venerdì 19 ottobre 2018

Trasformzione




In uno specchio oscuro



'Transfrmation' (in italiano Metamorfosi o Trasformazine) di Mary Shelley fu pubblicato nella rivista The Keepsake nel 1831.

Il racconto è ambientato nello splendido scenario di una Genova ricca di colori e luce, affacciata sull'intenso blu del Mediterraneo.
Mary Shelley giunse a Genova nel settembre 1822 e vi restò quasi un anno. Aveva 25 anni, era già nota per il suo romanzo storico Valperga e per Frankenstein, che l’anno seguente, rientrata in patria, vide rappresentato per la prima volta a teatro a Londra.
A darle supporto morale ed economico c'era lord Byron, amico di famiglia che le era stato accanto durante la cremazione della salma del marito Percy avvenuta pochi giorni prima a Viareggio, e stabilitosi anche lui a Genova, in una villa contigua a quella dove Mary abitava col figlioletto Percy.
Nel 1822-23 i due scrittori – lo racconta lei – passeggiavano insieme scendendo verso il mare da quella che oggi è via Zara, Byron meditando imprese poetiche e politiche, Mary inconsolabile e infreddolita, perché non aveva abbastanza denaro per scaldare con la legna la grande villa Negrotto che divideva con gli amici Hunt. Byron la aiutava facendole trascrivere i capitoli del suo Don Juan, e di altre sue opere. E proprio trascrivendo un dramma di Byron, The Deformed Transformed, rimasto incompiuto, Mary trovò ispirazione per Trasformazione.
Racconto gotico macabro e sinistro, Trasformation narra le vicende di Guido, nobile genovese che, preso da un impulso incontrollabile, confessa ai lettori la terribile esperienza che ha completamente trasformato la sua vita. Orfano di padre, cresce nella casa del ricco Torella e di sua figlia Juliet. Tra i due bambini si crea un forte legame affettivo. Diventato adulto Guido, venuto in possesso della sua eredità, lascia Genova per Parigi, dove vive nei piaceri e nello sfarzo. Avendo sperperato la sua ricchezza, ritorna a Genova per reclamare la mano della celestiale Juliet, ma quando Torella cerca di porre un limite al suo stile di vita, il suo temperamento Byronico lo spinge a vendicarsi del suo benefattore e decide di rapire Juliet. Scoperto, viene bandito dalla città. Mentre vaga lungo la riva del mare, solo e senza mezzi, assiste ad una terribile tempesta e dal mare emerge una strana figura a cavalcioni di un baule. Superando l'orrore iniziale, Guido accetta il patto demonico del nano deforme: gli cederà le sue sembianze apollinee per tre giorni in cambio dell'oro contenuto nel baule, non per sete di ricchezza, ma per portare a termine la sua vendetta contro Torella. Ben presto Guido capisce la terribile verità: il nano non è che la materializzazione della sua parte oscura, causa di tutte le sue disgrazie. Mentre le loro identità si fondono sempre di più, Transformation conquista il suo posto nella storia della letteratura del Doppelgänger.


Sul web ho trovato un'interessante biografia illustrata di Mary Shelley






Trasformazione

di

Mary Shelley [1831]

 

Federico Faruffini - Sordello e Cunizza, 1864




Immediatamente la mia persona fu presa
Da una terribile agonia,
Che mi forzò a dare inizio al mio racconto
E alla fine mi abbandonò.



Da allora, ad una certa ora,
Quell'agonia ritorna;
E finché la mia agghiacciante storia non è narrata,
Il cuore dentro mi brucia.
Coleridge: La ballata del vecchio marinaio (1798)






Ho sentito dire che, quando ad un essere umano accade un'avventura strana, soprannaturale e negromantica, quell'essere, per quanto possa desiderare di nasconderla, in certi momenti si sente scosso, per così dire, da una specie di terremoto intellettuale, ed è costretto a denudare i profondi recessi del suo spirito a qualcun altro. Io sono testimone di questa verità. Ho solennemente giurato a me stesso di non rivelare mai ad orecchie umane gli orrori a cui una volta, in un eccesso di demoniaco orgoglio, mi sono esposto. Il sant'uomo che raccolse la mia confessione e mi riconciliò con la chiesa, ora è morto. Nessuno sa che una volta… Perché non dovrebbe essere così? Perché raccontare una storia riguardante l'empia tentazione della Provvidenza e la mortificante umiliazione. Perché? Rispondetemi, voi che siete edotti nei segreti della natura umana! Io so solo che è così, e a dispetto della mia ferma decisione… dell'orgoglio che fin troppo mi domina… della vergogna e perfino della paura, a costo di rendermi odioso ai miei simili… devo parlare.



Genova da villa Negri -  Rudolf Muller, Friedrich Horner (1830)

Genova! Orgogliosa città che mi desti i natali! Affacciata sulle onde blu del Mediterraneo… ti ricordi di me fanciullo, quando le tue scogliere e i promontori, il tuo cielo luminoso e le allegre vigne erano il mio mondo? Tempo felice! Quando il suo circoscritto universo - che, a causa della sua stessa limitazione, lascia ampio spazio all'immaginazione – lega le nostre energie fisiche ad un cuore giovane e quando, unico periodo nelle nostre vite, innocenza e piacere sono uniti. Tuttavia, chi può ripensare alla fanciullezza e non ricordare i suoi dolori e le sue laceranti paure? Sono nato con lo spirito più fiero, sprezzante e indomito che mai sia stato concesso ad un mortale. Tremavo solo davanti a mio padre e lui, generoso e nobile, ma capriccioso e tirannico, allo stesso tempo incoraggiava e frenava l'impetuosità del mio carattere, imponendomi obbedienza, ma senza ispirarmi rispetto per le ragioni che guidavano i suoi ordini. Essere un uomo libero o, per essere sincero, insolente e prepotente, era la speranza e la preghiera del mio cuore ribelle.
Mio padre aveva un amico, un ricco nobile genovese, che durante un tumulto politico fu improvvisamente bandito e la sua proprietà confiscata. Il marchese Torella andò in solitario esilio. Come mio padre, era vedovo, aveva una figlia, Juliet, poco più che bambina, che fu affidata alla custodia di mio padre. Io sarei certamente stato un ospite scortese per quell'amabile ragazza, se non fossi stato costretto dalla mia posizione a diventare suo protettore. Una sequenza di infantili contrattempi ebbero tutti un unico effetto: far sì che Juliet vedesse in me il suo rifugio1, mentre io vedevo in lei una creatura destinata a perire a causa della fragile natura della sua sensibilità troppo duramente provata, se non fosse stato per la mia costante protezione. Crescemmo insieme. La rosa che sbocciava a maggio non era più dolce di quella cara fanciulla.

Una bellezza radiosa era soffusa sul suo volto. Le sue forme, il suo portamento, la sua voce… il mio cuore piange ancora adesso nel pensare a tutto ciò che di leale, gentile, amabile e puro era custodito in quel tempio celestiale. Quando avevo undici anni e Juliet otto, un mio cugino, molto più vecchio di noi - ci sembrava un uomo - prestò grande attenzione alla mia compagna di giochi: la chiamò sua sposa e le chiese di sposarlo. Lei rifiutò e lui insistette, tirando verso di sé la riottosa ragazza. Con il volto e la foga di un folle, mi gettai su di lui – tentai di impossessarmi della sua spada - lo afferrai per il collo con la feroce intenzione di strangolarlo, quello fu costretto a chiamare aiuto per liberarsi di me. Quella notte, condussi Juliet alla cappella della nostra casa: le feci toccare le sacre reliquie - turbai il suo cuore di bambina e profanai le sue labbra infantili con un giuramento, che sarebbe stata mia, soltanto mia.

Ragaza toscana che intrccia la paglia  - William HolmanHunt, 1830
Quei giorni, però, finirono. Torella ritornò dopo pochi anni e divenne più ricco e prospero che mai. Avevo diciassette anni quando mio padre morì, era stato munifico fino alla prodigalità e Torella fu felice che la mia minore età gli offrisse l'opportunità di risollevare le mie fortune. Juliet ed io ci eravamo fidanzati al letto di morte di mio padre – Torella fu come un secondo padre per me. Desideravo vedere il mondo e mi fu concesso. Visitai Firenze, Roma, Napoli, da qui mi recai a Tolone2 e infine raggiunsi quella che era stata per tanto tempo l'oggetto dei miei desideri: Parigi. Erano tempi difficili a Parigi in quel periodo. Il povero re, Carlo sesto3, ora sano, ora matto, ora un monarca, ora uno schiavo abietto, era lo zimbello dell'umanità. La regina, il delfino4, il duca di Borgogna, di volta in volta amici o nemici che ora si incontravano in banchetti sontuosi, ora si affrontavano in scontri sanguinosi – erano indifferenti al miserevole stato del loro paese e ai pericoli che lo minacciavano, ed erano completamente dediti a dissoluti piaceri o lotte selvagge.
Il mio carattere continuava a seguirmi. Ero arrogante e ostinato: amavo mettermi in mostra e, soprattutto, rifiutavo ogni forma di controllo. Chi poteva controllarmi a Parigi? I miei giovani amici erano ansiosi di incoraggiare quelle passioni che gli procuravano piaceri. Ero considerato bello – ero padrone di tutte le arti cavalleresche. Non appartenevo ad alcun partito politico. Divenni il beniamino di tutti: la mia arroganza e presunzione erano perdonate a causa della mia giovane età, divenni un bambino viziato. Chi poteva controllarmi? Non le lettere e i consigli di Torella – soltanto la dura necessità che mi faceva visita sotto le odiose sembianze di una borsa vuota. Ma c'era il modo per riempire quel vuoto. Acro dopo acro, proprietà dopo proprietà, vendetti. I miei abiti, i miei gioielli, i miei cavalli e i loro finimenti, erano assolutamente senza pari nella scintillante Parigi, mentre le terre della mia eredità passavano in mani altrui.

Ritratto di cavaliere - Carpaccio, 1510
Il duca di Orleans fu attirato in un'imboscata e assassinato dal duca di Borgogna. La paura ed il terrore dominavano Parigi. Il delfino e la regina si asserragliarono nel palazzo, ogni piacere fu messo al bando. Ben presto mi stancai di questo stato di cose e il mio cuore desiderò ardentemente i luoghi della mia infanzia. Ero pressoché ridotto in miseria, ma ancora desideravo ritornarvi, reclamare la mia sposa e ricostruire le mie fortune. Poche felici speculazioni come mercante mi avrebbero reso di nuovo ricco. Tuttavia, non volevo ritornare in una veste umile. Il mio ultimo atto fu di liberarmi delle mie restanti proprietà nei pressi di Albaro per metà del loro valore, in cambio di denaro contante. Poi inviai ogni sorta di artigiani, arazzi, mobili di regale splendore per arredare l'ultima reliquia della mia eredità, il mio palazzo a Genova. Tuttavia indugiai ancora un po', vergognandomi della parte del figliol prodigo, che temevo avrei dovuto recitare. Mandai i miei cavalli. Alla mia promessa sposa inviai uno stupendo ginnetto spagnolo, le sue bardature fiammeggiavano di gioielli e la gualdrappa di oro. Ordinai che le iniziali di Juliet e Guido fossero intrecciate dappertutto. Il mio dono fu ben accetto a lei e al padre.
E tuttavia ritornare da proclamato scialacquatore, l'oggetto di impertinente stupore, forse di disprezzo, e sopportare da solo i rimproveri e la derisione dei miei concittadini, non era una prospettiva allettante. Come scudo tra me e la censura, invitai ad accompagnarmi alcuni dei più debosciati dei miei camerati, così armato marciai incontro al mondo, nascondendo un bruciante sentimento a metà fra la paura e il pentimento con la spacconeria e l'esibizione di una compiaciuta vanità.
Arrivai a Genova. Calpestai il pavimento del mio palazzo avito. I miei passi orgogliosi non esprimevano i miei sentimenti, perché ero intimamente consapevole che, anche se circondato da ogni lusso, ero un pezzente. Il primo passo che feci nel reclamare Juliet doveva ampiamente dichiararmi tale. Lessi il disprezzo o la pietà negli sguardi di tutti. Credevo, tanto è incline la coscienza ad immaginare ciò che merita, che i ricchi e i poveri, i giovani e i vecchi, tutti mi osservassero con derisione.
Torella non venne. Non c'era da meravigliarsi che il mio secondo padre si aspettasse da me la deferenza di un figlio e che gli rendessi visita per primo. Ma, irritato e tormentato dalla consapevolezza delle mie follie e del mio demerito, mi sforzavo di gettare la colpa addosso agli altri. Facevamo orge tutte le sere a palazzo Carega. Alle notti insonni e dissolute seguivano mattinate di apatia e indolenza. All'Ave Maria mostravamo le nostre eleganti persone in strada, deridendo gli onesti cittadini, e lanciando occhiate insolenti alle modeste fanciulle. Juliet non era tra loro – no, no, se ci fosse stata, la vergogna mi avrebbe scacciato, se prima l'amore non mi avesse gettato ai suoi piedi. Mi stancai di tutto questo. Improvvisamente feci visita al marchese. Era nella sua villa, una tra le tante che abbelliscono il borgo di San Pietro d'Arena. Era il mese di maggio – un mese di maggio in quel giardino del mondo dove i fiori degli alberi da frutto incominciavano ad avvizzire tra il verde del rigoglioso fogliame, le vigne stavano maturando, il suolo era ricoperto dai fiori caduti dagli ulivi, le lucciole svolazzavano tra i cespugli di mirto; il cielo e la terra indossavano un mantello di impareggiabile bellezza.

Gaetano Previati - Tramonto in Liguria
Torella mi accolse gentilmente, ma con fare severo, e anche questa sfumatura di disapprovazione subito svanì. Una certa rassomiglianza con mio padre e il tono di giovanile ingenuità, che ancora traspariva a dispetto delle mie malefatte, addolcì il cuore del brav'uomo. Mandò a chiamare sua figlia – mi presentò a lei come suo promesso sposo. La camera fu santificata da una luce benedetta quando lei entrò. Suo era quell'aspetto angelico con quei grandi occhi dolci, le fossette delle guance, e una bocca di infantile dolcezza che esprimeva la rara unione di felicità e amore. 

Psiche apre la porta del giardino di Cupido - J. W. Waterhouse, 1904


La mia prima reazione fu di ammirazione: è mia! La seconda fu di orgoglio, e le mie labbra si incresparono di altezzoso trionfo. Non ero stato l'enfant gate (alla lettera 'bambino viziato,' o meglio 'il favorito') delle belle di Francia senza aver imparato l'arte di compiacere il tenero cuore di una donna. Se con gli uomini ero prepotente, la deferenza che mostravo per loro era ancor di più in contrasto.
Iniziai il corteggiamento facendo sfoggio di mille galanterie verso Juliet che, legata a me fin dall'infanzia, non aveva mai accettato la devozione di altri e che, sebbene abituata a espressioni di ammirazione, non era iniziata al linguaggio degli amanti.
Per alcuni giorni andò tutto bene. Torella non fece mai allusione alla mia prodigalità, mi trattò come un figlio prediletto. Ma arrivò il momento, quando discutemmo i preliminari del mio matrimonio con sua figlia, in cui in cui questa serenità doveva essere turbata. Un contratto era stato stabilito ai tempi di mio padre. Ma, nei fatti, lo avevo vanificato, avendo sperperato tutta la ricchezza che avrei dovuto condividere con Juliet. Torella, di conseguenza, scelse di considerare annullato questo vincolo, e ne propose un altro in cui, sebbene la ricchezza che ci donava era incommensurabilmente aumentata, c'erano così tante restrizioni riguardo al modo di spenderla che io, vedendo l'indipendenza solo nel libero corso dato alla mia impetuosa volontà, gli rimproverai di volersi avvantaggiare della mia situazione e mi rifiutai assolutamente di sottoscrivere quelle condizioni. L'anziano uomo cercò di farmi ragionare. L'orgoglio risvegliato divenne il tiranno dei miei pensieri: ascoltai con indignazione – lo respinsi con sdegno.
Juliet, tu sei mia! Non abbiamo forse scambiato voti nella nostra innocente fanciullezza? Non siamo una sola persona agli occhi di Dio? E dovrà dividerci il tuo spietato padre senza cuore? Sii generosa, amore mio, sii saggia, non gettare via questo dono, l'ultimo tesoro del tuo Guido – non rinnegare i tuoi voti – sfidiamo il mondo, non teniamo conto dei calcoli dell'età matura, piuttosto troviamo rifugio da ogni male nel nostro reciproco affetto.” Dovevo essere stato un demonio nel cercare di avvelenare con i miei sofismi quel tempio di santi pensieri e tenero amore. Juliet si ritrasse da me terrorizzata. Suo padre era il migliore e il più gentile degli uomini e si sforzò di dimostrarmi come obbedirgli ci avrebbe portato solo bene. Avrebbe ricevuto la mia tardiva sottomissione con caloroso affetto e un generoso perdono avrebbe fatto seguito al mio pentimento.
Per una figlia giovane e gentile quelle erano parole inutili da usare con un uomo abituato a considerare legge la sua volontà e a nutrire nel suo cuore un despota così terribile e spietato da non potersi sottomettere a nient'altro che ai suoi tirannici desideri! Il mio risentimento crebbe con la sua resistenza, i miei corrotti compagni erano pronti a buttare legna sul fuoco. Escogitammo un piano per rapire Juliet. Dapprincipio ci sembrò che fosse stato coronato da successo. Sulla strada del ritorno fummo raggiunti dal padre disperato e dai suoi uomini. Ne seguì uno scontro. Prima che l'arrivo della guardia civica decidesse la vittoria in favore dei nostri avversari, due servitori di Torella furono gravemente feriti.
Questa parte della mia storia è per me un fardello particolarmente gravoso. Essendo ora un uomo diverso, ho orrore di me stesso nel ricordarlo. Mi auguro che nessuno di coloro che la ascolterà possa mai sentirsi come me. Un cavallo che impazzisce sotto il pungolo di un cavaliere armato di speroni appuntiti, non era più schiavo di quanto non lo fossi io della violenta tirannia del mio carattere. Un demone possedeva la mia anima, tormentandola fino alla follia. Sentivo la voce della coscienza dentro di me, ma se mi piegavo ad essa per un breve intervallo, questo era solo il momento dopo essere stato trascinato via, come da un vortice, travolto da una corrente di disperato furore, il giocattolo delle tempeste generate dall'orgoglio.
Fui imprigionato e poi liberato su intercessione di Torella. Ritornai con l'intenzione di rapire sia lui che la figlia e portarli con me in Francia, paese sfortunato, allora preda di filibustieri e bande di soldataglia senza legge, che offriva un comodo rifugio ad un criminale par mio. I nostri piani furono scoperti. Venni bandito e, siccome i miei debiti erano ormai enormi, le mie ultime proprietà furono messe nelle mani di liquidatori per ripagarli. Torella offrì di nuovo la sua mediazione, chiedendo in cambio soltanto la mia promessa di non ripetere i miei fallimentari tentativi contro di lui e la figlia. Rifiutai sdegnosamente le sue offerte e mi illudevo di aver avuto la meglio quando fui cacciato da Genova, un esiliato solitario e squattrinato. I miei compagni erano andati via: avevano abbandonato la città alcune settimane prima ed erano già in Francia. Ero solo – senza amici, non una spada al mio fianco, non un ducato nella borsa.
Vagabondai lungo la riva del mare in preda ad un turbinio di passioni che mi laceravano l'anima. Era come se un tizzone ardente mi bruciasse in petto. Dapprincipio pensai a quello che avrei dovuto fare. Mi sarei unito ad una banda di filibustieri. Vendetta! - quella parola mi sembrava un balsamo: l'abbracciai, l'accarezzai, come un serpente, mi morse. Avrei di nuovo abiurato e disprezzato Genova, quel piccolo angolo di mondo. Sarei ritornato a Parigi, dove tanti miei amici sciamavano, dove i miei servigi sarebbero stati accettati volentieri, dove avrei fatto fortuna con la mia spada e, grazie al mio successo, avrei fatto in modo che la mia meschina città natale e il falso Torella si pentissero amaramente del giorno in cui, come un novello Coriolano5, mi avevano cacciato fuori dalle loro mura. Sarei ritornato a Parigi... così, a piedi… come un mendicante, e mi sarei presentato in povertà a quelli che avevo precedentemente intrattenuto sontuosamente? C'era temerarietà solo a pensarlo.

Giovanni Bevilacqua - paesagista ligure
La realtà delle cose iniziò ad affacciarsi alla mia mente, recando con sé disperazione. Ero stato prigioniero per diversi mesi: i mali della mia prigione sotterranea avevano pungolato la mia anima fino all'esaltazione, ma avevano sottomesso la mia struttura fisica. Ero debole e pallido. Torella aveva usato innumerevoli sotterfugi nel tentativo di darmi conforto, io li avevo scoperti e rifiutati tutti con sdegno e ora raccoglievo i frutti della mia caparbietà. Cosa era meglio fare? Avrei dovuto inchinarmi davanti al mio nemico e implorare il suo perdono? Meglio morire diecimila morti! Non avrebbero mai ottenuto una simile vittoria! Odio… giurai odio eterno! L'odio di chi? Per chi? Quello di un reietto per un potente. Io e i miei sentimenti eravamo niente per loro: avevano già dimenticato un miserabile come me.
E Juliet!… il suo volto angelico e le sue forme eteree brillavano di vana bellezza tra le nuvole della mia disperazione: l'avevo persa – lei, la gloria e il fiore del mondo! Qualcun altro l'avrebbe chiamata sua! Il suo sorriso celestiale avrebbe benedetto qualcun altro!
Perfino adesso il cuore mi viene meno quando mi ritorna in mente il tumulto di quei foschi pensieri. Ora mortificato fino alle lacrime, ora furioso nella mia agonia, continuavo a vagare lungo la riva rocciosa, che diventava ad ogni passo più selvaggia e desolata. Rocce sporgenti e precipizi biancastri si affacciavano sul mare calmo, nere caverne spalancavano la loro bocca e, senza sosta, tra i recessi scavati dal mare, mormoravano e si infrangevano le sterili acque.
A volte la mia strada era quasi sbarrata da un improvviso promontorio, a volte resa quasi impraticabile dai detriti caduti dalla roccia. La sera era prossima quando, sul mare, si alzò, come suscitata dalla bacchetta di un mago, una cupa ragnatela di nuvole, che macchiò l'azzurro cielo al tramonto, oscurando e turbando il mare fino ad allora placido. Le nuvole avevano forme strane e fantastiche e mutavano e si mescolavano e sembravano ubbidire ad un potente incantesimo. Il luogo dove mi trovavo guardava, da una parte verso il mare sconfinato, dall'altra era chiuso da un aspro promontorio. Intorno a questo capo giunse all'improvviso, sospinta dal vento, una nave. Invano i marinai si sforzavano di sospingerla verso il mare aperto, la tempesta la respingeva sugli scogli.
A volte la mia strada era quasi sbarrata da un improvviso promontorio, a volte resa quasi impraticabile dai detriti caduti dalla roccia. La sera era prossima quando, sul mare, si alzò, come suscitata dalla bacchetta di un mago, una cupa ragnatela di nuvole, che macchiò l'azzurro cielo al tramonto, oscurando e turbando il mare fino ad allora placido. Le nuvole avevano forme strane e fantastiche e mutavano e si mescolavano e sembravano ubbidire ad un potente incantesimo. Il luogo dove mi trovavo guardava, da una parte verso il mare sconfinato, dall'altra era chiuso da un aspro promontorio. Intorno a questo capo giunse all'improvviso, sospinta dal vento, una nave. Invano i marinai si sforzavano di sospingerla verso il mare aperto, la tempesta la respingeva sugli scogli.
Perirà!… tutti a bordo periranno! Come vorrei essere uno di loro! E per la prima volta, l'idea della morte giunse al mio giovane cuore mescolata al quella della gioia. Era uno spettacolo pauroso vedere quel vascello combattere col suo destino. Riuscivo a mala pena a distinguere i marinai, ma potevo sentirli. D'un tratto, tutto finì! Uno scoglio, appena coperto dalle onde che vi si infrangevano, e pertanto invisibile, attendeva in agguato la sua preda. Il rombo di uno schianto riecheggiò sopra la mia testa nel momento in cui, con un urto spaventoso, lo scafo si infranse sul suo nemico. In breve tempo andò a pezzi. Io ero lì al sicuro, mentre i miei simili combattevano, disperatamente, contro la morte. Mi sembrava di vederli dibattersi – ma ero fin troppo certo di sentire le loro urla che superavano il fragore dei flutti nello strazio dell'agonia. Le onde scure gettavano i frammenti del relitto di qua e di là: ben presto scomparve.

The Shipwreck


William Adolphus Knell (1802–1875)



Avevo guardato, come affascinato, fino alla fine, poi caddi in ginocchio – mi coprii la faccia con le mani, tornai a guardare, qualcosa stava fluttuando sulle onde verso la spiaggia. Si avvicinava sempre di più. Era una sagoma umana? Si fece più distinto e alla fine un'onda possente, sollevando l'intero carico, lo depositò su uno scoglio. Un essere umano a cavalcioni di un baule da marinaio! - Un essere umano! - Era proprio così? Sicuramente uno del genere non si era mai visto prima – un nano deforme con gli occhi storti, lineamenti contorti e un corpo deforme, tanto da diventare uno spettacolo orribile. Il sangue, che poco prima si era scaldato per un mio simile strappato in quel modo al suo sepolcro d'acqua, mi si gelò nel cuore. Il nano scese giù dal suo baule, si raddrizzò, scostando i capelli dal suo ripugnante viso.
Per san Belzebù!” esclamò, “sono stato sbattuto ben bene.” Si guardò intorno e mi vide. “Oh, per il diavolo! Ecco un altro alleato dell'onnipotente. A quale santo offri le tue preghiere, amico, se non al mio? Eppure non ricordo di averti visto a bordo.”
Mi ritrassi da quel mostro e dalle sue bestemmie. Mi interrogò di nuovo e io borbottai un'impercettibile risposta. Quello continuò:
La tua voce è sopraffatta da questo dissonante boato. Che rumore fa il grande oceano! Nemmeno gli scolaretti che corrono fuori dalla loro prigione gridano forte come queste onde selvagge. Mi disturbano. Basta con il loro chiasso senza fine – Silenzio, vecchio mio! Venti, andate via… alle vostre dimore! Nuvole, volate agli antipodi e liberate il nostro cielo!”
Mentre parlava, allargò le sue lunghe, esili braccia, simili alle zampe di un ragno, quasi ad abbracciare lo spazio davanti a lui. Si trattò di un miracolo? Le nuvole si dispersero e fuggirono via, il cielo sereno prima fece capolino e poi su di noi si aprì una calma distesa azzurra, i venti di burrasca furono soppiantati da una dolce brezza occidentale, il mare si calmò, le onde si ridussero a lievi increspature.
Mi piace l'obbedienza anche in questi elementi bruti,” disse il nano. “Tanto più nell'indomita mente dell'uomo! Era una tempesta ben congegnata, devi ammetterlo… e tutta opera mia.”
Scambiare parole con quel negromante era come sfidare la Provvidenza. Ma il potere, in tutte le sue forme, è venerabile per l'uomo. Timore, curiosità, un'irresistibile malia mi spinsero verso di lui. “Via, non aver paura, amico,” disse il malvagio: “Divento di buon umore quando qualcosa mi va a genio, e qualcosa mi va a genio nel tuo corpo ben proporzionato e nella tua bella faccia, anche se hai un aspetto un po' triste. Tu hai subito il rovescio delle tue fortune – io quello del mare. Posso alleviare la tempesta che ti ha travolto come ho fatto con la mia. Vogliamo essere amici?” e mi porse la mano, avrei potuto tirarmi indietro. “Bene, allora, amici… questo ci porterà fortuna. E ora, mentre mi riposo dai colpi che ho appena ricevuto, dimmi perché, giovane e galante come sembri, stai vagando solo e desolato lungo questa costa selvaggia.”
La voce del malvagio era stridula e orrida, e le sue contorsioni mentre parlava erano spaventose a vedersi. Eppure, si conquistò su di me una sorta di influenza che non ero in grado di controllare e gli raccontai la mia storia. Quando finì, scoppiò in una lunga e sonora risata, le rocce gli fecero eco, sembrava che l'inferno gridasse intorno a me.
Oh, tu cugino di Lucifero6!” disse, “così sei caduto per colpa del tuo orgoglio e tu, sebbene luminoso come il figlio del mattino, sei pronto a gettare via la tua bellezza, la tua sposa e il tuo benessere piuttosto che sottometterti alla tirannia del bene. Onoro la tua scelta, per l'anima mia! Così sei fuggito, e ti dai per vinto e vuoi morire di fame su queste rocce e lasciare che gli uccelli ti cavino gli occhi dalle tue morte orbite, mentre il tuo nemico e la tua sposa gioiscono della tua rovina. Il tuo orgoglio è stranamente simile all'umiltà, mi sembra.”
Mentre parlava, mille pensieri selvaggi mi azzannavano il cuore.
Cosa vorresti che facessi?” gridai.
Io!… oh, niente se non stenderti a terra e dire le tue preghiere prima di morire. Ma, fossi in te, saprei cosa fare.”
Mi avvicinai a lui. I suoi poteri soprannaturali lo rendevano un oracolo ai miei occhi, eppure uno strano brivido soprannaturale mi percorse il corpo quando dissi, “Parla, insegnami, cosa mi consigli di fare?”
Vendicati, uomo!… umilia i tuoi nemici!… metti il tuo piede sul collo del vecchio e impossessati di sua figlia!”
Per quanto io mi sforzi,” gridai, “non vedo il modo! Se avessi oro, potrei fare molto ma, povero e solo, non ho alcun potere.”
Il nano era rimasto a sedere sul suo baule mentre ascoltava la mia storia. Allora scese giù, toccò una molla e quello si spalancò! Che profusione di ricchezze… di gioielli abbaglianti, di oro luccicante e di pallido argento era contenuta lì dentro. Mi nacque dentro un folle desiderio di possedere questo tesoro.
Senza dubbio,” dissi, “uno potente come te può fare ogni cosa.”
No,” disse il mostro, con umiltà, “Sono meno onnipotente di quanto sembri. Posseggo cose che tu puoi desiderare, ma le darei tutte per una piccola porzione, o anche un prestito, di ciò che è tuo.”
Ciò che possiedo è al tuo servizio,” risposi con amarezza, “la mia povertà, il mio esilio, la mia disgrazia… te le dono tutte.”
Bene! Ti ringrazio. Aggiungi un'altra cosa al tuo dono, e il mio tesoro sarà tuo.”
Dal momento che la mia eredità si riduce a niente, cos'altro oltre a niente vorresti?”
La tua bella faccia e le tue membra ben fatte.”
Tremai. Questo potentissimo mostro voleva uccidermi? Non avevo un pugnale. Dimenticai di pregare… ma impallidii.
Chiedo un prestito, non un dono,” disse quella cosa spaventosa: “prestami il tuo corpo per tre giorni – nel frattempo potrai avere il mio per custodire la tua anima e, come pagamento, il mio baule. Che ne dici di questo scambio? Tre brevi giorni.”

Ci viene detto che è pericoloso sostenere conversazioni illecite, e io ne sono la prova. In poche parole, potrebbe sembrare incredibile che io potessi prestare orecchio alla sua proposta ma, a dispetto della sua innaturale bruttezza, c'era qualcosa di affascinante in un essere che poteva dominare la terra, l'aria e il mare. Sentivo un pungente desiderio di acconsentire, perché con quel baule potevo comandare il mondo. La mia unica esitazione derivava dal timore che non fosse sincero a proposito dello scambio. Poi, pensai, presto sarò morto su queste spiagge solitarie e il corpo che egli brama non sarà più mio – val la pena tentare. E, inoltre, sapevo che, in base a tutte le regole dell'arte magica, c'erano formule e giuramenti che nessuno di quelli che la praticavano avrebbe osato rompere. Esitai a rispondere, egli continuò, ora mettendo in mostra la sua ricchezza, ora parlando del misero prezzo che chiedeva, finché sembrò folle rifiutare. Le cose stanno così: mettete la nostra imbarcazione nella corrente del fiume, e correrà a rotta di collo giù per cascate e cataratte; lasciate che le nostre azioni siano dominate dal torrente selvaggio della passione, e saremo trasportati via, senza sapere dove.

Fotomontaggio per la rappresentazione di 'Dottor Jekyll e Mr. Hyde' - 1887
Mi fece molti giuramenti, ed io lo supplicai nel nome di molti santi, finché vidi questa meraviglia del potere, questo dominatore degli elementi, tremare come una foglia d'autunno alle mie parole, e come se lo spirito dentro di lui parlasse controvoglia e forzatamente, alla fine, con voce rotta, mi rivelò l'incantesimo per mezzo del quale poteva essere costretto, in caso avesse voluto ingannarmi, a restituirmi la spoglia illegittima. Il nostro caldo sangue doveva mescolarsi per fare e disfare l'incantesimo.
Ma basta con questo morboso argomento. Mi persuasi, la cosa si fece. Il mattino albeggiò su di me mentre ero disteso sui ciottoli della spiaggia, e non riconobbi la mia ombra quando la proiettai. Mi sentivo trasformato in una forma orribile e maledissi la mia facile fiducia e la mia cieca credulità. Il baule era lì, insieme all'oro e alle pietre preziose per cui avevo venduto l'involucro carnale che la natura mi aveva dato. Quella vista calmò un po' le mie emozioni: tre giorni sarebbero passati presto.
Passarono, infatti. Il nano mi aveva rifornito di abbondanti riserve di cibo. Dapprincipio, riuscivo a malapena a camminare, così strane e squilibrate erano le mie membra, e la mia voce… era quella del demonio. Ma rimasi in silenzio e girai il viso verso il sole, in modo da non vedere la mia ombra, e contai le ore rimuginando sulla mia futura condotta. Trascinare Torella ai miei piedi, impossessarmi di Juliet a dispetto del padre, erano cose che la mia ricchezza poteva facilmente procurarmi. Durante il buio della notte dormii e sognai di realizzare i miei desideri. Due soli erano tramontati e sorse il terzo. Ero agitato, spaventato. Oh attesa, che cosa terribile sei, quando vieni alimentata più dalla paura che dalla speranza! Come ti aggrovigli intorno al cuore, alterandone le pulsazioni! Come trafiggi la nostra debole costituzione con dolori sconosciuti fino a stordirci, a volta facendoci tremare come un vetro rotto, a volte dandoci nuova forza, che nulla può, e così ci tormenti con uno stato d'animo simile a quello dell'uomo forte che con la sua possente stretta riesce a piegare le sue catene, ma non a romperle. Lentamente, l'orbe luminoso del cielo si levò da est, a lungo indugiò al suo zenit e ancora più lentamente s'incamminò verso ovest: toccò il confine dell'orizzonte… e sparì! I suoi riflessi luminosi sulla cima della scogliera divennero scuri e grigi. La stella della sera brillò luminosa. Lui arriverà presto.
Ma non venne! Per tutti i santi del Paradiso, non venne!… e la lunga notte si trascinò stancamente e, nella sua parte finale, “il giorno iniziò ad ingrigire la sua nera chioma;” (Lord Byron, Werner III.iv.152-53.) e il sole sorse ancora sul più infelice derelitto che la sua luce avesse mai colpito. Trascorsi tre giorni in questo modo. I gioielli e l'oro… oh, come li detestavo!
Ma basta… non macchierò più queste pagine con demoniache farneticazioni. Troppo terribili erano i pensieri, troppo rabbioso il tumulto di idee che colmavano la mia anima. Alla fine di quel lasso di tempo mi addormentai; erano tre giorni che non ci riuscivo. E sognai di essere ai piedi di Juliet e lei sorrideva e poi urlò… perché vide la mia trasformazione… e poi sorrise di nuovo, perché il suo bell'amante era ancora inginocchiato davanti a lei. Ma non ero io – era lui, il diavolo, rivestito delle mie membra, che parlava con la mia voce, che la conquistava con i miei sguardi amorevoli. Mi sforzai di metterla in guardia, ma la lingua si rifiutò di obbedirmi, mi sforzai di strapparlo da lei, ma restavo inchiodato al suolo – mi svegliai in agonia.
Qui c'erano i bianchi precipizi solitari, di fronte il mare con il suo sciabordio, la spiaggia tranquilla e il cielo azzurro su tutto. Qual'era il senso? Il mio sogno non era che lo specchio della verità? Quell'altro stava corteggiando e conquistando la mia promessa sposa? Dovevo tornare a Genova immediatamente… ma ero stato bandito. Scoppiai a ridere - dalle mie labbra eruppe il ghigno di quel demonio – Io bandito! Oh, no! non avevano bandito il corpo deforme che indossavo, con quello potevo entrare nella mia città, la mia città natale, senza paura di incorrere nella temuta condanna a morte.
M'incamminai verso Genova. Mi ero in qualche modo abituato alle mie membra deformi, che mai come ora si dimostrarono così poco adatte ad un movimento rettilineo, pertanto procedetti con infinita difficoltà. Inoltre, desideravo evitare tutti i piccoli villaggi disseminati qua e là lungo la costa, perché non volevo mostrare la mia deformità. Non ero del tutto sicuro che, se mi avessero visto, i ragazzi mi avrebbero lapidato a morte mentre passavo, considerandomi un mostro: in effetti ricevetti dei saluti poco amichevoli da alcuni contadini e pescatori che mi capitò di incontrare. Era notte fonda prima che raggiungessi Genova.
Il clima era così salubre e dolce che mi venne in mente che il marchese e la figlia probabilmente avevano lasciato la città per la loro residenza di campagna. Era stato dalla villa Torella che avevo tentato di rapire Juliet. Avevo trascorso molte ore a fare un sopralluogo del posto, e conoscevo ogni centimetro di terreno nelle sue vicinanze. La villa occupava una splendida posizione, nascosta tra gli alberi, sulla riva di un fiume. Mi avvicinai, divenne evidente che la mia congettura era corretta, sì, e che, inoltre, erano in corso banchetti e divertimenti. Perché la casa era completamente illuminata, e la brezza portava verso di me brandelli di una musica dolce e allegra. Il cuore mi venne meno. La generosità di Torella era tale che ero sicuro che non si sarebbe lasciato andare a pubbliche manifestazioni di gioia proprio dopo il mio sfortunato bando, se non per un motivo su cui non osavo soffermarmi.
La gente del posto era tutta sveglia e stava affluendo da ogni parte, divenne pertanto necessario trovare il modo di nascondermi e, tuttavia, desideravo ottenere in qualche modo informazioni su quello che stava succedendo chiedendo a qualcuno o ascoltando gli altri discorrere. Mi inoltrai nei sentieri che erano nelle immediate vicinanze della dimora e alla fine ne trovai uno abbastanza buio da celare la mia paurosa bruttezza e tuttavia c'erano altre persone che si aggiravano nella sua ombra. Ottenni subito tutto quello che volevo sapere – che dapprima mi colmò il cuore di orrore e poi lo fece ribollire di indignazione. Il giorno dopo Juliet sarebbe andata in sposa al pentito, ravveduto, amato Guido – il giorno dopo la mia sposa avrebbe giurato fedeltà ad un demone dell'inferno! E io l'avevo permesso! Il mio maledetto orgoglio, la mia demoniaca violenza, la mia auto idolatria avevano causato questa situazione. Perché se io avessi agito come il malvagio che aveva rubato le mie sembianze – se, con un atteggiamento allo stesso tempo umile e dignitoso – mi fossi presentato a Torella dicendo, “ho agito male, perdonatemi, non sono degno del vostro angelo, ma permettetemi di reclamarla in futuro, quando la mia mutata condotta testimonierà l'abiura ai miei vizi, lo sforzo di diventare in qualche modo degno di lei. Andrò a combattere contro gli infedeli e quando il mio zelo religioso e la mia sincera penitenza per il passato vi sembreranno sufficienti a cancellare i miei crimini, mi permetterete di chiamarmi di nuovo vostro figlio.” Così aveva parlato l'altro e il penitente era stato perfino accolto come il figliuol prodigo nelle scritture: il vitello grasso era stato ucciso per lui che, continuando per la stessa strada, mostrò un pentimento così sincero per le sue follie, una così umile rinuncia a tutti i suoi diritti e una e un così ardente determinazione di riacquistarli con una vita di contrizioni e di virtù, che conquistò velocemente il cuore di quel buon vecchio e il completo perdono e il dono della sua amabile figlia seguirono in rapida successione.
Oh! se un angelo del paradiso mi avesse sussurrato di agire in quel modo! Ma ora, quale sarebbe stato il destino dell'innocente Juliet? Dio avrebbe permesso questa turpe unione… oppure, mettendovi fine con un qualche prodigio, avrebbe legato il nome disonorato di Carega al peggiore dei crimini? Domani all'alba si sarebbero sposati, non c'era che un modo per evitarlo, incontrare il mio nemico e pretendere la ratificazione del nostro patto. Sentivo che avrei potuto ottenerlo solo con una lotta mortale.
Non avevo una spada – ammesso che le mie braccia deformi potessero brandire l'arma di un soldato – ma avevo una daga e in quella riponevo ogni mia speranza. Non c'era tempo per riflettere o soppesare attentamente la questione: avrei potuto morire nel tentativo ma, oltre alla mia bruciante gelosia e alla disperazione che avevo nel cuore, l'onore e la pura e semplice umanità esigevano che dovessi perire piuttosto che non distruggere le macchinazioni di quel demonio. Gli ospiti andarono via, le luci iniziarono a spegnersi: era evidente che gli abitanti della villa stavano andando a dormire. Mi nascosi tra gli alberi – il giardino divenne deserto – le porte furono chiuse – girovagai intorno all'edificio e arrivai sotto ad una finestra – ah! La conoscevo fin troppo bene! - una luce fioca illuminava la stanza – le tende erano tirate a metà. Era il tempio dell'innocenza e della bellezza. La sua magnificenza era temperata, per così dire, dal lieve disordine occasionato dal fatto di essere abitata, e tutti gli oggetti sparsi intorno testimoniavano il gusto di colei che la santificava con la sua presenza.
La vidi entrare con un passo leggero e veloce, la vidi avvicinarsi alla finestra – scostò ancora un po' le tende e guardò fuori nella notte. La fresca brezza della sera giocava tra i suoi riccioli e li soffiava via dalla sua fronte di marmo. Giunse le mani e alzò gli occhi al cielo. Sentii la sua voce. Guido! Mormorò dolcemente, il mio Guido! E poi, come sopraffatta dalla pienezza del suo cuore, cadde in ginocchio: i suoi occhi rivolti in alto, il suo atteggiamento spontaneo ma grazioso, la radiosa gratitudine che le illuminava il viso… queste parole sono insufficienti! Cuore mio, avresti mai immaginato, anche se non riesci a descriverla, la celestiale bellezza di quella figlia della luce e dell'amore. 

Edward Robert Huges (1849 - 1914) - Star of Heaven
  
Udii dei passi – dei passi veloci e decisi lungo il sentiero in ombra. Subito dopo vidi avanzare un cavaliere, riccamente vestito, giovane e, mi sembrò, di aspetto piacevole. Mi accostai al muro ancora di più. Il giovane si avvicinò, si fermò sotto la finestra. Lei si alzò in piedi e, guardando di nuovo fuori, lo vide e disse… Non posso, no, dopo così tanto tempo non posso ricordare le sue parole di argentea tenerezza, erano dirette a me, ma fu l'altro a rispondere.
Non me ne andrò,” gridò: “qui dove sei stata tu, dove il tuo ricordo aleggia come uno spirito sceso dal paradiso, trascorrerò le lunghe ore fino a che ci uniremo per non lasciarci mai più, mia Juliet, né notte né giorno. Ma tu, amore mio, ritirati, il freddo mattino e l'incostante brezza renderanno pallide le tue guance e colmeranno di languore i tuoi occhi che brillano d'amore. Ah, dolcissima! Potessi baciarli, riuscirei, forse, a riposare.”
E poi si avvicinò ancora e pensai che stesse per arrampicarsi fino alla camera. Io avevo esitato per non spaventarla, ma ora non ero più padrone di me stesso. Mi slanciai in avanti, mi gettai su di lui, lo tirai via, gridai: “ Oh odioso e malvagio mostro!”
Non è necessario che ripeta gli epiteti, tutti tesi, evidentemente, ad inveire contro un persona per cui ora provo una certa parzialità. Un urlo uscì dalle labbra di Juliet. Non udii né vidi – avvertivo solo il mio nemico, che avevo afferrato alla gola, e l'elsa del mio pugnale; lui si dibatté, ma non riuscì a sfuggirmi: alla fine pronunciò queste parole con voce soffocata: “Forza, colpisci! Distruggi questo corpo – tu vivrai ancora: possa la tua vita essere lunga e felice!”
A quelle parole, la daga si fermò a mezz'aria e lui, sentendo allentarsi la presa, si districò e sguainò la spada, mentre la confusione nella casa e le torce che si correvano da una camera all'altra, indicavano che saremmo stati presto separati – ed io – oh! Molto meglio morire, purché lui non sopravvivesse, non me ne importava. In tutta quella frenesia ci fu molto calcolo: avrei potuto andare fino in fondo, purché lui non sopravvivesse, non mi importava del colpo mortale che avrei potuto sferrare contro me stesso. Mentre rimanevo immobile, di conseguenza, pensò che mi fossi fermato, e vedendo il vile tentativo di avvantaggiarsi della mia esitazione, nell'improvviso assalto contro di me, mi gettai sulla sua spada e nello stesso momento affondai la mia daga, con una decisione veramente disperata, nel suo fianco. Cademmo insieme, rotolando l'uno sull'altro, e la marea di sangue che fluì dalle nostre paurose ferite si mescolò sull'erba. Altro non so – i sensi mi abbandonarono. Ritornai di nuovo in vita, debole da morire, mi trovai disteso su di un letto – Juliet era inginocchiata al mio capezzale. Strano, la mia prima flebile richiesta fu per uno specchio.

How the met themselves - Dante Gariele Rossetti, 1864
Ero così esangue e spaventoso, che la povera ragazza esitò, come mi disse dopo, ma, per la santa messa! Mi considerai un giovane uomo assolutamente normale quando vidi il caro riflesso delle mie ben note forme. Ammetto la mia debolezza, ma, lo confesso, provo un considerevole attaccamento per il volto e il corpo che vedo ogni qual volta mi osservo allo specchio, e ho molti specchi nella mia casa e li consulto più spesso di una bella donna veneziana. Prima di biasimarmi troppo, permettetemi di dire che nessuno conosce meglio di me il valore del proprio corpo, dal momento che nessuno, probabilmente, eccetto me stesso, ne è stato mai derubato.
Dapprincipio, iniziai a parlare in modo confuso del nano e dei suoi crimini, e rimproverai Juliet per avergli concesso troppo facilmente il suo amore. Pensò che stessi vaneggiando, come c'era da aspettarsi, e tuttavia questo fu un po' di tempo prima che io potessi costringermi ad ammettere che il Guido la cui penitenza l'aveva riconquistata per me ero io stesso, e mentre maledicevo aspramente quel mostruoso nano, e benedivo il colpo ben assestato che lo aveva privato della vita, improvvisamente mi fermai quando la sentii dire 'Amen!' sapendo che colui che lei malediceva era il mio vero io.
Riflettere un po' mi insegnò il silenzio – un po' di pratica mi consentì di parlare di quella paurosa notte senza troppi spropositi. La ferita che mi ero inferto non era certo uno scherzo – ci volle molto tempo per riprendermi - e mentre il benevolo e generoso Torella mi sedeva accanto, parlando con tale saggezza da convincere un amico a pentirsi, e la mia cara Juliet vegliava su di me, provvedendo ai miei bisogni e rincuorandomi con i suoi sorrisi, il processo di guarigione del corpo e quello di rigenerazione spirituale andavano di pari passo. Tuttavia, non ho mai recuperato completamente la mia forza, da allora le mie guance sono più pallide - la mia persona è leggermente curva. Juliet a volte si avventura ad alludere al misfatto che causò questo cambiamento, ma io la bacio immediatamente e le dico che va tutto per il meglio. Sono il più innamorato e fedele dei mariti – ed è la verità - ma a causa di quella ferita, non l'ho mai chiamata mia.
Non sono più andato alla spiaggia, né ho più cercato il tesoro di quel demone; tuttavia, mentre riconsidero il passato, spesso penso, e il mio confessore non era da meno nel condividere questa idea, che forse quello fu uno spirito benevolo, piuttosto che maligno, mandato dal mio angelo custode per mostrarmi la follia e la miseria del mio orgoglio. Alla fine, ho imparato così bene la lezione, per quanto mi sia stata impartita con violenza, che sono conosciuto da tutti i miei amici e concittadini con il nome di Guido il cortese.


FINE




1 Nel testo 'a rock of refuge,' dalla Bibbia, Salmo 71
2 Toulon in francese, Touloun in provenzale, è una città del sud est della Francia
3 Carlo VI di Valois, detto il Beneamato o anche il Folle (1368 – 1422). La parte iniziale del suo regno fu felice e prospera, per cui fu chiamato il Beneamato. Ben presto, però, la follia prese il sopravvento, gettando il paese nell'anarchia e nel disordine.
4 Delfino: titolo riservato all'erede al trono di Francia.
5 Gneo Marcio Coriolano (527 a.C.? – ...) generalmente conosciuto come Coriolano, membro dell'antica Gens Marcia, fu uomo politico e valoroso generale al tempo delle guerre contro i Volsci. Per vendicarsi delle accuse rivoltegli dai tribuni della plebe, si alleò con i Volsci e marciò vittorioso contro Roma. La sua avanzata fu fermata dall'intervento della madre e della moglie.
6 'Son of the morning,' espressione originalmente usata dai romani per indicare il pianeta Venere, verrà poi usata per indicare Lucifero (portatore di luce).


































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