sabato 20 aprile 2019

Una sera d'estate




Il racconto breve di Ambrose Bierce Una notte d’estate (One Summer Night), fu pubblicato nella raccolta Can Such Things Be? del 1893. Ancora una volta ‘Bitter’ Bierce ci mostra il lato orrifico della quotidianità, trasformando una qualunque sera estiva in un beffardo scherzo del destino.
Sullo sfondo di una notte d’estate buia e tempestosa, tre strani figuri armati di pala si aggirano in un cimitero. Nello stesso momento, sotto la superficie del cimitero, disteso nella sua bara, giace Henry Armstrong, in un torpore dei sensi malauguratamente scambiato per il sonno eterno.
Una situazione binaria che sembra mettere insieme due illustri precedenti letterari: sul piano superiore agiscono i resurrection men già visti in azione nel racconto di Stevenson “The Body Snatchers(1884), su quello inferiore si replica la claustrofobica situazione di "The Premature Burial" (1844) del maestro dell’horror: Edgar Allan Poe.
Come questi destini si incroceranno e quale sarà l’esito fatale, almeno per uno di loro, ci viene narrato con una prosa scarna ed essenziale, ben lontana dal linguaggio ricco ed esuberante di Poe. Altrettanto lineare ed avaro di dettagli è l’intreccio: Bierce giunge al climax della vicenda grazie al non detto, con un effetto non orripilante, bensì raggelante.


🌟 Per la traduzione di "TheBodySnatchers" vedi mio post del 20/06/14

🌟"The Premature Burial" - testo originale + audio - traduzione








Una sera d’estate
di
Ambrose Bierce






Il fatto che Henry Armstrong fosse stato seppellito non era per lui prova sufficiente che fosse morto: era sempre stato un uomo difficile da convincere. Che fosse stato veramente sepolto, era costretto ad ammetterlo dalla testimonianza dei suoi sensi. La sua postura – disteso sulla schiena, con le mani incrociate sullo stomaco e legate con qualcosa che ruppe facilmente senza migliorare sensibilmente la sua situazione – l’angusta prigione della sua persona, l’impenetrabile oscurità e il profondo silenzio, costituivano un’insieme di prove incontrovertibili ed egli le accettò senza cavillare.

Ma morto – no: era solamente molto, molto, malato. Era afflitto, per di più, dall’apatia dell’invalido e non si preoccupava granché del singolare fato che gli era stato destinato. Non era assolutamente un filosofo – ma soltanto una persona semplice e banale dotata, almeno per il momento, di una patologica indifferenza: l’organo con cui aver paura delle eventuali conseguenze era intorpidito. Così, senza alcuna particolare apprensione per il suo immediato futuro, si addormentò e per Henry Armstrong tutto fu silenzio.
Ma, sopra la sua testa, stava succedendo qualcosa. Era una buia notte d’estate, attraversata di tanto in tanto dal bagliore di un lampo che accendeva silenziosamente una bassa nuvola ad occidente e preannunciava un temporale. Queste brevi luci intermittenti facevano emergere con agghiacciante precisione i monumenti e le pietre tombali del cimitero e sembrava che le facessero danzare. Non era una notte in cui ci si aspettasse di vedere testimoni affidabili in giro per il cimitero, così i tre uomini che si trovavano lì, intenti a scavare la tomba di Henry Armstrong, si sentivano ragionevolmente al sicuro.
Due di loro erano giovani studenti della facoltà di medicina distante poche miglia, il terzo era un negro gigantesco conosciuto come Jesse. Per molti anni Jesse era stato impiegato nel cimitero come tuttofare e la sua battuta preferita era che conosceva “ogni anima lì intorno.” Considerata la natura di quello che stava facendo ora, era facile capire che quel posto non era popoloso come avrebbe potuto apparire dai registri.
Fuori dalle mura di recinzione, ben distante dalla strada pubblica, c’erano un cavallo ed un calesse che aspettavano.
Il lavoro di escavazione non fu difficile, la terra ancora fresca con cui la tomba era stata ricoperta poche ore prima offrì poca resistenza e fu velocemente rimossa. Tirare via la bara dalla fossa fu meno facile, ma alla fine ci riuscirono, perché era il mestiere di Jess, che svitò con cura il coperchio e lo spostò di lato, rivelando un corpo in pantaloni neri e camicia bianca. Proprio in quel momento il cielo si infiammò e il pauroso crepitio di un tuono scosse il mondo addormentato e Henry Armstrong si mise tranquillamente a sedere. Gli uomini fuggirono via terrorizzati, ognuno in una diversa direzione, lanciando grida inarticolate. Per niente al mondo due di loro avrebbero potuto essere convinti a tornare indietro. Ma Jess era di un’altra pasta.




Alle prime luci del mattino, i due studenti, pallidi e tremanti per l’ansia e con il terrore della loro avventura che ancora pulsava tumultuosamente nel sangue, si incontrarono all’università.
Hai visto?” gridò uno. “Dio!, sì – cosa dobbiamo fare?”
Girarono intorno all’edificio e arrivarono all’ingrasso posteriore, dove videro un cavallo, attaccato ad un carrozzino, legato ad una colonnina del cancello vicino alla porta della sala settoria. Entrarono istintivamente. Su di una panca , in un angolo buio, sedeva il negro Jesse. Si alzò, ghignando, tutto occhi e denti.
Sto aspettando il mio compenso,” disse.
Disteso su un lungo tavolo, completamente nudo, giaceva il corpo di Henry Armstrong, la testa macchiata di sangue e del terriccio proveniente da un colpo di pala.


FINE


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