lunedì 30 marzo 2020

Cos'era? Un mistero.






Fitz-James O'Brien, scritto anche Fitz James (1828 – 1862), è stato uno scrittore irlandese naturalizzato statunitense, considerato uno dei precursori del moderno genere fantascientifico. La sua vita, intensa e a tratti avventurosa, si arricchì ben presto di un alone romantico e quasi leggendario, come la sua letteratura. Morì a 33 anni durante la guerra civile americana.
Fra i suoi racconti La lente di diamante (The Diamond Lens) (1858) e Il forgiatore di meraviglie (The Wonder Smith) (1859), restano capolavori insuperati dell'immaginazione. La sua opera sarà un modello per i più grandi autori del fantastico, da Maupassant a Lovecraft, da Wells a Merrith. 
 
La storia che vi propongo Che cos'era? Un mistero (What Was It? A Mystery) (1859) è invece uno dei primi esempi conosciuti di invisibilità nella narrativa.
 
Il racconto è ambientato a New York ed è narrato in prima persona dal protagonista, interessato al soprannaturale e sovrapponibile all’autore, avendo scritto una storia ‘basata su un fantasma.’

Al centro della vicenda c’è una casa considerata infestata, dopo che il suo ricco proprietario, Mister A., muore di crepacuore in seguito ad una vergognosa bancarotta. I custodi che si susseguono lamentano strani rumori, porte che sbattono ecc., come nella migliore antologia horror, al punto che nessuno vuole più abitarci, finché la padrona della pensione dove abita il protagonista, in accordo con i suoi pensionanti, descritti come ‘piuttosto audaci e disincantati,’ decide di prenderla in affitto. I nuovi inquilini, tuttavia, restano delusi dal fatto che nessun caso straordinario si manifesti e al narratore e al suo amico Hammond non resta che godere della reciproca compagnia, accomunati dal loro vizio segreto, l’oppio, e dal loro interesse per il soprannaturale. Una notte, dopo un’inquietante conversazione su quale sia “...il più grande elemento del terrore?il protagonista è assalito nel letto da qualcosa caduta dal soffitto: morso alla spalla, al collo e al petto da denti aguzzi; costretto a proteggere continuamente la gola da un paio di mani nervose e agili.” Quando alla fine riesce a liberarsi, scopre con sgomento che il suo assalitore è invisibile: “Io non vidi assolutamente niente! Nemmeno una sagoma... un vapore!
Con l’aiuto di Hammond, il Mistero, come lo chiama il narratore, viene legato e reso inoffensivo, mentre gli altri inquilini, in preda al terrore, abbandonano la casa. Per i due amici, tuttavia, la curiosità prevale sulla paura, così, con l’aiuto di un medico e un modellista, riescono a prendere un calco della creatura: “Aveva la forma di un uomo – distorto, rozzo, orribile, ma tuttavia un uomo. Era piccolo, non più alto di un metro e trenta e i suoi arti rivelavano uno sviluppo muscolare senza eguali. La sua faccia sorpassava in mostruosità qualunque cosa avessi mai visto.
In attesa di decidere il destino di questo Orrore, i due amici continuano a tenerlo prigioniero, e cercano di nutrirlo come meglio possono, ma nessun cibo viene accettato. Ai due non resta che assistere impotenti alla lenta morte per fame del loro prigioniero.

Questo demone cannibalesco che assale il narratore nel cuore della notte richiama alla mente il famoso dipinto di Fuessli, L’incubo. Ma qual è l’incubo che tormenta il sonno del nostro autore? La morte per fame dell’uomo invisibile, a cui i protagonisti assistono impotenti, è forse la rievocazione dolorosa della GreatFamine, la grande carestia che colpì l’Irlanda dal 1845 al 1849, che uccise un milione di persone e costrinse ad emigrare in America altri due milioni di persone nel decennio successivo, tra cui l’autore stesso. Anche le vittime di quella carestia rimasero invisibili all’Inghilterra, che allora dominava l’isola con pugno di ferro, e lasciate a morire di fame, vittime non solo della malattia della patata, praticamente l’unico cibo per i poveri, ma anche da una politica ottusamente liberista che mise le ragioni del mercato davanti al diritto alla vita. 

  “An Irish Peasant Family Discovering the Blight of Their Store,” an 1847 painting by Daniel Macdonald.Credit...National Folklore Collection, University College Dublin 

 
Resta il lascito letterario dell’uomo invisibile come incarnazione degli incubi interiori dell’uomo moderno, ripreso da H.G. Wells ne L’uomo invisibile, da Maupassant ne La Horla, ma anche il misterioso Mr. Hyde di Stevenson sembra, a tratti, l’incarnazione del Mistero: “Mr Hyde era pallido e simile ad un nano, dava l’impressione di essere deforme senza tuttavia alcuna evidente deformità...”


🎯Letture collegate:









Che cos’era? Un mistero
di
FITZ-JAMES O'BRIEN






E’ con estrema esitazione, lo confesso, che mi approccio all’incredibile storia che sto per raccontarvi. Gli eventi che mi propongo di descrivere sono di una natura così straordinaria che sono pronto a confrontarmi con un’eccezionale quantità di scetticismo e derisione. Accetto tutto ciò a prescindere. Credo di possedere il coraggio letterario di affrontare l’incredulità. Dopo matura considerazione, ho deciso di narrare, nel modo più semplice e diretto di cui sono capace, alcuni fatti che mi è capitato di osservare, nel luglio scorso, e che, negli annali dei misteri delle scienze naturali, non hanno eguali. 
 
Abito al n°… della ventiseiesima strada a New York. La casa, sotto certi aspetti, è singolare. Negli ultimi due anni ha goduto della reputazione di essere infestata. E’ una residenza grande e imponente, circondata da quello che una volta era un giardino, ma che ora è soltanto un recinto erboso usato per sbiancare i tessuti. La vasca asciutta di quella che è stata una fontana, e alcuni alberi da frutta inselvatichiti e trascurati, indicano che questo luogo in passato è stato un rifugio piacevole e ombroso, pieno di frutti e fiori e del dolce mormorio delle acque. La casa è molto spaziosa. Un ingresso di maestose proporzioni conduce ad un’ampia scala a chiocciola che si dipana al suo centro, mentre le diverse stanze sono di imponenti dimensioni. E’ stata costruita circa quindici o venti anni fa da Mr. A…, il famoso mercante di New York che cinque anni fa mise in agitazione il mondo del commercio con una stupefacente frode bancaria. Mr. A…, come tutti sanno, fuggì in Europa e morì, non molto tempo dopo, in seguito ad un attacco di cuore. Poco dopo che la notizia della sua dipartita raggiunse il nostro paese e venne confermata, nella ventiseiesima strada si sparse la voce che il n°… era infestato. In seguito a misure legali, la vedova del suo primo proprietario ne fu espropriata e venne abitato da un guardiano e da sua moglie, sistemati lì dall’agente immobiliare nelle cui mani era passato alla scopo di affittarlo o venderlo. Queste persone dichiararono di essere tormentate da rumori innaturali. Le porte si aprivano senza una causa tangibile. I mobili superstiti sparpagliati nelle varie stanze venivano, durante la notte, accatastai gli uni sugli altri da mani sconosciute. Piedi invisibili andavano su e giù per le scale in pieno giorno, accompagnati dal fruscio di invisibili abiti di seta e dallo scorrere di mani incorporee lungo le massicce balaustre. Il guardiano e sua moglie dichiararono di non volerci più vivere. L’agente immobiliare rise, li licenziò e mise altre persone al loro posto. I rumori e le manifestazioni soprannaturali continuarono. Il vicinato venne a conoscenza della storia e la casa rimase sfitta per tre anni. Diverse persone iniziarono delle trattative ma, in qualche modo, puntualmente prima di concludere l’affare sentivano le spiacevoli voci si rifiutavano di concludere.

Fu in questo stato di cose che la mia padrona di casa, che a quel tempo gestiva una pensione in Bleecker Street e che desiderava traslocare più in periferia, concepì la temeraria idea di affittare il n°… della ventiseiesima strada. Datasi la coincidenza di avere in casa sua un gruppo di pensionanti piuttosto audaci e disincantati, ci illustrò il suo progetto, riferendo candidamente tutto quello che aveva sentito riguardo alle caratteristiche spettrali dell’edificio in cui voleva trasferirci. Con l’eccezione di due persone timorose – un capitano di mare e un cercatore californiano – che immediatamente fecero sapere che se ne sarebbero andati, - tutti gli ospiti di Mrs. Moffat dichiararono che l’avrebbero accompagnata nella sua cavalleresca incursione nella dimora degli spiriti.
Il nostro trasferimento avvenne nel mese di maggio, e tutti rimanemmo affascinati dalla nostra nuova residenza. Quella parte della ventiseiesima strada dove è situata la nostra casa, tra la sesta e l’ottava strada, è una delle località più piacevole di New York. I giardini dietro la casa, che arrivavano giù fin quasi all’Hudson, formano, durante l’estate, un perfetto viale verdeggiante. L’aria è pura e balsamica, perché avanza attraverso il fiume venendo giù dalle alture del Weehawken, e perfino il malmesso giardino che circondava la casa, anche se nei giorni di bucato dispiegava fin troppi stenditoi, ci dava un angolo di verde da guardare e un fresco rifugio nelle notti estive, dove all’imbrunire fumavamo i nostri sigari e guardavamo le lucciole lampeggiare le loro lanterne cieche fra i lunghi fili d’erba.
Naturalmente, non appena ci stabilimmo al n°… incominciammo ad aspettare i fantasmi. Attendevamo la loro venuta con grande impazienza. A cena, le nostre conversazioni riguardavano il soprannaturale. Uno dei pensionanti, che aveva acquistato il saggio di Mrs. Crowe Night Side of Nature1 per suo personale diletto, era guardato da tutti come un nemico pubblico per non averne prese venti copie. Nel periodo in cui lesse questo volume condusse una vita estremamente disagiata. Stabilimmo un sistema di spionaggio, di cui egli era la vittima. Se incautamente metteva giù il libro per un momento e usciva dalla stanza, ce ne appropriavamo immediatamente per leggerlo ad alta voce in posti segreti a pochi eletti.
Mi ritrovai ad essere una persona importante, essendo trapelata la notizia che ero sufficientemente versato nella storia del soprannaturale e che una volta avevo scritto un racconto basato su un fantasma. Se un tavolo o un listello del rivestimento in legno scricchiolava quando eravamo riuniti nell’ampio soggiorno, per un attimo cadeva il silenzio ed eravamo tutti preparati ad un immediato clangore di catene e ad un’apparizione spettrale. Dopo un mese di eccitazione psicologica, fu con la massima insoddisfazione che dovemmo ammettere che non si era manifestato niente che si avvicinasse minimamente al soprannaturale. Una volta il maggiordomo nero asserì che la sua candela era stata spenta da un agente invisibile mentre si stava spogliando per la notte, ma poiché avevo sorpreso più di una volta questo gentiluomo di colore in una condizione in cui una candela doveva essergli apparsa doppia, pensai che probabilmente, avendo alquanto esagerato con le sue libagioni, aveva invertito il fenomeno e non aveva visto nessuna candela là dove avrebbe dovuto vederne una.
Questo era lo stato delle cose quando accadde un incidente di natura così spaventosa e inesplicabile che la ragione quasi vacilla al solo ricordo di quell’evento. Era il dieci di luglio. Dopo aver cenato mi rifugiai, con il mio amico, il Dr. Hammond, nel giardino per fumare la mia pipa serale. Indipendentemente da alcune simpatie intellettive che esistevano tra me e il dottore, eravamo legati dallo stesso vizio. Entrambi fumavamo oppio. Conoscevamo il segreto dell’altro e lo rispettavamo. Godevamo insieme di quella incredibile espansione del pensiero, quella meravigliosa intensificazione delle qualità percettive, quello sconfinato senso dell’esistenza che ci fa sembrare di avere punti di contatto con l’intero universo, in breve, quell’incredibile gioia dello spirito a cui non rinuncerei nemmeno per un regno e che auguro a te, lettore, di non provare mai.
Quelle ore di felicità oppiacea che il dottore ed io trascorrevamo in segreto erano regolate con accuratezza scientifica. Non fumavamo la droga del paradiso alla cieca e non lasciavamo i nostri sogni al caso. Mentre fumavamo, guidavamo con accortezza le nostre conversazioni lungo le più brillanti e calme correnti di pensiero. Parlavamo dell’oriente, e ci sforzavamo di ricordare il magico panorama del suo glorioso scenario. Criticavamo i poeti più sensuali – coloro che dipingevano la vita rossa di salute, ricolma di passione, felice nel pieno godimento di giovinezza, forza e bellezza. Se parlavamo della Tempesta2 di Shakespeare, ci soffermavamo su Ariel ed evitavamo Calibano. Come gli zoroastriani3, volgevamo i nostri volti ad oriente e vedevamo solo il lato assolato del mondo. 

Fumatore di oppio - Angelo Garino, 1921
 
La sapiente colorazione impressa al corso dei nostri pensieri produceva nelle visioni che ne seguivano una sfumatura dello stesso tono. Lo splendore delle favolose terre d’Arabia tingeva i nostri sogni. Percorrevamo lo stretto sentiero erboso con il passo e il portamento di un re. Il verso della raganella arborea, aggrappata alla corteccia dell’inselvatichito susino, risuonava come le melodie di musici divini. Case, muri e strade si scioglievano come nuvole cariche di pioggia e visioni di inimmaginabile splendore si stendevano davanti a noi. Era un sodalizio inebriante. Godevamo di questo immenso piacere in maniera ancora più perfetta perché, perfino nei nostri momenti di maggiore estasi, eravamo consapevoli della presenza dell’altro. I nostri piaceri, seppure individuali, erano tuttavia gemelli, vibrando e muovendosi in musicale armonia.
La sera in questione, il dieci di luglio, il dottore ed io eravamo immersi nel nostro consueto stato d’animo metafisico. Accendemmo le nostre grandi pipe di schiuma, caricate con il miglior tabacco turco, in mezzo al quale bruciava una piccola noce nera di oppio che, come la noce della favola4, conteneva nel suo piccolo guscio meraviglie sconosciute anche ad un re, e ce ne andammo avanti e indietro, conversando. Una strana perversione dominava il corso dei nostri pensieri. Essi si rifiutavano di scorrere attraverso i canali luminosi in cui ci sforzavamo di indirizzarli. Per qualche misterioso motivo deviavano costantemente in alvei oscuri e solitari, dove incombeva una tenebra perpetua. Invano, secondo la nostra vecchia abitudine, ci slanciammo sulle coste dell’oriente e parlammo di allegri bazar, degli splendori del regno di Harun5, degli harem e dei palazzi dorati. 

Harun-al-Rashid

Neri ifrit6 emergevano continuamente dalle profondità dei nostri discorsi e si ingigantivano, - come quello che il pescatore liberò dal recipiente di rame, - fino a che oscurarono ogni forma luminosa della nostra visione. Senza accorgercene, cedemmo alla forza occulta che ci dominava e indulgemmo in cupe speculazioni. Avevamo parlato per un po’ della predisposizione della mente umana al misticismo e della predilezione quasi universale per il terribile, quando, improvvisamente, Hammond mi chiese: “Quale pensi che sia il più grande elemento del terrore?”
La domanda mi lasciò perplesso. Che molte cose fossero terribili, lo sapevo. Inciampare in un cadavere al buio; restare a guardare, come mi accade una volta, una donna che galleggia giù per la corrente impetuosa di un fiume profondo, con le braccia convulsamente alzate e la faccia, terribile, rivolta verso l’alto e che, mentre viene trascinata, lancia urla da strappare il cuore mentre noi, spettatori, restavamo immobili dietro una finestra che si affacciava sul fiume ad un’altezza di circa venti metri, incapaci di fare il minimo sforzo per salvarla, osservando in silenzio la sua ultima suprema agonia e la sua scomparsa. Il relitto andato in rovina di una nave, che non mostra alcuna traccia di vita, incontrato mentre si naviga pigramente sull’oceano, è un oggetto terribile, perché suggerisce un terrore sconfinato, i cui limiti sono indefinibili. Ma ora, per la prima volta, mi venne da pensare che ci doveva essere una più grande e superiore manifestazione della paura, un re del terrore a cui tutti gli altri devono sottomettersi. Cosa poteva essere? A quale catena di eventi doveva la sua esistenza?
Devo confessarti, Hammond,” risposi al mio amico, “che non ho mai preso in considerazione questo argomento prima d’ora. Che ci debba essere un qualcosa più terribile di ogni altra, ne sono cosciente. Tuttavia, non riesco nemmeno a tentare la più vaga definizione.”
Sono un po’ come te, Harry,” mi rispose. “Mi sento capace di provare un terrore più grande di ogni cosa mai concepita dalla mente umana: qualcosa che risulti dall’amalgama del pauroso e dell’innaturale, elementi fino ad ora considerati incompatibili. Il richiamo delle voci in Wieland7, il romanzo di Brockden Brown, è tremendo; come pure il ritratto del Guardiano della Soglia, nello Zanoni8 di Bulwer, ma,”Aggiunse,” scuotendo tristemente la testa, “c’è qualcosa di ancora più terribile di tutto ciò.”
Ascolti, Hammond,” replicai, “lasciamo perdere questi discorsi, per amor del cielo! Ne soffriremo, ne diventeremo succubi.”
Non so cosa mi succede stanotte,” replicò, “ma il mio cervello rincorre ogni sorta di pensieri strani e terribili. Sento che potrei scrivere una storia alla maniera di Hoffman9, stanotte, se solo padroneggiassi uno stile letterario.”
Ebbene, se vogliamo intrattenere una conversazione alla Hoffman, allora me ne vado a letto. Oppio e incubi non dovrebbero mai essere messi insieme. E’ una situazione soffocante! Buona notte Hammond.”
Buona notte, Harry. Faccia bei sogni.”
A lei, misero tapino, auguro ifrit, ghoul10 e incantatori.”

The ifrit Al-Malik al-Aswad (The black king) sitting on the right listening to the complaints of jinn    
Ci separammo e ognuno si recò nella propria camera. Mi svestii velocemente e mi misi a letto, portando con me, com’era mia abitudine, un libro, che di solito leggevo fino che non mi prendeva sonno. Aprii il volume non appena misi la testa sul cuscino e immediatamente lo lanciai dall’altra parte della stanza. Si trattava de La storia dei mostri di Goudon – un singolare saggio scritto in francese che avevo di recente portato da Parigi, ma che, nello stato mentale in cui mi trovavo, era tutt’altro che una piacevole compagnia. Decisi di mettermi a dormire immediatamente, così, abbassando la lampada a gas fino a che in cima al tubo non brillò che un puntino di luce blu, mi accinsi a riposare.
La stanza cadde in un buio totale. L’atomo di gas che rimaneva ancora acceso non illuminava che ad una distanza di pochi centimetri dal bruciatore. Preso dalla disperazione, mi coprii gli occhi con il braccio, quasi ad escludere perfino le tenebre, e cercai di non pensare a niente. Tutto inutile. Gli sconcertanti argomenti toccati da Hammond nel giardino continuavano ad insinuarsi nel mio cervello. Combattei contro di loro. Eressi contrafforti di fittizia oscurità mentale per tenerli fuori. Continuavano ad assediarmi. Mentre giacevo immobile come un cadavere, nella speranza che una perfetta inazione fisica avrebbe favorito la pace mentale, accadde un terribile incidente. Qualcosa cadde, così sembrava, dal soffitto, proprio sul mio petto e un momento dopo sentii due mani ossute stringermi il collo, nel tentativo di soffocarmi.
Non sono un codardo e sono dotato di una considerevole forza fisica. La subitaneità dell’attacco, invece di confondermi, tese i miei nervi fino allo spasimo. Il mio corpo agì d’istinto, prima che il mio cervello avesse il tempo di realizzare la mia terrificante condizione. In un istante avvolsi le mie braccia muscolose intorno alla creatura e la strinsi, con tutta la forza della disperazione, contro il mio petto. In pochi secondi quelle mani ossute che mi si erano strette alla gola, allentarono la presa e fui libero di respirare ancora.
A quel punto ebbe inizio una lotta di tremenda intensità. Immerso nella più profonda delle tenebre, del tutto ignaro della natura della Cosa da cui ero stato così proditoriamente attaccato; la mia presa che scivolava ad ogni istante, a causa, mi sembrò, della completa nudità del mio assalitore; morso alla spalla, al collo e al petto da denti aguzzi; costretto a proteggere continuamente la gola da un paio di mani nervose e agili, che i miei sforzi più disperati non riuscivano a contenere – questa era la combinazione di circostanze contro cui combattevo e che richiedeva tutta la forza, l’abilità e il coraggio che possedevo.
Alla fine, dopo una lotta silenziosa, letale ed estenuante, riuscii a sopraffare il mio assalitore grazie ad una serie di incredibili sforzi. Una volta che l’ebbi bloccato, con il ginocchio su quello che pensavo essere il suo torace, mi resi conto di aver vinto. Mi fermai un attimo a prendere fiato. Sentivo la creatura sotto di me ansimare pesantemente al buio e percepivo il suo cuore battere all’impazzata. Sembrava esausto come me, il che mi era di conforto. In quel momento ricordai che di solito, prima di andare a letto, sistemavo un gran fazzoletto di seta gialla sotto il cuscino. Mi misi subito a cercarlo, era là. Pochi secondi dopo ero riuscito, non so come, a legare le braccia della creatura. Ora mi sentivo ragionevolmente al sicuro. Non c’era molto altro da fare se non accendere il gas e, una volta visto che faccia avesse il mio assalitore, svegliare tutta la casa. Confesso di essere stato spinto da un certo orgoglio a non dare l’allarme prima: desideravo catturarlo da solo e senza aiuto.

Incubo - Johann Heinrich Füssli, 1781
Senza allentare la presa nemmeno per un istante, scivolai giù dal letto, trascinando con me il prigioniero. Non dovevo fare che pochi passi per raggiungere il bruciatore del gas, passi che feci con la massima cautela, tenendo la creatura in una presa simile ad una morsa. Alla fine giunsi vicino alla tenue macchiolina di luce blu che mi indicò dove si trovava il bruciatore. Veloce come un fulmine lasciai la presa con una mano e aprii al massimo il flusso della luce. Poi mi voltai a guardare il mio prigioniero.
Non riesco nemmeno a provare a dare una qualunque descrizione delle sensazioni che provai un momento dopo che ebbi aperto il gas. Suppongo che devo aver gridato per il terrore, perché meno di un minuto dopo gli inquilini della casa si affollarono nella mia stanza. Ancora oggi tremo al pensiero di quel momento tremendo. Non vidi niente! Sì, con un braccio cingevo saldamente una forma corporea ansimante e boccheggiante, l’altra mano stringeva con tutta la sua forza una gola calda e apparentemente fatta di carne come la mia, tuttavia con questa materia vivente nella mia morsa, il suo corpo stretto contro il mio e tutto ciò alla luce brillante di una lampada a gas aperta al massimo, io non vidi assolutamente niente! Nemmeno una sagoma... un vapore!
Non riesco, nemmeno ora, a comprendere la situazione in cui mi trovavo. Non sono in grado di ricordare completamente quell’incredibile avvenimento. L’immaginazione cerca invano di circoscrivere quel terribile paradosso.
Quella cosa respirava. Sentivo il suo fiato caldo sulla faccia. Combatteva con ferocia. Aveva mani. Si aggrappavano a me. La sua pelle era liscia, come la mia. Stava lì, stretto contro di me, solido come una pietra, eppure completamente invisibile!
Mi stupisco per non essere svenuto o impazzito all’istante. Un qualche portentoso istinto deve avermi supportato, perché, eccezionalmente, invece di allentare la mia presa sul terribile Enigma, mi sembrava di guadagnare ancora più forza in quel momento di orrore, e strinsi la presa con tale incredibile forza che sentii la creatura rabbrividire per il dolore.
Proprio in quel momento Hammond entrò nella mia camera alla testa degli altri inquilini. Appena mi guardò in faccia – che, suppongo, deve essere stato uno spettacolo spaventevole da guardare – si affrettò verso di me gridando, “Buon Dio, Harry! cos’è successo?”
"Hammond! Hammond!" gridai, “venga qua. Oh, è una cosa tremenda! Sono stato attaccato a letto da qualcosa che ho catturato, ma non riesco a vederla… non riesco a vederla!”
Hammond, evidentemente colpito dal genuino terrore del mio volto, avanzò di qualche passo con un’espressione ansiosa eppure sconcertata. Gli altri visitatori scoppiarono in una risatina sommessa. Questa risata soffocata mi rese furioso. Ridere di un essere umano nella mia condizione! Era la peggior specie di crudeltà. Ora, posso capire perché lo spettacolo di un uomo che lottava violentemente, come sembrava, con un incorporeo niente e che invocava aiuto contro una visione, deve essere sembrato ridicolo. Allora, tale era la mia rabbia nei confronti di quella folla beffarda che, se ne avessi avuto il potere, li avrei fulminati su due piedi.
"Hammond! Hammond!" gridai di nuovo disperato, “per amor di Dio, venga qui. Non riuscirò a trattenere questa… questa cosa ancora per molto. Sta prendendo il sopravvento. Mi aiuti! Mi aiuti!”
"Harry," sussurrò Hammond, avvicinandosi, “avete fumato troppo oppio.”
Le giuro, Hammond, che questa non è una visione,” risposi, nello stesso tono basso. “Non vede come tutto il mio corpo viene scosso dai i suoi sforzi? Se non mi crede, si convinca da solo. Coraggio, lo tocchi.”
Hammond si fece avanti e pose la mano dove gli avevo indicato. Un disperato urlo di orrore si levò da lui. Lo aveva sentito!
In un attimo aveva trovato da qualche parte nella mia stanza un lungo pezzo di corda e subito dopo lo stava girando e legando intorno al corpo di quell’essere invisibile che io tenevo fermo con le mie braccia.
Harry,” disse, con voce roca e agitata perché, anche se conservava tutta la sua presenza di spirito, era profondamente scosso, “Harry, è tutto a posto ora. Puoi lasciarlo andare, vecchio mio, se sei stanco. Quella cosa non può muoversi.”
Ero esausto e mollai la presa volentieri.
Hammond rimaneva immobile con i capi della corda che legava l’Invisibile avvolti sulla sua mano, mentre davanti a sé, come se si mantenesse da sola, fissava una fune avvolta, riavvolta e fermamente stretta intorno ad uno spazio vuoto. Non avevo mai visto un uomo così profondamente preso dallo sgomento. 



Eppure il suo volto esprimeva tutto il coraggio e la determinazione di cui, come ben sapevo, era dotato. Le sue labbra, anche se pallide, non tremavano e si poteva percepire a prima vista che, sebbene impaurito, non era intimidito.
La confusione che ne seguì tra gli ospiti della casa che furono testimoni di quella scena straordinaria tra Hammond e me, - che osservarono la pantomima di lui che legava quel Qualcosa riottoso, - che mi videro quasi venir meno per la stanchezza fisica quando il mio compito di carceriere cessò – la confusione e il terrore che si impadronirono degli astanti, quando videro tutto ciò, superò ogni immaginazione. I più fragili fuggirono via dalla stanza. Quei pochi che rimasero si accalcarono vicino alla porta e non fu possibile convincerli ad avvicinarsi ad Hammond e al suo prigioniero. Tuttavia l’incredulità si mescolava al terrore. Non avevano il coraggio di verificare, eppure erano presi dal dubbio. In vano pregai qualcuno di loro di avvicinarsi e convincersi toccandolo dell’esistenza in quella stanza di un essere vivente invisibile.
Erano increduli, ma non osavano fare chiarezza. Chiedevano come potesse un corpo solido, vivente e che respirava essere invisibile. Questa fu la mia risposta. Feci un cenno ad Hammond e insieme, superando la terribile ripugnanza di toccare un essere invisibile, lo sollevammo da terra, legato com’era, e lo portammo al mio letto. Pesava all’incirca come un ragazzo di quattordici anni.
Ora, amici miei,” dissi, mentre Hammond ed io tenevamo la creatura sospesa sul letto, “posso dimostrarvi senza ombra di dubbio che siamo in presenza di un corpo solido e pesante, che, tuttavia, non potete vedere. Siate così gentili da osservare attentamente la superficie del letto.”
Mi stupivo del mio stesso coraggio nel trattare questo singolare avvenimento con tanta calma, ma mi ero ormai ripreso dal mio primo terrore e riguardo a questa faccenda provavo una sorta di orgoglio scientifico, che dominava ogni altro sentimento.
Gli occhi dei presenti si fissarono immediatamente sul mio letto. Ad un determinato segnale Hammond ed io lasciammo cadere la creatura. Ci fu il rumore sordo di un corpo pesante che si posa su di una massa soffice. Le tavole del letto scricchiolarono. Sul cuscino si formò distintamente una profonda depressione, e lo stesso sul letto. A questa vista, gli spettatori proruppero in un urlo sommesso e fuggirono dalla stanza. Hammond ed io restammo soli con il nostro Mistero.
Rimanemmo in silenzio per qualche tempo, ascoltando il respiro basso e irregolare della creatura e osservando il movimento frenetico delle coperte provocato dai suoi inutili sforzi per liberarsi dalla cattività. Poi Hammond interruppe il silenzio.
Harry, è terribile.”
Sì, terribile.”
Ma non inspiegabile.”
Non inspiegabile! Cosa vuoi dire? Una cosa del genere non è mai accaduta dalle origini del mondo. Non so cosa pensare, Hammond. Voglia Dio che non sia pazzo e che questa non sia una folle fantasia!”
Ragioniamo un attimo, Harry. Ecco qui un corpo solido che possiamo toccare ma non vedere. Questo fatto è così insolito che ci riempie di sgomento. Tuttavia, è proprio vero che non esistano fenomeni analoghi? Prendiamo un pezzo di vetro senza impurità. E’ tangibile e trasparente. Una certa imperfezione chimica è la sola cosa che gli impedisce di essere completamente trasparente e totalmente invisibile. Non è teoricamente impossibile, intendiamoci, ottenere un vetro che non rifletta un singolo raggio di luce, - un vetro così puro e con atomi così omogenei che i raggi del sole lo attraverseranno, così come fanno nell’aria, rifratti ma non riflessi. Non vediamo l’aria, eppure la sentiamo.”
E’ vero, Hammond, ma si tratta di sostanze inanimate. Il vetro non respira, l’aria non respira. Questa cosa ha un cuore che batte – una volontà che la muove, - polmoni che funzionano: inspirano ed espirano.”
Lei dimentica il fenomeno di cui abbiamo sentito parlare così spesso ultimamente,” mi rispose il dottore, con voce seria. “Durante quelle riunioni chiamate ‘sedute spiritiche11,’ mani invisibili hanno stretto le mani delle persone intorno al tavolo, - mani calde, di carne che sembravano pulsare di vita mortale.”
Cosa? Lei dunque pensa che questa cosa sia…!”
Non so cosa sia,” fu la sua solenne risposta, “ma piaccia agli dei che con il suo aiuto riesca ad andare fino in fondo.”
Per tutta la notte restammo di guardia, fumando molte pipe, al capezzale di quell’essere misterioso che si agitò ed ansimò finché sembrò esausto. Allora capimmo dal respiro debole e regolare che si era addormentato.
Il mattino seguente la casa era tutta in subbuglio. I pensionanti si affollarono sul pianerottolo fuori dalla mia stanza ed Hammond ed io ci trovammo al centro dell’attenzione. Dovemmo rispondere a migliaia di domande sullo stato del nostro straordinario prigioniero. Infatti, non era ancora stato possibile convincere qualcuno della casa, eccetto noi due, a mettere piede nella camera.
La creatura era sveglia. Ciò era reso evidente dalla convulsa maniera in cui le coperte venivano mosse nel suo tentativo di fuggire. C’era qualcosa di veramente spaventoso nell’osservare quegli, per così dire, indizi di seconda mano delle terribili contorsioni e degli sforzi agonizzanti per la libertà, che di per sé erano invisibili.
Durante quella lunga notte Hammond ed io ci eravamo lambiccati il cervello per escogitare qualche mezzo utile a rilevare la forma e l’aspetto generale dell’Enigma. Per quello che eravamo riusciti a capire passando le mani sulla creatura, le sue forme e i suoi lineamenti erano umani. C’era una bocca; una testa tonda, liscia e senza capelli; un naso che, comunque, era poco sporgente sulle guance; le mani ed i piedi sembravano quelli di un ragazzo. Dapprincipio pensammo di mettere quell’esser su una superficie liscia e segnare il suo contorno con un gesso, così come i calzolai segnano il contorno dei piedi. Questo progetto fu abbandonato perché di nessun valore. Un tale disegno non ci avrebbe dato la minima idea della sua conformazione.
Mi balenò in testa una felice intuizione. Avremmo preso un calco in gesso. Così avremmo ottenuto una figura solida e soddisfatto tutti i nostri desideri. Ma come riuscirci? I movimenti della creatura avrebbero disturbato la posa del gesso e falsato il calco. Un’altra idea. Perché non somministrargli del cloroformio? Quell’essere aveva un apparato polmonare, - come si evinceva dal suo respiro. Una volta ridotto ad uno stato d’incoscienza, ne potevamo fare quello che volevamo. Mandammo a chiamare il dottor X…, e quando quel valente medico si riprese dall’iniziale sconcerto, procedette ad amministrare il cloroformio. Tre minuti dopo eravamo in grado di rimuovere i legacci dal corpo della creatura e un modellista si diede da fare per ricoprire quella forma invisibile con creta umida. Cinque minuti dopo il calco era stato completato e prima di sera avemmo un approssimativo facsimile del Mistero.

Aveva la forma di un uomo – distorto, rozzo, orribile, ma tuttavia un uomo. Era piccolo, non più alto di un metro e trenta e i suoi arti rivelavano uno sviluppo muscolare senza eguali. La sua faccia sorpassava in mostruosità qualunque cosa avessi mai visto. Gustav Doré, o Callot12, o Tony Johannot13, non avevano mai concepito niente di così orribile. C’è una faccia in una della ultimeillustrazioni a Un Voyage où il vous plaira13, che in qualche modo si avvicina ai lineamenti di questa creatura, ma non li eguaglia. Era la fisionomia di quello che, immagino, potrebbe essere un ghoul.
Avendo soddisfatto la nostra curiosità e vincolato alla segretezza ogni abitante della casa, si presentò il problema di cosa fare del nostro Enigma. Era impossibile tenere in casa un tale orrore, e altrettanto impossibile lasciare andare libero per il mondo quell’essere spaventoso. Confesso che avrei volentieri votato per la distruzione di quella creatura. Ma chi si sarebbe accollato una tale responsabilità? Chi avrebbe messo in atto l’esecuzione di quella terribile parvenza di un essere umano? Giorno dopo giorno la questione veniva discussa con estrema serietà.
Tutti i pensionanti lasciarono la casa. Mrs. Moffat era disperata e minacciava Hammond e me con ogni sorta di azione legale se non avessimo rimosso l’Orrore. La nostra risposta fu, “Se vuole ce ne andiamo, ma ci rifiutiamo di portare con noi questa creatura. Se ne liberi lei, se le va. E’ apparsa in casa sua. La responsabilità ricade su di lei.” Naturalmente, non ci fu alcuna replica. Mrs. Moffat non riuscì a trovare, né per amore né per danaro, qualcuno che volesse soltanto avvicinarsi al Mistero.
La parte più singolare della faccenda era che noi ignoravamo totalmente di cosa si nutrisse abitualmente quella creatura. Gli fu messo davanti qualunque genere di cibo che ci venisse in mente, ma non fu mai toccato. Era terribile rimanere lì, giorno dopo giorno, a guardare le coperte agitarsi e sentire il respiro farsi sempre più pesante, e sapere che stava morendo di fame. Passarono dieci, dodici, quindici giorni, ed era ancora in vita. Le pulsazioni del cuore, comunque, si erano fatte sempre più deboli col passare del tempo ed ora erano quasi cessate. Era evidente che la creatura stava morendo per mancanza di sostentamento. Mentre questa terribile lotta per la vita proseguiva, io stavo male. Non riuscivo a dormire. Per quanto quella creatura fosse orribile, era penoso pensare ai patimenti che stava soffrendo.
Alla fine morì. Una mattina, Hammond ed io lo trovammo freddo e stecchito nel suo letto. Il cuore aveva cessato di battere, i polmoni di respirare. Ci affrettammo a seppellirlo nel giardino. Fu uno strano funerale: scaricammo quel corpo invisibile in una umida buca. Donai il calco delle sue sembianze al dottor X…, che lo conserva nel suo museo sulla decima strada.
Poiché sono alla vigilia di un lungo viaggio da cui potrei non ritornare, ho stilato questo resoconto dell’evento più singolare che sia mai venuto in mia conoscenza.


FINE


1 Catherine Stevens, nota al pubblico come Catherine Crowe (1803 –1876), è stata una scrittrice britannica di romanzi gialli, libri per bambini e opere teatrali. Si interessò al soprannaturale e l'opera che maggiormente risentì del suo fascino per i fenomeni ultraterreni fu The Night-Side of Nature, or, Ghosts and Ghost-seers del 1848, e fu particolarmente apprezzata da Charles Baudelaire. E’ considerata la prima scrittrice britannica ad avere usato il termine poltergeist.
2 La tempesta (The Tempest) è un'opera teatrale in cinque atti scritta da William Shakespeare tra il 1610 e il 1611 che si svolge in un’isola deserta del mediterraneo. Ariel è uno spirito benevolo, mentre Calibano è l’indigeno deforme e lascivo.
3 Lo zoroastrismo è la religione basata sugli insegnamenti del profeta Zarathuštra (o Zoroastro) ed è stata in passato la religione principale più diffusa sia teologicamente che demograficamente e politicamente, nelle regioni iraniche e dell'Asia centrale tra il VI secolo a.C. e il X secolo d.C.
4 Le favole citate appartengono alle Mille e una notte.
5 Harun al-Rashid fu califfo di Bagdad (oggi capitale dell’Iraq) dal 786 all’809. Fu il quinto califfo della dinastia degli Abbasidi. Sotto il regno di Harun, il cui impero si estendeva sull’Asia sud-occidentale e sul Nord Africa, Bagdad divenne il centro del mondo arabo. Il califfo ebbe relazioni diplomatiche con l’imperatore Carlo Magno e con i T’ang, gli imperatori della Cina; fu
in guerra con Bisanzio dal 791 alla sua morte. Il califfo deve la sua celebrità anche al fatto di essere il protagonista di varie vicende narrate nella silloge favolistica intitolata
Le mille e una notte (Alf layla wa layla), dove è fin troppo generosamente ricordato come il prototipo del governante buono e giusto, a dispetto del suo spietato operare ai danni dei Barmecidi, la cui ottima amministrazione aveva garantito basi floride e solide al suo califfato.
6 Potenti jinn o demoni nella mitologia islamica gli ifrit vengono anche identificati con gli spiriti dei morti.
7 Wieland: o, The Transformation: An American Tale, di solito chiamato semplicemente Wieland, è la prima grande opera di Charles Brockden Brown. Pubblicato per la prima volta nel 1798, Wieland è talvolta considerato il primo romanzo gotico americano.
8 Zanoni è un romanzo del 1842 di Edward Bulwer-Lytton, una storia di amore e magia- Il suo protagonista, Zanoni, conosce il segreto dell’immortalità, a cui rinuncia per amore della bella Viola.
9 Hoffmann, Ernst Theodor Amadeus. - Scrittore, musicista e disegnatore tedesco (1776 - 1822). Nelle sue fiabe fantastico-grottesche la frattura tra l'arte e la meschina condizione dell'umanità è resa da personaggi sinistri che si muovono fra la realtà e il soprannaturale.
10 La ghul o gul, italianizzato in gula. Essere demonico femminile di natura maligna, mantenutosi nelle credenze degli Arabi dall’epoca preislamica.
11 Lo spiritismo è una dottrina apparsa nel 1857 in Francia, esposta pubblicamente attraverso i libri di Allan Kardec. Il termine "spiritismo" fu adottato per evidenziare i nuovi postulati rispetto alle altre visioni spiritualiste della vita. Nelle sue ricerche Kardec osservò una serie di fenomeni e formulò l'ipotesi che tali fenomeni potessero essere attribuiti solamente a intelligenze incorporee (spiriti). Le comunicazioni spiritiche avverrebbero "grazie all'intervento di un medium", ossia una persona con particolari doti che fungerebbe da mediatore fra spiriti e viventi, durante la cosiddetta seduta spiritica
12 Jacques Callot (1592 – 1635) è stato un incisore francese. Paul Gustave Louis Cristophe Doré, (1832 –1883), è stato un pittore e incisore francese. Illustratore di straordinario valore, disegnatore e litografo, è noto soprattutto per le sue illustrazioni della Divina Commedia di Dante,
13 Pubblicato nel 1843, è considerato un piccolo capolavoro della letteratura fantastica ad opera del poeta e scrittore Alfred de Musset e dell’illustratore T. Johannot .


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