In uno specchio oscuro
'Transfrmation' (in italiano Metamorfosi o Trasformazine) di Mary Shelley fu pubblicato nella rivista The Keepsake nel 1831.
Il
racconto è ambientato nello splendido scenario di una Genova ricca
di colori e luce, affacciata sull'intenso blu del Mediterraneo.
Mary
Shelley giunse a Genova nel settembre 1822 e vi restò quasi un anno.
Aveva 25 anni, era già nota per il suo romanzo storico Valperga
e per Frankenstein, che l’anno seguente, rientrata in
patria, vide rappresentato per la prima volta a teatro a Londra.
A
darle supporto morale ed economico c'era lord Byron, amico di
famiglia che le era stato accanto durante la cremazione della salma
del marito Percy avvenuta pochi giorni prima a Viareggio, e
stabilitosi anche lui a Genova, in una villa contigua a quella dove
Mary abitava col figlioletto Percy.
Nel
1822-23 i due scrittori – lo racconta lei – passeggiavano insieme
scendendo verso il mare da quella che oggi è via Zara, Byron
meditando imprese poetiche e politiche, Mary inconsolabile e
infreddolita, perché non aveva abbastanza denaro per scaldare con la
legna la grande villa Negrotto che divideva con gli amici Hunt. Byron
la aiutava facendole trascrivere i capitoli del suo Don Juan,
e di altre sue opere. E proprio trascrivendo un dramma di Byron,
The Deformed Transformed, rimasto incompiuto, Mary trovò
ispirazione per Trasformazione.
Racconto
gotico macabro e sinistro, Trasformation narra
le vicende di Guido, nobile
genovese che,
preso da un impulso incontrollabile, confessa ai lettori la terribile
esperienza che
ha completamente trasformato la sua vita. Orfano di padre,
cresce nella casa del ricco Torella e di sua figlia Juliet. Tra i due
bambini si crea un forte legame affettivo. Diventato adulto Guido,
venuto in possesso della sua eredità, lascia Genova per Parigi, dove
vive nei piaceri e nello sfarzo. Avendo sperperato la sua ricchezza,
ritorna a Genova per reclamare la mano della celestiale Juliet, ma
quando Torella cerca di porre un limite al suo stile di vita, il suo
temperamento Byronico lo spinge a vendicarsi del suo benefattore e
decide di rapire Juliet. Scoperto, viene bandito dalla città. Mentre
vaga lungo la riva del mare, solo e senza mezzi, assiste ad una
terribile tempesta e dal mare emerge una strana figura a cavalcioni
di un baule. Superando l'orrore iniziale, Guido accetta il patto
demonico del nano deforme: gli cederà le sue sembianze apollinee per
tre giorni in cambio dell'oro contenuto nel baule, non per sete di
ricchezza, ma per portare a termine la sua vendetta contro Torella.
Ben presto Guido capisce la terribile verità: il nano non è che la
materializzazione della sua parte oscura, causa di tutte le sue
disgrazie. Mentre le loro identità si fondono sempre di più,
Transformation conquista il suo posto nella storia
della letteratura del Doppelgänger.
Sul web ho trovato un'interessante biografia illustrata di Mary Shelley
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Trasformazione
di
Mary Shelley [1831]
Da una terribile agonia,
Che mi forzò a dare inizio al mio racconto
E alla fine mi abbandonò.
Da allora, ad una certa ora,
Quell'agonia ritorna;
E finché la mia
agghiacciante storia non è narrata,
Il cuore dentro mi brucia.
Coleridge: La ballata del
vecchio marinaio (1798)
Ho sentito
dire che, quando ad un essere umano accade un'avventura strana,
soprannaturale e negromantica, quell'essere, per quanto possa
desiderare di nasconderla, in certi momenti si sente scosso, per così
dire, da una specie di terremoto intellettuale, ed è costretto a
denudare i profondi recessi del suo spirito a qualcun altro. Io sono
testimone di questa verità. Ho solennemente giurato a me stesso di
non rivelare mai ad orecchie umane gli orrori a cui una volta, in un
eccesso di demoniaco orgoglio, mi sono esposto. Il sant'uomo che
raccolse la mia confessione e mi riconciliò con la chiesa, ora è
morto. Nessuno sa che una volta… Perché non dovrebbe essere così?
Perché raccontare una storia riguardante l'empia tentazione della
Provvidenza e la mortificante umiliazione. Perché? Rispondetemi,
voi che siete edotti nei segreti della natura umana! Io so solo che è
così, e a dispetto della mia ferma decisione… dell'orgoglio che
fin troppo mi domina… della vergogna e perfino della paura, a costo
di rendermi odioso ai miei simili… devo parlare.
Genova da villa Negri - Rudolf Muller, Friedrich Horner (1830) |
Genova!
Orgogliosa città che mi desti i natali! Affacciata sulle onde blu
del Mediterraneo… ti ricordi di me fanciullo, quando le tue
scogliere e i promontori, il tuo cielo luminoso e le allegre vigne
erano il mio mondo? Tempo felice! Quando il suo circoscritto universo
- che, a causa della sua stessa limitazione, lascia ampio spazio
all'immaginazione – lega le nostre energie fisiche ad un cuore
giovane e quando, unico periodo nelle nostre vite, innocenza e
piacere sono uniti. Tuttavia, chi può ripensare alla fanciullezza e
non ricordare i suoi dolori e le sue laceranti paure? Sono nato con
lo spirito più fiero, sprezzante e indomito che mai sia stato
concesso ad un mortale. Tremavo solo davanti a mio padre e lui,
generoso e nobile, ma capriccioso e tirannico, allo stesso tempo
incoraggiava e frenava l'impetuosità del mio carattere, imponendomi
obbedienza, ma senza ispirarmi rispetto per le ragioni che guidavano
i suoi ordini. Essere un uomo libero o, per essere sincero, insolente
e prepotente, era la speranza e la preghiera del mio cuore ribelle.
Mio padre
aveva un amico, un ricco nobile genovese, che durante un tumulto
politico fu improvvisamente bandito e la sua proprietà confiscata.
Il marchese Torella andò in solitario esilio. Come mio padre, era
vedovo, aveva una figlia, Juliet, poco più che bambina, che fu
affidata alla custodia di mio padre. Io sarei certamente stato un
ospite scortese per quell'amabile ragazza, se non fossi stato
costretto dalla mia posizione a diventare suo protettore. Una
sequenza di infantili contrattempi ebbero tutti un unico effetto: far
sì che Juliet vedesse in me il suo rifugio1,
mentre io vedevo in lei una creatura destinata a perire a causa della
fragile natura della sua sensibilità troppo duramente provata, se
non fosse stato per la mia costante protezione. Crescemmo insieme. La
rosa che sbocciava a maggio non era più dolce di quella cara
fanciulla.
Una
bellezza radiosa era soffusa sul suo volto. Le sue forme, il suo
portamento, la sua voce… il mio cuore piange ancora adesso nel
pensare a tutto ciò che di leale, gentile, amabile e puro era
custodito in quel tempio celestiale. Quando avevo undici anni e
Juliet otto, un mio cugino, molto più vecchio di noi - ci sembrava
un uomo - prestò grande attenzione alla mia compagna di giochi: la
chiamò sua sposa e le chiese di sposarlo. Lei rifiutò e lui
insistette, tirando verso di sé la riottosa ragazza. Con il volto e
la foga di un folle, mi gettai su di lui – tentai di impossessarmi
della sua spada - lo afferrai per il collo con la feroce intenzione
di strangolarlo, quello fu costretto a chiamare aiuto per liberarsi
di me. Quella notte, condussi Juliet alla cappella della nostra
casa: le feci toccare le sacre reliquie - turbai il suo cuore di
bambina e profanai le sue labbra infantili con un giuramento, che
sarebbe stata mia, soltanto mia.
Ragaza toscana che intrccia la paglia - William HolmanHunt, 1830 |
Quei
giorni, però, finirono. Torella ritornò dopo pochi anni e divenne
più ricco e prospero che mai. Avevo diciassette anni quando mio
padre morì, era stato munifico fino alla prodigalità e Torella fu
felice che la mia minore età gli offrisse l'opportunità di
risollevare le mie fortune. Juliet ed io ci eravamo fidanzati al
letto di morte di mio padre – Torella fu come un secondo padre per
me. Desideravo vedere il mondo e mi fu concesso. Visitai Firenze,
Roma, Napoli, da qui mi recai a Tolone2 e infine
raggiunsi quella che era stata per tanto tempo l'oggetto dei miei
desideri: Parigi. Erano tempi difficili a Parigi in quel periodo. Il
povero re, Carlo sesto3, ora sano, ora matto, ora
un monarca, ora uno schiavo abietto, era lo zimbello dell'umanità.
La regina, il delfino4, il duca di Borgogna, di
volta in volta amici o nemici che ora si incontravano in banchetti
sontuosi, ora si affrontavano in scontri sanguinosi – erano
indifferenti al miserevole stato del loro paese e ai pericoli che lo
minacciavano, ed erano completamente dediti a dissoluti piaceri o
lotte selvagge.
Il mio
carattere continuava a seguirmi. Ero arrogante e ostinato: amavo
mettermi in mostra e, soprattutto, rifiutavo ogni forma di controllo.
Chi poteva controllarmi a Parigi? I miei giovani amici erano ansiosi
di incoraggiare quelle passioni che gli procuravano piaceri. Ero
considerato bello – ero padrone di tutte le arti cavalleresche. Non
appartenevo ad alcun partito politico. Divenni il beniamino di tutti:
la mia arroganza e presunzione erano perdonate a causa della mia
giovane età, divenni un bambino viziato. Chi poteva controllarmi?
Non le lettere e i consigli di Torella – soltanto la dura
necessità che mi faceva visita sotto le odiose sembianze di una
borsa vuota. Ma c'era il modo per riempire quel vuoto. Acro dopo
acro, proprietà dopo proprietà, vendetti. I miei abiti, i miei
gioielli, i miei cavalli e i loro finimenti, erano assolutamente
senza pari nella scintillante Parigi, mentre le terre della mia
eredità passavano in mani altrui.
Ritratto di cavaliere - Carpaccio, 1510 |
Il duca di
Orleans fu attirato in un'imboscata e assassinato dal duca di
Borgogna. La paura ed il terrore dominavano Parigi. Il delfino e la
regina si asserragliarono nel palazzo, ogni piacere fu messo al
bando. Ben presto mi stancai di questo stato di cose e il mio cuore
desiderò ardentemente i luoghi della mia infanzia. Ero pressoché
ridotto in miseria, ma ancora desideravo ritornarvi, reclamare la mia
sposa e ricostruire le mie fortune. Poche felici speculazioni come
mercante mi avrebbero reso di nuovo ricco. Tuttavia, non volevo
ritornare in una veste umile. Il mio ultimo atto fu di liberarmi
delle mie restanti proprietà nei pressi di Albaro per metà del loro
valore, in cambio di denaro contante. Poi inviai ogni sorta di
artigiani, arazzi, mobili di regale splendore per arredare l'ultima
reliquia della mia eredità, il mio palazzo a Genova. Tuttavia
indugiai ancora un po', vergognandomi della parte del figliol
prodigo, che temevo avrei dovuto recitare. Mandai i miei cavalli.
Alla mia promessa sposa inviai uno stupendo ginnetto spagnolo, le sue
bardature fiammeggiavano di gioielli e la gualdrappa di oro. Ordinai
che le iniziali di Juliet e Guido fossero intrecciate dappertutto. Il
mio dono fu ben accetto a lei e al padre.
E tuttavia
ritornare da proclamato scialacquatore, l'oggetto di impertinente
stupore, forse di disprezzo, e sopportare da solo i rimproveri e la
derisione dei miei concittadini, non era una prospettiva allettante.
Come scudo tra me e la censura, invitai ad accompagnarmi alcuni dei
più debosciati dei miei camerati, così armato marciai incontro al
mondo, nascondendo un bruciante sentimento a metà fra la paura e il
pentimento con la spacconeria e l'esibizione di una compiaciuta
vanità.
Arrivai a
Genova. Calpestai il pavimento del mio palazzo avito. I miei passi
orgogliosi non esprimevano i miei sentimenti, perché ero intimamente
consapevole che, anche se circondato da ogni lusso, ero un pezzente.
Il primo passo che feci nel reclamare Juliet doveva ampiamente
dichiararmi tale. Lessi il disprezzo o la pietà negli sguardi di
tutti. Credevo, tanto è incline la coscienza ad immaginare ciò che
merita, che i ricchi e i poveri, i giovani e i vecchi, tutti mi
osservassero con derisione.
Torella non
venne. Non c'era da meravigliarsi che il mio secondo padre si
aspettasse da me la deferenza di un figlio e che gli rendessi visita
per primo. Ma, irritato e tormentato dalla consapevolezza delle mie
follie e del mio demerito, mi sforzavo di gettare la colpa addosso
agli altri. Facevamo orge tutte le sere a palazzo Carega. Alle notti
insonni e dissolute seguivano mattinate di apatia e indolenza.
All'Ave Maria mostravamo le nostre eleganti persone in strada,
deridendo gli onesti cittadini, e lanciando occhiate insolenti alle
modeste fanciulle. Juliet non era tra loro – no, no, se ci fosse
stata, la vergogna mi avrebbe scacciato, se prima l'amore non mi
avesse gettato ai suoi piedi. Mi stancai di tutto questo.
Improvvisamente feci visita al marchese. Era nella sua villa, una tra
le tante che abbelliscono il borgo di San Pietro d'Arena. Era il mese
di maggio – un mese di maggio in quel giardino del mondo dove i
fiori degli alberi da frutto incominciavano ad avvizzire tra il verde
del rigoglioso fogliame, le vigne stavano maturando, il suolo era
ricoperto dai fiori caduti dagli ulivi, le lucciole svolazzavano tra
i cespugli di mirto; il cielo e la terra indossavano un mantello di
impareggiabile bellezza.
Gaetano Previati - Tramonto in Liguria |
Torella mi
accolse gentilmente, ma con fare severo, e anche questa sfumatura di
disapprovazione subito svanì. Una certa rassomiglianza con mio padre
e il tono di giovanile ingenuità, che ancora traspariva a dispetto
delle mie malefatte, addolcì il cuore del brav'uomo. Mandò a
chiamare sua figlia – mi presentò a lei come suo promesso sposo.
La camera fu santificata da una luce benedetta quando lei entrò. Suo
era quell'aspetto angelico con quei grandi occhi dolci, le fossette
delle guance, e una bocca di infantile dolcezza che esprimeva la rara
unione di felicità e amore.
La mia prima reazione fu di ammirazione: è mia! La seconda fu di orgoglio, e le mie labbra si incresparono di altezzoso trionfo. Non ero stato l'enfant gate (alla lettera 'bambino viziato,' o meglio 'il favorito') delle belle di Francia senza aver imparato l'arte di compiacere il tenero cuore di una donna. Se con gli uomini ero prepotente, la deferenza che mostravo per loro era ancor di più in contrasto.
Psiche apre la porta del giardino di Cupido - J. W. Waterhouse, 1904 |
La mia prima reazione fu di ammirazione: è mia! La seconda fu di orgoglio, e le mie labbra si incresparono di altezzoso trionfo. Non ero stato l'enfant gate (alla lettera 'bambino viziato,' o meglio 'il favorito') delle belle di Francia senza aver imparato l'arte di compiacere il tenero cuore di una donna. Se con gli uomini ero prepotente, la deferenza che mostravo per loro era ancor di più in contrasto.
Iniziai il
corteggiamento facendo sfoggio di mille galanterie verso Juliet che,
legata a me fin dall'infanzia, non aveva mai accettato la devozione
di altri e che, sebbene abituata a espressioni di ammirazione, non
era iniziata al linguaggio degli amanti.
Per alcuni
giorni andò tutto bene. Torella non fece mai allusione alla mia
prodigalità, mi trattò come un figlio prediletto. Ma arrivò il
momento, quando discutemmo i preliminari del mio matrimonio con sua
figlia, in cui in cui questa serenità doveva essere turbata. Un
contratto era stato stabilito ai tempi di mio padre. Ma, nei fatti,
lo avevo vanificato, avendo sperperato tutta la ricchezza che avrei
dovuto condividere con Juliet. Torella, di conseguenza, scelse di
considerare annullato questo vincolo, e ne propose un altro in cui,
sebbene la ricchezza che ci donava era incommensurabilmente
aumentata, c'erano così tante restrizioni riguardo al modo di
spenderla che io, vedendo l'indipendenza solo nel libero corso dato
alla mia impetuosa volontà, gli rimproverai di volersi avvantaggiare
della mia situazione e mi rifiutai assolutamente di sottoscrivere
quelle condizioni. L'anziano uomo cercò di farmi ragionare.
L'orgoglio risvegliato divenne il tiranno dei miei pensieri: ascoltai
con indignazione – lo respinsi con sdegno.
“Juliet,
tu sei mia! Non abbiamo forse scambiato voti nella nostra innocente
fanciullezza? Non siamo una sola persona agli occhi di Dio? E dovrà
dividerci il tuo spietato padre senza cuore? Sii generosa, amore mio,
sii saggia, non gettare via questo dono, l'ultimo tesoro del tuo
Guido – non rinnegare i tuoi voti – sfidiamo il mondo, non
teniamo conto dei calcoli dell'età matura, piuttosto troviamo
rifugio da ogni male nel nostro reciproco affetto.” Dovevo essere
stato un demonio nel cercare di avvelenare con i miei sofismi quel
tempio di santi pensieri e tenero amore. Juliet si ritrasse da me
terrorizzata. Suo padre era il migliore e il più gentile degli
uomini e si sforzò di dimostrarmi come obbedirgli ci avrebbe portato
solo bene. Avrebbe ricevuto la mia tardiva sottomissione con caloroso
affetto e un generoso perdono avrebbe fatto seguito al mio
pentimento.
Per una
figlia giovane e gentile quelle erano parole inutili da usare con un
uomo abituato a considerare legge la sua volontà e a nutrire nel suo
cuore un despota così terribile e spietato da non potersi
sottomettere a nient'altro che ai suoi tirannici desideri! Il mio
risentimento crebbe con la sua resistenza, i miei corrotti compagni
erano pronti a buttare legna sul fuoco. Escogitammo un piano per
rapire Juliet. Dapprincipio ci sembrò che fosse stato coronato da
successo. Sulla strada del ritorno fummo raggiunti dal padre
disperato e dai suoi uomini. Ne seguì uno scontro. Prima che
l'arrivo della guardia civica decidesse la vittoria in favore dei
nostri avversari, due servitori di Torella furono gravemente feriti.
Questa
parte della mia storia è per me un fardello particolarmente gravoso.
Essendo ora un uomo diverso, ho orrore di me stesso nel ricordarlo.
Mi auguro che nessuno di coloro che la ascolterà possa mai sentirsi
come me. Un cavallo che impazzisce sotto il pungolo di un cavaliere
armato di speroni appuntiti, non era più schiavo di quanto non lo
fossi io della violenta tirannia del mio carattere. Un demone
possedeva la mia anima, tormentandola fino alla follia. Sentivo la
voce della coscienza dentro di me, ma se mi piegavo ad essa per un
breve intervallo, questo era solo il momento dopo essere stato
trascinato via, come da un vortice, travolto da una corrente di
disperato furore, il giocattolo delle tempeste generate
dall'orgoglio.
Fui
imprigionato e poi liberato su intercessione di Torella. Ritornai con
l'intenzione di rapire sia lui che la figlia e portarli con me in
Francia, paese sfortunato, allora preda di filibustieri e bande di
soldataglia senza legge, che offriva un comodo rifugio ad un
criminale par mio. I nostri piani furono scoperti. Venni bandito e,
siccome i miei debiti erano ormai enormi, le mie ultime proprietà
furono messe nelle mani di liquidatori per ripagarli. Torella offrì
di nuovo la sua mediazione, chiedendo in cambio soltanto la mia
promessa di non ripetere i miei fallimentari tentativi contro di lui
e la figlia. Rifiutai sdegnosamente le sue offerte e mi illudevo di
aver avuto la meglio quando fui cacciato da Genova, un esiliato
solitario e squattrinato. I miei compagni erano andati via: avevano
abbandonato la città alcune settimane prima ed erano già in
Francia. Ero solo – senza amici, non una spada al mio fianco, non
un ducato nella borsa.
Vagabondai
lungo la riva del mare in preda ad un turbinio di passioni che mi
laceravano l'anima. Era come se un tizzone ardente mi bruciasse in
petto. Dapprincipio pensai a quello che avrei dovuto fare. Mi sarei
unito ad una banda di filibustieri. Vendetta! - quella parola mi
sembrava un balsamo: l'abbracciai, l'accarezzai, come un serpente, mi
morse. Avrei di nuovo abiurato e disprezzato Genova, quel piccolo
angolo di mondo. Sarei ritornato a Parigi, dove tanti miei amici
sciamavano, dove i miei servigi sarebbero stati accettati volentieri,
dove avrei fatto fortuna con la mia spada e, grazie al mio successo,
avrei fatto in modo che la mia meschina città natale e il falso
Torella si pentissero amaramente del giorno in cui, come un novello
Coriolano5, mi avevano cacciato fuori dalle loro
mura. Sarei ritornato a Parigi... così, a piedi… come un
mendicante, e mi sarei presentato in povertà a quelli che avevo
precedentemente intrattenuto sontuosamente? C'era temerarietà solo
a pensarlo.
Giovanni Bevilacqua - paesagista ligure |
La realtà
delle cose iniziò ad affacciarsi alla mia mente, recando con sé
disperazione. Ero stato prigioniero per diversi mesi: i mali della
mia prigione sotterranea avevano pungolato la mia anima fino
all'esaltazione, ma avevano sottomesso la mia struttura fisica. Ero
debole e pallido. Torella aveva usato innumerevoli sotterfugi nel
tentativo di darmi conforto, io li avevo scoperti e rifiutati tutti
con sdegno e ora raccoglievo i frutti della mia caparbietà. Cosa era
meglio fare? Avrei dovuto inchinarmi davanti al mio nemico e
implorare il suo perdono? Meglio morire diecimila morti! Non
avrebbero mai ottenuto una simile vittoria! Odio… giurai odio
eterno! L'odio di chi? Per chi?
Quello di un reietto per un potente. Io e i miei sentimenti eravamo
niente per loro: avevano già dimenticato un miserabile come me.
E
Juliet!… il suo volto angelico e le sue forme eteree brillavano di
vana bellezza tra le nuvole della mia disperazione: l'avevo persa –
lei, la gloria e il fiore del mondo! Qualcun altro l'avrebbe chiamata
sua! Il suo sorriso celestiale avrebbe benedetto qualcun altro!
Perfino
adesso il cuore mi viene meno quando mi ritorna in mente il tumulto
di quei foschi pensieri. Ora mortificato fino alle lacrime, ora
furioso nella mia agonia, continuavo a vagare lungo la riva rocciosa,
che diventava ad ogni passo più selvaggia e desolata. Rocce
sporgenti e precipizi biancastri si affacciavano sul mare calmo, nere
caverne spalancavano la loro bocca e, senza sosta, tra i recessi
scavati dal mare, mormoravano e si infrangevano le sterili acque.
A volte la
mia strada era quasi sbarrata da un improvviso promontorio, a volte
resa quasi impraticabile dai detriti caduti dalla roccia. La sera era
prossima quando, sul mare, si alzò, come suscitata dalla bacchetta
di un mago, una cupa ragnatela di nuvole, che macchiò l'azzurro
cielo al tramonto, oscurando e turbando il mare fino ad allora
placido. Le nuvole avevano forme strane e fantastiche e mutavano e si
mescolavano e sembravano ubbidire ad un potente incantesimo. Il luogo
dove mi trovavo guardava, da una parte verso il mare sconfinato,
dall'altra era chiuso da un aspro promontorio. Intorno a questo capo
giunse all'improvviso, sospinta dal vento, una nave. Invano i marinai
si sforzavano di sospingerla verso il mare aperto, la tempesta la
respingeva sugli scogli.
A volte la
mia strada era quasi sbarrata da un improvviso promontorio, a volte
resa quasi impraticabile dai detriti caduti dalla roccia. La sera era
prossima quando, sul mare, si alzò, come suscitata dalla bacchetta
di un mago, una cupa ragnatela di nuvole, che macchiò l'azzurro
cielo al tramonto, oscurando e turbando il mare fino ad allora
placido. Le nuvole avevano forme strane e fantastiche e mutavano e si
mescolavano e sembravano ubbidire ad un potente incantesimo. Il luogo
dove mi trovavo guardava, da una parte verso il mare sconfinato,
dall'altra era chiuso da un aspro promontorio. Intorno a questo capo
giunse all'improvviso, sospinta dal vento, una nave. Invano i marinai
si sforzavano di sospingerla verso il mare aperto, la tempesta la
respingeva sugli scogli.
Perirà!…
tutti a bordo periranno! Come vorrei essere uno di loro! E per la
prima volta, l'idea della morte giunse al mio giovane cuore mescolata
al quella della gioia. Era uno spettacolo pauroso vedere quel
vascello combattere col suo destino. Riuscivo a mala pena a
distinguere i marinai, ma potevo sentirli. D'un tratto, tutto finì!
Uno scoglio, appena coperto dalle onde che vi si infrangevano, e
pertanto invisibile, attendeva in agguato la sua preda. Il rombo di
uno schianto riecheggiò sopra la mia testa nel momento in cui, con
un urto spaventoso, lo scafo si infranse sul suo nemico. In breve
tempo andò a pezzi. Io ero lì al sicuro, mentre i miei simili
combattevano, disperatamente, contro la morte. Mi sembrava di vederli
dibattersi – ma ero fin troppo certo di sentire le loro urla che
superavano il fragore dei flutti nello strazio dell'agonia. Le onde
scure gettavano i frammenti del relitto di qua e di là: ben presto
scomparve.
The ShipwreckWilliam Adolphus Knell (1802–1875) |
Avevo
guardato, come affascinato, fino alla fine, poi caddi in ginocchio –
mi coprii la faccia con le mani, tornai a guardare, qualcosa stava
fluttuando sulle onde verso la spiaggia. Si avvicinava sempre di più.
Era una sagoma umana? Si fece più distinto e alla fine un'onda
possente, sollevando l'intero carico, lo depositò su uno scoglio. Un
essere umano a cavalcioni di un baule da marinaio! - Un essere umano!
- Era proprio così? Sicuramente uno del genere non si era mai visto
prima – un nano deforme con gli occhi storti, lineamenti contorti e
un corpo deforme, tanto da diventare uno spettacolo orribile. Il
sangue, che poco prima si era scaldato per un mio simile strappato in
quel modo al suo sepolcro d'acqua, mi si gelò nel cuore. Il nano
scese giù dal suo baule, si raddrizzò, scostando i capelli dal suo
ripugnante viso.
“Per san
Belzebù!” esclamò, “sono stato sbattuto ben bene.” Si guardò
intorno e mi vide. “Oh, per il diavolo! Ecco un altro alleato
dell'onnipotente. A quale santo offri le tue preghiere, amico, se non
al mio? Eppure non ricordo di averti visto a bordo.”
Mi
ritrassi da quel mostro e dalle sue bestemmie. Mi interrogò di nuovo
e io borbottai un'impercettibile risposta. Quello continuò:
“La
tua voce è sopraffatta da questo dissonante boato. Che rumore fa il
grande oceano! Nemmeno gli scolaretti che corrono fuori dalla loro
prigione gridano forte come queste onde selvagge. Mi disturbano.
Basta con il loro chiasso senza fine – Silenzio, vecchio mio!
Venti, andate via… alle vostre dimore! Nuvole, volate agli antipodi
e liberate il nostro cielo!”
Mentre
parlava, allargò le sue lunghe, esili braccia, simili alle zampe di
un ragno, quasi ad abbracciare lo spazio davanti a lui. Si trattò di
un miracolo? Le nuvole si dispersero e fuggirono via, il cielo
sereno prima fece capolino e poi su di noi si aprì una calma distesa
azzurra, i venti di burrasca furono soppiantati da una dolce brezza
occidentale, il mare si calmò, le onde si ridussero a lievi
increspature.
“Mi
piace l'obbedienza anche in questi elementi bruti,” disse il nano.
“Tanto più nell'indomita mente dell'uomo! Era una tempesta ben
congegnata, devi ammetterlo… e tutta opera mia.”
Scambiare
parole con quel negromante era come sfidare la Provvidenza. Ma il
potere, in tutte le sue forme, è venerabile per l'uomo. Timore,
curiosità, un'irresistibile malia mi spinsero verso di lui. “Via,
non aver paura, amico,” disse il malvagio: “Divento di buon umore
quando qualcosa mi va a genio, e qualcosa mi va a genio nel tuo corpo
ben proporzionato e nella tua bella faccia, anche se hai un aspetto
un po' triste. Tu hai subito il rovescio delle tue fortune – io
quello del mare. Posso alleviare la tempesta che ti ha travolto come
ho fatto con la mia. Vogliamo essere amici?” e mi porse la mano,
avrei potuto tirarmi indietro. “Bene, allora, amici… questo ci
porterà fortuna. E ora, mentre mi riposo dai colpi che ho appena
ricevuto, dimmi perché, giovane e galante come sembri, stai vagando
solo e desolato lungo questa costa selvaggia.”
La
voce del malvagio era stridula e orrida, e le sue contorsioni mentre
parlava erano spaventose a vedersi. Eppure, si conquistò su di me
una sorta di influenza che non ero in grado di controllare e gli
raccontai la mia storia. Quando finì, scoppiò in una lunga e sonora
risata, le rocce gli fecero eco, sembrava che l'inferno gridasse
intorno a me.
“Oh,
tu cugino di Lucifero6!” disse, “così sei
caduto per colpa del tuo orgoglio e tu, sebbene luminoso come il
figlio del mattino, sei pronto a gettare via la tua bellezza, la tua
sposa e il tuo benessere piuttosto che sottometterti alla tirannia
del bene. Onoro la tua scelta, per l'anima mia! Così sei fuggito, e
ti dai per vinto e vuoi morire di fame su queste rocce e lasciare che
gli uccelli ti cavino gli occhi dalle tue morte orbite, mentre il tuo
nemico e la tua sposa gioiscono della tua rovina. Il tuo orgoglio è
stranamente simile all'umiltà, mi sembra.”
Mentre
parlava, mille pensieri selvaggi mi azzannavano il cuore.
“Cosa
vorresti che facessi?” gridai.
“Io!…
oh, niente se non stenderti a terra e dire le tue preghiere prima di
morire. Ma, fossi in te, saprei cosa fare.”
Mi
avvicinai a lui. I suoi poteri soprannaturali lo rendevano un oracolo
ai miei occhi, eppure uno strano brivido soprannaturale mi percorse
il corpo quando dissi, “Parla, insegnami, cosa mi consigli di
fare?”
“Vendicati,
uomo!… umilia i tuoi nemici!… metti il tuo piede sul collo del
vecchio e impossessati di sua figlia!”
“Per
quanto io mi sforzi,” gridai, “non vedo il modo! Se avessi oro,
potrei fare molto ma, povero e solo, non ho alcun potere.”
Il
nano era rimasto a sedere sul suo baule mentre ascoltava la mia
storia. Allora scese giù, toccò una molla e quello si spalancò!
Che profusione di ricchezze… di gioielli abbaglianti, di oro
luccicante e di pallido argento era contenuta lì dentro. Mi nacque
dentro un folle desiderio di possedere questo tesoro.
“Senza
dubbio,” dissi, “uno potente come te può fare ogni cosa.”
“No,”
disse il mostro, con umiltà, “Sono meno onnipotente di quanto
sembri. Posseggo cose che tu puoi desiderare, ma le darei tutte per
una piccola porzione, o anche un prestito, di ciò che è tuo.”
“Ciò che
possiedo è al tuo servizio,” risposi con amarezza, “la mia
povertà, il mio esilio, la mia disgrazia… te le dono tutte.”
“Bene! Ti
ringrazio. Aggiungi un'altra cosa al tuo dono, e il mio tesoro sarà
tuo.”
“Dal
momento che la mia eredità si riduce a niente, cos'altro oltre a
niente vorresti?”
“La tua
bella faccia e le tue membra ben fatte.”
Tremai.
Questo potentissimo mostro voleva uccidermi? Non avevo un pugnale.
Dimenticai di pregare… ma impallidii.
“Chiedo
un prestito, non un dono,” disse quella cosa spaventosa: “prestami
il tuo corpo per tre giorni – nel frattempo potrai avere il mio per
custodire la tua anima e, come pagamento, il mio baule. Che ne dici
di questo scambio? Tre brevi giorni.”
Ci
viene detto che è pericoloso sostenere conversazioni illecite, e io
ne sono la prova. In poche parole, potrebbe sembrare incredibile che
io potessi prestare orecchio alla sua proposta ma, a dispetto della
sua innaturale bruttezza, c'era qualcosa di affascinante in un essere
che poteva dominare la terra, l'aria e il mare. Sentivo un pungente
desiderio di acconsentire, perché con quel baule potevo comandare il
mondo. La mia unica esitazione derivava dal timore che non fosse
sincero a proposito dello scambio. Poi, pensai, presto sarò morto su
queste spiagge solitarie e il corpo che egli brama non sarà più mio
– val la pena tentare. E, inoltre, sapevo che, in base a tutte le
regole dell'arte magica, c'erano formule e giuramenti che nessuno di
quelli che la praticavano avrebbe osato rompere. Esitai a rispondere,
egli continuò, ora mettendo in mostra la sua ricchezza, ora parlando
del misero prezzo che chiedeva, finché sembrò folle rifiutare. Le
cose stanno così: mettete la nostra imbarcazione nella corrente del
fiume, e correrà a rotta di collo giù per cascate e cataratte;
lasciate che le nostre azioni siano dominate dal torrente selvaggio
della passione, e saremo trasportati via, senza sapere dove.
Fotomontaggio per la rappresentazione di 'Dottor Jekyll e Mr. Hyde' - 1887 |
Mi fece
molti giuramenti, ed io lo supplicai nel nome di molti santi, finché
vidi questa meraviglia del potere, questo dominatore degli elementi,
tremare come una foglia d'autunno alle mie parole, e come se lo
spirito dentro di lui parlasse controvoglia e forzatamente, alla
fine, con voce rotta, mi rivelò l'incantesimo per mezzo del quale
poteva essere costretto, in caso avesse voluto ingannarmi, a
restituirmi la spoglia illegittima. Il nostro caldo sangue doveva
mescolarsi per fare e disfare l'incantesimo.
Ma
basta con questo morboso argomento. Mi persuasi, la cosa si fece. Il
mattino albeggiò su di me mentre ero disteso sui ciottoli della
spiaggia, e non riconobbi la mia ombra quando la proiettai. Mi
sentivo trasformato in una forma orribile e maledissi la mia facile
fiducia e la mia cieca credulità. Il baule era lì, insieme all'oro
e alle pietre preziose per cui avevo venduto l'involucro
carnale che la natura mi
aveva dato. Quella vista calmò un po' le mie emozioni: tre giorni
sarebbero passati presto.
Passarono,
infatti. Il nano mi aveva rifornito di abbondanti riserve di cibo.
Dapprincipio, riuscivo a malapena a camminare, così strane e
squilibrate erano le mie membra, e la mia voce… era quella del
demonio. Ma rimasi in silenzio e girai il viso verso il sole, in modo
da non vedere la mia ombra, e contai le ore rimuginando sulla mia
futura condotta. Trascinare Torella ai miei piedi, impossessarmi di
Juliet a dispetto del padre, erano cose che la mia ricchezza poteva
facilmente procurarmi. Durante il buio della notte dormii e sognai di
realizzare i miei desideri. Due soli erano tramontati e sorse il
terzo. Ero agitato, spaventato. Oh attesa, che cosa terribile sei,
quando vieni alimentata più dalla paura che dalla speranza! Come ti
aggrovigli intorno al cuore, alterandone le pulsazioni! Come trafiggi
la nostra debole costituzione con dolori sconosciuti fino a
stordirci, a volta facendoci tremare come un vetro rotto, a volte
dandoci nuova forza, che nulla può, e così ci tormenti con uno
stato d'animo simile a quello dell'uomo forte che con la sua possente
stretta riesce a piegare le sue catene, ma non a romperle.
Lentamente, l'orbe luminoso del cielo si levò da est, a lungo
indugiò al suo zenit e ancora più lentamente s'incamminò verso
ovest: toccò il confine dell'orizzonte… e sparì! I suoi riflessi
luminosi sulla cima della scogliera divennero scuri e grigi. La
stella della sera brillò luminosa. Lui arriverà presto.
Ma non
venne! Per tutti i santi del Paradiso, non venne!… e la lunga notte
si trascinò stancamente e, nella sua parte finale, “il giorno
iniziò ad ingrigire la sua nera chioma;” (Lord Byron, Werner
III.iv.152-53.) e il sole sorse ancora sul più infelice derelitto
che la sua luce avesse mai colpito. Trascorsi tre giorni in questo
modo. I gioielli e l'oro… oh, come li detestavo!
Ma
basta… non macchierò
più queste pagine con demoniache farneticazioni. Troppo terribili
erano i pensieri, troppo rabbioso il tumulto di idee che colmavano
la mia anima. Alla fine di quel lasso di tempo mi addormentai; erano
tre giorni che non ci riuscivo. E sognai di essere ai piedi di Juliet
e lei sorrideva e poi urlò… perché vide la mia trasformazione…
e poi sorrise di nuovo, perché il suo bell'amante era ancora
inginocchiato davanti a lei. Ma non ero io – era lui, il diavolo,
rivestito delle mie membra, che parlava con la mia voce, che la
conquistava con i miei sguardi amorevoli. Mi sforzai di metterla in
guardia, ma la lingua si rifiutò di obbedirmi, mi sforzai di
strapparlo
da lei, ma restavo inchiodato al suolo – mi svegliai in agonia.
Qui c'erano
i bianchi precipizi solitari, di fronte il mare con il suo
sciabordio, la spiaggia tranquilla e il cielo azzurro su tutto.
Qual'era il senso? Il mio sogno non era che lo specchio della
verità? Quell'altro stava corteggiando e conquistando la mia
promessa sposa? Dovevo tornare a Genova immediatamente… ma ero
stato bandito. Scoppiai a ridere - dalle mie labbra eruppe il ghigno
di quel demonio – Io bandito! Oh, no! non avevano bandito il corpo
deforme che indossavo, con quello potevo entrare nella mia città, la
mia città natale, senza paura di incorrere nella temuta condanna a
morte.
M'incamminai
verso Genova.
Mi ero in qualche modo abituato alle mie membra deformi, che
mai come ora si
dimostrarono così poco adatte ad
un movimento rettilineo, pertanto procedetti con infinita difficoltà.
Inoltre, desideravo evitare tutti i piccoli villaggi disseminati qua
e là lungo la costa, perché non
volevo
mostrare
la mia deformità. Non
ero del tutto sicuro che, se mi avessero visto, i ragazzi mi
avrebbero lapidato a morte mentre passavo, considerandomi un mostro:
in effetti ricevetti dei saluti poco amichevoli da alcuni contadini e
pescatori che mi capitò di incontrare. Era notte fonda prima che
raggiungessi Genova.
Il
clima era così salubre e dolce che mi venne in mente che il marchese
e la figlia probabilmente avevano lasciato la città per la loro
residenza di campagna. Era stato dalla villa Torella che avevo
tentato di rapire Juliet. Avevo trascorso molte ore a fare un
sopralluogo del posto, e conoscevo ogni centimetro di terreno nelle
sue vicinanze. La villa occupava una splendida posizione, nascosta
tra gli alberi, sulla riva di un fiume. Mi avvicinai, divenne
evidente che la mia congettura era corretta, sì, e che, inoltre,
erano in corso banchetti e divertimenti. Perché la casa era
completamente illuminata, e la brezza portava verso di me brandelli
di una musica dolce e allegra. Il cuore mi venne meno. La generosità
di Torella era tale che ero sicuro che non si sarebbe lasciato
andare a pubbliche manifestazioni di gioia proprio dopo il mio
sfortunato bando, se non per un motivo su cui non osavo soffermarmi.
La
gente del posto era tutta sveglia e stava affluendo da ogni parte,
divenne pertanto necessario trovare il modo di nascondermi e,
tuttavia, desideravo ottenere in qualche modo informazioni su quello
che stava succedendo chiedendo a qualcuno o ascoltando gli altri
discorrere. Mi inoltrai nei sentieri che erano nelle immediate
vicinanze della dimora e alla fine ne trovai uno abbastanza buio da
celare la mia paurosa bruttezza e tuttavia c'erano altre persone che
si aggiravano nella sua ombra. Ottenni subito tutto quello che volevo
sapere – che dapprima mi colmò il cuore di orrore e poi lo fece
ribollire di indignazione. Il giorno dopo Juliet sarebbe andata in
sposa al pentito, ravveduto, amato Guido – il giorno dopo la mia
sposa avrebbe giurato fedeltà ad un demone dell'inferno! E io
l'avevo permesso! Il mio maledetto orgoglio, la mia demoniaca
violenza, la mia auto idolatria avevano causato questa situazione.
Perché se io avessi agito come il malvagio che aveva rubato le mie
sembianze – se, con un atteggiamento allo stesso tempo umile e
dignitoso – mi fossi presentato a Torella dicendo, “ho agito
male, perdonatemi, non sono degno del vostro angelo, ma permettetemi
di reclamarla in futuro, quando la mia mutata condotta testimonierà
l'abiura ai miei vizi, lo sforzo di diventare in qualche modo degno
di lei. Andrò a combattere contro gli infedeli e quando il mio zelo
religioso e la mia sincera penitenza per il passato vi sembreranno
sufficienti a cancellare i miei crimini, mi permetterete di chiamarmi
di nuovo vostro figlio.” Così aveva parlato l'altro e il penitente
era stato perfino accolto come il figliuol prodigo nelle scritture:
il vitello grasso era stato ucciso per lui che, continuando per la
stessa strada, mostrò un pentimento così sincero per le sue follie,
una così umile rinuncia a tutti i suoi diritti e una e un così
ardente determinazione di riacquistarli con una vita di contrizioni e
di virtù, che conquistò velocemente il cuore di quel buon vecchio e
il completo perdono e il dono della sua amabile figlia seguirono in
rapida successione.
Oh!
se un angelo del paradiso mi avesse sussurrato di agire in quel modo!
Ma ora, quale sarebbe stato il destino dell'innocente Juliet? Dio
avrebbe permesso questa turpe unione… oppure, mettendovi fine con
un qualche prodigio, avrebbe legato il nome disonorato di Carega al
peggiore dei crimini? Domani all'alba si sarebbero sposati, non c'era
che un modo per evitarlo, incontrare il mio nemico e pretendere la
ratificazione del nostro patto. Sentivo che avrei potuto ottenerlo
solo con una lotta mortale.
Non
avevo una spada – ammesso che le mie braccia deformi potessero
brandire l'arma di un soldato – ma avevo una daga e in quella
riponevo ogni mia speranza. Non c'era tempo per riflettere o
soppesare attentamente la questione: avrei potuto morire nel
tentativo ma, oltre alla mia bruciante gelosia e alla disperazione
che avevo nel cuore, l'onore e la pura e semplice umanità esigevano
che dovessi perire piuttosto che non distruggere le macchinazioni di
quel demonio. Gli ospiti andarono via, le luci iniziarono a
spegnersi: era evidente che gli abitanti della villa stavano andando
a dormire. Mi nascosi tra gli alberi – il giardino divenne deserto
– le porte furono chiuse – girovagai intorno all'edificio e
arrivai sotto ad una finestra – ah! La conoscevo fin troppo bene! -
una luce fioca illuminava la stanza – le tende erano tirate a metà.
Era il tempio dell'innocenza e della bellezza. La sua magnificenza
era temperata, per così dire, dal lieve disordine occasionato dal
fatto di essere abitata, e tutti gli oggetti sparsi intorno
testimoniavano il gusto di colei che la santificava con la sua
presenza.
La vidi
entrare con un passo leggero e veloce, la vidi avvicinarsi alla
finestra – scostò ancora un po' le tende e guardò fuori nella
notte. La fresca brezza della sera giocava tra i suoi riccioli e li
soffiava via dalla sua fronte di marmo. Giunse le mani e alzò gli
occhi al cielo. Sentii la sua voce. Guido! Mormorò dolcemente, il
mio Guido! E poi, come sopraffatta dalla pienezza del suo cuore,
cadde in ginocchio: i suoi occhi rivolti in alto, il suo
atteggiamento spontaneo ma grazioso, la radiosa gratitudine che le
illuminava il viso… queste parole sono insufficienti! Cuore mio,
avresti mai immaginato, anche se non riesci a descriverla, la
celestiale bellezza di quella figlia della luce e dell'amore.
Edward Robert Huges (1849 - 1914) - Star of Heaven |
Udii
dei passi – dei passi veloci e decisi lungo il sentiero in ombra.
Subito dopo vidi avanzare un cavaliere, riccamente vestito, giovane
e, mi sembrò, di aspetto piacevole. Mi accostai al muro ancora di
più. Il giovane si avvicinò, si fermò sotto la finestra. Lei si
alzò in piedi e, guardando di nuovo fuori, lo vide e disse… Non
posso, no, dopo così tanto tempo non posso ricordare le sue parole
di argentea tenerezza, erano dirette a me, ma fu l'altro a
rispondere.
“Non me
ne andrò,” gridò: “qui dove sei stata tu, dove il tuo ricordo
aleggia come uno spirito sceso dal paradiso, trascorrerò le lunghe
ore fino a che ci uniremo per non lasciarci mai più, mia Juliet, né
notte né giorno. Ma tu, amore mio, ritirati, il freddo mattino e
l'incostante brezza renderanno pallide le tue guance e colmeranno di
languore i tuoi occhi che brillano d'amore. Ah, dolcissima! Potessi
baciarli, riuscirei, forse, a riposare.”
E poi si
avvicinò ancora e pensai che stesse per arrampicarsi fino alla
camera. Io avevo esitato per non spaventarla, ma ora non ero più
padrone di me stesso. Mi slanciai in avanti, mi gettai su di lui, lo
tirai via, gridai: “ Oh odioso e malvagio mostro!”
Non
è necessario che ripeta gli epiteti, tutti tesi, evidentemente, ad
inveire contro un persona per cui ora provo una certa parzialità. Un
urlo uscì dalle labbra di Juliet. Non udii né vidi – avvertivo
solo il mio nemico, che avevo afferrato alla gola, e l'elsa del mio
pugnale; lui si dibatté, ma non riuscì a sfuggirmi: alla fine
pronunciò queste parole con voce soffocata: “Forza, colpisci!
Distruggi questo corpo – tu vivrai ancora: possa la tua vita essere
lunga e felice!”
A
quelle parole, la daga si fermò a mezz'aria e lui, sentendo
allentarsi la presa, si districò e sguainò la spada, mentre la
confusione nella casa e le torce che si correvano da una camera
all'altra, indicavano che saremmo stati presto separati – ed io –
oh! Molto meglio morire, purché lui non sopravvivesse, non me ne
importava. In tutta quella frenesia ci fu molto calcolo: avrei potuto
andare fino in fondo, purché lui non sopravvivesse, non mi importava
del colpo mortale che avrei potuto sferrare contro me stesso. Mentre
rimanevo immobile, di conseguenza, pensò che mi fossi fermato, e
vedendo il vile tentativo di avvantaggiarsi della mia esitazione,
nell'improvviso assalto contro di me, mi gettai sulla sua spada e
nello stesso momento affondai la mia daga, con una decisione
veramente disperata, nel suo fianco. Cademmo insieme, rotolando l'uno
sull'altro, e la marea di sangue che fluì dalle nostre paurose
ferite si mescolò sull'erba. Altro non so – i sensi mi
abbandonarono. Ritornai di nuovo in vita, debole da morire, mi trovai
disteso su di un letto – Juliet era inginocchiata al mio capezzale.
Strano, la mia prima flebile richiesta fu per uno specchio.
How the met themselves - Dante Gariele Rossetti, 1864 |
Ero così
esangue e spaventoso, che la povera ragazza esitò, come mi disse
dopo, ma, per la santa messa! Mi considerai un giovane uomo
assolutamente normale quando vidi il caro riflesso delle mie ben
note forme. Ammetto la mia debolezza, ma, lo confesso, provo un
considerevole attaccamento per il volto e il corpo che vedo ogni qual
volta mi osservo allo specchio, e ho molti specchi nella mia casa e
li consulto più spesso di una bella donna veneziana. Prima di
biasimarmi troppo, permettetemi di dire che nessuno conosce meglio di
me il valore del proprio corpo, dal momento che nessuno,
probabilmente, eccetto me stesso, ne è stato mai derubato.
Dapprincipio,
iniziai a parlare in modo confuso del nano e dei suoi crimini, e
rimproverai Juliet per avergli concesso troppo facilmente il suo
amore. Pensò che stessi vaneggiando, come c'era da aspettarsi, e
tuttavia questo fu un po' di tempo prima che io potessi costringermi
ad ammettere che il Guido la cui penitenza l'aveva riconquistata per
me ero io stesso, e mentre maledicevo aspramente quel mostruoso nano,
e benedivo il colpo ben assestato che lo aveva privato della vita,
improvvisamente mi fermai quando la sentii dire 'Amen!' sapendo che
colui che lei malediceva era il mio vero io.
Riflettere
un po' mi insegnò il silenzio – un po' di pratica mi consentì di
parlare di quella paurosa notte senza troppi spropositi. La ferita
che mi ero inferto non era certo uno scherzo – ci volle molto tempo
per riprendermi - e mentre il benevolo e generoso Torella mi sedeva
accanto, parlando con tale saggezza da convincere un amico a
pentirsi, e la mia cara Juliet vegliava su di me, provvedendo ai miei
bisogni e rincuorandomi con i suoi sorrisi, il processo di guarigione
del corpo e quello di rigenerazione spirituale andavano di pari
passo. Tuttavia, non ho mai recuperato completamente la mia forza, da
allora le mie guance sono più pallide - la mia persona è
leggermente curva. Juliet a volte si avventura ad alludere al
misfatto che causò questo cambiamento, ma io la bacio immediatamente
e le dico che va tutto per il meglio. Sono il più innamorato e
fedele dei mariti – ed è la verità - ma a causa di quella
ferita, non l'ho mai chiamata mia.
Non sono
più andato alla spiaggia, né ho più cercato il tesoro di quel
demone; tuttavia, mentre riconsidero il passato, spesso penso, e il
mio confessore non era da meno nel condividere questa idea, che
forse quello fu uno spirito benevolo, piuttosto che maligno, mandato
dal mio angelo custode per mostrarmi la follia e la miseria del mio
orgoglio. Alla fine, ho imparato così bene la lezione, per quanto mi
sia stata impartita con violenza, che sono conosciuto da tutti i miei
amici e concittadini con il nome di Guido il cortese.
FINE
1
Nel
testo 'a rock of refuge,' dalla Bibbia, Salmo 71
2
Toulon
in francese, Touloun in provenzale, è una città del sud est della
Francia
3
Carlo
VI di Valois,
detto il
Beneamato
o anche il
Folle
(1368 – 1422). La
parte iniziale del suo regno fu felice e prospera, per cui fu
chiamato il Beneamato. Ben presto, però, la follia prese il
sopravvento, gettando il paese nell'anarchia e nel disordine.
4
Delfino:
titolo riservato all'erede al trono di Francia.
5
Gneo Marcio
Coriolano
(527 a.C.? – ...) generalmente conosciuto come Coriolano, membro
dell'antica Gens Marcia, fu uomo politico e valoroso generale al
tempo delle guerre contro i Volsci. Per
vendicarsi delle accuse rivoltegli dai tribuni della plebe, si alleò
con i Volsci e marciò vittorioso contro Roma. La sua avanzata fu
fermata dall'intervento della madre e della moglie.
6
'Son
of the morning,'
espressione originalmente usata dai romani per indicare il pianeta
Venere, verrà poi usata per indicare Lucifero (portatore di luce).
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