mercoledì 16 marzo 2022

L'avventura del sagrestano

 

 

Acqua di fuoco

 

L’avventura del sagrestano (The Sexton's Adventure) di Sheridan Le Fanu fu pubblicato nel Dublin University Magazine – 1851 - nella raccolta "Ghost Stories of Chapelizod" insieme a The Village Bully (Il bullo del villaggio) e The Spectre Lovers (Gli amanti spettrali). Le storie sono ambientate nel villaggio suburbano di Chapelizod, nei pressi di Dublino, una volta florido ora semi abbandonato, ma le storie fantastiche dei suoi passati abitanti ancora gli sopravvivono.

Protagonista della storia è l’allora sagrestano, e becchino, del villaggio, Bob Martin, spauracchio dei ragazzi che la domenica bighellonavano nel cimitero antistante la chiesa. Ma anche l’austero Bob Martin aveva il suo lato debole, infatti: “Bacco non sempre lo sollecitava invano.” E per soddisfare la sua inestinguibile sete era solito infilarsi, non invitato, nelle comitive di bevitori che, in cambio di un buon bicchiere, intratteneva con barzellette e mille leggende. E furono proprio le sue doti di intrattenitore a guadagnarli l’amicizia di un taverniere del posto, chiamato Phil Slaney lo scuro a causa del suo umore saturnino, che sembrava trovare sollievo solo nella compagnia del sagrestano. I due precipitarono sempre più nel vizio del bere, a spese del taverniere, che alla fine, rovinato anche economicamente, si fece letteralmente saltare le cervella. Il sagrestano decise allora di lasciar perdere le bevute e di condurre una vita morigerata, ma lo spirito inquieto del suicida ritornò sulla terra per tentarlo ancora una volta e trascinarlo all’inferno con sé. Riuscirà il vecchio sagrestano a resistere a quella divina fragranza di whiskey?





L’avventura del sagrestano

di

Sheridan Le Fanu



Turner - Kirkby Lonsdale Churchyard



Quelli che ricordano la Chaplizod di un quarto di secolo fa, o anche più, probabilmente ricorderanno anche il sagrestano della parrocchia. Bob Martin era tenuto in gran soggezione dagli scolari che la domenica bighellonavano nel cimitero per leggere le iscrizioni sulle lapide o giocarci sopra alla cavallina, o arrampicarsi sui tralci di edera alla ricerca dei nidi di pipistrelli o passerotti, o per sbirciare attraverso una misteriosa fenditura sotto la finestra posta ad oriente, che si apriva su di una fioca prospettiva di scalini che scendevano verso il basso perdendosi nelle tenebre più fitte, dove bare scoperchiate restavano orribilmente spalancate tra velluti i laceri, le ossa e la polvere, che il tempo e la morte vi avevano disseminato.

Bob, naturalmente, era il particolare flagello e terrore di quei giovani così terribilmente curiosi e, per altri versi, così intraprendenti. Ma per quanto fosse temibile l’aspetto ufficiale del sagrestano e per quanto la sua figura alta e magra, abbigliata con neri indumenti antiquati, il suo gelido volto scarno, i sospettosi occhi grigi e il suo parrucchino marrone potessero sembrare estranei ad ogni idea di cordialità e gentilezza, tuttavia era pur vero che l’austera severità di Bob Martin a volte sonnecchiava e che Bacco non sempre lo sollecitava invano.

Bob aveva una mente curiosa e una memoria ben fornita di ‘allegre storielle,’ e racconti terrificanti. La sua professione lo familiarizzava con tombe e goblin, le sue preferenze con matrimoni, baldorie, e argute barzellette di ogni genere. E i suoi ricordi prsonali risalivano a tre lustri nella retrospettiva della storia del villaggio, il suo patrimonio di aneddoti locali era copioso, accurato ed edificante.

Dal momento che le sue entrate ecclesiastiche non erano affatto considerevoli, non di rado era obbligato, per soddisfare i suoi gusti, ad artifici che erano, nel migliore dei casi, vergognosi.

Si invitava spesso da solo: quando i suoi ospiti avevano dimenticato di farlo, capitava come per caso in quei pub dove c’era qualche gruppetto di bevitori suoi conoscenti e li intratteneva con storie strane e terribili prese dal suo inesauribile repertorio e non si faceva mai scrupolo di accettare un ringraziamento sotto forma di un punch di whiskey, o qualunque altra cosa fosse in ballo.

A quel tempo, c’era un malinconico taverniere, un certo Philip Slaney, che si era stabilito in un locale quasi di fronte alla vecchia strada maestra. Costui, se lasciato a sé stesso, non era dedito al bere in maniera smodata, ma essendo per sua natura di carattere saturnino, e dal momento che i sui spiriti necessitavano di continui stimoli, aveva sviluppato un’incredibile preferenza per la compagnia di Bob Martin. L’amicizia del sagrestano, infatti, divenne gradualmente il conforto della sua esistenza e sembrava perdere la sua costituzionale malinconia sotto l’nfluenza delle sue argute barzellette e storie incredibili.

Questa intimità non fu senza effetti sul benessere o la reputazione di questi conviviali alleati. Bob Martin beveva molto più punch di quanto fosse bene per la sua salute o coerente con la personalità di un funzionario ecclesiastico. Anche Philip Slaney fu trascinto in simili indulgenze, perché era difficile resistere alla gioviale seduzione del suo brillante compagno, e dal momento che era obbligato a pagare per entrambi, era opinione comune che la sua borsa avesse sofferto ancor più della sua testa e del suo fegato.

Sia come sia, a Bob Martin era attribuito il merito di aver traformato in un ubriacone “Phil Slaney lo scuro” – perchè questo era il soprannome con cui era conosciuto; e anche Phil Slaney aveva la reputazione di aver reso il sagrestano, se possibile, un briccone ancora peggiore di prima. Date le circostanze, i rendiconti della contabilità dall’altra parte della strada maestra si fecero alquanto ingarbugliati, e durante una sonnolenta mattina estiva, con un tempo afoso e nuvoloso, successe che Phil Slaney andò in un salottino sul retro, dove teneva i suoi registri, e che dominava, attraverso i vetri sporchi della finestra, la sola vista di un muro cieco, e dopo aver serrato la porta, prese una pistola carica, infilò la canna in bocca e fece volare la parte superiore del cranio fino al soffitto.

Questa orribile catastrofe colpì profondamente Bob Martin e un po’ per questo motivo, un po’ perché ultimamente, in più occasioni, essendo stato trovato di notte in uno stato di confusione, quasi di incoscienza, sulla strada principale, era stato minacciato di licenziamento e, come diceva qualcuno, in parte anche per la difficoltà di trovare chi lo ‘trattasse’ come era solito fare il povero Phil Slaney, questi per un po’ rinnegò l’alcol in tutte le sue combinazioni e divenne un eminente esmpio di temperanza e sobrietà.

Bob osservò i suoi buoni propositi con tollerabile puntualità, a gran consolazione di sua moglie e a edificazione del vicinato. Raramente era brillo e mai ubriaco, e fu accolto dalla migliore società con tutti gli onori del figliol prodigo.

Circa un anno dopo l’orribile episodio che vi ho raccontato, accadde che il curato, avendo ricevuto per posta il dovuto preavviso di un funerale da celebrarsi nel cimitero di Chapelizod, con precise istruzioni riguardo al sito della tomba, mandò a chiamare Bob Martin, con il proposito di comunicare a quel funzionario questi dettagli ufficiali.

Era una fosca notte autunnale: mucchi di spaventoe nubi temporalesche, che si alzavano lentamente all’orizzonte, avevano ricoperto il cielo con una pesante cappa che anunciava l’avvicinarsi di una bufera. Il brontolio di un tuono rmbombò in lontananza nell’aria cupa e ferma e tutta la natura sembrava, per così dire, silenziosa e intimorita sotto l’influenza oppresssiva dell’imminenete tempesta.

Erano passate le nove, quando Bob, indossando la sua giacca d’ordinanza di un nero scolorito, si preparò ad assistere il suo superiore.

Bobby, mio caro,” disse la moglie, prima di consegnare al suo proprietario il cappello che stringeva tra le mani, “sicuro che non, Bobby caro...che non… tu sai cosa.”

No, non so cosa,” replicò seccamente il marito, cercando di afferrare il cappello.

Non è che alzerai il gomito, Bobby, tesoruccio?” disse la moglie, scansando la sua presa.

Accidenti, donna, perché dovrei? Allora, me lo dai il cappello?”

Perché, allora, non me lo prometti, Bobby caro… suvvia, tesoruccio.”

Sì, sì, certo che sì, perché no? Adesso, dammi il cappello e lasciami andare.”

Ah, ma tu non stai promettendo, Bobby, mio caro, finora non hai promesso niente.”

E va bene, che il diavolo mi porti se berrò una sola goccia finché ritorno,” dise il sagrestano rabbiosamente, “va bene così? E adesso, vuoi darmi il cappello?”

Eccolo, caro,” disse, “e che Dio ti faccia tornre sano e salvo.”

E con questa benedizione d’addio la donna chiuse la porta alle sue spalle, perché adesso era quasi buio, e riprese a lavorare a maglia fino al suo ritorno, molto sollevata, perché credeva che ultimamente il marito era stato brillo più spesso di quanto fosse plausibile con una sua completa redenzione, e temeva la tentazione di una mezza dozzina di taverne che, a quei tempi, doveva oltrepassare sulla sua strada verso la parte opposta della città.

Queste, erano ancora aperte ed esalvano un delizioso sentore di whiskey, mentre Bob gli passava davanti con nostalgia, ma infilò le mani in tasca e guardò dall’altra parte, fischiettando ostinatamente e riempendosi la mente con l’immagine del curato e del futuro compenso. Così guidò la sua moralità in salvo attraverso gli scogli della tentazione e raggiunse indenne la casa del curato.

Quest’ultimo, tuttavia, aveva ricevuto un’improvvisa richiesta di assistenza ad un malato, così Bob Martin dovette sedersi nell’ingresso e passare il tempo rigirandosi i pollici fino al suo ritorno. Sfortunatamente, il curato fu trattenuto molto a lungo e doveva essere ormai mezzanotte quando Bob Martin si rimise in cammino verso casa. Ormai, al temporale si aggiungeva una fitta tenebra, il rombo del tuono echeggiava tra le vette e le vallate delle montagne intorno a Dublino e la pallida luce bluastra dei fulmini brillava sulle attonite facciate delle case.

Govaert Flinck (1615-1660)

Vista l’ora, poi, le porte erano tutte chiuse, ma mentre Bob arrancava verso casa, i suoi occhi cercarono istintivamente la taverna che una volta era appartenuta a Phil Slaney. Una pallida luce si faceva strada attraverso le imposte e i vetri della porta d’ingresso, formando una sorta di fioco alone nebbioso intorno alla facciata della bottega.

Poiché gli occhi di Bob si erano ormai abituati all’oscurità, la luce in questione bastò a permettergli di vedere un uomo con una specie di ampia giacca da fantino seduto su di una panca che, a quel tempo, era sistemata sotto la finestra della casa. Indossava un cappello calcato sugli occhi e stava fumando una lunga pipa. Accanto a lui, si intravvedevano le sagome di un bicchiere e di una bottiglia da un quarto, mentre un imponente cavallo sellato, ma che si distingueva a fatica, stava pazientemente aspettando i comodi del suo padrone. Senza dubbio, c’era qualcosa di strano nello spettacolo di un viaggiatore che si ristorava a quell’ora in mezzo alla strada, ma il sagrestano se lo spiegò facilmente supponenndo che, quando la taverna aveva chiuso per la notte, l’uomo aveva portato quello che restava della sua bevuta al posto dove si trovava adesso.

In un’altra occasione Bob avrebbe potuto salutare gentilmente lo sconosciuto, mentre gli passava davanti, augurandogli la ‘bona notte’ ma, essendo alquanto seccato e non in vena di cortesie, stava per andarsene senza saluto alcuno, quando lo sconosciuto, senza togliersi la pipa di bocca, sollevò la bottiglia e con questa gli fece cordialmente cenno di avvicinarsi mentre lo invitava silenziosamente a condividere la seduta e la bevanda con una specie di ondeggiamento della testa e delle spalle e, allo stesso tempo, spostandosi ad un’estremità della panca. Tutto intorno a quel posto c’era una divina fragranza di whiskey e Bob stava quasi per cedere, ma si ricordò della sua promessa proprio mentre iniziava a vacillare, e disse:

La ringrazio per la sua offerta gentile,” disse Bob, “Ma è che ho fatto troppo tardi e non ho tempo da perdere, così le auguro la buona notte.” Il viaggiatore fece tintinnare il bicchiere contro il collo della bottiglia, come a lasciare intendere che poteva almeno buttar giù un sorso senza perdere tempo. Dentro di sè, Bob era della stessa opinione ma, sebbene avesse l’acquolina in bocca, ricordò la sua promessa e, scuotendo la testa con incorruttibile fermezza, proseguì oltre.

Lo sconosciuto, pipa in bocca, si alzò dalla panca, la bottiglia in una mano, il biccchiere nell’altra, e si mise alle calcagna del sagrestano, mentre il suo nero cavallo si teneva nella sua scia.

C’era qualcosa di sospetto e di indefinibile in quel comportamento importuno.

Bob affrettà il passo, ma lo sconosciuto lo seguì da vicino. Il sagrestano iniziò ad avere una strana sensazione e si girò. Il suo inseguitore gli era alle spalle e, con gesti impazienti, continuava ad invitarlo ad assaggiare il suo liquore.

Te l’ho già detto,” disse Bob, che era allo stesso tempo arrabbiato e spaventato, “che non l’avrei assaggiato, e questo è tutto. Non voglio avere niente a che fare con te o con la tua bottiglia e, per amor di Dio,” aggiunse, con maggiore vemenza, vedendo che l’altro si avvicinava ancora di più, “fatti indietro e non tormentarmi in questo modo.”

Queste parole, come sembrò, resero furioso lo sconosciuto, perché scosse la bottiglia con minacciosa violenza verso Bob Martin ma, nonostante quel gesto di sfida, lasciò che la distanza fra loro due aumentasse. Bob, comunque, si accorse che, anche da lontano, continuava ad inseguirlo, perché la sua pipa emanava un incredibile alone rosso, che illuminava in maniera soffusa la sua intera figura, similmente alla livida atmosfera di una meteora.

Se il diavolo si prendesse ciò che gli appartiene, ragazzo mio,” mormorò il sagrestano, tutto agitato, “so bene dove ti troveresti.”

Quando si guardò di nuovo dietro, con suo sgomento osservò che quell’importuno sconosciuto era più vicino che mai.

Che tu sia maledetto,” gridò con rabbia ed orrore l’uomo che aveva a che fare con teschi e pale, quasi fuori di sé “cosa vuoi da me?”

Lo sconosciuto sembrava più baldanzoso e prese ad agitare la testa e ad allungargli bottiglia e bicchiere mentre gli si avvicinava, e Bob Martin sentì il cavallo sbuffare mentre li seguiva nelle tenebre.

Tientelo per te, qualunque cosa sia, perchè non c’è né grazia di Dio né fortuna intorno a te,” gridò Bob Martin, raggelato dalla paura, “lasciami in pace, vattene.”

E rovistò invano fra le sue idee in subuglio alla ricerca di una preghiera o di un esorcismo. Affrettò il passo fin quasi a correre, adesso era quasi vicino alla sua porta, ai piedi dell’argine sovrastante la riva del fiume.

Lasciami entrare, lasciami entrare, per amor di Dio; Molly, apri la porta,” gridò e corse verso la soglia di casa dove pogiò la schiena contro l’uscio. Il suo inseguitore gli stava di fronte nella strada, non aveva più la pipa in bocca, ma il fioco alone rosso ancora indugiava intorno a lui. Emise alcuni versi inarticolati e cavernosi, simili a quelli di un lupo e indescrivibili, mentre sembrava affaccendato a versarsi un bicchiere dalla bottoglia.

Il sagrestano scalciò con tutta la sua forza contro la porta e, allo stesso tempo, gridò con voce disperata:

Nel nome di Dio onnipotente, una volta per tutte, lasciami stare.”

Il suo inseguitore lanciò con furia il contenuto della bottiglia contro Bob Martin, ma invece di un fluido, ne uscì fuori uno zampillo di fuoco che andò ad allargarsi e a turbinargli intorno e per un momento furono entrambi avvolti in un flebile bagliore, in quello stesso momento un’improvvisa folata di vento fece volar via il cappello dello sconosciuto e il sagrestano vide che il suo cranio era senza la parte superiore. Per un istante, fissò quella spaventosa apertura, nera e sbrindellata, e poi cadde svenuto sulla porta di casa, che la moglie terrorizzata aveva appena aperto.

Non c’è alcun bisogno che io dia ai miei lettori la chiave di questo racconto perfettamente comprensibile e asolutamete autentico. Tutti riconobbero nel viaggiatore lo spettro del suicida, evocato dal maligno per tentare il conviviale sagrestano a violare la sua promessa, sigillata, per così dire, da un’imprecazione. Se ci fosse riuscito, senza dubbio il nero stallone, che Bob aveva visto attendere sellato, era destinato a riportare indietro un doppio carico nel posto da cui era venuto.

Come attestato dell’autenticità di questa visita soprannaturale, al mattino si scoprì che il vecchio albero di biancospino che ombreggiava la porta della casa era stato distrutto dalle fiamme infernali che erano scaturite dalla bottoglia, proprio come se fosse stato bruciato da un fulmine.

La morale di questa storia è in superficie, evidente e, per così dire, automatica – circostanza che fortunatamente ci risparmia la necessità di discuterne insieme. Pertanto, prendendo congedo dall’onesto Bob Martin, che ora riposa profondamente nello stesso solenne dormitorio dove, quando era in vita, aveva preparato così tanti letti per gli altri, vengo ad una leggenda della Royal Irish Artillery, il cui quartier generale fu per lungo tempo nella città di Chapelizod.

Permettete, tuttavia, che prima gli dia un nome, perché un autore non può più pubblicare un racconto senza titolo, proprio come un farmacista non può vendere la sua preparazione senza etichetta. Pertatnto, lo intitoleremo…



FINE





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