Fitz-James
O'Brien, scritto anche Fitz James (1828 – 1862), è
stato uno scrittore irlandese naturalizzato statunitense, considerato
uno dei precursori del moderno genere fantascientifico. La sua vita,
intensa e a tratti avventurosa, si arricchì ben presto di un alone
romantico e quasi leggendario, come la sua letteratura. Morì a 33
anni durante la guerra civile americana.
Fra
i suoi racconti
La
lente di diamante
(The
Diamond Lens)
(1858) e Il
forgiatore di meraviglie
(The
Wonder Smith)
(1859), restano capolavori insuperati dell'immaginazione. La
sua opera sarà un
modello
per
i
più grandi autori del fantastico, da Maupassant a Lovecraft, da
Wells a Merrith.
La
storia che vi propongo Che
cos'era? Un mistero (What Was It? A
Mystery) (1859) è invece uno dei primi esempi conosciuti di
invisibilità nella narrativa.
Il
racconto è ambientato a New York ed è narrato in prima persona dal
protagonista, interessato al
soprannaturale e sovrapponibile all’autore, avendo scritto una
storia ‘basata su un fantasma.’
Al
centro della vicenda c’è una casa considerata infestata, dopo che
il suo ricco proprietario, Mister A., muore di crepacuore in seguito
ad una vergognosa bancarotta. I custodi che si susseguono lamentano
strani rumori, porte che sbattono ecc., come nella migliore antologia
horror, al punto che nessuno vuole più abitarci, finché la padrona
della pensione dove abita il protagonista, in accordo con i suoi
pensionanti, descritti come ‘piuttosto audaci e
disincantati,’ decide di prenderla in affitto. I nuovi
inquilini, tuttavia, restano delusi dal fatto che nessun caso
straordinario si manifesti e al narratore e al suo amico Hammond non
resta che godere della reciproca compagnia, accomunati dal loro vizio
segreto, l’oppio, e dal loro interesse per il soprannaturale. Una
notte, dopo un’inquietante conversazione su quale sia “...il
più grande elemento del terrore?”
il protagonista è assalito
nel letto da qualcosa caduta
dal soffitto: “morso
alla spalla, al collo e al petto da denti aguzzi; costretto a
proteggere continuamente la gola da un paio di mani nervose e agili.”
Quando alla fine riesce a liberarsi, scopre con
sgomento che il suo
assalitore è invisibile: “Io
non vidi assolutamente niente! Nemmeno una
sagoma...
un vapore!”
Con
l’aiuto di Hammond, il Mistero, come lo chiama il narratore, viene
legato e reso inoffensivo, mentre gli altri inquilini, in preda al
terrore, abbandonano la casa. Per i due amici, tuttavia, la curiosità
prevale sulla paura, così, con l’aiuto di un medico e un
modellista, riescono a prendere un calco della creatura: “Aveva
la forma di un uomo – distorto, rozzo, orribile, ma tuttavia un
uomo. Era piccolo, non più alto di un metro e trenta e i suoi arti
rivelavano
uno sviluppo muscolare senza eguali. La sua faccia sorpassava in
mostruosità qualunque cosa avessi mai visto.”
In
attesa di decidere il destino di questo Orrore,
i due amici continuano a tenerlo prigioniero, e cercano di nutrirlo
come meglio possono, ma nessun cibo viene accettato. Ai due non resta
che assistere impotenti alla lenta morte per fame del loro
prigioniero.
Questo
demone cannibalesco che assale il
narratore nel
cuore della notte richiama alla mente il famoso dipinto di Fuessli,
L’incubo.
Ma qual è l’incubo che tormenta il sonno del nostro autore? La
morte per fame dell’uomo invisibile, a cui i protagonisti assistono
impotenti, è forse la rievocazione dolorosa della GreatFamine,
la grande carestia che colpì l’Irlanda dal
1845
al 1849, che uccise un milione di persone e costrinse ad emigrare in
America altri
due
milioni
di persone nel decennio successivo, tra cui l’autore stesso. Anche
le vittime di quella carestia rimasero invisibili all’Inghilterra,
che allora dominava l’isola con pugno di ferro, e
lasciate
a morire di fame, vittime
non solo della malattia della patata, praticamente l’unico cibo per
i poveri, ma anche da una politica ottusamente liberista che mise le
ragioni del mercato davanti al diritto alla vita.
“An
Irish Peasant Family Discovering the Blight of Their Store,” an
1847 painting by Daniel Macdonald.Credit...National Folklore
Collection, University College Dublin
Resta
il lascito letterario dell’uomo invisibile come incarnazione degli
incubi interiori dell’uomo moderno, ripreso da H.G. Wells ne L’uomo
invisibile, da
Maupassant
ne La
Horla, ma
anche il misterioso Mr. Hyde di Stevenson sembra, a tratti,
l’incarnazione del Mistero: “Mr Hyde era
pallido e simile ad un nano, dava l’impressione di essere deforme
senza tuttavia alcuna evidente deformità...”
🎯Letture
collegate:
Che
cos’era? Un mistero
di
FITZ-JAMES
O'BRIEN
E’
con estrema esitazione, lo confesso, che mi approccio all’incredibile
storia che sto per raccontarvi. Gli eventi che mi propongo di
descrivere sono di una natura così straordinaria che sono pronto a
confrontarmi con un’eccezionale quantità di scetticismo e
derisione. Accetto tutto ciò a prescindere. Credo di possedere il
coraggio letterario di affrontare l’incredulità. Dopo matura
considerazione, ho deciso di narrare, nel modo più semplice e
diretto di cui sono capace, alcuni fatti che mi è capitato di
osservare, nel luglio scorso, e che, negli annali dei misteri delle
scienze naturali, non hanno eguali.
Abito
al n°… della ventiseiesima strada a New York. La casa, sotto certi
aspetti, è singolare. Negli ultimi due anni ha goduto della
reputazione di essere infestata. E’ una residenza grande e
imponente, circondata da quello che una volta era un giardino, ma che
ora è soltanto un recinto erboso usato per sbiancare i tessuti. La
vasca asciutta di quella che è stata una fontana, e alcuni alberi da
frutta inselvatichiti e trascurati, indicano che questo luogo in
passato è stato un rifugio piacevole e ombroso, pieno di frutti e
fiori e del dolce mormorio delle acque. La casa è molto spaziosa. Un
ingresso di maestose proporzioni conduce ad un’ampia scala a
chiocciola che si dipana al suo centro, mentre le diverse stanze sono
di imponenti dimensioni. E’ stata costruita circa quindici o venti
anni fa da Mr. A…, il famoso mercante di New York che cinque
anni fa mise in agitazione il mondo del commercio con una
stupefacente frode bancaria. Mr. A…, come tutti sanno, fuggì in
Europa e morì, non molto tempo dopo, in seguito ad un attacco di
cuore. Poco dopo che la notizia della sua dipartita raggiunse il
nostro paese e venne confermata, nella ventiseiesima strada si sparse
la voce che il n°… era infestato. In seguito a misure legali, la
vedova del suo primo proprietario ne fu espropriata e venne abitato
da un guardiano e da sua moglie, sistemati lì dall’agente
immobiliare nelle cui mani era passato alla scopo di affittarlo o
venderlo. Queste persone dichiararono di essere tormentate da rumori
innaturali. Le porte si aprivano senza una causa tangibile. I mobili
superstiti sparpagliati nelle varie stanze venivano, durante la
notte, accatastai gli uni sugli altri da mani sconosciute. Piedi
invisibili andavano su e giù per le scale in pieno giorno,
accompagnati dal fruscio di invisibili abiti di seta e dallo scorrere
di mani incorporee lungo le massicce balaustre. Il guardiano e sua
moglie dichiararono di non volerci più vivere. L’agente
immobiliare rise, li licenziò e mise altre persone al loro posto. I
rumori e le manifestazioni soprannaturali continuarono. Il vicinato
venne a conoscenza della storia e la casa rimase sfitta per tre anni.
Diverse persone iniziarono delle trattative ma, in qualche modo,
puntualmente prima di concludere l’affare sentivano le spiacevoli
voci si rifiutavano di concludere.
Fu
in questo stato di cose che la mia padrona di casa, che a quel tempo
gestiva una pensione in Bleecker Street e che desiderava traslocare
più in periferia, concepì la temeraria idea di affittare il n°…
della ventiseiesima strada. Datasi la coincidenza di avere in casa
sua un gruppo di pensionanti piuttosto audaci e disincantati, ci
illustrò il suo progetto, riferendo candidamente tutto quello che
aveva sentito riguardo alle caratteristiche spettrali dell’edificio
in cui voleva trasferirci. Con l’eccezione di due persone timorose
– un capitano di mare e un cercatore californiano – che
immediatamente fecero sapere che se ne sarebbero andati, - tutti gli
ospiti di Mrs. Moffat dichiararono che l’avrebbero accompagnata
nella sua cavalleresca incursione nella dimora degli spiriti.
Il
nostro trasferimento avvenne nel mese di maggio, e tutti rimanemmo
affascinati dalla nostra nuova residenza. Quella parte della
ventiseiesima strada dove è situata la nostra casa, tra la sesta e
l’ottava strada, è una delle località più piacevole di New York.
I giardini dietro la casa, che arrivavano giù fin quasi all’Hudson,
formano, durante l’estate, un perfetto viale verdeggiante. L’aria
è pura e balsamica, perché avanza attraverso il fiume venendo giù
dalle alture del Weehawken, e perfino il malmesso giardino che
circondava la casa, anche se nei giorni di bucato dispiegava fin
troppi stenditoi, ci dava un angolo di verde da guardare e un fresco
rifugio nelle notti estive, dove all’imbrunire fumavamo i nostri
sigari e guardavamo le lucciole lampeggiare le loro lanterne cieche
fra i lunghi fili d’erba.
Naturalmente,
non appena ci stabilimmo al n°… incominciammo ad aspettare i
fantasmi. Attendevamo la loro venuta con grande impazienza. A cena,
le nostre conversazioni riguardavano il soprannaturale. Uno dei
pensionanti, che aveva acquistato il saggio di Mrs. Crowe Night
Side of Nature1 per
suo personale diletto, era
guardato da tutti come un nemico pubblico per non averne prese venti
copie. Nel periodo in cui lesse questo volume condusse una vita
estremamente disagiata. Stabilimmo un sistema di spionaggio, di cui
egli era la vittima. Se incautamente metteva giù il libro per un
momento e usciva dalla stanza, ce ne appropriavamo immediatamente
per leggerlo ad alta voce in posti segreti a pochi eletti.
Mi
ritrovai ad essere una persona importante,
essendo trapelata la notizia che ero sufficientemente versato nella
storia del soprannaturale e che una volta avevo scritto un racconto
basato
su un fantasma. Se un tavolo o un listello del rivestimento in legno
scricchiolava quando eravamo riuniti nell’ampio soggiorno, per un
attimo cadeva il silenzio ed
eravamo tutti preparati ad un immediato clangore di catene e ad
un’apparizione spettrale. Dopo
un mese di eccitazione psicologica, fu
con la massima insoddisfazione che dovemmo ammettere che non si era
manifestato niente che si avvicinasse minimamente al soprannaturale.
Una volta il maggiordomo nero asserì che la sua candela era stata
spenta da un agente invisibile mentre si stava spogliando per la
notte, ma poiché avevo sorpreso più di una volta questo gentiluomo
di colore in una condizione in cui una candela doveva essergli
apparsa doppia, pensai che probabilmente, avendo alquanto esagerato
con le sue libagioni, aveva invertito il fenomeno e non aveva visto
nessuna candela là dove avrebbe dovuto vederne una.
Questo
era lo stato delle cose quando accadde un incidente di natura così
spaventosa e inesplicabile che la ragione quasi vacilla al solo
ricordo di quell’evento. Era il dieci di luglio. Dopo
aver cenato mi rifugiai, con il mio amico, il Dr. Hammond, nel
giardino per fumare la mia pipa serale. Indipendentemente da alcune
simpatie intellettive che esistevano tra me e il dottore, eravamo
legati dallo stesso vizio. Entrambi fumavamo oppio. Conoscevamo il
segreto dell’altro e lo rispettavamo. Godevamo insieme di quella
incredibile espansione del pensiero, quella meravigliosa
intensificazione delle qualità percettive, quello sconfinato senso
dell’esistenza che ci fa sembrare di avere punti di contatto con
l’intero universo, in breve, quell’incredibile gioia dello
spirito a cui non rinuncerei nemmeno per un regno e che auguro a te,
lettore, di non provare mai.
Quelle
ore di felicità oppiacea che il dottore ed io trascorrevamo in
segreto erano regolate con accuratezza scientifica. Non fumavamo la
droga del paradiso alla cieca e non lasciavamo i nostri sogni al
caso. Mentre fumavamo, guidavamo con accortezza le nostre
conversazioni lungo le più brillanti e calme correnti di pensiero.
Parlavamo dell’oriente, e ci sforzavamo di ricordare il magico
panorama del suo glorioso scenario. Criticavamo i poeti più sensuali
– coloro che dipingevano la vita rossa di salute, ricolma di
passione, felice nel pieno godimento di giovinezza, forza e bellezza.
Se parlavamo della Tempesta2 di
Shakespeare, ci soffermavamo su Ariel ed evitavamo Calibano. Come gli
zoroastriani3, volgevamo i nostri volti ad oriente e
vedevamo solo il lato assolato del mondo.
Fumatore di oppio - Angelo Garino, 1921 |
La
sapiente colorazione impressa al corso dei nostri pensieri produceva
nelle visioni che ne seguivano una sfumatura dello stesso tono. Lo
splendore delle favolose terre d’Arabia tingeva i nostri sogni.
Percorrevamo lo stretto sentiero erboso con il passo e il portamento
di un re. Il verso della raganella arborea, aggrappata alla corteccia
dell’inselvatichito susino, risuonava come le melodie di musici
divini. Case, muri e strade si scioglievano come nuvole cariche di
pioggia e visioni di inimmaginabile splendore si stendevano davanti a
noi. Era un sodalizio inebriante. Godevamo di questo immenso piacere
in maniera ancora più perfetta perché, perfino nei nostri momenti
di maggiore estasi, eravamo consapevoli della presenza dell’altro.
I nostri piaceri, seppure individuali, erano tuttavia gemelli,
vibrando e muovendosi in musicale armonia.
La
sera in questione, il dieci di luglio, il dottore ed io eravamo
immersi nel nostro consueto stato d’animo metafisico. Accendemmo le
nostre grandi pipe di schiuma, caricate con il miglior tabacco turco,
in mezzo al quale bruciava una piccola noce nera di oppio che, come
la noce della favola4, conteneva nel suo piccolo guscio
meraviglie sconosciute anche ad un re, e ce ne andammo avanti e
indietro, conversando. Una strana perversione dominava il corso dei
nostri pensieri. Essi si rifiutavano di scorrere attraverso i canali
luminosi in cui ci sforzavamo di indirizzarli. Per qualche misterioso
motivo deviavano costantemente in alvei oscuri e solitari, dove
incombeva una tenebra perpetua. Invano, secondo la nostra vecchia
abitudine, ci slanciammo sulle coste dell’oriente e parlammo di
allegri bazar, degli splendori del regno di Harun5, degli
harem e dei palazzi dorati.
Neri ifrit6 emergevano continuamente dalle profondità dei nostri discorsi e si ingigantivano, - come quello che il pescatore liberò dal recipiente di rame, - fino a che oscurarono ogni forma luminosa della nostra visione. Senza accorgercene, cedemmo alla forza occulta che ci dominava e indulgemmo in cupe speculazioni. Avevamo parlato per un po’ della predisposizione della mente umana al misticismo e della predilezione quasi universale per il terribile, quando, improvvisamente, Hammond mi chiese: “Quale pensi che sia il più grande elemento del terrore?”
Harun-al-Rashid |
Neri ifrit6 emergevano continuamente dalle profondità dei nostri discorsi e si ingigantivano, - come quello che il pescatore liberò dal recipiente di rame, - fino a che oscurarono ogni forma luminosa della nostra visione. Senza accorgercene, cedemmo alla forza occulta che ci dominava e indulgemmo in cupe speculazioni. Avevamo parlato per un po’ della predisposizione della mente umana al misticismo e della predilezione quasi universale per il terribile, quando, improvvisamente, Hammond mi chiese: “Quale pensi che sia il più grande elemento del terrore?”
La
domanda mi lasciò perplesso. Che molte cose fossero terribili, lo
sapevo. Inciampare in un cadavere al buio; restare a guardare, come
mi accade una volta, una donna che galleggia giù per la corrente
impetuosa di un fiume profondo, con le braccia convulsamente alzate e
la faccia, terribile, rivolta verso l’alto e che, mentre viene
trascinata, lancia urla da strappare il cuore mentre noi, spettatori,
restavamo immobili dietro una finestra che si affacciava sul fiume ad
un’altezza di circa venti metri, incapaci di fare il minimo sforzo
per salvarla, osservando in silenzio la sua ultima suprema agonia e
la sua scomparsa. Il relitto andato in rovina di una nave, che non
mostra alcuna traccia di vita, incontrato mentre si naviga
pigramente sull’oceano, è un oggetto terribile, perché suggerisce
un terrore sconfinato, i cui limiti sono indefinibili. Ma ora, per la
prima volta, mi venne da pensare che ci doveva essere una più grande
e superiore manifestazione della paura, un re del terrore a cui tutti
gli altri devono sottomettersi. Cosa poteva essere? A quale catena di
eventi doveva la sua esistenza?
“Devo
confessarti, Hammond,” risposi al mio amico, “che non ho mai
preso in considerazione questo argomento prima d’ora. Che ci debba
essere un qualcosa più terribile di ogni altra, ne sono cosciente.
Tuttavia, non riesco nemmeno a tentare la più vaga definizione.”
“Sono
un po’ come te, Harry,” mi rispose. “Mi sento capace di provare
un terrore più grande di ogni cosa mai concepita dalla mente umana:
qualcosa che risulti dall’amalgama del pauroso e dell’innaturale,
elementi fino ad ora considerati incompatibili. Il richiamo delle
voci in Wieland7, il
romanzo di Brockden Brown, è tremendo; come pure il
ritratto del Guardiano della Soglia, nello Zanoni8
di Bulwer, ma,”Aggiunse,”
scuotendo tristemente la testa, “c’è qualcosa di
ancora più
terribile di tutto ciò.”
“Ascolti,
Hammond,” replicai, “lasciamo perdere questi discorsi, per amor
del cielo! Ne soffriremo, ne diventeremo succubi.”
“Non
so cosa mi succede stanotte,” replicò, “ma il mio cervello
rincorre ogni sorta di pensieri strani e terribili. Sento che potrei
scrivere una storia alla maniera di Hoffman9, stanotte, se
solo padroneggiassi uno stile letterario.”
“Ebbene,
se vogliamo intrattenere una conversazione alla Hoffman, allora me ne
vado a letto. Oppio e incubi non dovrebbero mai essere messi insieme.
E’ una situazione soffocante! Buona notte Hammond.”
“Buona
notte, Harry. Faccia bei sogni.”
“A
lei, misero
tapino, auguro ifrit,
ghoul10
e incantatori.”
The ifrit Al-Malik al-Aswad (The black king) sitting on the right listening to the complaints of jinn |
Ci
separammo e ognuno si recò nella propria camera. Mi svestii
velocemente e mi misi a letto, portando con me, com’era mia
abitudine, un libro, che di solito leggevo fino che
non mi prendeva sonno.
Aprii il volume non appena misi la testa sul cuscino e immediatamente
lo lanciai dall’altra parte della stanza. Si trattava de La
storia dei mostri di
Goudon – un
singolare saggio scritto in
francese che avevo
di recente portato
da Parigi, ma che, nello stato mentale in cui mi trovavo, era
tutt’altro che una piacevole compagnia. Decisi di mettermi a
dormire immediatamente, così, abbassando la lampada a gas fino
a che in cima al tubo non brillò che un puntino
di luce
blu, mi accinsi a riposare.
La
stanza cadde in un buio totale. L’atomo di gas che rimaneva ancora
acceso non illuminava che ad una distanza di pochi centimetri dal
bruciatore. Preso dalla disperazione, mi coprii gli occhi con il
braccio, quasi ad escludere perfino le tenebre, e cercai di non
pensare a niente. Tutto inutile. Gli
sconcertanti argomenti toccati da Hammond nel giardino continuavano
ad insinuarsi nel mio cervello. Combattei contro di loro. Eressi
contrafforti di fittizia oscurità mentale per tenerli fuori.
Continuavano ad assediarmi. Mentre giacevo immobile come un cadavere,
nella speranza che una perfetta inazione fisica avrebbe favorito la
pace mentale, accadde un terribile incidente. Qualcosa cadde, così
sembrava, dal soffitto, proprio sul mio petto e un momento dopo
sentii due mani ossute stringermi il collo, nel tentativo di
soffocarmi.
Non
sono un codardo e sono dotato di una considerevole forza fisica. La
subitaneità dell’attacco, invece di confondermi, tese i miei nervi
fino allo spasimo. Il mio corpo agì d’istinto, prima che il mio
cervello avesse il tempo di realizzare la mia terrificante
condizione. In un istante avvolsi le mie braccia muscolose intorno
alla creatura e la strinsi, con tutta la forza della disperazione,
contro il mio petto. In pochi secondi quelle mani ossute che mi si
erano strette alla gola, allentarono la presa e fui libero di
respirare ancora.
A
quel punto ebbe inizio una lotta di tremenda intensità. Immerso
nella più profonda delle tenebre, del
tutto ignaro della
natura della Cosa da cui ero stato così proditoriamente attaccato;
la mia presa che
scivolava ad ogni istante, a causa, mi sembrò, della completa nudità
del mio assalitore; morso alla spalla, al collo e al petto da denti
aguzzi; costretto a proteggere continuamente la gola da un paio di
mani nervose e agili, che i miei sforzi più disperati non riuscivano
a contenere – questa era la combinazione di circostanze contro cui
combattevo e che richiedeva tutta la forza, l’abilità e il
coraggio che possedevo.
Alla
fine, dopo una lotta silenziosa, letale
ed estenuante, riuscii a sopraffare il mio assalitore grazie ad
una serie di
incredibili sforzi. Una volta che l’ebbi bloccato, con il ginocchio
su quello che pensavo essere il suo torace, mi resi conto di aver
vinto. Mi fermai un attimo a prendere fiato. Sentivo la creatura
sotto di me ansimare pesantemente al buio e percepivo il suo cuore
battere all’impazzata. Sembrava esausto come me, il che mi era di
conforto. In quel momento ricordai che di solito, prima di andare a
letto, sistemavo un gran fazzoletto di seta
gialla sotto il cuscino. Mi
misi subito a cercarlo, era là. Pochi secondi dopo ero riuscito, non
so come, a legare le braccia della creatura. Ora
mi sentivo ragionevolmente al sicuro. Non c’era molto altro da fare
se non accendere il gas e, una volta visto che faccia avesse il mio
assalitore, svegliare tutta la casa. Confesso di essere stato spinto
da un certo orgoglio a non dare l’allarme prima: desideravo
catturarlo da solo e senza aiuto.
Incubo - Johann Heinrich Füssli, 1781 |
Senza
allentare la presa nemmeno per un istante, scivolai giù dal letto,
trascinando con me il prigioniero. Non dovevo fare che pochi passi
per raggiungere il bruciatore del gas, passi
che feci
con la massima cautela, tenendo la creatura in una presa simile ad
una morsa. Alla fine giunsi vicino alla tenue macchiolina di luce blu
che mi indicò dove si trovava il bruciatore. Veloce come un fulmine
lasciai la presa con una mano e aprii al massimo il
flusso della luce.
Poi mi voltai a guardare il mio prigioniero.
Non
riesco nemmeno a provare
a
dare una qualunque descrizione
delle sensazioni che
provai un momento dopo che ebbi aperto il gas. Suppongo
che devo aver gridato per il terrore, perché meno di un minuto dopo
gli inquilini della casa si affollarono nella mia stanza.
Ancora oggi tremo al
pensiero di quel momento tremendo. Non
vidi niente! Sì,
con un braccio cingevo
saldamente
una forma corporea ansimante e boccheggiante, l’altra
mano stringeva
con tutta la sua forza una
gola calda e apparentemente fatta
di carne come la mia,
tuttavia con questa materia vivente nella mia morsa, il suo corpo
stretto contro il mio e tutto ciò alla luce brillante di una
lampada a gas aperta al massimo, io non vidi assolutamente niente!
Nemmeno una
sagoma...
un vapore!
Non
riesco, nemmeno ora, a comprendere la situazione in cui mi trovavo.
Non sono in grado di ricordare completamente quell’incredibile
avvenimento. L’immaginazione cerca invano di circoscrivere quel
terribile paradosso.
Quella
cosa respirava. Sentivo il suo fiato caldo sulla faccia. Combatteva
con ferocia. Aveva mani. Si aggrappavano a me. La sua pelle era
liscia, come la mia. Stava lì, stretto contro di me, solido come una
pietra, eppure completamente invisibile!
Mi
stupisco per non essere svenuto o impazzito all’istante. Un qualche
portentoso istinto deve avermi supportato, perché, eccezionalmente,
invece di allentare la mia presa sul terribile Enigma, mi sembrava di
guadagnare ancora più forza in quel momento di orrore, e strinsi la
presa con tale incredibile forza che sentii la creatura rabbrividire
per il dolore.
Proprio
in quel momento Hammond entrò nella mia camera alla testa degli
altri inquilini. Appena mi guardò in faccia – che, suppongo, deve
essere stato uno spettacolo spaventevole da guardare – si affrettò
verso di me
gridando, “Buon Dio, Harry! cos’è successo?”
"Hammond!
Hammond!" gridai,
“venga qua. Oh, è una cosa tremenda! Sono stato attaccato a letto
da qualcosa che ho catturato, ma non riesco a vederla… non riesco a
vederla!”
Hammond,
evidentemente colpito dal genuino
terrore del mio volto, avanzò di qualche passo con un’espressione
ansiosa eppure
sconcertata. Gli
altri visitatori
scoppiarono in una risatina sommessa.
Questa risata soffocata mi rese furioso. Ridere di un essere umano
nella mia condizione!
Era la peggior
specie di crudeltà. Ora,
posso capire perché lo spettacolo di un uomo che lottava
violentemente, come sembrava, con un incorporeo niente e che invocava
aiuto contro una
visione, deve essere
sembrato ridicolo. Allora,
tale era la mia rabbia nei confronti di quella folla beffarda che, se
ne avessi avuto il potere, li avrei fulminati
su due piedi.
"Hammond!
Hammond!" gridai di nuovo disperato, “per amor di Dio, venga
qui. Non riuscirò a trattenere questa… questa cosa ancora per
molto. Sta prendendo il sopravvento. Mi aiuti! Mi aiuti!”
"Harry,"
sussurrò Hammond, avvicinandosi, “avete fumato troppo oppio.”
“Le
giuro, Hammond, che questa non è una visione,” risposi, nello
stesso tono basso. “Non vede come tutto il mio corpo viene scosso
dai i suoi sforzi? Se non mi crede, si convinca da solo. Coraggio, lo
tocchi.”
Hammond
si fece avanti e pose la mano dove gli avevo indicato. Un disperato
urlo di orrore si levò da lui. Lo aveva sentito!
In
un attimo aveva trovato da qualche parte nella mia stanza un lungo
pezzo di corda e subito dopo lo stava girando e legando intorno al
corpo di quell’essere invisibile che io tenevo fermo con le mie
braccia.
“Harry,”
disse, con voce roca e agitata perché, anche se conservava tutta la
sua presenza di spirito, era profondamente scosso, “Harry, è tutto
a posto ora. Puoi lasciarlo andare, vecchio mio, se sei stanco.
Quella cosa non può muoversi.”
Ero
esausto e mollai la presa volentieri.
Hammond
rimaneva immobile con i capi della corda che legava l’Invisibile
avvolti sulla sua mano, mentre davanti a sé, come se si mantenesse
da sola, fissava una fune avvolta, riavvolta e fermamente stretta
intorno ad uno spazio vuoto. Non avevo mai visto un uomo così
profondamente preso dallo sgomento.
Eppure
il suo volto esprimeva tutto il coraggio e la determinazione di cui,
come ben sapevo, era dotato. Le sue labbra, anche se pallide, non
tremavano e si poteva percepire a prima vista che, sebbene impaurito,
non era intimidito.
La
confusione che ne seguì tra gli ospiti della casa che furono
testimoni di quella scena straordinaria tra Hammond e me, - che
osservarono la pantomima di lui che legava quel Qualcosa riottoso, -
che mi videro quasi venir meno per la stanchezza fisica quando il mio
compito di carceriere cessò – la confusione e il terrore che si
impadronirono degli astanti, quando videro tutto ciò, superò ogni
immaginazione. I più fragili fuggirono via dalla stanza. Quei pochi
che rimasero si accalcarono vicino alla porta e non fu possibile
convincerli ad avvicinarsi ad Hammond e al suo prigioniero. Tuttavia
l’incredulità si mescolava al terrore. Non avevano il coraggio di
verificare, eppure erano presi dal dubbio. In vano pregai qualcuno di
loro di avvicinarsi e convincersi toccandolo dell’esistenza in
quella stanza di un essere vivente invisibile.
Erano
increduli, ma non osavano fare chiarezza. Chiedevano come potesse un
corpo solido, vivente e che respirava essere invisibile. Questa fu la
mia risposta. Feci un cenno ad Hammond e insieme, superando la
terribile ripugnanza di toccare un essere invisibile, lo sollevammo
da terra, legato com’era, e lo portammo al mio letto. Pesava
all’incirca come un ragazzo di quattordici anni.
“Ora,
amici miei,” dissi, mentre Hammond ed io tenevamo la creatura
sospesa sul letto, “posso dimostrarvi senza ombra di dubbio che
siamo in presenza di un corpo solido e pesante, che, tuttavia, non
potete vedere. Siate così gentili da osservare attentamente la
superficie del letto.”
Mi
stupivo del mio stesso coraggio nel trattare questo singolare
avvenimento con tanta calma, ma mi ero ormai ripreso dal mio primo
terrore e riguardo a questa faccenda provavo una sorta di orgoglio
scientifico, che dominava ogni altro sentimento.
Gli
occhi dei presenti si fissarono immediatamente sul mio letto. Ad un
determinato segnale Hammond ed io lasciammo cadere la creatura. Ci fu
il rumore sordo di un corpo pesante che si posa su di una massa
soffice. Le tavole del letto scricchiolarono. Sul cuscino si formò
distintamente una profonda depressione, e lo stesso sul letto. A
questa vista, gli spettatori proruppero in un urlo sommesso e
fuggirono dalla stanza. Hammond ed io restammo soli con il nostro
Mistero.
Rimanemmo
in silenzio per qualche tempo, ascoltando il respiro basso e
irregolare della creatura e osservando il movimento frenetico delle
coperte provocato dai suoi inutili sforzi per liberarsi dalla
cattività. Poi Hammond interruppe il silenzio.
“Harry,
è terribile.”
“Sì,
terribile.”
“Ma
non inspiegabile.”
“Non
inspiegabile! Cosa vuoi dire? Una cosa del genere non è mai accaduta
dalle origini del mondo. Non so cosa pensare, Hammond. Voglia Dio che
non sia pazzo e che questa non sia una folle fantasia!”
“Ragioniamo
un attimo, Harry. Ecco qui un corpo solido che possiamo toccare ma
non vedere. Questo fatto è così insolito che ci riempie di
sgomento.
Tuttavia, è proprio vero che non esistano fenomeni analoghi?
Prendiamo un pezzo di vetro senza impurità. E’ tangibile e
trasparente. Una
certa imperfezione chimica è la sola cosa che gli impedisce di
essere completamente trasparente e totalmente invisibile. Non è
teoricamente impossibile,
intendiamoci, ottenere
un vetro che non rifletta un singolo raggio di luce, - un
vetro così puro e con atomi così omogenei che i raggi del sole lo
attraverseranno, così come fanno nell’aria,
rifratti ma non
riflessi. Non vediamo l’aria, eppure la sentiamo.”
“E’
vero, Hammond, ma si tratta di sostanze inanimate. Il vetro non
respira, l’aria non respira. Questa cosa ha un cuore che batte –
una volontà che la muove, - polmoni che funzionano: inspirano ed
espirano.”
“Lei
dimentica il fenomeno di cui abbiamo sentito parlare così spesso
ultimamente,” mi rispose il dottore, con voce seria. “Durante
quelle riunioni chiamate ‘sedute spiritiche11,’ mani
invisibili hanno stretto le mani delle persone intorno al tavolo, -
mani calde, di carne che sembravano pulsare di vita mortale.”
“Cosa?
Lei dunque pensa che questa cosa sia…!”
“Non
so cosa sia,” fu la sua solenne risposta, “ma piaccia agli dei
che con il suo aiuto riesca ad andare fino in fondo.”
Per
tutta la notte restammo di guardia, fumando molte pipe, al capezzale
di quell’essere misterioso che si agitò ed ansimò finché sembrò
esausto. Allora capimmo dal respiro debole e regolare che si era
addormentato.
Il
mattino seguente la casa era tutta in subbuglio. I pensionanti si
affollarono sul pianerottolo fuori dalla mia stanza ed Hammond ed io
ci trovammo al centro dell’attenzione. Dovemmo rispondere a
migliaia di domande sullo stato del nostro straordinario prigioniero.
Infatti, non era ancora stato possibile convincere qualcuno della
casa, eccetto noi due, a mettere piede nella camera.
La
creatura era sveglia. Ciò era reso evidente dalla convulsa maniera
in cui le coperte venivano mosse nel suo tentativo di fuggire. C’era
qualcosa di veramente spaventoso nell’osservare quegli, per così
dire, indizi di seconda mano delle terribili contorsioni e degli
sforzi agonizzanti per la libertà, che di per sé erano invisibili.
Durante
quella lunga notte Hammond ed io ci eravamo lambiccati il cervello
per escogitare qualche mezzo utile a rilevare la forma e l’aspetto
generale dell’Enigma. Per quello che eravamo riusciti a capire
passando le mani sulla creatura, le sue forme e i suoi lineamenti
erano umani. C’era una bocca; una testa tonda, liscia e senza
capelli; un naso che, comunque, era poco sporgente sulle guance; le
mani ed i piedi sembravano quelli di un ragazzo. Dapprincipio
pensammo di mettere quell’esser su una superficie liscia e segnare
il suo contorno con un gesso, così come i calzolai segnano il
contorno dei piedi. Questo progetto fu abbandonato perché di nessun
valore. Un tale disegno non ci avrebbe dato la minima idea della sua
conformazione.
Mi
balenò in
testa una felice
intuizione. Avremmo preso un calco in gesso. Così
avremmo ottenuto una figura solida e soddisfatto tutti i nostri
desideri. Ma come
riuscirci? I movimenti della creatura avrebbero disturbato la posa
del gesso e falsato il calco. Un’altra idea. Perché
non somministrargli del cloroformio? Quell’essere aveva un
apparato polmonare, - come
si evinceva dal suo respiro.
Una volta ridotto ad uno
stato d’incoscienza, ne potevamo fare quello che volevamo. Mandammo
a chiamare il dottor X…, e
quando quel valente medico si riprese dall’iniziale sconcerto,
procedette ad amministrare il cloroformio. Tre minuti dopo eravamo in
grado di rimuovere i legacci dal corpo della creatura e un modellista
si diede da fare per ricoprire quella forma invisibile con creta
umida. Cinque minuti dopo il calco era stato completato e prima di
sera avemmo un approssimativo facsimile del Mistero.
Aveva
la forma di un uomo – distorto, rozzo, orribile, ma tuttavia un
uomo. Era piccolo, non più alto di un metro e trenta e i suoi arti
rivelavano
uno sviluppo muscolare senza eguali. La sua faccia sorpassava in
mostruosità qualunque cosa avessi mai visto. Gustav Doré, o
Callot12,
o Tony Johannot13,
non avevano mai concepito niente di così orribile. C’è una faccia
in una della ultimeillustrazioni a Un Voyage où il
vous plaira13,
che in qualche modo si avvicina ai
lineamenti di questa
creatura, ma non li
eguaglia. Era la fisionomia di quello che, immagino, potrebbe essere
un ghoul.
Avendo
soddisfatto la nostra curiosità e vincolato alla segretezza ogni
abitante della casa, si presentò il problema di cosa fare del nostro
Enigma. Era impossibile tenere in casa un tale orrore, e altrettanto
impossibile lasciare andare libero per il mondo quell’essere
spaventoso. Confesso che avrei volentieri votato per la distruzione
di quella creatura. Ma chi si sarebbe accollato una tale
responsabilità? Chi avrebbe messo in atto l’esecuzione di quella
terribile parvenza di un essere umano? Giorno dopo giorno la
questione veniva discussa con estrema serietà.
Tutti
i pensionanti lasciarono la casa. Mrs. Moffat era disperata e
minacciava Hammond e me con ogni sorta di azione legale se non
avessimo rimosso l’Orrore. La nostra risposta fu, “Se vuole ce ne
andiamo, ma ci rifiutiamo di portare con noi questa creatura. Se ne
liberi lei, se le va. E’ apparsa in casa sua. La responsabilità
ricade su di lei.” Naturalmente, non ci fu alcuna replica. Mrs.
Moffat non riuscì a trovare, né per amore né per danaro, qualcuno
che volesse soltanto
avvicinarsi al
Mistero.
La
parte più singolare della faccenda era che noi ignoravamo totalmente
di cosa si nutrisse abitualmente quella creatura. Gli fu messo
davanti qualunque genere di cibo che ci venisse in mente, ma non fu
mai toccato. Era terribile rimanere lì, giorno dopo giorno, a
guardare le coperte agitarsi e sentire il respiro farsi sempre più
pesante, e sapere che stava morendo di fame. Passarono dieci, dodici,
quindici giorni, ed era ancora in vita. Le pulsazioni del cuore,
comunque, si erano fatte sempre più deboli col passare del tempo ed
ora erano quasi cessate. Era evidente che la creatura stava morendo
per mancanza di sostentamento. Mentre questa terribile lotta per la
vita proseguiva, io stavo male. Non riuscivo a dormire. Per quanto
quella creatura fosse orribile, era penoso pensare ai patimenti che
stava soffrendo.
Alla
fine morì. Una mattina, Hammond ed io lo trovammo freddo e stecchito
nel suo letto. Il cuore aveva cessato di battere, i polmoni di
respirare. Ci affrettammo a seppellirlo nel giardino. Fu uno strano
funerale: scaricammo quel corpo invisibile in una umida buca. Donai
il calco delle sue sembianze al dottor X…, che lo conserva nel suo
museo sulla decima strada.
Poiché
sono alla vigilia di un lungo viaggio da cui potrei non ritornare, ho
stilato questo resoconto dell’evento più singolare che sia mai
venuto in mia conoscenza.
FINE
1
Catherine
Stevens,
nota al pubblico come Catherine
Crowe
(1803 –1876), è stata una scrittrice britannica di romanzi gialli,
libri per bambini e opere teatrali. Si interessò al soprannaturale e
l'opera che maggiormente risentì del suo fascino per i fenomeni
ultraterreni fu The
Night-Side of Nature, or, Ghosts and Ghost-seers
del 1848, e fu particolarmente apprezzata da Charles Baudelaire.
E’
considerata la prima scrittrice britannica ad avere usato il termine
poltergeist.
2
La
tempesta
(The
Tempest) è un'opera teatrale in cinque atti scritta da William
Shakespeare
tra il 1610 e il 1611 che si svolge in un’isola deserta
del
mediterraneo. Ariel
è uno spirito benevolo, mentre Calibano
è l’indigeno deforme e lascivo.
3
Lo zoroastrismo
è la religione basata sugli insegnamenti del profeta Zarathuštra (o
Zoroastro) ed è stata in passato la religione principale più
diffusa sia teologicamente che demograficamente e politicamente,
nelle regioni iraniche e dell'Asia centrale tra il VI secolo a.C. e
il X secolo d.C.
4
Le favole citate appartengono alle Mille
e una notte.
5
Harun
al-Rashid fu califfo di Bagdad (oggi capitale dell’Iraq) dal 786
all’809. Fu il quinto califfo della dinastia degli Abbasidi.
Sotto il regno di Harun, il cui impero si estendeva sull’Asia
sud-occidentale e sul Nord Africa, Bagdad divenne il centro del mondo
arabo. Il califfo ebbe relazioni diplomatiche con l’imperatore
Carlo Magno e con i T’ang, gli imperatori della Cina; fu
in guerra con Bisanzio dal 791 alla sua morte. Il califfo deve la sua celebrità anche al fatto di essere il protagonista di varie vicende narrate nella silloge favolistica intitolata Le mille e una notte (Alf layla wa layla), dove è fin troppo generosamente ricordato come il prototipo del governante buono e giusto, a dispetto del suo spietato operare ai danni dei Barmecidi, la cui ottima amministrazione aveva garantito basi floride e solide al suo califfato.
in guerra con Bisanzio dal 791 alla sua morte. Il califfo deve la sua celebrità anche al fatto di essere il protagonista di varie vicende narrate nella silloge favolistica intitolata Le mille e una notte (Alf layla wa layla), dove è fin troppo generosamente ricordato come il prototipo del governante buono e giusto, a dispetto del suo spietato operare ai danni dei Barmecidi, la cui ottima amministrazione aveva garantito basi floride e solide al suo califfato.
6
Potenti
jinn o demoni nella mitologia islamica gli
ifrit
vengono
anche identificati con gli spiriti dei morti.
7
Wieland:
o, The Transformation: An American Tale, di solito chiamato
semplicemente Wieland, è la prima grande opera di Charles Brockden
Brown. Pubblicato per la prima volta nel 1798, Wieland è talvolta
considerato il primo romanzo gotico americano.
8
Zanoni
è un romanzo del 1842 di Edward Bulwer-Lytton, una storia di amore e
magia- Il suo protagonista, Zanoni, conosce il segreto
dell’immortalità, a cui rinuncia per amore della bella Viola.
9
Hoffmann,
Ernst Theodor Amadeus. - Scrittore, musicista e disegnatore tedesco
(1776 - 1822). Nelle sue fiabe fantastico-grottesche la frattura tra
l'arte e la meschina condizione dell'umanità è resa da personaggi
sinistri che si muovono fra la realtà e il soprannaturale.
10
La ghul
o gul,
italianizzato in gula.
Essere demonico femminile di natura maligna, mantenutosi nelle
credenze degli Arabi dall’epoca preislamica.
11
Lo spiritismo
è una dottrina apparsa nel 1857 in Francia, esposta pubblicamente
attraverso i libri di Allan Kardec. Il termine "spiritismo"
fu adottato per evidenziare i nuovi postulati rispetto alle altre
visioni spiritualiste della vita. Nelle sue ricerche Kardec osservò
una serie di fenomeni e formulò l'ipotesi che tali fenomeni
potessero essere attribuiti solamente a intelligenze incorporee
(spiriti). Le comunicazioni spiritiche avverrebbero "grazie
all'intervento di un medium", ossia una persona con particolari
doti che fungerebbe da mediatore fra spiriti e viventi, durante la
cosiddetta seduta spiritica
12
Jacques
Callot
(1592 – 1635) è stato un incisore francese. Paul
Gustave Louis Cristophe Doré,
(1832 –1883), è stato un pittore e incisore francese.
Illustratore di straordinario valore, disegnatore e litografo, è
noto soprattutto per le sue illustrazioni della Divina
Commedia
di Dante,
13
Pubblicato nel 1843, è considerato un piccolo capolavoro della
letteratura fantastica ad opera del poeta e scrittore Alfred de
Musset e dell’illustratore T. Johannot .
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