Black and white
Dickon
il diavolo (Dickon the Devil)
di Joseph
Sheridan Le Fanu
(Dublino, 1814 – Dublino, 1873), fu
pubblicato nel 1872. Ancora una volta lo scrittore, noto soprattutto
come creatore della vampira Carmilla che dà il nome all'omonimo
romanzo, indaga gli incubi e i fantasmi che circondano le nostre
vite.
Mentre
nel romanzo gotico l'horror obbediva a meccanismi stereotipati e
puramente esteriori (il cigolio delle catene, le notti buie e
tempestose…), i fantasmi di Le Fanu diventano proiezione
dell'inconscio dei suoi protagonisti, delle loro paure o delle loro
superstizioni, fino ad
arrivare ai confini del fantastico, lasciando al lettore il
dubbio se quei
fantasmi siano reali o
solo il frutto di una
mente particolarmente influenzabile o addirittura malata.
La
storia è narrata in prima persona dal protagonista: un avvocato di
città che trenta
anni
prima,
per
motivi professionali,
si era
recato
in una remota località del Lincolnshire per
curare gli interessi di due anziane
zitelle che avevano ereditato la casa e i possedimenti di un vecchio
signorotto di campagna, lo Squire
Bowes.
Al
tempo quella regione era ancora
selvaggia e proprio perciò 'pittoresca'
e
ancora più suggestiva perché 'poco
trafficata,'
caratteristica
che ha poi perso con l'avanzare della rivoluzione industriale, che
cambiò non solo il panorama economico e sociale dell'Inghilterra, ma
anche quello naturale,
industrializzando
le
campagne, che vennero
anch'esse sfruttate con criteri capitalistici, perdendo quel fascino
selvaggio che
le
rendeva
così affascinanti
agli occhi del narratore: “...ma
mi è stato detto che ora è molto meno selvaggia e, di conseguenza,
meno bella.”
Anche
la dimora dello Squire Bowes sembra ferma nel tempo: è un vecchio
edificio elisabettiano costruito nel tipico stile 'black and white'
(dal
contrasto che il graticciato in legno scuro crea sull'intonaco bianco
dei muri),
ma
tutto è ricoperto di muffa e porta i segni dell'incuria e della
decadenza e
sembra
essere lo specchio dello spirito antiquato
del suo defunto
proprietario.
La casa a sua volta si riflette nel laghetto antistante che col
suo
“freddo
luccichio di un serpente nascosto nell'ombra” contribuisce
a creare
un'atmosfera
di mistero
e di pericolo.
Ed
è proprio questo contrasto tra antico e moderno che sembra
risvegliare il fantasma del vecchio squire, uomo all'antica,
benvoluto da tutti perché: “Di buon carattere e alla mano… un
po' pigro, forse.” Dopo la sua morte improvvisa, i suoi
possedimenti vanno alle clienti del narratore, due zitelle di città,
detestate dal vecchio squire, che è morto prima di riuscire a
disporre altrimenti dei suoi beni. Le due donne mettono
immediatamente 'a frutto' la tenuta facendo pascolare mandrie di buoi
là dove il vecchio Squire era solito passeggiare. Ma,
inspiegabilmente, gli animali iniziano ad ammalarsi e a morire. E
quale può essere la causa se non la vendetta del fantasma
dell'antico proprietario, che sembra aver perso la sua antica
pigrizia e scatena la sua ira non solo sul bestiame ma anche sul
povero guardiano del bestiame, il giovane e ignaro Dickon Pyke.
Dickon
il diavolo
di
Joseph
Sheridan Le Fanu
Caspar David Friedrich, Ingresso del cimitero, 1825-1835 |
Circa
trenta anni or sono, fui incaricato da due ricche e anziane signore
di ispezionare una proprietà in quella parte del Lancashire situata
vicino alla famosa foresta di Pendle, che il romanzo di Mr. Ainsorth
Le streghe del Lancashire1, ci ha reso così
piacevolmente familiare. Il mio compito era quello di suddividere una
piccola proprietà, comprendente una casa e una tenuta, di cui le due
donne erano state nominate coeredi già da molti anni.
Durante
le ultime quaranta miglia fui obbligato a viaggiare in diligenza,
principalmente attraverso strade secondarie, poco conosciute e ancor
meno frequentate, che spesso offrivano scenari estremamente
interessanti e piacevoli. Il paesaggio era reso ancor più
pittoresco2 dalla stagione, i primi di settembre, in cui
stavo viaggiando.
Non
ero mai stato in questa parte del paese prima di allora, ma mi è
stato detto che ora è molto meno selvaggia e, di conseguenza, meno
bella.
L'oste
della locanda dove mi ero fermato per il cambio dei cavalli e la cena
– perché erano passate le cinque – era un robusto signore di
sessantacinque anni, come mi disse, un uomo di una gentilezza
spontanea e loquace, desideroso di accogliere i suoi ospiti a suon di
chiacchiere, a cui il minimo cenno poteva dare la stura, su qualunque
soggetto di loro gradimento.
Ero
curioso di sapere qualcosa su Barwyke, questo infatti era il nome
della tenuta e della casa a cui ero diretto. Siccome quella era
l'unica locanda nel raggio di diverse miglia, avevo scritto
all'amministratore di sistemarmi lì, come meglio poteva, per una
notte.
L'oste
delle 'Tre monache,' che era l'insegna sotto cui intratteneva i
viandanti, non aveva granché da dirmi. Erano passati venti anni, o
più, dalla morte dalla morte del vecchio Squire Bowes, e da allora
nessuno aveva abitato in quelle casa, eccetto il giardiniere e sua
moglie.
"Tom
Wyndsour avrà la mia età, ma è un po' più alto, e non così in
carne, certo” disse il grasso locandiere.
“Ma
giravano delle storie su quella casa,” ripetei, “che si dice
abbiano tenuto lontano i possibili inquilini?”
“Chiacchiere
da vecchie comari, saranno passati tanti anni, signore, le ho
dimenticate, dimenticate del tutto. Oh, sì, ce ne sono sempre,
quando una casa è lasciata in quel modo, gli sciocchi parlano
sempre, ma in questi venti anni non ho sentito una parola al
riguardo.”
Nonostante
le mie insistenze, l'anziano proprietario delle 'Tre monache,' per
una qualche ragione, scelse di non raccontare le storie su Barwyke
Hall; infatti sospettavo che, al contrario, le ricordasse molto bene.
Pagai
il conto e ripresi il viaggio, rallegrato dall'atmosfera gioiosa di
quella locanda all'antica, ma alquanto deluso.
Eravamo
partiti da poco più di un'ora, quando iniziammo ad attraversare un
terreno incolto e sapevo che, superato questo, dopo un quarto d'ora
mi sarei trovato alla porta di Barwyke Hall.
Ben
presto ci lasciammo alle spalle quei terreni ricoperti di rovi e
torbiere e ci inoltrammo di nuovo nel paesaggio boscoso che amavo
così tanto, così assolutamente naturale e bello, e così poco
disturbato da qualsiasi genere di traffico. Stavo guardando fuori dal
finestrino della carrozza, quando finalmente vidi l'oggetto di cui,
da qualche tempo, i miei occhi erano alla ricerca. Barwyke Hall era
una grande casa dall'aria antiquata, costruita in quello stile a
'graticcio' conosciuto anche come 'bianco e nero', caratterizzato da
un disegno formato da sbarre e angoli in quercia, neri come l'ebano,
in contrasto con l'intonaco bianco che ricopre i mattoni degli
interstizi sottostanti. Quella casa elisabettiana dai caratteristici
tetti a spiovente si trovava al centro di un terreno che ricordava un
parco di non grande estensione, ma reso imponente dalla nobile
statura dei vecchi alberi le cui ombre si allungavano sui prati,
proiettate verso est dal sole al tramonto.
Knowle,
Warwickshire.
Grimshaw Hall |
Il
muro di cinta era ingrigito dagli anni e coperto qua e là di edera.
In una profonda ombra grigia, che contrastava con le fioche luci
della sera che si riflettevano sul fogliame sovrastane, in un gentile
avvallamento, si stendeva un lago dall'aspetto freddo e cupo, e
sembrava, per così dire, che si sottraesse allo sguardo per un senso
di colpa.
Avevo
dimenticato che c'era un lago a Barwyke, ma nel momento in cui quello
catturò il mio sguardo, come il freddo luccichio di un serpente
nascosto nell'ombra, il mio istinto sembrò riconoscervi qualcosa di
pericoloso, e mi resi conto che il lago era collegato, non ricordavo
come, alla storia che avevo sentito nella mia infanzia riguardo a
quel luogo.
La
carrozza avanzò sul viale ricoperto d'erba, sotto i rami di quei
nobili alberi, le cui foglie, tinte nei tipici rossi e gialli
autunnali, riflettevano sontuosamente i raggi del sole occidentale.
Arrivammo
alla porta. Scesi e diedi un'occhiata alla facciata della casa, era
una dimora grande e malinconica, che portava i segni di un lungo
abbandono: i grandi scuri di legno, come si usavano una volta, erano
sbarrati dall'esterno con tavole di legno che andavano da una parte
all'altra delle finestre, erbacce e perfino ortiche crescevano fitte
nel cortile, e una patina di muschio ricopriva le assi del graticcio,
mentre l'intonaco era scolorito dal tempo e dagli agenti atmosferici
ed era ricoperto da grandi chiazze gialle e rossastre. La desolazione
era accresciuta da diversi vecchi alberi maestosi che si accalcavano
intorno alla casa.
Salii
i gradini e mi guardai intorno, quell'oscuro lago era vicino a me
adesso, leggermente alla mia sinistra. Non era grande, poteva avere
una superficie di quattro o cinque ettari, ma contribuiva alla
malinconia della scena. Quasi al centro c'era una piccola isola, con
due vecchi frassini, inclinati l'uno verso l'altro, le cui tristi
immagini si riflettevano nelle acque immote. L'unica nota lieta in
quello scenario antiquato, solitario e desolato erano i colori accesi
del sole al tramonto che si riflettevano sulla casa e sul paesaggio
circostante. Bussai, e i miei richiami risuonarono cupi e ostili al
mio orecchio, e la campana, da molto lontano, rispose con un suono
profondo e brusco, come se si fosse risentita per essere stato
svegliata da un sonno decennale.
Un
vecchietto arzillo e gioviale, vestito con una corta mantella e le
ghette, sul viso un sorriso di benvenuto e un naso rosso e affilato,
che sembrava promettere una buona accoglienza, aprì la porta con una
prontezza che suggeriva una premurosa attesa del mio arrivo.
Non
c'era che una lampada nell'ingresso, e la sua luce quasi si perdeva
nell'oscurità retrostante. Era un ambiente moto spazioso e alto,
circondato da una galleria che, quando la porta era aperta, era
visibile da due o tre punti. Il mio nuovo conoscente mi condusse
quasi al buio attraverso questa ampia sala verso la stanza destinata
ad accogliermi. Era spaziosa e ricoperta di pannelli di legno fino al
soffitto. I mobili di questo salone erano antiquati e massicci.
C'erano ancora le tende alle finestre e un tappeto persiano sul
pavimento, le finestre erano in tutto due e guardavano, attraverso i
tronchi degli alberi intorno alla casa, verso il lago. Fu necessario
tutto il fuoco e tutte le piacevoli associazioni del naso rosso del
mio anfitrione per illuminare quella malinconica camera. Una porta
alla sua estremità più lontana si apriva sulla stanza dove dovevo
dormire. Era tappezzata con pannelli di legno come l'altra. C'era un
letto a baldacchino, con dei pesanti tendaggi, per il resto era
arredata nello stesso stile antiquato e imponente dell'altra stanza.
La sua finestra, come le altre di quell'ala della casa, si affacciava
sul lago.
Sebbene
quelle stanze fossero buie e malinconiche, tuttavia erano
scrupolosamente pulite. Non avevo niente da lamentare al riguardo, ma
l'effetto era deprimente. Dopo aver dato alcune indicazioni per la
cena – un piacevole evento di cui non vedevo l'ora – e dopo aver
fatto una veloce toletta, feci visita al mio amico con le ghette e il
naso rosso (Tom Wyndsour), la cui occupazione era quella del balivo,
o vice-amministratore, della proprietà, per chiedergli di
accompagnarmi in una passeggiata nel parco, dal momento che avevamo
ancora circa un'ora di sole e di crepuscolo.
Era
una mite sera autunnale e la mia guida, un uomo anziano ma robusto,
camminava con un passo così svelto che facevo fatica a stargli
dietro. Attraverso i gruppi di alberi sul confine settentrionale
della tenuta giungemmo nelle vicinanze del piccolo e vetusto cimitero
della parrocchia. Lo stavo osservando dalla sommità di un'altura, ma
il muro del parco vi si frapponeva; un po' più in basso, tuttavia,
c'era una scaletta che ci condusse alla strada attraverso cui potemmo
arrivare al cancello di ferro del cimitero.
In A Country Churchyard :: Benjamin Williams Leader |
La porta della chiesa era
aperta e il sagrestano stava riponendo il piccone, il badile e la
vanga, con cui aveva appena finito di scavare una tomba, nel loro
piccolo ripostiglio sotto la scala di pietra del campanile. Era un
ometto gobbo, gentile e sveglio che fu molto felice di mostrarmi la
chiesa. Tra i monumenti ce n'era uno che attirò la mia attenzione:
era stato eretto proprio per commemorare quello Squire Bowes da cui
le mie anziane zitelle avevano ereditato la casa e la tenuta di
Barwyke. L'epitaffio parlava di lui in termini di magniloquente
panegirico e informava il lettore cristiano che era morto, nel seno
della chiesa, all'età di settantuno anni. Lessi quell'iscrizione
alla fioca luce del sole al tramonto, che sparì all'orizzonte
proprio mentre stavamo uscendo sotto il porticato.
“Sono
passati venti anni dalla morte dello Squire,” dissi, riflettendo
mentre mi attardavo nel cimitero.
“Già,
signore, venti anni il nove dello scorso mese.”
“Era
un buon vecchio gentiluomo?”
“Di
buon carattere e alla mano, signore; penso che in vita sua non abbia
mai fatto male ad una mosca,” concordò Tom Wyndsour. "tuttavia
non è sempre facile dire cosa hanno dentro e come possono cambiare o
cosa possono diventare dopo, e alcuni, credo, è come se
impazzissero.”
“Credete
che fosse uscito di senno?” chiesi.
“Lui?
Macché! No, non lui, signore, un po' pigro, forse, come tutti gli
anziani, ma sapevo dannatamente bene cosa stava tramando.”
Il
discorso di Tom Wyndsour era alquanto misterioso ma, come il vecchio
Squire Bowes, ero “un po' pigro” quella sera, e non feci altre
domande su di lui.
Risalimmo
la scala e ci trovammo sulla stradina che costeggiava il cimitero.
Era sovrastata da olmi secolari che, in quella luce crepuscolare, che
ora prevaleva, la rendevano ancora più buia. Mentre camminavamo
fianco a fianco lungo quella stradina, delimitata da due sconnessi
muretti di pietra, qualcosa che correva a zig-zag verso di noi ci
sorpassò a gran velocità, emettendo un suono simile ad una risata
di terrore o ad un gemito e mi resi conto, mentre ci oltrepassava,
che era una figura umana. Ora posso confessare che ne fui alquanto
sorpreso. Il suo vestito era, almeno in parte, bianco: cosicché
dapprincipio avevo pensato che fosse un cavallo bianco che avanzava
al galoppo. Tom Wyndsour si girò indietro a guardare quella figura
che si allontanava.
Caspar David Friedrich. Due uomini davanti alla luna, 1819 |
“Anche
stanotte se ne andrà in giro,” disse, a voce bassa. “E' facile
trovargli un letto, a quel ragazzo: sei piedi in una torbiera o sulla
brughiera, o un cantuccio in un fosso asciutto. Quel ragazzo non ha
dormito in una casa nemmeno una volta in questi ultimi venti anni, e
non succederà mai finché l'erba crescerà.”
“E'
matto?” chiesi.
“Qualcosa
del genere, signore; è un idiota, uno debole di cervello; lo
chiamiamo 'Dickon il diavolo,' perché diavolo è quasi
l'unica parola che gli esce di bocca.”
Mi
venne in mente che quell'idiota era in qualche modo legato alla
storia del vecchio Squire Bowes.
“Si
dicono strane cose di lui, non è così?” suggerii,
“Più
o meno, signore, più o meno. Strane cose, alcune.”
“Venti
anni dall'ultima volta che ha dormito in un letto? E' circa il tempo
in cui è morto lo Squire,” proseguii.
“Proprio
così, signore, e non molto tempo dopo.”
“Deve
raccontarmi questa storia, Tom, questa sera, quando potrò ascoltarla
comodamente, dopo cena.”
Mi
sembrò che Tom non gradisse il mio invito, e guardando davanti a sé,
mentre continuavamo a scarpinare, mi disse.
“Veda,
signore, negli ultimi dieci anni le casa è stata tranquilla, e non
c'è stato niente che abbia turbato la gente dentro le sue mura o
fuori, nei boschi di Barwyke, e la mia vecchia, laggiù, è
decisamente contraria a parlare di tali argomenti, e pensa, come me,
che sia meglio non stuzzicare il can che dorme.”Poco dopo arrivammo
ad un varco nel muro del parco dove Tom Wyndsour aprì una porticina,
attraverso cui entrammo di nuovo nella tenuta di Barwyke.
Il
paesaggio immerso nella luce sempre più fioca del crepuscolo, i
grandi e solenni alberi e la sagoma in lontananza di quella
inquietante dimora, esercitarono su di me una strana influenza che,
unita alla stanchezza di un giorno di viaggio e alla veloce camminata
che avevamo fatto, mi tolsero la voglia di interrompere il silenzio
in cui era caduto il mio compagno.
Un'atmosfera
relativamente confortevole, al nostro arrivo, dissipò in larga
misura la tristezza che si era impossessata di me. Sebbene la sera
non fosse per niente fredda, fui molto felice di vedere un po' di
legna bruciare nel caminetto e un paio di candele che, incrementando
la luce del fuoco, davano alla stanza un aspetto allegro. Un
tavolino, con una tovaglia bianchissima, e le pietanze per la cena,
formavano uno spettacolo altrettanto piacevole.
Mi
sarebbe piaciuto moltissimo, grazie a questa piacevole contesto,
ascoltare la storia di Tom Wyndsour, ma dopo cena avevo troppo sonno
per riportarlo su quell'argomento e dopo un bel po' di sbadigli,
decisi che era inutile combattere contro la mia stanchezza, così mi
portai nella mia camera da letto e per le dieci ero profondamente
addormentato.
Cosa
venne ad interrompere il mio sonno quella notte ve lo dirò tra
breve. Non fu granché, ma di sicuro fu molto strano.
La
sera seguente avevo completato il mio lavoro a Barwyke. Avevo
lavorato incessantemente e duramente fin dal mattino, tanto che non
avevo avuto il tempo di ripensare al singolare incidente che vi ho
appena riferito. Provate a immaginami, comunque, finalmente seduto di
nuovo al tavolino dove ho appena consumato una piacevole cena. Era
stata una giornata afosa e avevo tirato su fino in fondo una di
quelle ampie finestre. Mi ci ero seduto vicino, con il mio brandy e
la brocca dell'acqua a portata di mano, a guardare fuori nel buio.
Non c'era la luna, e gli alberi tutto intorno alla casa danno alle
tenebre un tocco soprannaturale durante le notti di novilunio.
“Tom,”
dissi, non appena la brocca di punch caldo che gli avevo fornito
incominciò ad esercitare la sua influenza socievole e loquace, “deve
dirmi chi ha dormito in questa casa la scorsa notte oltre a sua
moglie, lei e il sottoscritto.”
Tom, che
sedeva vicino alla porta, mise giù il bicchiere e mi guardò
sottecchi rimanendo in silenzio per, diciamo, il tempo necessario a
contare fino a sette.
“Questo
è molto strano,” dissi, restituendogli lo sguardo, e sentendomi
davvero un po' strano. “E' sicuro che non c'era lei in
camera mia la scorsa notte?”
“Non
fino a stamattina, quando sono venuto a svegliarvi, signore. Posso
anche giurarlo.”
“Eppure,”
dissi, “c'era qualcuno, posso giurarlo anche io. Ero così stanco
che non sono riuscito ad alzarmi, ma sono stato svegliato da un
srumore come se qualcuno avesse scagliato violentemente a terra le
due scatole di latta in cui sono custoditi i miei incartamenti. Ho
sentito dei passi leggeri e c'era luce nella stanza, sebbene ricordo
di aver spento la mia candela. Ho pensato che doveva essere lei,
venuto a prendere i miei abiti e che avesse accidentalmente urtato le
scatole. Chiunque fosse, è andato via e la luce con lui. Stavo per
riaddormentarmi quando, poiché il tendaggio ai piedi del letto era
leggermente scostato, potei vedere una luce riflessa sul muro di
fronte, come quella di una candela che rifletta la sua luce
dall'esterno quando la porta è aperta con lentamente. Mi misi a
sedere nel letto, aprii il tendaggio laterale e vidi che la porta si
stava aprendo facendo entrare la luce dall'esterno. Come sa, è
vicina alla testa del letto. Una mano era aggrappata al bordo della
porta e spingeva per aprirla; una mano veramente singolare, non certo
come la sua. Mi faccia dare un'occhiata.”
Allungò
la mano per permettermi di ispezionarla.
“Oh,
no, la vostra non ha niente di sbagliato. Quell'altra era
completamente diversa: più paffuta, e il dito medio era più secco e
più corto degli altri, come se una volta si fosse rotto, e l'unghia
era ricurva come un artiglio. Gridai 'Chi è là?' e la candela e la
mano furono ritirate, e non ho più visto né sentito il mio
visitatore.”
“Sicuro
come il fatto che siete vivo, quello era lui!” esclamò Tom
Wyndsour, mentre il naso gli diventava pallido e gli occhi quasi gli
uscivano dalla testa.
“Chi?”
domandai.
"Il
vecchio Squire Bowes; quella che avete visto era la sua mano,
che Dio abbia pietà di noi!” rispose Tom. “Il dito rotto, e
l'unghia ricurva come un anello. Buon per lei, signore, che non sia
tornato indietro, quando ha chiamato, quella volta. Lei è venuto qui
per curare gli affari delle signorine Dymock, ma lui
non ha mai voluto che avessero un solo metro di terra a Barwyke, e
stava scrivendo il testamento
per disporre altrimenti, quando la morte lo ha sorpreso. Non è mai
stato sgarbato con nessuno, ma non poteva sopportare quelle due
donne. Ho avuto un mancamento quando
ho sentito che sareste vento per curare i loro affari, e ora vedete i
risultati: si metterà di nuovo a fare i suoi vecchi trucchi!”
Con
qualche insistenza e un altro po' di punch, convinsi Tom Wyndsour a
spiegare le sue misteriose allusioni
raccontando gli avvenimenti che seguirono alla morte
del vecchio Squire.
“Lo
Squire Bowes di
Barwyke morì
senza aver fatto testamento, come lei sa,” disse Tom. “E tutta la
gente del posto ne fu addolorata, per meglio dire, signore,
addolorata come si può essere per un vecchio che ha vissuto tanto a
lungo da non avere il diritto di lamentarsi se la morte ha bussato
alla sua porta un'ora prima di quanto si aspettasse. Lo Squire era
benvoluto, non si è mai arrabbiato o detto una parola sgarbata, e
non avrebbe fatto male ad una mosca, ed è questo che rese ancora più
sorprendente ciò che successe dopo la sua morte.
“La
prima cosa che fecero queste signore, quando vennero in possesso
della proprietà, fu di comprare del bestiame da mettere nel parco.
“Non
fu saggio, in ogni caso, far pascolare lì il bestiame per proprio
conto. Ma non potevano immaginare con che cosa avrebbero avuto a
che fare. Ben
presto qualcosa andò storto con il bestiame, prima un capo
poi un altro, si ammalò e morì, e così via, finché la perdita
divenne pesante. Poi, delle strane storie, poco a poco,
incominciarono a girare. Prima uno, poi un altro, iniziò a dire che
lo Squire Bowes era stato visto, verso sera, camminare, proprio come
era solito fare quando era in vita, tra i vecchi alberi, appoggiato
al suo bastone e, a volte,
quando si imbatteva nel bestiame, si fermava e appoggiava gentilmente
la mano sul dorso di un animale, e puoi star sicuro che il giorno
dopo quello si sarebbe ammalato e dopo
un po' sarebbe morto.
“Nessuno
lo ha mai incontrato nel parco, o nei boschi, o lo ha mai visto se
non a grande distanza. Ma tutti conoscevano molto bene la sua
andatura e la sua figura e gli abiti che era solito indossare, e
potevano capire su quale animale aveva poggiato la mano in base al
suo colore – bianco, grigio o nero – e quella bestia di sicuro si
sarebbe ammalata e sarebbe morta. La gente dei paraggi era timorosa
di percorrere il sentiero sopra il parco e a nessuno piaceva
camminare nei boschi o entrare nella tenuta di Barwyke: e il bestiame
continuava ad ammalarsi e a morire come prima.
“A
quel tempo c'era un certo Thomas Pyke; era stato uno stalliere del
vecchio Squire e aveva cura di tutta la proprietà ed era l'unico che
dormisse nella casa.
“Tom
era contrariato nel sentire quelle chiacchiere, di cui non credeva
nemmeno alla metà, e soprattutto non riusciva a trovare né un uomo
né un ragazzo a cui affidare la mandria, perché tutti erano
spaventati. Così scrisse al fratello, un ragazzo sveglio, che viveva
a Matlock nel Derbyshire, e che non sapeva niente della storia sul
vecchio Squire e delle sue passeggiate.
“Dick
arrivò e il bestiame incominciò a stare meglio, la gente diceva che
si poteva ancora vedere il vecchio Squire, a volte, passeggiare, come
prima, tra le radure nei boschi, con il suo bastone in mano ma, da
quando era arrivato Dickon Pyke, aveva timore di avvicinarsi agli
animali, qualunque fosse il motivo, e si fermava un po' distante, a
guardarli, fermo e immobile come il tronco di uno di quei vecchi
alberi, ogni volta per un'ora, finché la sua sagoma svaniva, un po'
alla volta, come il fumo di un fuoco che si spegne.
"Una
notte di novembre, Tom Pyke e suo fratello Dickon, che erano gli
unici ad abitare nella casa, dormivano nel grande letto nella stanza
della servitù, dopo aver ben chiuso e sbarrato ogni ingresso.
“Tom
era disteso sul lato del letto dalla parte della parete e, mi disse,
sveglio come poteva esserlo a mezzogiorno. Il fratello Dickon era
dall'altra parte del letto, profondamente addormentato.
“Bene,
mentre Tom se ne stava lì a pensare, con gli occhi rivolti alla
porta, questa si aprì lentamente, e chi altro poteva entrare se non
il vecchio Squire Bowes, con la stessa faccia da morto che aveva
nella bara.
“Tom
rimase senza fiato, non riusciva a distogliere gli occhi da
quell'apparizione, e sentiva i capelli che gli si rizzavano in testa.
“Lo
Squire si avvicinò al letto e mise le braccia sotto il corpo di
Dickon e sollevò il ragazzo – profondamente addormentato per tutto
il tempo – e in quel modo lo trasportò fino alla porta.
“Così
apparivano le cose, agli occhi di Tom, e lui era pronto a giurarlo,
davanti a tutti.
“A
quel punto, la luce, da qualunque parte venisse, improvvisamente andò
via, e Tom non riuscì più a vedere ad un palmo dal naso.
“Più
morto che vivo, rimase nel letto fino all'alba.
“Di
sicuro suo fratello Dickon era scomparso. In casa non c'era traccia
di lui, e con qualche difficoltà riuscì a trovare un paio di vicini
disposti ad aiutarlo a cercare nei boschi e nei prati. Nessun segno
di lui da nessuna parte.
“Alla
fine uno di loro pensò all'isola nel lago, la piccola barca era
ormeggiata al solito palo sulla riva. Vi entrarono, ma con poca
speranza di trovarlo. Tuttavia, fu proprio lì che lo trovarono,
seduto sotto il grande frassino, completamente fuori di sé, e a
tutte le loro domande rispondeva sempre con lo stesso urlo: “Bowes,
il diavolo! Guardatelo, guardatelo, Bowes, il diavolo!” Era
diventato un povero idiota, e tale resterà finché Dio rimetterà
tutto a posto. Nessuno lo ha più potuto convincere a dormire sotto
un tetto. Durante il giorno vaga di casa in casa, e mai a nessuno è
venuto in mente di chiudere quella povera creatura in un ricovero. E
la gente preferisce non incontrarlo dopo il tramonto, perché si
crede che insieme a lui potrebbero esserci cose peggiori.
Arnold Böcklin
(1827-1901), Stèle Funéraire - 1880
|
Un
lungo silenzio seguì alla storia di Tom. Eravamo soli nella grande
sala, io ero seduto vicino alla finestra aperta, con gli occhi fissi
nelle tenebre della notte. Mi sembrò di vedere qualcosa di bianco
avvicinarsi e sentii un mormorio come se qualcuno parlasse a bassa
voce diventare poi un grido stridulo: "Hoo-oo-oo! Bowes, il
diavolo! Dietro le tue spalle. Hoo-oo-oo! ha! ha! Ha!" Balzai
in piedi e vidi, alla luce della candela con cui Tom si era
avvicinato alla finestra, gli occhi folli e la faccia deforme di un
idiota che, con un repentino cambiamento di umore, si allontanò,
borbottando e ridacchiando fra sé e sé, alzando in alto le sue
lunghe dita, e fissandone le punte come se fosse una 'mano della
gloria3.'
Tom
chiuse la finestra. La storia e il suo epilogo erano arrivati a
conclusione. Confesso che fui piuttosto felice quando, pochi minuti
dopo, sentii il rumore degli zoccoli dei cavalli nel cortile, e fui
ancora più felice quando, dopo essermi congedato da Tom in modo
amichevole, ebbi lasciato la decrepita casa di Barwyke un miglio
dietro di me.
FINE
1The
Lancashire Witches
è un romanzo di William Harrison Ainsworth pubblicato a puntate sul
Sunday Times
newspaper nel 1848; fu pubblicato in volume l'anno seguente. Il
romanzo si basa sulla vera storia delle streghe di Pendle, che furono
giustiziate nel 1612 per atti di stregoneria.
2
Il pittoresco
è una categoria estetica che trova la sua prima formulazione solo
alla fine del Settecento grazie ad U. Price, che nel 1792 scrisse: Un
saggio sul pittoresco, paragonato al sublime e al bello.
Tuttavia la sua prima comparsa nel panorama artistico è
rintracciabile già agli inizi del Settecento, soprattutto nella
pittura inglese, e poi nel rococò francese. Il pittoresco rifiuta la
precisione delle geometrie regolari per ritrovare la sensazione
gradevole nella irregolarità e nel disordine spontaneo della natura.
Il pittoresco è
la categoria estetica dei paesaggi. Tutta la pittura romantica di
paesaggio conserva questa caratteristica. Essa, nel corso del
Settecento, ispirò anche il giardinaggio, facendo nascere il
cosiddetto giardino «all'inglese» che
rifiuta la
regolarità geometrica del
giardino rinascimentale o 'all'italiana'
e dispone ogni cosa in un'apparente casualità. Divengono elementi
caratteristici di questo tipo di giardino: i vialetti tortuosi, i
dislivelli, le pendenze, la disposizione irregolare degli arbusti. Ed
un altro elemento caratteristico del giardino «all'inglese» è la
falsa rovina.
3
'Hand
of Glory'
o mano della gloria, sembra derivare dal francese main
de gloire,
una volgarizzazione del nome della mandragola, un'erba a cui nei
secoli venivano attribuite qualità magiche, e che si dice crescesse
sotto i patiboli. Da qui il nome di un macabro manufatto ricavato
dalla mano mummificata di un impiccato per omicidio, a cui la
superstizione popolare attribuiva grandi poteri, specialmente se
combinata con una candela fatta col grasso dello stesso malfattore.
Pare che fosse particolarmente utile ai ladri, perché permetteva di
aprire ogni porta, poteva addormentare le malcapitate vittime e la
luce della candela era visibile solo a chi se ne serviva. Si
ritrova una
mano della gloria anche
nell'episodio di Harry
Potter e la camera dei segreti.
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