fra l'altro, gli piace parlarmi del suo
lavoro: è una di quelle persone che trova aiuto e stimolo nella
conversazione, e così ho avuto la possibilità di seguire
l'ideazione del Nuovo Acceleratore fin dalle primissime fasi.
Naturalmente, la maggior parte del lavoro sperimentale non è fatto a
Folkstone, ma a Gower Street, nel bel laboratorio nuovo accanto
all'ospedale che lui è stato il primo ad usare.
Come tutti
sanno, o almeno come tutte le persone intelligenti sanno, il
particolare campo in cui Gibberne si è guadagnato una reputazione
così grande e meritata tra i fisiologi è quello dell'azione dei
farmaci sul sistema nervoso. Per quanto riguarda i sonniferi, i
sedativi e gli anestetici lui è, mi dicono, senza pari. E' anche un
chimico di considerevole autorevolezza e suppongo che nella insidiosa
e complessa giungla di misteri che ruotano intorno alla cellula del
ganglio e all'epistrofeo egli sia riuscito ad aprire dei sentieri,
delle piccole valli luminose, che, finché non riterrà
opportuno pubblicare i suoi risultati, sono ancora inaccessibili ad
ogni altro essere umano.
E negli
ultimi anni si è molto impegnato nel campo degli stimolanti nervosi
e, ancor prima della scoperta del Nuovo Acceleratore, anche con molto
successo. La scienza medica deve ringraziarlo per almeno tre diversi
ricostituenti assolutamente sicuri e di incomparabile valore per gli
addetti ai lavori. In caso di esaurimento il preparato conosciuto
come sciroppo B di Gibberne, credo che abbia ormai salvato più vite
di qualunque nave guardia coste.
“Ma
nessuna di queste cosette mi soddisfa completamente,” mi disse
circa un anno fa. “O aumentano l'energia centrale senza influenzare
i nervi o aumentano semplicemente l'energia disponibile abbassando la
conduttività nervosa, e tutti agiscono a livello locale e in modo
inadeguato. Uno stimola il cuore e le viscere e lascia il cervello
intorpidito, un altro arriva al cervello come lo champagne e non fa
niente di buono per il plesso solare, mentre quello che voglio io –
e, se c'è una possibilità a questo mondo, quello che voglio
ottenere - è uno stimolante che agisca nel complesso, che ti
risvegli per un certo periodo dalla cima della testa alla punta dei
piedi e ti faccia andare due volte - o perfino tre – più veloce di
chiunque altro. Eh? Questo è quello che sto
cercando.”
“Sarebbe
stancante,” dissi.
“Non
c'è dubbio. E mangeresti il doppio o il triplo… e così via. Ma
pensa per un attimo a cosa comporterebbe. Immaginati con una piccola
fiala come questa,” e per sottolineare la frase sollevò una
bottiglietta di vetro verde, “e che in questa preziosa fiala ci sia
il potere di pensare due volte più velocemente, di fare il doppio
del lavoro che potresti fare altrimenti nello stesso tempo.”
“Ma
una cosa del genere è possibile?”
“Credo
di sì. Altrimenti, ho sprecato il mio tempo per un anno. Queste
diverse preparazioni di ipofosfati, per esempio, sembrano mostrare
simili caratteristiche… Anche se ti facessero andare più
velocemente di una volta e mezzo, sarebbe sufficiente.”
“Altroché,”
dissi.
“Immagina
uno statista in una situazione difficile, per esempio, e il tempo che
scorre inesorabile, e qualcosa di urgente da portare a termine, eh?”
“Potrebbe
somministrarlo al suo segretario personale,” dissi.
“E
guadagnare… il doppio del tempo. E immagina se tu, per esempio,
volessi finire un libro.”
“Di
solito,” dissi, “Vorrei non averli iniziati.”
“O
un medico che, in una situazione di estrema urgenza, voglia sedersi a
sviscerare il caso. O un avvocato – o qualcuno che stia studiando
per un esame.”
“Vale
una ghinea alla goccia,” dissi, “e anche di più per persone del
genere.”
“E
di nuovo, in un duello,” disse Gibberne, “dove tutto dipende
dalla velocità con cui si preme il grilletto.”
“O
nel fioretto,” gli feci eco.
“Capisci,”
disse Gibberne, “se ottengo qualcosa che funzioni a livello
generale questa non sarebbe assolutamente dannosa – eccetto forse
per il fatto che accelererebbe l'invecchiamento di un grado
infinitesimale. Avresti comunque vissuto il doppio rispetto agli
altri.”
“Mi
chiedo,” riflettei, “in un duello… sarebbe leale?”
“E'
un problema dei secondi,” disse Gibberne.
Ritornai
al problema principale. “E credi davvero che una cosa del genere
sia possibile?” dissi.
“E'
possibile,” disse Giberne, e diede un'occhiata a qualcosa che
passava rumoreggiando sotto la finestra, “come un bus a motore. In
effetti...”
Si
fermò e mi sorrise profondamente, tambureggiando lentamente sul
bordo della sua scrivania con la fiala verde. “Penso di conoscere
quella sostanza… Sono già arrivato ad un risultato.” Il sorriso
nervoso sul suo volto tradì la gravità di questa rivelazione.
Parlava raramente del suo lavoro sperimentale a meno che non fosse
molto vicino al risultato. “E forse, forse – non ne sarei
sorpreso - potrebbe dare un'accelerazione di gran lunga superiore al
doppio.”
“Sarà
una grande cosa,” azzardai.
“Sarà,
credo, una cosa piuttosto grande.”
Ma
non credo che si rendesse completamente conto di quale grande cosa
sarebbe stata, nonostante tutto. Ricordo che dopo quella volta
facemmo diverse chiacchierate sull'argomento. “Il Nuovo
Acceleratore” lo chiamò, e il suo tono diventava ogni volta più
sicuro. A volte mi parlava nervosamente degli inaspettati risultati
fisiologici che il suo uso poteva avere, e allora diventava un po'
triste, altre volte era decisamente venale, e discutevamo a lungo e
animatamente su come il preparato avrebbe potuto essere sfruttata
commercialmente.
“E'
una cosa buona,” disse Gibberne, “una cosa eccezionale. Lo so che
sto facendo un dono al mondo, e credo che sia semplicemente
ragionevole aspettarsi che il mondo paghi. La dignità della scienza
va benissimo, ma penso che dovrei avere una sorta di monopolio della
sostanza per, diciamo, dieci anni. Non capisco perché tutto il
divertimento della vita dovrebbe andare ai venditori di prosciutto.”
Il
mio interesse per il futuro farmaco non diminuì certamente col
tempo. Nella mia mente c'era sempre stata una curiosa inclinazione
per la metafisica. Ero sempre stato attratto dai paradossi sullo
spazio e il tempo, e mi sembrava che Gibberne stesse preparando
niente meno che l'assoluta accelerazione della vita. Immaginate un
uomo a cui venga ripetutamente somministrato un tale preparato;
vivrebbe una vita attiva ed eccezionale, ma sarebbe adulto ad undici
anni e a trent'anni sarebbe ormai avviato sulla strada della
decadenza senile. Mi sembrava che fino a quel momento Gibberne stesse
semplicemente facendo per quelli che avrebbero preso il suo farmaco
esattamente quello che la natura ha fatto per gli ebrei e gli
orientali, che sono uomini nella loro adolescenza e anziani a
cinquant'anni, e più lesti a pensare e ad agire di quanto lo siamo
noi nel frattempo. Dentro di me ho sempre provato una grande
meraviglia per i farmaci: possono far impazzire un uomo o calmarlo,
renderlo incredibilmente forte e vigile o inerte come un ciocco,
accelerare il suo ardore o rallentarlo, tutto grazie ai farmaci, ed
ecco un nuovo portento da aggiungere allo strano armamentario di
fiale usato dai dottori! Ma Gibberne era troppo preso dai problemi
tecnici per addentrarsi troppo seriamente in questa mia
considerazione del problema.
Era
il sette o l'otto di agosto quando mi disse che la distillazione che
fra poco avrebbe deciso il suo fallimento o il suo successo stava
procedendo mentre parlavamo, ed era il dieci quando mi disse che era
fatta e che il Nuovo Acceleratore era una realtà tangibile di fronte
al mondo. Lo incontrai mentre stavo risalendo la Sandgate Hill in
direzione di Folkstone – credo che stessi andando a tagliarmi i
capelli e lui mi venne incontro di corsa – penso che stesse venendo
a casa mia per annunciarmi immediatamente il suo successo. Ricordo
che i suoi occhi erano insolitamente brillanti e la sua faccia
arrossata, e notai perfino allora la grande rapidità del suo passo.
“E'
fatta,” gridò, e mi afferrò la mano, parlando velocemente, “è
più che fatta. Vieni a casa mia a vedere.”
“Davvero?”
“Davvero!”
gridò. “Incredibile! Vieni a vedere.”
“E
funziona… il doppio?”
“Di
più, molto di più. Mi spaventa. Vieni su a vedere che roba.
Assaggiala! Provala! E' la sostanza più sorprendente sulla terra.”
Mi afferrò il braccio, camminando ad una tale velocità che mi
costrinse a trottare, risalì la collina gridando verso di me.
Un'intera carrozza scoperta piena di gente si girò a guardarci
all'unisono nel caratteristico modo delle persone in carrozza
scoperta. Era una di quelle giornate calde e limpide che si vedono
così spesso a Folkstone, ogni colore incredibilmente luminoso e ogni
contorno netto. C'era brezza, naturalmente, ma non abbastanza per
tenermi fresco e asciutto in tali circostanze. Con voce ansimante
chiesi pietà.
“Non
sto camminando velocemente, vero?” gridò Gibberne, e rallentò la
sua andatura ad una marcia veloce.
“Tu
hai preso un po' di quella roba,” ansimai.
“No,”
disse. “Al più una goccia di acqua rimasta in un beacker da cui
avevo lavato via le ultime tracce di quella sostanza. Ne avevo preso
un po' la notte scorsa, veramente. Ma quella è storia vecchia,
ormai.”
“E
accelera il doppio?” dissi, mentre mi avvicinavo all'ingresso di
casa sua, traspirando gratitudine.
“Accelera
migliaia di volte, molte migliaia di volte!” gridò Gibberne, con
un gesto teatrale, spalancando il cancello di quercia intagliata in
stile gotico.
“Uff!”
dissi, e lo seguii alla porta.
“Non
so di quante volte acceleri,” disse, con la chiave in mano.
“E
tu...”
“Getta
una miriade di nuove luci sulla fisiologia nervosa, e rimodella
drasticamente la teoria della visione!… Solo il cielo sa quante
migliaia di volte. Verificheremo tutto ciò dopo… La cosa
importante ora è provare la sostanza.”
“Provare
la sostanza?” dissi, mentre percorrevamo il corridoio.
“Certo,”
disse Gibberne, rigirandosi verso di me quando arrivammo nel suo
studio. “Eccola lì in quella fialetta verde! A meno che tu non
abbia paura?”
“Bene,”
temporeggiai. “Dici di averlo provato?”
“Io
l'ho provato,” disse, “e non sembra che mi abbia fatto male,
vero? Ho un aspetto perfettamente sano e mi sento...”
Mi
misi a sedere. “Dammi quella pozione,” dissi. “Alla peggio mi
sarò risparmiato un taglio di capelli, e penso che sia uno degli
obblighi più odiosi di un uomo civilizzato. Come si prende la
mistura?”
“Con
l'acqua,” disse Gibberne, allungandomi una caraffa.
Stava
di fronte alla sua scrivania e guardava verso di me che ero seduto
nella sua poltrona, improvvisamente le sue maniere presero un po'
l'atteggiamento dello specialista di Harley Street. “E' roba forte,
sai” disse.
Feci
un gesto con la mano.
“Prima
di tutto devo avvertirti di chiudere gli occhi non appena l'hai
buttato giù e di aprirli con molta cautela dopo circa un minuto. E
si riprende a vedere. Il senso della visione è questione di
lunghezza della vibrazione, e non di una moltitudine di impatti, ma
c'è una specie di shock per la retina, una sgradevole confusione
vertiginosa proprio in quel momento, se gli occhi sono aperti.
Tienili chiusi.
“Chiusi,”
dissi, “Bene!”
“E
l'altra cosa è, stai fermo. Non incominciare ad agitarti di qua e di
là. Potresti beccarti un brutto colpo altrimenti. Ricordati che
tutto andrà diverse migliaia di volte più veloce che mai, cuore,
polmoni, muscoli, cervello – tutto – e rischi di andare a
sbattere duramente se non ne sei a conoscenza. Perché non te ne
accorgerai. Ti sentirai proprio come adesso. Solamente ogni cosa al
mondo sembrerà andare molte migliaia di volte più lentamente di
prima. Questo è ciò che lo rende dannatamente strano.”
“Dio,”
dissi. “E vuoi dire...”
“Te
ne accorgerai,” disse e prese un misurino. Guardò la sostanza
sulla sua scrivania, “Bicchieri,” disse, “acqua. Tutto qui. Non
bisogna prenderne troppo al primo tentativo.”
La
fialetta gocciolò il suo prezioso contenuto.
“Non
dimenticare quello che ti ho detto,” disse, versando il contenuto
del misurino in un bicchiere alla maniera di un cameriere italiano
che dosi del whisky. “Siediti con gli occhi chiusi e resta
assolutamente fermo per due minuti,” disse. “Poi mi sentirai
parlare.”
Aggiunse
circa due dita di acqua alla piccola dose nei bicchieri.
“A
proposito,” disse, “non posare il tuo bicchiere. Tienilo in mano
e appoggia la mano sul ginocchio. Sì… così. E adesso...”
Sollevò
il bicchiere
“Al
Nuovo Acceleratore,” dissi.
“Al
Nuovo Acceleratore,” rispose, facemmo tintinnare i bicchieri e
bevemmo, e chiusi immediatamente gli occhi.
Conoscete
quella non-esistenza vuota in cui si cade dopo aver inalato il “gas.”
Fu la stessa sensazione per un intervallo di tempo indefinito. Poi
sentii Gibberne che mi diceva di svegliarmi, mi stiracchiai e aprii
gli occhi. Era sempre là dove era stato, il bicchiere ancora in
mano. Era vuoto, questa era l'unica differenza.
“Allora?”
dissi.
“Niente
di strano?”
“Niente.
Un leggero senso di eccitazione, forse. Niente di più.”
“Suoni?”
“E'
tutto silenzioso,” dissi. “Per Giove. “Per Giove! Sì! E'
tutto silenzioso. Salvo una sorta di deboli colpi, un ticchettio,
come pioggia che cade su oggetti diversi. Cos'è?”
“Suoni
analitici,” credo che avesse detto, ma non ne sono sicuro. Guardò
verso la finestra. “Hai mai visto prima d'ora una tendina appesa
alla finestra in quel modo?”
Seguii
il suo sguardo, e c'era il bordo della tendina con un angolo
rialzato, infatti, congelato nell'atto di sventolare velocemente
nella brezza.
“No,”
dissi, “è strano.”
“E
questo,” disse, e aprì la mano in cui stringeva il bicchiere.
Naturalmente trasalii, aspettandomi che il bicchiere si fracassasse.
Ma invece di fracassarsi non sembrò nemmeno muoversi, restò sospeso
a mezz'aria – immobile.
“Approssimativamente,”
disse Gibberne, “a queste latitudini un oggetto cade ad un velocità
di quasi cinque metri al secondo. Questo bicchiere sta cadendo a
cinque metri al secondo in questo momento. Solamente, non è ancora
trascorsa nemmeno la centesima parte di un secondo. Questo ti dà
un'idea della velocità del mio Acceleratore.” E agitò la mano
tutto intorno, sopra e sotto il bicchiere che cadeva lentamente.
Alla fine, lo prese per il fondo, lo tirò via e lo appoggiò
lentamente sul tavolo. “Eh?” disse verso di me, e rise.
“Sembra
tutto a posto,” dissi, e iniziai ad alzarmi dalla poltrona molto
lentamente. Mi sentivo perfettamente bene, leggerissimo e a mio agio,
e completamente fiducioso dentro di me. Tutto il mio corpo andava
velocissimo. Il mio cuore, per esempio, batteva un centinaio di volte
al secondo, ma questo non mi causava alcun malessere. Guardai fuori
dalla finestra. Un ciclista immobile, a testa bassa e con uno sbuffo
di polvere dietro la ruota posteriore, andava a tutta velocità per
superare un carrozzino scoperto che avanzava al trotto. Spalancai la
bocca per lo stupore davanti a questo incredibile spettacolo.
“Giberne,” gridai, “quando durerà questa dannata faccenda?”
“Lo
sa il cielo!” rispose. “L'ultima volta che l'ho preso sono andato
a letto e ci ho dormito sopra. Ero spaventato. Deve essere durato
qualche minuto, credo – sembravano ore. Ma dopo un po' rallenta
quasi improvvisamente, credo.”
Ero
orgoglioso di osservare che non mi sentivo spaventato – Credo
perché eravamo in due. “Perché non usciamo?” chiesi.
“Perché
no?”
“Ci
vedranno.”
“Chi,
loro? Cielo, no! Infatti ci muoveremo migliaia di volte più
velocemente del più veloce dei trucchi di prestigio che sia mai
stato fatto. Andiamo! Da che parte usciamo? Finestra o porta?”
E
via dalla finestra.
Di
certo fra tutte le strane esperienze che ho mai avuto, o mai
immaginato di avere, o mai letto di altre persone che l'abbiano avuta
o abbiano immaginato di averla, quella breve sortita fatta con
Gibberne lungo i Folkstone Leas1,
sotto l'influenza del Nuovo Acceleratore, fu la più strana e la più
folle di tutte. Uscimmo nella strada fuori dal cancello e per un
minuto ci soffermammo ad esaminare lo statuario passaggio del
traffico. La sommità delle ruote, alcune
gambe
dei cavalli del carrozzino scoperto, la punta della frusta e la
mandibola del vetturino – che stava appena iniziando a sbadigliare
– erano percettibilmente in movimento, ma tutto il resto di quel
goffo insieme di veicoli sembrava immobile.
Eccoli
là, persone come noi eppure non come noi, congelate in atteggiamenti
casuali, colti nella loro incompletezza. Una donna e un uomo si
sorridevano, un sorriso lascivo che minacciava di durare per sempre;
una donna con un cappello a falde larghe aveva il braccio appoggiato
sul parapetto del carrozzino e guardava verso la casa di Gibberne con
uno sguardo fisso per l'eternità; un uomo si accarezzava i baffi
simile ad una statua di cera, un altro allungava stancamente una mano
rigida con le dita tese verso il cappello che si stava spostando. Li
osservammo, ridemmo di loro, gli facemmo le boccacce e poi fummo
presi da una specie di disgusto nei loro confronti, così ci
allontanammo passando davanti al ciclista in direzione dei Leas.
“Santo
cielo!”gridò Gibberne, improvvisamente, “Guarda!”
Seguii
con lo sguardo la punta del suo dito che indicava qualcosa che
scivolava nell'aria battendo le ali lentamente alla velocità di una
lumaca eccezionalmente languida – era un'ape.
E
così arrivammo ai Leas. E lì la cosa sembrò ancora più folle. La
banda stava suonando nel chiosco superiore, eppure tutta la musica
che produceva era per noi un cupo rantolo affannoso, una specie di
ultimo respiro prolungato che a volte diventava un suono simile al
lento ticchettio soffocato di un qualche mostruoso orologio. Gente
bloccata in posizione eretta, silenziosi, timidi manichini in
precario equilibrio col piede a mezz'aria, a passeggio sul prato.
Passai vicino ad un barboncino sospeso nell'atto di saltare, e
osservai il lento movimento delle sue zampe mentre toccava terra.
“Dio, guarda qui!” gridò Gibberne, e ci fermammo un attimo
davanti ad un elegantone in un rigatino di flanella bianca, scarpe
bianche e cappello di Panama, che si girò per fare l'occhiolino a
due signore in abiti vivaci che aveva appena sorpassato.
L'occhiolino, studiato con tutta la pacata determinazione che ci è
consentita, è una cosa sgradevole. Perde ogni qualità di prontezza
di spirito, e si può vedere che l'occhio ammiccante non si chiude
completamente e che sotto la palpebra abbassata appare la parte
inferiore del bulbo oculare e una piccola linea bianca. “Che il
cielo mi aiuti a ricordare,” dissi, “e non voglio ammiccare mai
più.”
“Né
sorridere,” disse Gibberne, con gli occhi fissi sul ghigno di
risposta della signora.
“Fa
un caldo infernale, comunque,” dissi. “Rallentiamo.”
“Oh,
muoviti!” disse Gibberne.
Ci
facemmo strada tra le sdraie sul sentiero. Molte delle persone sedute
sembravano del tutto naturali nelle loro pose passive, ma il contorto
rossore dei musicisti non era una cosa rilassante da vedere. Un omino
dalla faccia paonazza era congelato a metà di un violento sforzo per
ripiegare il giornale controvento; c'erano molti segni ad indicare
che tutte quelle persone nei loro indolenti atteggiamenti erano
esposte ad una considerevole brezza, una brezza che non esisteva per
come funzionavano i nostri sensi.
Ce
ne andammo e ci allontanammo un po' dalla folla voltandoci a
guardare. Vedere tutta quella moltitudine trasformata in un quadro,
irrigidita, per così dire, nelle sembianze di realistiche statue di
cera, era incredibilmente meraviglioso. Era assurdo, naturalmente; ma
mi riempì di un irrazionale, esultante senso di superiorità. Che
cosa incredibile! Tutto quello che avevo detto e pensato e fatto da
quando quella sostanza aveva iniziato ad agire nelle mie vene era
accaduto, relativamente a quelle persone e a come in generale andava
il mondo, in un batter d'occhio. “Il Nuovo Acceleratore...”
iniziai, ma Gibberne mi interruppe.
“C'è
quell'infernale vecchia!” disse
“Quale
vecchia?”
“La
mia vicina di casa,” disse Gibberne. “Ha un cagnolino che abbaia
sempre.
Dio! La tentazione è forte.”
A
volte c'è qualcosa di molto infantile e impulsivo in Gibberne. Prima
che potessi esprimere la mia contrarietà era corso avanti, strappato
lo sfortunato animale via dal mondo visibile e stava correndo come
un forsennato verso la scogliera dei Leas. Era una cosa
straordinaria. L'animaletto, sapete, non abbaiava né si divincolava
né dava il minimo segno di vita. Io rimasi impietrito in un
atteggiamento di sonnolenta quiete mentre Gibberne lo teneva per il
collo. Era come se stesse correndo con un cane di legno. “Gibberne,”
gridai, “mettilo giù!” Poi dissi qualcos'altro. “Se corri in
quel modo, Gibberne,” gridai, “i tuoi vestiti prenderanno fuoco.
I tuoi pantaloni stanno già diventando marroni!”
Batté
la mano sulla gamba e rimase esitante sul bordo della scogliera.
“Gibberne,” gridai, venendo su, “lascialo. Questo caldo è
troppo! E' perché corriamo in questo modo! Due, tre miglia al
secondo! E' l'attrito dell'aria!”
“Cosa?”
disse, guardando il cane.
“L'attrito
dell'aria,” gridai. “ L'attrito dell'aria. Andiamo troppo forte.
Come meteoriti e cose del genere. Troppo caldo. E, Gibberne!
Gibberne! Ho prurito dappertutto e una specie di sudore. Vedi come le
persone pian piano si muovono. Credo che questa roba stia smettendo
di funzionare! Metti giù quel cane.”
“Eh?”
disse.
“Sta
smettendo di funzionare,” ripetei. “Siamo troppo accaldati e
questa roba sta smettendo di funzionare! Sono zuppo di sudore.”
Guardò
verso di me. Poi verso la banda, il ronzio lamentoso della sua
esibizione stava indubbiamente accelerando. Poi, con un tremendo
slancio del braccio, lanciò il cane lontano da lui e quello andò
mulinando verso l'alto, ancora inanimato e alla fine rimase sospeso
su un gruppo di ombrellini di una comitiva di persone che
chiacchieravano fra loro.
Gibberne mi afferrò il braccio. “Per Giove!” gridò. “Credo … è proprio così! Una specie di prurito e… sì. Quell'uomo sta muovendo il suo fazzoletto! Percettibilmente. Dobbiamo andar via di qua velocemente.”
Gibberne mi afferrò il braccio. “Per Giove!” gridò. “Credo … è proprio così! Una specie di prurito e… sì. Quell'uomo sta muovendo il suo fazzoletto! Percettibilmente. Dobbiamo andar via di qua velocemente.”
Ma
non riuscimmo ad andar via di là abbastanza velocemente. Per
fortuna, forse. Perché avremmo potuto correre e se avessimo corso,
credo, avremmo preso fuoco. Quasi sicuramente avremmo preso fuoco!
Sapete, nessuno di noi ci aveva pensato… Ma prima che potessimo
iniziare a correre l'azione della sostanza era cessata. Fu questione
di un'infinitesimale frazione di secondo. L'azione del Nuovo
Acceleratore passò come quando si tira una tenda, svanì nel gesto
di una mano. Sentii la voce di Gibberne estremamente allarmata.
“Siediti,” disse, e giù, mi accasciai su una zolla erbosa sul
bordo dei Leas… prendendo fuoco mentre mi sedevo. C'è ancora una
chiazza di erba bruciata dove mi sedetti.
Il
mondo intero aveva ripreso a vivere, stava andando alla nostra stessa
velocità, o piuttosto noi non eravamo più veloci del resto del
mondo. Era come quando un treno rallenta all'ingresso di una
stazione. Ogni cosa sembrò vorticare per un secondo o due, ebbi una
sensazione di nausea estremamente fugace, e questo è tutto. E il
cagnolino, che era sembrato rimanere sospeso per un momento quando la
forza del braccio di Gibberne era amplificata, cadde in rapida
accelerazione proprio sul parasole di una signora!
Quella
fu la nostra salvezza. Ad eccezione di un corpulento anziano
gentiluomo in una sdraia, che sicuramente trasalì alla nostra vista
e poi ci osservò ad intervalli con occhio cupo e sospettoso e, in
fine, credo, disse qualcosa al nostro riguardo alla sua infermiera,
dubito che una sola persona abbia notato la nostra improvvisa
apparizione. Plop! Dobbiamo essere apparsi all'improvviso. Cessammo
di bruciare quasi improvvisamente, anche se la zolla di erba sotto di
me era fastidiosamente calda. L'attenzione di tutti – inclusa
perfino la banda del dopolavoro, che in questa occasione, per l'unica
volta nella sua storia, prese una stecca – fu catturata da quel
fatto incredibile, e dall'ancora più incredibile starnazzo e
putiferio causato dal fatto che un rispettabile grasso cane da
compagnia che dormiva tranquillamente sul lato est del podio fosse
improvvisamente caduto sul parasole di una signora sul lato ovest –
col pelo bruciacchiato a causa dell'estrema velocità dei suoi
movimenti attraverso l'aria. E proprio in questa età assurda in cui
tutti noi cerchiamo di essere il più possibile psichici e sciocchi e
superstiziosi! Le persone si alzarono e calpestarono altre persone,
le sdraie furono rovesciate e il poliziotto dei Leas accorse.
Non
so come andò a finire la cosa – eravamo troppo ansiosi di
districarci da quella situazione e portarci fuori dalla vista del
vecchio gentiluomo in sedia a sdraio per accertarcene. Appena fummo
sufficientemente freschi e appena ci fummo sufficientemente ripresi
dalla nostra vertigine, nausea e confusione mentale ci alzammo e,
scansando la folla, ci dirigemmo di nuovo lungo la strada sotto il
Metropole verso la casa di Gibberne. Ma in tutta quel baccano sentii
molto distintamente il gentiluomo che sedeva accanto alla signora del
parasole sfondato usare minacce e un linguaggio inqualificabile nei
confronti di uno di quegli addetti alle sdraie che hanno la scritta
“Ispettore” sul berretto. “Se non è stato lei a lanciare il
cane,” disse, “chi è stato?”
L'improvviso
ritorno del movimento e di rumori familiari e la naturale ansietà
per noi stessi (i nostri abiti erano ancora spaventosamente caldi e
la parte anteriore dei pantaloni bianchi di Gibberne era di un
marroncino bruciacchiato), mi impedì di osservare minutamente tutte
quelle cose come mi sarebbe piaciuto. In effetti, non feci nessuna
osservazione di un qualche rilievo scientifico sulla strada del
ritorno. L'ape, naturalmente, era volata via. Cercai il ciclista, ma
era già scomparso quando arrivammo ad Upper Sandgate Road o nascosto
nel traffico; e il calesse, comunque, con i suoi passeggeri ora tutti
vivi e in movimento, stava trottando via velocemente quasi
all'altezza della chiesa più vicina.
Notammo,
tuttavia, che il davanzale della finestra che avevamo scavalcato per
uscire di casa era leggermente bruciacchiato e che le impronte dei
nostri piedi sulla ghiaia del vialetto erano insolitamente profonde.
Fu
così che ebbi la mia prima esperienza del Nuovo Acceleratore.
Praticamente avevamo corso per tutta quella strada e detto e fatto
ogni sorta di cose nello spazio più o meno di un secondo. Avevamo
vissuto mezz'ora mentre la banda aveva suonato, forse, due battute.
Ma l'effetto che ebbe su di noi fu che il mondo intero si era fermato
per permetterci di osservarlo a nostro agio. Considerata ogni cosa e
in particolare la nostra temerarietà nell'avventurarci fuori casa,
quell'esperienza avrebbe potuto essere certamente molto più
spiacevole di quello che fu. Senza dubbio dimostrò che Gibberne ha
ancora molto da imparare prima che il suo preparato diventi un
prodotto di facile uso, ma la sua praticabilità è dimostrata oltre
ogni dubbio.
Dopo
quell'avventura Gibberne ha costantemente portato il suo uso sotto
controllo e diverse volte, e senza il minimo problema, ne ho preso
dosi misurate
sotto la sua supervisione, sebbene debba confessare che non mi sono
più avventurato fuori sotto l'influenza
del
preparato.
Potrei menzionare, per esempio, che, grazie
ad esso, questa
storia è stata
scritta in una sola seduta e senza interruzione, se
non per mangiucchiare un pezzetto di cioccolato. Ho iniziato alle
6,25 e ora il mio orologio segna un minuto dopo la mezza. Il
vantaggio di assicurarsi un lungo, ininterrotto periodo di lavoro in
mezzo ad una giornata piena di impegni è
fuori discussione.
Ora Gibberne sta lavorando al dosaggio del suo preparato, con
speciale riferimento ai suoi caratteristici effetti sui differenti
tipi di costituzione. Spera anche di scoprire un Ritardante con cui
diluire la sua attuale potenza piuttosto eccessiva.
Il
Ritardante, naturalmente, avrà l'effetto contrario a quello
dell'Acceleratore; usato da solo dovrebbe permettere al paziente di
spalmare pochi secondi su molte ore del tempo ordinario, e così
mantenere un'apatica inattività, una congelata assenza di alacrità,
negli ambienti più animati e fastidiosi. Le due cose insieme
dovranno necessariamente operare una drastica rivoluzione nella
società civilizzata. E' l'inizio della nostra fuga da quell'Abito
temporale di cui parla Carlyle2.
Mentre
l'acceleratore ci permetterà di concentrarci con eccezionale
efficacia in ogni congiuntura o occasione che richieda la nostra
assoluta presenza di spirito e forza, Il Ritardante ci consentirà di
attraversare asprezze e tedio infiniti con tranquilla passività.
Forse sono un po' ottimista circa il Ritardante, che in effetti deve
essere ancora scoperto, ma per quanto riguarda l'Acceleratore non ci
sono dubbi di sorta. La sua comparsa sul mercato in una forma comoda,
controllabile e assimilabile è questione di pochi mesi.
Potrà
essere acquistato presso tutti i farmacisti e i droghieri, in
bottigliette verdi, ad un prezzo alto ma, considerate le sue
straordinarie qualità, niente affatto eccessivo. Sarà chiamato il
Nuovo Acceleratore di Gibberne, che spera di poterlo fornire in tre
diversi gradi di potenza: uno a 200, uno a 900 e uno a 2000, distinti
rispettivamente da etichette gialle, rosa e bianche.
Senza
dubbio il suo uso rende possibile un gran numero di cose veramente
straordinarie, perché, naturalmente, le
imprese più notevoli e, eventualmente, perfino criminali possono
essere commesse impunemente grazie a questo, per così dire,
sgattaiolare tra gli interstizi del tempo. Come tutti i preparati
potenti potrà essere soggetto ad abusi. Comunque, abbiamo discusso
attentamente questo aspetto del problema e abbiamo deciso che questa
è squisitamente materia di giurisprudenza medica e del tutto fuori
dalla nostra competenza. Produrremo e venderemo l'Acceleratore e in
quanto alle conseguenze staremo a vedere.
FINE
1Nel
1784 una frana creò una nuova striscia di terra larga
pochi metri tra la
spiaggia e la scogliera lungo la costa da Folkestone Harbour a
Sandgate. Nel 1828 il
conte di Radnor vi costruì una strada a pagamento, oggi
fa parte del Lower
Leas Coastal Park.
2
Sartor
Resartus (Il
sarto rappezzato)
è un'opera scritta da Thomas Carlyle (1838).
E'
una curiosa miscela di finzione e realtà che lo rende un libro
assolutamente sui
generis. Carlyle
asserische che
il mondo visibile
non è che la veste temporanea del mondo invisibile ed eterno; vesti
sono pure le due forme dello Spazio e del Tempo, che noi dobbiamo
squarciare per riconoscere la vera
realtà.
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